Codice Civile art. 127 - Intrasmissibilità dell'azione.

Giuseppe Buffone

Intrasmissibilità dell'azione.

[I]. L'azione per impugnare il matrimonio non si trasmette agli eredi se non quando il giudizio è già pendente alla morte dell'attore.

Inquadramento

L'impugnativa del matrimonio non è trasmissibile agli eredi salvo il caso in cui la morte del titolare intervenga allorché il giudizio è già in corso: in questo caso, gli eredi possono proseguire il giudizio in riassunzione. L'art. 127 c.c., pertanto, salva l'eccezione menzionata, attribuisce natura strettamente personale alla titolarità dell'azione escludendo che possa essere esercitata da persone diverse dal legittimato.

Intrasmissibilità dell'azione per impugnare il matrimonio

L'art. 127 c.c. prevede una eccezione al principio generale che è espresso nella rubrica («intrasmissibilità dell'azione») in modo coerente con la natura di atto personalissimo che è propria del matrimonio e, allo stesso tempo, stabilisce anche un preciso limite alla possibilità che soggetti terzi, seppur qualificati come gli eredi, siano ammessi ad impugnare il matrimonio contratto da uno dei coniugi che sia affetto da vizi della volontà (artt. 122 e 123 c.c.) o da incapacità di intendere e volere (art. 120 c.c.). Tale possibilità sussiste, infatti, solo nel caso in cui l'azione sia stata già esercitata dal coniuge il cui consenso o la cui capacità di intendere e volere risulti viziata, nel qual caso l'azione è trasmissibile agli eredi qualora il giudizio sia «già pendente alla morte dell'attore» (rimane comunque impregiudicata la legittimazione all'impugnazione da parte degli eredi nei casi — diversi da quello in esame — in cui la legge la riconosca a tutti coloro che abbiano un interesse legittimo e attuale, a norma degli artt. 117 e 119 c.c.). L'ordinamento attribuisce importanza al matrimonio come atto di volontà che presuppone la piena consapevolezza del suo significato, la quale viene a mancare in tutti i casi in cui la sfera volitiva e cognitiva del coniuge sia pregiudicata da cause di qualunque natura, temporanee o permanenti. Ed è per questo che è ammessa la trasmissibilità dell'azione impugnatoria che può essere solo proseguita dagli eredi, ma si tratta di una eccezione (al principio del carattere personale della stessa) che fa escludere la possibilità di una interpretazione estensiva o analogica dell'art. 127 c.c.

Se ne ha conferma nell'orientamento della Suprema Corte che ha escluso la legittimazione degli eredi del coniuge deceduto a proporre la domanda di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio religioso, ai sensi dell'art. 8 dell'Accordo firmato in Roma il 18 febbraio 1984, che ha modificato il Concordato lateranense del 1929, trattandosi di un potere che spetta esclusivamente a coloro i quali, secondo l'ordinamento italiano, sono legittimati a promuovere l'azione di impugnazione del matrimonio prevista dal codice civile (v. Cass. n. 22514/2004; Cass. n. 17595/2003). In tempi recenti, la Suprema Corte ha anche affrontato le eccezioni mosse a questo regime giuridico poiché darebbe la stura a un vuoto normativo ove si escludesse la legittimazione piena e autonoma degli eredi ad impugnare direttamente il matrimonio del de cuius, in mancanza di un giudizio impugnatorio già introdotto dal coniuge in vita. I giudici di legittimità hanno escluso trattarsi di un vuoto normativo, ma di una precisa scelta del legislatore che trova giustificazione nel fatto che il coniuge incapace di intendere e di volere è legalmente capace e, quindi, esclusivo titolare del potere di decidere se impugnare il proprio matrimonio (art. 120 c.c.), a differenza del coniuge interdetto il cui matrimonio può essere impugnato «da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo» oltre che dal tutore e dal pubblico ministero (art. 119 c.c.). Il bilanciamento tra il diritto personalissimo del soggetto di autodeterminarsi in ordine al proprio matrimonio, proponendo l'azione di impugnazione, e l'interesse degli eredi a far valere l'incapacità del medesimo allo scopo di ottenere l'annullamento del matrimonio, con indubbi riflessi nei loro confronti sia sul piano personale che su quello patrimoniale, è rimesso alla valutazione del legislatore, che in modo non irragionevole ha ritenuto preminente l'esigenza di tutela della autodeterminazione e, quindi, della dignità di colui che, non interdetto, ha contratto matrimonio: resta fermo che l'incapace ben potrà impugnare il proprio matrimonio anche a mezzo di un amministratore di sostegno (Cass. n. 14794/ 2014).

