Codice di Procedura Civile art. 706 - [Forma della domanda] 1 2[[I]. La domanda di separazione personale si propone al tribunale del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio, con ricorso che deve contenere l'esposizione dei fatti sui quali la domanda è fondata.] [[II]. Qualora il coniuge convenuto sia residente all'estero, o risulti irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente, e, se anche questi è residente all'estero, a qualunque tribunale della Repubblica.] [[III]. Il presidente, nei cinque giorni successivi al deposito in cancelleria, fissa con decreto la data dell'udienza di comparizione dei coniugi davanti a sé, che deve essere tenuta entro novanta giorni dal deposito del ricorso, il termine per la notificazione del ricorso e del decreto, ed il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e documenti. Al ricorso e alla memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate.] [[IV]. Nel ricorso deve essere indicata l'esistenza di figli di entrambi i coniugi3 .]
[1] Articolo così sostituito, in sede di conversione, dall'art. 23 lett. e-ter) d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, con effetto dal 1° marzo 2006. Ai sensi dell'art. 2 3-quinquies d.l. n. 35, cit., le modifiche si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006 e successivamente abrogato dall'art. 3, comma 49, lett. a), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". [2] L'art. 23 l. 6 marzo 1987, n. 74 rende applicabile ai procedimenti di separazione personale dei coniugi l'art. 4 l. 1° dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'art. 2 3-bis d.l. n. 35, cit., con effetto dal 1° marzo 2006. Ai sensi dell'art. 2 3-quinquies d.l. n. 35, cit., le modifiche si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006. Il testo in vigore recitava: «Forma della domanda. - [I] La domanda di separazione personale si propone al tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio , con ricorso contenente l'esposizione dei fatti sui quali la domanda è fondata. - [II]. Il presidente fissa con decreto il giorno della comparizione dei coniugi davanti a sé e il termine per la notificazione del ricorso e del decreto.». [3] L'art. 95, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il comma. Il testo recitava: «Nel ricorso deve essere indicata l'esistenza di figli legittimi, legittimati o adottati da entrambi i coniugi durante il matrimonio». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. InquadramentoIl giudice competente in via principale per la separazione personale dei coniugi è il Tribunale dell'ultimo luogo di residenza comune degli stessi, ossia del luogo dove era sita la casa coniugale (Cass. n. 16957/2011). Tale criterio è, invece, venuto meno, dopo l'intervento di Corte cost. n. 169/2008, per il divorzio, che pertanto va incardinato nel luogo di residenza o domicilio del convenuto. Il legislatore, con la riforma di cui alla legge n. 80 del 2005, tenendo conto anche delle previsioni dettate dalle norme successive, aveva avallato il c.d. rito romano, per il quale la fase contenziosa dei giudizi di separazione e divorzio inizia dopo il fallimento del tentativo di conciliazione, sicché soltanto con il deposito delle memorie integrative scattano le preclusioni, anche per la proposizione delle domande accessorie (es. addebito), a carico delle parti (Luiso-Sassani, 247). In senso diverso sembrano muoversi i criteri contenuti nell'art.1, comma 23, dellalegge delega n. 206 del 2021 di riforma del processo civile che, mutuando i principi che in passato erano stati espressi dal Tribunale di Milano, costruisce il giudizio di separazione in modo unitario (con preclusioni che scattano a carico delle parti, salve per alcune domande correlate a fatti sopravvenuti, già con la proposizione del ricorso introduttivo). PremessaI procedimenti di separazione e di divorzio sono volti alla modificazione o alla estinzione, nella fase patologica, del rapporto coniugale. Più precisamente, con la separazione gli effetti del vincolo matrimoniale sono attenuati, mentre con il divorzio tali effetti cessano del tutto. La norma in esame apre il capo del codice di procedura civile dedicato ai procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone, che disciplina il giudizio di separazione personale dei coniugi, individuando i due distinti procedimenti — dalle caratteristiche strutturali alquanto differenziate in connessione alle diversità di presupposti — della separazione cd. giudiziale e della separazione consensuale (art. 711 c.p.c.). A seguito dell'attuazione della legge delega n. 206 del 2021 anche il capo in esame, come modificato dai decreti attuativi, dovrebbe confluire (ai sensi dell'art.1, comma 23, lett. a), della predetta legge) in un apposito titolo IV bis del libro II del codice di procedura civile, recante la disciplina del rito applicabile a tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle familgie di competenza del tribunale ordinario, del tribunale per i minorenni e del giudice titolare e conseguente riordino, coordinamento, modifica e integrazione delle disposizioni vigenti. Su un piano più generale, è tradizionalmente discussa in dottrina la natura dei procedimenti di separazione e di c.d. divorzio, trattandosi di questione strettamente correlata alla funzione ed all'estensione che si attribuisce nell'ordinamento alla giurisdizione volontaria. Secondo una prima tesi, avrebbe natura di giurisdizione volontaria il solo procedimento di separazione consensuale, mentre quello di separazione giudiziale assume i caratteri del procedimento di cognizione speciale, a nulla rilevando la presenza di caratteri propri della giurisdizione volontaria (Mandrioli, 1962, 1 ss.). Per altri, invece, entrambi i procedimenti possono farsi rientrare nella giurisdizione volontaria, essendo richiesta sia con il ricorso di separazione consensuale che con quello di separazione giudiziale una modificazione di status all'autorità