Codice Civile art. 368 - Omissione della dichiarazione.Omissione della dichiarazione. [I]. Se il tutore, conoscendo il suo credito o le sue ragioni, espressamente interpellato non li ha dichiarati, decade da ogni suo diritto. [II]. Qualora, sapendo di essere debitore, non abbia dichiarato fedelmente il proprio debito, può essere rimosso dalla tutela [384]. InquadramentoIl rapporto che si instaura tra il tutore ed il minore deve essere improntato alla massima trasparenza, nessuna circostanza deve essere taciuta, soprattutto quando essa possa riguardare il patrimonio del minore, la sua consistenza, e di riflesso la sua futura gestione (anche in quanto possibile fonte di conflitto di interessi). La disposizione in commento disciplina, quindi, proprio le conseguenze derivanti dalla consapevole omessa dichiarazione, da parte del tutore, prima della chiusura dell'inventario di debiti, crediti ed altre ragioni esistenti verso il minore di cui all'art. 367 c.c. (in merito De Cupis, 458; Bucciante, 709; Pazè, 383). La norma distingue l'ipotesi di mancata indicazione di crediti ed altre ragioni verso il minore da quella relativa alla mancata consapevole indicazione dei debiti. Nel primo caso l'effetto derivante dalla mancata indicazione è la decadenza da ogni pretesa. Affinché ciò si verifichi, è tuttavia necessario che il tutore sia stato espressamente interpellato in merito dal cancelliere o dal notaio e che, consapevolmente, abbia taciuto l'esistenza del credito o di altra ragione nei confronti del minore. Sicché, si ritiene che il tutore non decada dalle sue pretese ove la mancata dichiarazione avvenga in buona fede o non venga resa perché il credito è ritenuto prescritto erroneamente ovvero già soddisfatto tramite un mezzo di pagamento in seguito rivelatosi inefficace (in merito Dell'Oro, 163). Diversamente, qualora l'omessa dichiarazione riguardi un debito del tutore nei confronti del minore, non è necessario, affinché operi la disposizione in commento, che il cancelliere o il notaio interpellino in merito il tutore ed è sufficiente che quest'ultimo, consapevolmente, abbia omesso di dichiarare il debito. In questo caso, tuttavia, la condotta posta in essere dal tutore può comportare una sanzione più grave, in quanto può determinare, secondo le circostanze concrete, la sua sospensione o rimozione (sul punto, Dell'Oro, 164). In questo caso infatti la mancata dichiarazione si pone in contrasto con la necessaria trasparenza che deve sottostare all'esercizio della funzione e può, in astratto, incidere negativamente sul patrimonio del minore (in questo caso la persona che dovrebbe rappresentare il minore per ottenere la riscossione dei crediti è proprio colui che volontariamente tace della loro esistenza). Per definire gli effetti dell'omessa dichiarazione, con riferimento, in particolare, alla conseguente decadenza dal diritto, è stata utilizzata la parola sanzione, tuttavia, la natura della stessa è controversa in dottrina. Taluni la considerano una sanzione civile (Dell'Oro, 164; De Cupis 458) altri invece una tacita remissione (in merito si vedano Tamburrino, 371, Stella Richter-Sgroi per entrambe le interpretazioni, 520). Si ritiene preferibile la prima tesi, concordando con l'affermazione secondo cui nel caso di specie trattasi di sanzione civile, poiché il tutore non ha coscientemente tenuto il comportamento richiestogli e quindi non può essere presunta o ammessa una sua volontà remissoria ed ha dimostrato di essere «carente di quella idoneità all'ufficio tutelare» necessaria per la sua scelta (l'espressione è di De Cupis, 458; in merito anche Dell'Oro, 164). La disposizione disciplina, esclusivamente, gli effetti della mancata dichiarazione del tutore mentre non sanziona, in alcun modo, il medesimo comportamento posto in essere dal protutore al quale si applicano, per espressa previsione di legge, le disposizioni contenute nella sezione II del c.c., fino all'art 356. Tale diversità è giustificata, tuttavia, dalla diversità di funzioni svolte dal tutore, sussidiarie e di vigilanza, e dal carattere meramente virtuale dell'opposizione d'interessi che può sorgere tra protutore e minore a causa di preesistenti rapporti di credito o di debito tra loro (in merito Dell'Oro, 165). BibliografiaBucciante, La potestà dei genitori, la tutela e l'emancipazione, in Rescigno (diretto da) Trattato di diritto privato, Torino, 1997; De Cupis, Della tutela dei minori, sub Artt. 343-389, in Cian-Oppo Trabucchi (diretto da), Commentario al diritto italiano della famiglia, Padova, 1992; Dell'Oro, Tutela dei minori, in Comm. S. B., artt. 343-389, Bologna-Roma, 1979; Jannuzzi-Lorefice, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2004; Pazè, La tutela e la curatela dei minori, in Zatti (diretto da) Trattato di diritto di famiglia, Milano, 2012; Stella Richter-Sgroi, Delle persone e della famiglia, in Commentariodel codice civile, Torino, 1967; Tamburrino, Le persone fisiche, in Bigiavi (diretto da), Giurisprudenza sistematica civile e commerciale, Torino, 1990. |