Limiti della trasmissibilità

In materia di impugnazione del matrimonio da parte del coniuge, la previsione di cui all'art. 127 c.c., che ammette eccezionalmente la trasmissione jure hereditatis del diritto d'azione, opera limitatamente ai casi in cui il giudizio caducatorio sia stato instaurato ex artt. 120 e 122 c.c.. ossia per difetto di volontà del nubendo, germinato da incapacità di intendere, di volere, da violenza o errore. Non opera, invece, per le impugnative ex art. 117 c.c. ove, ab origine, il titolare di un interesse attuale e rilevante, ha diritto d'azione jure proprio. Pertanto, se subentra la morte in corso di processo del coniuge che ha proposto azione ex art. 86 c.c., non si verifica una ipotesi di interruzione del processo bensì un caso di cessazione della materia del contendere.

Delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità

Si.

L’acquis della giurisprudenza di Cassazione, a partire dalle Sezioni Unite, Cass. S.U. n. 16379/2014, è nel senso che  la convivenza "come coniugi", protrattasi per almeno tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio "concordatario" regolarmente trascritto, connotando nell'essenziale l'istituto del matrimonio nell'ordinamento italiano, è costitutiva di una situazione giuridica disciplinata da norme costituzionali, convenzionali ed ordinarie, di "ordine pubblico italiano" e, pertanto, è ostativa alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, per qualsiasi vizio genetico del matrimonio accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico nell'"ordine canonico" nonostante la sussistenza di detta convivenza coniugale. Sempre le Sezioni Unite hanno, poi, aggiunto che il riconoscimento dell'efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, intervenuto dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili, ma prima che sia divenuta definitiva la successiva decisione in ordine alle relative conseguenze economiche, non comporta la cessazione della materia del contendere in quest'ultimo giudizio, il quale può dunque proseguire ai fini dell'accertamento della spettanza e della liquidazione dell'assegno divorzile (Cass. S.U. n.  9004/2021). In punto di legittimazione, valga infine ricordare che gli eredi del coniuge deceduto non sono legittimati a proporre la domanda di delibazione della sentenza ecclesiastica che ha dichiarato la nullità del matrimonio religioso in quanto, diversamente da quanto stabilito dalla previgente disciplina, il procedimento non ha natura officiosa e la titolarità del potere di chiedere la delibazione della pronuncia ecclesiastica spetta esclusivamente a coloro i quali, secondo l'ordinamento italiano, sono legittimati a promuovere l'azione di impugnazione del matrimonio prevista dal c.c., non rilevando, in contrario, che nell'ordinamento ecclesiastico gli eredi del coniuge deceduto siano invece legittimati ad instaurare il giudizio di nullità del matrimonio religioso, in quanto questa legittimazione non può fondare la legittimazione alla proposizione della domanda di delibazione (Cass. n. 22514/2004).

Unione civile

La normativa sull'unione civile (art. 1 comma 20, l. 20 maggio 2016, n. 76), prevede una clausola generale di estensione agli uniti civili delle norme ordinamentali dedicate ai coniugi: «al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso». Questa estensione però ha dei limiti. Infatti è espressamente previsto che essa «non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge». Pertanto, si applicano alle unioni civili solo le disposizioni del c.c. richiamate in modo esplicito. La disposizione qui in commento è tra quelle espressamente richiamate e, quindi, applicabili.

Bibliografia

V. sub art. 126 c.c.

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