giudiziaria, come sarebbe attestata dalla intrinseca revocabilità della separazione, nonché dalla possibilità di modificare il titolo della separazione per fatti sopravvenuti (cfr. Cipriani, 1971, 51 ss.). In accordo con un'altra posizione, il procedimento di separazione individua una terza categoria di giurisdizione, intermedia tra la volontaria e la contenziosa, definita giurisdizione civile oggettiva. Il carattere misto della materia oggetto del giudizio di separazione – nella quale coesistono interessi propri dell'istituzione familiare, dei figli e dei coniugi, non tutti caratterizzati dalla disponibilità – richiede forme «oggettive» di tutela che si esplicano: 1) nel caso della separazione giudiziale, nel potere del giudice di decidere la controversia riguardante non il se ma il come della separazione, e conseguentemente nella struttura almeno parzialmente contenziosa del procedimento; 2) nel caso della separazione consensuale, nel potere di valutare positivamente o negativamente la soluzione proposta congiuntamente dalle parti, e conseguentemente nella struttura interamente camerale del procedimento (Montesano, 591). Più di recente, è stato argomentato il superamento di queste tesi, a favore della natura integralmente contenziosa dei procedimenti di separazione giudiziale e divorzio, quali azioni costitutive (Vullo, 2011, I, 9 ss.). In dottrina, si riteneva, tradizionalmente, che i procedimenti volti alla separazione coniugale avessero carattere costitutivoe d esclusivo, atteso che la modifica di status non può essere raggiunta altrimenti che tramite pronuncia giurisdizionale a seguito dell'instaurazione dell'uno ovvero dell'altro procedimento (cfr. per tutti Picardi, 219). Tale considerazione deve oggi essere in parte rivisitata dopo l'emanazione del d.l. n. 132/2014, convertito nella l. n. 162/2014, la quale ha introdotto la possibilità che dette modifiche siano conseguite al di fuori del processo ossia attraverso una procedura di negoziazione assistita in tema di crisi familiare (art. 6) o mediante un accordo concluso direttamente dalle parti interessate di fronte all'ufficiale dello stato civile (art. 12). Invero, tali strumenti deflattivi del contenzioso sono proprio volti ad evitare l'esercizio dell'azione giudiziale avente ad oggetto la separazione personale tra coniugi, la cessazione degli effetti civili o lo scioglimento del matrimonio, la modifica delle condizioni di separazione e di divorzio pur con limitato riguardo alle ipotesi in cui non sussista un conflitto tra le parti. A fronte di questa tipologia di pretese, l'art. 6 del d.l. n. 132 del 2014 appresta due strumenti diretti a comporre gli assetti di interessi tra le parti in sede stragiudiziale: per un verso, contempla una puntuale fattispecie di negoziazione assistita dagli avvocati, la cui disciplina ricade nel capo II, dedicato appunto alle procedure di negoziazione assistita; per altro verso, prevede una disciplina assestante in un capo separato, il capo III, intitolato alle ulteriori disposizioni per la semplificazione dei procedimenti di separazione personale e di divorzio, capo composto da un solo articolo, disciplina volta a regolare la possibilità di un accordo direttamente concluso dalle parti interessate, solo eventualmente con l'assistenza di un avvocato, innanzi all'ufficiale dello stato civile. La finalità comune di questi istituti rileva su un duplice piano: se, da un lato, essa si prefigge di giungere ad una soluzione della crisi familiare concordata tra le parti, cioè consensuale o congiunta, sia in tema di separazione, sia in tema di divorzio, sia in tema di modifica delle condizioni di separazione o divorzio, dall'altro lato, protende al raggiungimento di tale risultato attraverso sistemi alternativi da quelli consolidati e tradizionali del ricorso all'autorità giudiziaria per ottenere il decreto di omologazione della separazione consensuale ai sensi degli artt. 158 c.c. e 711 c.p.c., la sentenza di divorzio congiunto ai sensi dell' art. 4, comma 16, della l. 1° dicembre 1970, n. 898 , come modificata dalla l. 6 marzo 1987, n. 74 , i decreti camerali di modifica delle condizioni di separazione e divorzio ai sensi degli artt. 710 c.p.c. e 9 della legge sul divorzio. I due rimedi presentano un ulteriore aspetto comune, in ragione del quadro normativo in cui si innestano: costituiscono entrambi mezzi ulteriori a disposizione delle parti interessate dalla crisi familiare, alternativi ma non preclusivi delle corrispondenti tipizzate domande giudiziali, siano esse contenziose ovvero fondate su un previo accordo tra esse. Sicché, sia la negoziazione assistita diretta al raggiungimento della regolamentazione condivisa della separazione personale o del divorzio o della modifica delle relative condizioni, sia la negoziazione diretta tra le parti per addivenire ad un accordo da denunziare all'ufficiale dello stato civile sempre sugli stessi temi, non sono previste a pena di improcedibilità delle corrispondenti azioni giudiziali. Le parti hanno altri strumenti per raggiungere il medesimo risultato, ma ben possono decidere di ricorrere direttamente all'autorità giudiziaria, senza l'esperimento di alcun previo filtro stragiudiziale. In entrambe le fattispecie, inoltre, la facoltà di avvalersi di siffatti presidi stragiudiziali è limitata alla sola causa di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario o di scioglimento del matrimonio civile enucleata dall'art. 3, comma 1, n. 2, lett. b, della legge sul divorzio, cioè – per un verso – al previo passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale fra coniugi ovvero all'omologazione della separazione consensuale ovvero all'intervenuta separazione di fatto, quando essa sia iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970, ovvero, nonostante la lacuna della legge, alla certificazione nell'accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita ovvero alla formalizzazione dell'atto contenente l'accordo