Codice Civile art. 386 - Approvazione del conto.Approvazione del conto. [I]. Il giudice tutelare invita il protutore, il minore divenuto maggiore o emancipato [390], ovvero, secondo le circostanze, il nuovo rappresentante legale a esaminare il conto e a presentare le loro osservazioni. [II]. Se non vi sono osservazioni, il giudice che non trova nel conto irregolarità o lacune lo approva; in caso contrario nega l'approvazione [45 1 att.]. [III]. Qualora il conto non sia stato presentato o sia impugnata la decisione del giudice tutelare, provvede l'autorità giudiziaria nel contraddittorio degli interessati [45 3 att.]. InquadramentoL'approvazione del rendiconto finale costituisce il momento conclusivo della tutela e degli obblighi e limiti gravanti sul tutore (si ricorda che la disposizione in commento si applica anche all'interdizione ed alla amministrazione di sostegno). Il pupillo, oramai divenuto maggiorenne può liberamente concludere con il tutore ed il protutore i contratti di cui all'art. 378 c.c., può disporre delle proprie sostanze per testamento in favore del tutore così come fare una donazione in suo favore. Decorso un anno dalla approvazione, il pupillo può altresì stipulare le convenzioni di cui all'art. 388 c.c. Se, come osservato nel commento relativo all'art. 380 c.c., per il rendiconto annuale il legislatore non ha previsto specifiche formalità, per quello finale non solo ha indicato un termine entro il quale il rendiconto deve essere depositato (60 giorni comunque prorogabili) ma ha previsto uno specifico procedimento a garanzia della valutazione della gestione patrimoniale effettuata dal tutore. In particolare, dopo il deposito del rendiconto, il Giudice tutelare invita il protutore, il minore divenuto maggiorenne o emancipato, ovvero, secondo le circostanze, il nuovo rappresentante legale ad esaminare il conto e a presentare le proprie osservazioni. La disposizione è perentoria: il Giudice deve necessariamente invitare le persone indicate ai fini dell'esame del rendiconto. In particolare l'invito rivolto al protutore, facoltativo solo con riferimento al rendiconto annuale, è espressione della funzione di collaborazione che questi è chiamato a svolgere (in questo senso De Cupis, 512). Secondo parte di dottrina gli unici soggetti legittimati a formulare osservazioni sono quelli specificatamente indicati dalla disposizione in commento. Tuttavia, analizzando il contenuto dell'art. 380 c.c., che riguarda il solo deposito del rendiconto annuale, deve evidenziarsi che il legislatore consente al Giudice Tutelare di invitare anche i parenti del minore ad esaminare il rendiconto. Tale facoltà trova la sua ratio nella circostanza per la quale il parente, conoscendo il minore e la sua situazione patrimoniale, potrebbe fornire informazioni o chiarimenti utili al Giudice ai fini della valutazione e dell'approvazione del rendiconto. Tale ratio si ritiene ravvisabile anche nel caso in cui debba essere approvato il rendiconto finale. Il primo comma della disposizione in commento, però, non contempla tra le persone alle quali può essere sottoposto il conto finale i parenti né gli eredi. Nonostante ciò non si ravvisano, nella disciplina in tema di conto e rendiconto, elementi preclusivi alla sottoposizione, facoltativa, del conto finale anche agli eredi. Si pensi all'ipotesi in cui il minore (ovvero l'interdetto) sia deceduto, in tal caso il Giudice potrebbe ritenere opportuno sottoporre il rendiconto all'erede. Le disposizioni che regolano la presentazione del rendiconto annuale, per il quale non è nemmeno prevista la necessità di un espresso provvedimento conclusivo da parte del Giudice tutelare, prevedono, peraltro, la facoltà di sottoporre il rendiconto ad un parente. Tale potere discrezionale è strumentale alle esigenze di certezza che non vengono meno, anzi aumentano nel caso di specie. Il Giudice è tenuto a negare l'approvazione del rendiconto ove allo stesso vengano presentate delle osservazioni. La disposizione non specifica cosa si debba intendere con tale termine ma è il caso di evidenziare che non tutte le osservazioni possono determinare una così grave conseguenza quale è quella della non approvazione del rendiconto. Diversamente opinando, basterebbe quindi una semplice affermazione in merito alla carenza di qualche requisito per non consentire al Giudice tutelare di valutare la gestione patrimoniale posta in essere dal tutore. Autorevole e condivisibile dottrina, infatti, ha rilevato che le osservazioni, per precludere al Giudice tutelare la possibilità di approvare il conto finale, devono essere vere e proprie contestazioni e non semplici rilievi superabili mediante i chiarimenti del tutore (Bucciante, 729). La fase contenziosa del procedimento di approvazione del rendicontoNell'ipotesi in cui il conto finale non venga presentato nei termini, ovvero venga impugnato il decreto con il quale viene approvato il rendiconto (ovvero ancora, venga negata