di separazione concluso innanzi all'ufficiale dello stato civile e – per altro verso – al decorso di almeno sei mesi di separazione ininterrotta a far tempo dalla comparizione dei coniugi davanti al presidente del tribunale nella procedura di separazione e, per il futuro, dalla data certificata nell'accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita ovvero dalla data dell'atto contenente l'accordo di separazione concluso innanzi all'ufficiale dello stato civile. Pur rimanendo ferme queste similitudini, la negoziazione assistita e la negoziazione diretta per il raggiungimento della soluzione della crisi familiare non sono né esattamente complementari né totalmente alternative tra loro, poiché i presupposti giustificativi del ricorso all'accordo diretto sono più restrittivi dei presupposti richiesti per l'accesso alla negoziazione assistita. Infatti, la negoziazione assistita è attivabile sia in presenza sia in assenza di figli minori, figli maggiorenni incapacio portatori di handicap grave ovvero di figli maggiorenni economicamente non autosufficienti mentre la negoziazione diretta è ammessa solo in assenza di figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero di figli maggiorenni economicamente non autosufficienti; ma vi è di più, sotto il secondo profilo dell'ampiezza economica delle disposizioni prospettabili, la negoziazione assistita può concernere anche condizioni di natura patrimoniale mentre l'accordo direttonon ammette alcuna statuizione accessoria di natura patrimoniale. CompetenzaAvendo riguardo alla formulazione originaria della disposizione in esame, come modificata dalla l. n. 80/2005, sia la domanda di separazione personale dei coniugi, sia quella di divorzio, dovevano proporsi al Tribunale del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi o, in mancanza, a quello del luogo nel quale il coniuge convenuto ha la residenza o il domicilio. Il principale criterio di competenza territoriale — inderogabile in siffatti procedimenti ai sensi dell'art. 28 c.p.c. — è, pertanto, quello «dell'ultima residenza comune di entrambi i coniugi». Il legislatore, probabilmente, ha tenuto conto di quella giurisprudenza, soprattutto di legittimità, secondo la quale, già prima della riforma del 2005, al fine dell'individuazione del tribunale competente per territorio sulla domanda di separazione personale o di divorzio, il luogo di residenza del coniuge convenuto al momento della proposizione della domanda doveva comunque essere identificato, in via presuntiva, con la casa coniugale, da ritenersi sino a prova contraria luogo di dimora abituale di tutti i componenti della famiglia (Cass. n. 19595/2004). Peraltro, con riferimento ai procedimenti di divorzio, tale modifica è venuta meno, in quanto la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l'art. 4, comma 1, l. n. 898/1970, nel testo sostituito dall'art. 2, comma 3-bis, d.l. n. 35/2005, conv., con modif., in l. n. 80/2005, limitatamente alle parole «del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza». In particolare, la Corte ha sottolineato che la previsione, tra i criteri di competenza per territorio applicabili ai procedimenti concernenti lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, di quello del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi, è manifestamente irragionevole ove si consideri che negli indicati procedimenti, nella maggioranza delle ipotesi, la residenza comune è cessata, quanto meno dal momento in cui i coniugi, in occasione della domanda di separazione — giudiziale o consensuale — sono stati autorizzati a vivere separatamente, sicché non è ravvisabile alcun collegamento fra i coniugi e il tribunale individuato dalla norma (Corte cost. n. 169/2008). Rispetto alla competenza per territorio nei giudizi di separazione personale, la S.C. ha invece chiarito che, ai fini dell'individuazione del tribunale competente per territorio sulla domanda di separazione personale dei coniugi, tale luogo deve essere identificato con l'ultima residenza comune dei coniugi, non potendosi ricorrere al foro subordinato della residenza o del domicilio della parte convenuta, sulla base di una applicazione estensiva della sentenza Corte cost.n. 169/2008, atteso che nell'ipotesi della separazione non potrebbe sussistere il predetto dubbio di legittimità, stante la diversità di situazioni, dei coniugi in procinto di separarsi, rispetto a coniugi già separati da tempo e parti nel giudizio di cessazione degli effetti civili nel matrimonio (Cass. n. 16957/2011). Ne deriva che, ai fini dell'individuazione del tribunale territorialmente competente sulla domanda di separazione personale dei coniugi, l'art. 706, comma 1, impone, quale criterio principale di collegamento, l'ultima residenza comune, e, solo nell'ipotesi in cui non vi sia mai stata convivenza tra i coniugi, quello subordinato della residenza o del domicilio della parte convenuta (Cass. n. 4109/2017). Peraltro, anche per i giudizi di separazione, la competenza per territorio nel luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi, da individuarsi nel luogo della casa coniugale, può essere superata dalla prova del verificarsi di una frattura del rapporto di convivenza prima della proposizione della domanda di separazione, a causa dello spostamento da parte del convenuto della propria dimora abituale (Cass. n. 5108/2013). In senso analogo, in sede applicativa si è osservato che giudice competente per la separazione è quello del luogo in cui si trova l'abitazione coniugale, salvo che non vi sia stata una frattura della convivenza antecedente alla domanda giudiziale, ipotesi nella quale il giudice competente va individuato secondo la residenza o il domicilio del coniuge convenuto (Trib. Lucca I, 2 marzo 2010, n. 312). Altre pronunce di merito hanno invece ritenuto che il criterio principale di collegamento dell'ultima residenza comune dei coniugi venga meno nella sola ipotesi in cui non ci sia mai stata convivenza (Trib. Messina I, 8 maggio 2012; Trib. Bari I, 19 febbraio 2010). Il comma 2 della disposizione in esame (come il comma 1 dell'art. 4 l. n. 898/1970) prevede, poi, che, qualora il coniuge convenuto sia residente all'estero o risulti comunque irreperibile, la domanda andrà proposta al Tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente e, se anche quest'ultimo risiede all'estero, in qualunque Tribunale della Repubblica. La possibile incidenza della riforma L'art. 1, comma 23, lett. d), della legge n. 206 del 2021 demanda al Governo, nella realizzazione di un rito unificato denominato “procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”, anche di procedere al riordino dei criteri di competenza territoriale. In particolare dovrebbe essere previsto quale criterio di competenza prevalente quello della residenza abituale del minore. Non è chiaro, allo stato, in quanto dipenderà dalle determinazioni nello spettro di discrezionalità lasciato aperto dal criterio in esame al legislatore delegato, se attraverso lo stesso sarà nuovamente modificata la norma in esame, stabilendo, ad esempio, che se i coniugi hanno figli minorenni il ricorso per la separazione giudiziale deve essere proposto dinanzi al Tribunale del luogo di residenza abituale del minore. Ricorso introduttivo e memoria integrativaSia la domanda di separazione, sia quella di divorzio si propongono con ricorso ( Cass. n. 10291/2002 ): pertanto l'atto deve essere innanzitutto depositato presso la cancelleria del giudice adito e, solo in seguito, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza presidenziale, deve essere notificato, ove proposto solo da un coniuge, al convenuto. Quanto agli elementi essenziali del ricorso, ai sensi dell'art. 706, quando lo stesso è volto a introdurre un procedimento di separazione personale, deve semplicemente contenere «l'esposizione dei fatti sui quali la domanda è fondata» (mentre nella domanda di divorzio devono naturalmente essere evidenziati anche gli elementi di diritto posti a fondamento della stessa, in quanto l' art. 3 l. n. 898/1970 individua tassativamente i casi nei quali può essere proposta domanda di scioglimento del matrimonio ovvero di cessazione degli effetti civili dello stesso). Nel ricorso deve inoltre essere indicata l'esistenza di figli di entrambi i coniugi. Nonostante la disposizione in esame, alla medesima stregua dell'art. 4 l. div. rispetto ai relativi procedimenti, richieda solo tali requisiti, è dominante in dottrina la tesi per la quale il ricorso di separazione giudiziale è comunque soggetto all'onere di minima completezza funzionale previsto per ogni atto di parte dall'art. 125 c.p.c. e che pertanto debba contenere anche l'indicazione del giudice adito, delle parti (Tommaseo, 340 ss.) e dell'oggetto della domanda (Vullo, 62). È necessario tuttavia evidenziare, sempre con riferimento al contenuto del ricorso introduttivo, che lo stesso deve – almeno sino all'entrata in vigore della riforma che sarà realizzata dal legislatore delegato in base ai criteri dettati dall'art. 1, comma 23, della legge n. 206 del 2021 - essere determinato tenendo presente che, a seguito delle innovazioni poste in essere dalla l. n. 80/2005 , ai sensi dell' art. 709 c.p.c. (v. anche Comm.) ove il tentativo di conciliazione non riesca, il presidente fissa la data dell'udienza di comparizione delle parti dinanzi al giudice istruttore ed, al contempo, assegna al ricorrente termine per il deposito in cancelleria di una memoria integrativa che deve avere il contenuto di cui all'art. 163 ed al convenuto termine per la costituzione in giudizio ai sensi degli artt. 166 e 167. Ne deriva che l'atto introduttivo dei giudizi in esame è stato ricostruito dal legislatore, nell'ambito della riforma del 2005, alla stregua di un atto a formazione progressiva: di conseguenza, ai fini della determinazione della litispendenza, dovrà aversi riguardo al momento del deposito del ricorso soltanto quanto alla domanda principale di separazione o di divorzio, mentre per le altre, eventuali domande, il momento determinativo della litispendenza potrebbe sovente riconnettersi al deposito della memoria integrativa. Il legislatore aveva così voluto fare chiarezza in ordine alla natura, monofasica o bifasica, dei procedimenti di separazione e divorzio. Invero, a riguardo, occorre ricordare che il relativo dibattito si era incentrato sulla configurazione, per alcuni, dello stesso in una prospettiva unitaria e per altri, secondo una struttura bifasica per la quale il momento contenzioso del giudizio aveva inizio soltanto una volta chiusa, con la pronuncia dei provvedimenti urgenti nell'interesse della prole e dei coniugi, la fase presidenziale (nel primo senso v. Cipriani, 1970, 5 ss.; contra Mandrioli, 1972, 207). La questione era stata resa ancora più complessa da successivi interventi normativi: in particolare, la l. n. 74/1987 modificando l'art. 4 l. div ., aveva individuato, compiutamente il contenuto dell'atto introduttivo del giudizio di divorzio facendo riferimento all' art. 163 nn. 1-5 c.p.c. ed, in ragione del rinvio posto dall' art. 23 della stessa l. n. 74/1987 , tale disposizione si riteneva comunemente applicabile anche al ricorso introduttivo dei procedimenti di separazione personale dei coniugi; inoltre, con la novella operata dalla l. n. 353/1990 , erano state reintrodotte rigide preclusioni nel rito di cognizione ordinaria e ciò aveva indotto i i fautori della struttura unitaria dei procedimenti in esame, non avevano mancato di equiparare l'udienza presidenziale alla prima udienza ex art. 180 c.p.c. , con le relative conseguenze in tema di preclusioni per le parti (Salvaneschi, 1994, 233). Le medesime incertezze erano state manifestate in giurisprudenza, con la contrapposizione tra una tesi dualistica, per la quale si realizzava il succedersi di due fasi, di giurisdizione volontaria la prima e contenziosa la seconda, ed una tesi monistica, che estendeva il carattere