l'approvazione) trova applicazione il secondo comma della disposizione in commento (secondo Dell'Oro, 270, alla non approvazione deve equipararsi anche la mancata presentazione del conto nel termine previsto dalla legge). Il decreto potrà essere impugnato dinanzi al Tribunale ex art. 45 disp. att. c.c. entro 10 giorni decorrenti dalla comunicazione. Verrà quindi instaurato un procedimento contenzioso in ordine all'approvazione del rendiconto che si conclude con una decisione appellabile ma non ricorribile per Cassazione (da ultimo Cass. I, n. 4029/2022, in tema di amministrazione di sostegno). Si potrebbero in ipotesi riscontrare falsità ovvero errori nella redazione del conto finale e diverse possono essere, pertanto, le azioni in concreto esperibili nei confronti del tutore. Tra queste è compresa, in primo luogo, l'azione di rendiconto, rivolta ad ottenere che il tutore sia condannato a rendere il conto finale e a risarcire il danno arrecato con l'inosservanza di tale atto (in merito Dell'Oro, 267). Ove il conto sia stato depositato oltre il termine di 60 giorni, previsto dalla disposizione precedente, la tardiva presentazione non preclude la presentazione della domanda, atteso che oltre tale termine la competenza del Giudice tutelare è oramai cessata (Trib. Chieti, 10 maggio 1955, in Giur. it., 1957, I, 2, 542; App. Roma, 19 maggio 1959, in Rep. Foro. it., 1960, voce tutela n. 5). Tuttavia la dottrina evidenzia come il semplice ritardo non possa dar luogo ad una conseguenza così grave ma che possa determinare esclusivamente l'eventuale responsabilità per danni cagionati dal tutore (Bucciante, 729). Altre azioni esperibili sono quelle tese alla rettificazione ove nel conto finale, anche approvato dal Giudice tutela, si riscontrino successivamente errori o falsità (De Cupis, 513). Con riferimento al procedimento contenzioso eventuale previsto dal terzo comma si discute in merito a chi possa agire e se, in particolare, tra gli interessati vi siano i parenti entro il quarto grado. In particolare la Corte di Cassazione, in un'unica sentenza risalente al 2000, ha evidenziato che i parenti entro il quarto grado sono tra i soggetti legittimati ad impugnare la sentenza di interdizione così come a promuoverne il relativo giudizio. È stato poi osservato dalla Corte che tra gli interessati di cui all' art. 386, comma 3, c.c., pertanto, non possano non essere ricompresi i parenti entro il quarto grado, ed in primis gli eredi. La Corte di Cassazione ha altresì ritenuto che il parente, che rivesta la qualità di erede, sia portatore di un interesse specifico e personale alla correttezza della gestione del patrimonio del tutelato (Cass. I, n. 9470/2000). Nel dettaglio la Corte di Cassazione ha quindi affermato che tale norma, applicabile anche nell'ipotesi di interdizione per il rinvio operato dall' art. 424 c.c., consta sostanzialmente di due parti di natura diversa, riguardando, la prima, un procedimento di volontaria giurisdizione volto all'approvazione del rendiconto ( i primi due commi) e, la seconda, regolata dal terzo comma, l'ipotesi di mancata approvazione o di contestazione del rendiconto medesimo da verificare "nel contraddittorio degli interessati". Tra i detti interessati, in particolare, non può non ricomprendersi anche l'erede, da considerarsi quindi legittimato ad agire anche a tutela dell'eredità ai sensi dell'art. 100 c.p.c.. Non può pertanto ritenersi che i soggetti "interessati", cui fa riferimento il terzo comma in esame, vadano individuati unicamente fra coloro che sono indiziati nei primi due commi. Ciò sia per la diversità strutturale e della natura dei due procedimenti cui si è accennato e sia per la più generica espressione adottata dal terzo comma nell'indicare i soggetti legittimati ad agire rispetto alla più specifica indicazione contenuta nei primi due. La Corte ha altresì evidenziato che, nella fattispecie disciplinata dall' art. 386 c.c., si versa in ipotesi nella quale gli interessi individuali e quelli superiori collegati all'incapace si saldano perfettamente e per la quale la legge fa leva sui primi anche per la tutela dei secondi. La dottrina esclude, peraltro, che tra gli interessati possa includersi il Pubblico ministero (in merito Dell' Oro, 271; Bisegna, 939). BibliografiaBisegna, Tutela e curatela, Nss. D.I., XIX, Torino, 1973; Bucciante, La potestà dei genitori, la tutela e l'emancipazione, in Rescigno (diretto da) Trattato di diritto privato, Torino, 1997; Campese, Il Giudice tutelare e la protezione dei soggetti deboli, Milano, 2008; De Cupis, Della tutela dei minori, sub Artt. 343-389, in Cian-Oppo Trabucchi (diretto da), Commentario al diritto italiano della famiglia, Padova, 1992; Dell'Oro, Tutela dei minori, in Comm. S.B., artt. 343-389, Bologna-Roma, 1979; Pazè, La tutela e la curatela dei minori, in Zatti (diretto da), Trattato di diritto di famiglia, Milano, 2012; Santarcangelo, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2003. |