contenzioso anche alla prima fase. In particolare, in accordo con il primo orientamento, la fase presidenziale ha natura di giurisdizione volontaria e, quindi, la fase contenziosa dei giudizi in esame ha inizio soltanto quando le parti, fallito il tentativo di conciliazione, sono rimesse — con ordinanza presidenziale — dinanzi al giudice istruttore, con la conseguenza che soltanto da un tale momento scatterebbero le preclusioni del rito ordinario di cognizione (v., tra le molte, Trib. Nola 26 marzo 1997, in Fam. e dir., 1997, 455, con nota di Carratta). Diversamente, il Tribunale di Milano, soprattutto sul presupposto della dettagliata disciplina dell'atto introduttivo del processo di divorzio secondo l'art. 4 l. n. 878/1970, siccome innovato dalla l. n. 74/1987, applicabile in virtù del richiamo operato dall'art. 23 anche ai giudizi di separazione, aveva equiparato, in adesione alla dottrina fautrice della natura monofasica di tali procedimenti (Cipriani, 1970, 5 ss.), la fase presidenziale all'udienza ex art. 180 e, per questo, ritenuto applicabile, alla costituzione del convenuto, l'art. 167, con le relative preclusioni circa la proposizione delle domande riconvenzionali. Si era a riguardo sottolineato che il ricorso introduttivo dei giudizi di separazione e divorzio, ritualmente notificato, è idoneo ad assolvere definitivamente le funzioni di edictio actionis e di vocatio in ius proprie della domanda giudiziale, con la conseguenza che il convenuto ha l'onere di costituirsi anteriormente all'udienza presidenziale, secondo i termini previsti dal regime ordinario ridotti della metà, mentre ogni domanda successivamente proposta, salve le facoltà di cui all'art. 183 c.p.c., deve ritenersi inammissibile perché tardiva (v., tra le altre, Trib. Milano 27 giugno 1997, in Dir. fam., 1998, 1009, con nota di Danovi). La prima posizione era stata sostanzialmente condivisa dalla S.C., mediante l'affermazione del principio per il quale, a seguito delle modifiche apportate, all'art. 4 l. n. 898/1970, dall'art. 8 l. n. 74/1987 (applicabili anche in tema di separazione giudiziale dei coniugi, in virtù e nei limiti della disposizione di cui all'art. 23), così nei giudizi introdotti prima dell'entrata in vigore delle modifiche apportate alla disciplina del processo civile di cognizione l. n. 353/1990 e successive modificazioni, come nei giudizi introdotti successivamente ad esse, alla natura fin dall'origine contenziosa dei procedimenti di separazione giudiziale dei coniugi o di scioglimento del matrimonio, non si accompagna la caratterizzabilità della stessa udienza Presidenziale di comparizione dei coniugi, in termini corrispondenti (nel caso di fallimento del tentativo di conciliazione) a quelli dell'udienza prevista dall'art. 180 c.p.c. in quanto, anche in tal caso, la fase presidenziale si rivela successivamente indirizzata soltanto all'adozione dei provvedimenti temporanei ed urgenti ed alla nomina del giudice istruttore, con relativa fissazione dell'udienza di comparizione innanzi a lui (Cass. I, n. 10914/2002, da cui deriva, tra l'altro, che i termini per la costituzione del coniuge convenuto e quelli di decadenza dello stesso per la formulazione delle domande riconvenzionali, quale udienza di prima comparizione rilevante ai sensi dell'art. 180 c.p.c. e degli artt. 166 e 167 c.p.c., debba intendersi esclusivamente quella innanzi al giudice istruttore nominato all'esito della fase presidenziale; conf., tra le altre, Cass. I, n. 25558/2010; Cass. I, n. 9170/2006; era peraltro stato precisato che, nel giudizio di divorzio, il termine di venti giorni prima dell'udienza di comparizione dinanzi al giudice istruttore segna il limite massimo per la proposizione della domanda riconvenzionale di riconoscimento dell'assegno divorzile, senza che ciò escluda la ritualità della richiesta di assegno proposta con la comparsa di risposta dinanzi al presidente del tribunale, in tempo antecedente alla udienza di prima comparizione dinanzi al giudice istruttore di cui all'art. 180 c.p.c.: Cass. I, n. 18116/2005). In sostanza, in tema di separazione tra i coniugi, l'atto di costituzione davanti al giudice istruttore segnava il momento in cui si verificano le preclusioni e le decadenze previste a carico del convenuto dagli artt. 166 e 167 c.p.c. (Cass. I, n. 23051/2007). Quest'ultimo orientamento è stato avallato dal legislatore con la riforma del 2006, atteso che ai sensi dell'art. 709 solo le memorie integrative devono avere, a pena di decadenza, i contenuti, rispettivamente, di cui agli artt. 163 e 167. Invero, la dottrina dominante ritiene che nell'attuale disciplina normativa, in omaggio alla c.d. concezione bifasica in ordine alla struttura dei procedimenti in esame, la fase presidenziale sia stata configurata in termini precontenziosi, sicché l'atto introduttivo dei procedimenti di separazione e di divorzio consta di una fattispecie a formazione progressiva che si completa solo con il deposito delle memorie integrative di cui all'art. 709, le quali dovranno contenere tutti gli elementi dell' art. 163 c.p.c. , senza che prima di questo momento possano scattare preclusioni a carico delle parti in tema di proposizione sia di nuove domande sia di eccezioni non rilevabili d'ufficio (cfr. Salvaneschi, 121; Doronzo, 555 s.). È minoritaria la tesi per la quale il legislatore non ha voluto avallare la natura precontenziosa della fase presidenziale e di conseguenza ritengono che le parti con gli atti introduttivi dei giudizi di separazione e divorzio non possano limitarsi ad allegare i fatti costitutivi alla base delle proprie richieste, dovendo subito delineare compiutamente il petitum e la causa petendi, che potranno essere soltanto integrati a seguito dell'emanazione dei provvedimenti presidenziali e che il ricorrente non possa proporre domande nuove in sede di memoria integrativa (così, tra gli altri, Carratta, 1431 ss). Non mancano infine tesi intermedie tra le quali si segnala l'orientamento secondo cui gli atti introduttivi dovrebbero essere comunque completi, al fine di rendere facoltativo il successivo deposito delle memorie integrative (talché non sarebbe obbligatoria la sequenza dei due atti ed il primo dovrebbe contenere tutti gli elementi dell'editio actionis: cfr. Siracusano, 380), impregiudicata in tale sede la possibilità di proporre domande nuove (Cipriani, 2005, 120). L'intento perseguito dal legislatore, ovvero quello di non privare di una qualsivoglia possibilità di successo il tentativo di conciliazione che si svolge davanti al Presidente e che sarebbe reso del tutto inutile dalle accuse reciproche e, soprattutto, dalle domande di addebito contenute negli atti introduttivi del giudizio, in astratto apprezzabile, spesso ha finito con lo scontrarsi con un dato di comune esperienza: i coniugi (o almeno uno di essi), quando hanno scelto di chiedere la separazione o il divorzio, hanno, nella grandissima parte dei casi escluso la possibilità di salvare il rapporto coniugale e, di conseguenza, difficilmente l'intervento di un terzo potrebbe indurli a rimeditare su quanto già deciso. Peraltro, almeno in dottrina, non è pacifico se con le memorie integrative possano, in omaggio alla predetta finalità, essere «veicolate», domande nuove (in senso affermativo, tra gli altri, Luiso-Sassani, 247 ed in senso contrario Tommaseo, 2006, 232). La Corte di cassazione si è ormai da tempo espressa in senso affermativo. La S.C., con riguardo all'assetto antecedente alla riforma di cui alla l. n. 80/2005 , aveva affermato il principio per il quale nel giudizio di separazione personale dei coniugi ai fini dell'ammissibilità della domanda di addebito, autonoma rispetto a quella di separazione, non occorre che essa sia espressamente ripetuta nella parte relativa alle conclusioni del ricorso introduttivo, essendo sufficiente che l'intenzione di uno dei coniugi di addebitare la separazione all'altro risulti univocamente dalla lettura dell'atto nel suo complesso ( Cass. n. 1278/2014 ). Per altro verso, si è recentemente ritenuto, in sede di merito, che in virtù dell'interpretazione letterale e sistematica degli artt. 5 e 8 della l. n. 154/2001 , 342 bis e ter c.c. e 736 bis c.p.c., è l'inammissibile l'istanza di emissione di ordine di protezione contro gli abusi familiari proposta con il ricorso per la separazione, dovendo tale istanza, sino all'udienza di comparizione dei coniugi ex art. 706 c.p.c. , essere proposta al Tribunale, che provvede in composizione monocratica, ex art. 736-bis c.p.c. . (Trib. Mantova I, 24 dicembre 2018). Casistica In sede di separazione coniugale sono inammissibili le domande restitutorie e risarcitorie, trattandosi di domande autonome e soggette a rito diverso rispetto a quella di separazione; pertanto, non essendovi alcuna ipotesi qualificata di connessione, non possono essere decise in questa sede, precludendo l'art. 40 c.p.c. la trattazione in simultaneus processus di domande soggette a riti diversi e che siano connesse tra loro soltanto soggettivamente ex art. 33 e 103 c.p.c. (Trib. Torino VII, 5 dicembre 2018, n. 5103). In virtù dell'interpretazione letterale e sistematica degli artt. 5 e 8 della l. n. 154/2001, 342-bis e ter c.c. e 736-bis c.p.c., è l'inammissibile l'istanza di emissione di ordine di protezione contro gli abusi familiari proposta con il ricorso per la separazione, dovendo tale istanza, sino all'udienza di comparizione dei coniugi ex art. 706 c.p.c., essere proposta al Tribunale, che provvede in composizione monocratica, ex art. 736 bis c.p.c. (Trib. Mantova I, 24 dicembre 2018). Onere di allegazione delle dichiarazioni dei redditi ed indicazione dell'esistenza di figli Il secondo periodo del comma 3 della norma in esame stabilisce che al ricorso ed alla memoria integrativa devono essere allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate dai coniugi. La norma suscita talune perplessità poiché non è indicato il numero di dichiarazioni da allegare (Danovi, 2005, 849), sebbene l'utilizzazione del plurale da parte del legislatore induca a ritenere che le dichiarazioni da allegare debbano essere almeno due (Luiso-Sassani, 241). Si è osservato che in realtà è stato demandato alla discrezionalità del giudice l'onere di completare di volta in volta il contenuto della disposizione, richiedendo nell'ordine di produzione il numero di dichiarazioni necessario in ragione delle circostanze del caso concreto (Casaburi, 17; così anche Doronzo, 557). Dall'omessa allegazione delle dichiarazioni il giudice potrebbe desumere argomenti di provaex art. 116, comma 2, a carico della parte inadempiente (Balena (-Bove), 400). Nel ricorso, ai sensi dell'ultimo comma, deve poi essere indicata la presenza di figli di entrambi i coniugi. La norma non precisa se debbano essere indicati anche i figli maggiorenni, ma in relazione alla ratio della stessa deve ritenersi che debba essere indicata la presenza dei medesimi solo se portatori di handicap grave o non economicamente autosufficienti (Luiso-Sassani, 241). Fissazione dell'udienza presidenzialeIl comma 3 della disposizione in esame prevede che il Presidente nel pronunciare, depositato il ricorso, il decreto di fissazione dell'udienza di comparizione dinanzi a sé indichi il termine entro il quale il convenuto può depositare la memoria difensiva ed i documenti. Non è previsto un termine a difesa per il convenuto, tuttavia la memoria difensiva sarebbe, almeno in accordo con l'opinione dominante (v. supra con riferimento al contenuto del ricorso introduttivo) solo funzionale alla predisposizione di un atto di difesa in forma scritta in vista dell'udienza dinanzi al Presidente, talché il vero onere di costituzione in giudizio si avrebbe soltanto, alla stregua di quanto desumibile dal comma 3, all'esito della fase presidenziale nei dieci giorni precedenti la comparizione e trattazione davanti al giudice istruttore (Lupoi, La riforma, 967). In tal senso si è affermato in sede di merito che nel giudizio per la separazione dei coniugi, il primo atto cui ricondurre effetti decadenziali a carico del convenuto — in specie la proposizione di domanda riconvenzionale — è la comparsa di risposta depositata prima dell'udienza davanti al giudice istruttore e non già la memoria di costituzione in occasione dell'udienza presidenziale, posto che l'art. 706 nella nuova formulazione conseguente all'introduzione della l. n. 80/2005, nel prescrivere che il convenuto prima dell'udienza presidenziale possa depositare memoria, indica una facoltà e non un onere (Trib. Novara 12 febbraio 2010, n. 150). Gli atti introduttivi del giudizio nella riforma prevista dalla legge delega n. 206 del 2021Come si accennava, l'art. 1, comma 23, lett. f), della legge n. 206 del 2021 contempla, quale criterio di delega, con una sorta di ritorno al “rito ambrosiano”, l'introduzione del giudizio con un ricorso che deve essere già completo di tutti gli elementi e delle domande relative alle decisioni rilevanti per i coniugi. In particolare si prevede che il ricorso dovrà contenere l'indicazione del giudice, le generalità e la residenza abituale del ricorrente, del resistente e dei figli comuni della coppia (minorenni, maggiorenni economicamente non sufficienti o portatori di handicap grave ai sensi dell'art. 3, comma 3, della l. n. 104/1992) ai quali il procedimento si riferisce; la determinazione dell'oggetto della domanda; l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni; l'indicazione, a pena di decadenza per le sole domande aventi ad oggetto diritti disponibili, dei mezzi di prova e dei documenti di cui il ricorrente intenta avvalersi. Nel ricorso devono poi essere indicati i procedimenti penali nei quali una delle parti o i figli minorenni siano persone offese. Il ricorso deve inoltre essere corredato del deposito: di eventuali provvedimenti già adottati tra le parti in uno dei procedimenti inmateria familiare; per le domande di natura economica di copia delle denunce dei redditi e di documentazione atttestante le disponibilità mobiliari, immobiliari e finanziarie delle parti negli ultimi tre anni (con delega al Governo di individuare sanzioni per il mancato deposito di detta documentazione senza giustiifcato motivo ovvero per il caso di deposito di documentazione inesatta o incompleta). A propria volta il convenuto, secondo quanto indicato dal criterio di delega contenuto nell'art. 1, comma 23, lett. h), della l. n. 206 del 2021, deve costituirsi mediante comparsa di costituzione nella quale devono essere proposte, a pena di decadenza, eventuali domande riconvenzionali ed eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio, seguendo il modello, dunque, dell'art. 167 c.p.c. Inoltre, nella comparsa di risposta, il convenuto dovrà svolgere contestazioni specifiche sui fatti affermati dal ricorrente (che, in mancanza, dovranno dunque ritenersi pacifici, preludendo una disposizione siffatta ad una sorta di irretrattabilità della non contestazione) e, a pena di decadenza per le domande aventi ad oggetto dirittti disponibili, indicare i mezzi di prove e i documenti, oltre a quelli che devono corredare il ricorso introduttivo. L'art. 1, comma 23, lett. i), della medesima legge n. 206 del 2021 delega inoltre il Governo, nell'evidente prospettiva di delimitare le deduzioni processuali nel corso del procedimento, a individuare le difese del ricorrente nell'ipotesi di domande riconvenzionali del convenuto, nonché la possibilità di precisare e modificare le domande e proporre nuove istanze istruttorie alla luce della difesa della controparte. È fatta salva in ogni caso la possibilità di introdurre nel corso del giudizio domande nuove – in quanto le relative situazioni sono assoggettate alla clausola rebus sic stantibus – concernenti l'affidamento e il mantenimento dei figli minori nonché di quelli maggiorenni portatori di handicap grave, nonché al mantenimento delle parti e dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti, in quest'ultimo caso solo a fronte di fatti sopravvenuti ovvero di nuovi accertamenti istruttori. Gli effetti processuali dell'introduzione della l. n. 55/2015 sul c.d. divorzio breveL' art. 1 della l. n. 55/2015 , intervenendo sull'art. 3 della legge sul divorzio, prevede che la domanda di scioglimento del vincolo coniugale o di cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere proposta una volta decorsi dodici mesi dalla comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente in caso di separazione giudiziale e sei mesi da tale comparizione nell'ipotesi di separazione consensuale (ovvero qualora la separazione giudiziale si converta in consensuale). In realtà, il testo inizialmente approvato alla Camera prevedeva che tali termini decorressero dal deposito del ricorso: ciò avrebbe evitato talune disarmonie derivanti dalla circostanza che il momento di fissazione dell'udienza presidenziale può essere più o meno distante rispetto a quello del deposito del ricorso, in ragione del carico del ruolo degli uffici giudiziari nei quali le procedure vengono incardinate. La riforma sul c.d. divorzio breve nulla prevede in ordine ai rapporti, tradizionalmente controversi, tra giudizio di separazione e giudizio di divorzio ove gli stessi siano entrambi pendenti. Tale problematica è tradizionale ma tende, evidentemente, ad aggravarsi considerata l'abbreviazione dei termini per proporre domanda di divorzio (Danovi, 2015, 608). In realtà, nell'originaria formulazione del testo approvato alla Camera era stabilito che, se alla data di instaurazione del giudizio di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio era ancora pendente il giudizio di separazione con riguardo alle domande accessorie, la causa doveva essere assegnata al giudice della separazione personale. Tale soluzione, ritenuta comunque non risolutiva da autorevole dottrina (Danovi, 2015, 609) è poi venuta meno. Occorre quindi interrogarsi sulla complessa problematica utilizzando gli strumenti tradizionali. È noto che la giurisprudenza, anche di legittimità, è incline a negare che tra i due giudizi sussista un rapporto di pregiudizialità-dipendenza tra cause idoneo a giustificare, se pendenti di fronte a giudici diversi, la sospensione ex art. 295 c.p.c. dell'uno in attesa della definizione dell'altro (Cass. n. 6732/1985; Cass. n. 1128/1979). Tale ipotesi riguarda, in particolare, il procedimento di separazione che prosegua sulle sole domande accessorie ed il giudizio di divorzio, atteso che il divorzio comporta la cessazione della materia del contendere nel procedimento ove si discuta della sola separazione (Cass. n. 3358/1975). Sul punto, si ritiene, invero, che tra il processo di divorzio e quello di separazione personale non esiste alcun rapporto che giustifichi una pronunzia di litispendenza o di sospensione necessaria del primo in attesa della decisione sul secondo, data l'autonomia dei due procedimenti, sia per la diversa struttura, finalità e natura dell'assegno di divorzio rispetto a quello determinato nel giudizio di separazione personale, sia per la cessazione di ogni efficacia, della sentenza di separazione personale con la pronuncia di divorzio (Cass. n. 2514/1983). La S.C. ha osservato che, in particolare, se esiste sentenza di separazione giudiziale passata in giudicato, questa fa stato tra le parti e, oltre a determinare l'ampiezza del termine per la proposizione della domanda, può influire sulla determinazione dell'assegno, ma, se tale pronuncia non esiste ancora, non vi è alcuna necessità di attenderla procrastinando la sentenza di cessazione degli effetti civili ed i fatti addotti nel giudizio di separazione potranno essere liberamente apprezzati e valutati dal giudice del divorzio (Cass. n. 2009/1981). La dottrina che, anche a seguito della recente riforma, accede a questa impostazione dominante rileva che, pure in presenza di domande identiche nei due procedimenti (ad esempio, di assegnazione della casa familiare e di affidamento), gli stessi possano proseguire indipendentemente l'uno dall'altro, con un'armonizzazione da realizzarsi ex post , attraverso la prevalenza della prima decisione idonea a passare in giudicato (Danovi, 2015, 609). Peraltro, in un sistema normativo nel quale il divorzio c.d. immediato è limitato a particolari fattispecie di carattere residuale, è anche vero che la cessazione degli effetti civili del matrimonio è «dipendente» dall'avvenuta separazione, alla stregua di quanto si è già accennato, di talché, fino a quando la decisione sull'an della separazione non è stata emanata, non sarà possibile pronunciare il divorzio. Anche per quanto attiene alle domande accessorie occorre interrogarsi, inoltre, sull'effettiva utilità e, quindi, sul permanere del necessario requisito dell'interesse ad agire ed a contraddire in giudizio, di una decisione sulle domande stesse nel giudizio di separazione, una volta che sia intervenuta la pronuncia di divorzio (contra, Cass. n. 1128/1972). Con riguardo, in particolare, alla domanda di addebito della separazione, va ricordato che in un sistema che non conosce più la separazione c.d. per colpa, come quello successivo alla riforma del diritto di famiglia del 1975, la pronuncia di addebito è funzionale soprattutto all'anticipazione del venir meno dei diritti successori del coniuge «colpevole» ed alla possibilità per lo stesso di ottenere soltanto un assegno alimentare in luogo di quello di mantenimento. In base a tali generali principi, autorevole dottrina ha evidenziato che la sopravvenienza del divorzio nelle more di un processo sull'addebito sottrae in ogni caso ragion d'essere al processo stesso, in quanto tutte le conseguenze che l'addebito potrebbe produrre sono state già superate o assorbite dal divorzio (Cipriani, 2002, 385). Per vero, una volta che è stata pronunciata la sentenza di divorzio, vengono in ogni caso meno i reciproci diritti successori tra gli ex coniugi e l'assegno che può essere concesso in sede di divorzio avrebbe, in ogni caso, mera funzione assistenziale (Tizi 1081; Giordano, 605). In tale prospettiva, laddove il giudizio sulla separazione — ovviamente definito sull'an — prosegua limitatamente alla domanda di addebito, potrebbe ritenersi che, pronunciata la sentenza di divorzio, debba cessare nell'ambito dello stesso la materia del contendere per insussistenza di interesse alla prosecuzione (contra, Danovi, 2015, 610). Più complessa è la questione afferente le altre domande di natura economica, specie dopo l'evoluzione della giurisprudenza di legittimità nel senso che l'assegno che può essere posto a carico di uno dei coniugi con il divorzio ha natura assistenziale e non già «mista», come era in precedenza (Cass. n. 3398/2013). È invero evidente che, ancor più alla luce di ciò, la domanda di mantenimento formulata nel giudizio di separazione e quella volta ad ottenere l'assegno divorzile sono distinte ed autonome, con conseguente possibilità di prosecuzione indipendente, almeno in astratto, dei due giudizi. Nondimeno, non può neppure trascurarsi, ai fini della valutazione di un interesse ex art. 100 c.p.c. alla prosecuzione del procedimento di separazione in ordine alla domanda di mantenimento che, una volta pronunciato il divorzio e le relative statuizioni economiche, non sembra neppure avere senso disquisire di una domanda volta ad ottenere un assegno di mantenimento correlato ad un rapporto di coniugio ormai venuto meno (Danovi, 2015, 610; Tizi,1081). I rapporti tra separazione e divorzio nella legge delega n. 206 del 2021 Anche su tali aspetti, cercando di risolvere le delicate problematiche interpretative con effetti non secondari sul piano pratico, derivanti dall'esigenza, “aggravata” dalla l. n. 55/2015 sul divorzio breve, di coordinare i procedimenti di separazione e divorzio giudiziale, saranno destinati ad incidere, una volta attuata la riforma, i criteri di cui alla legge delega n. 206 del 2021. In particolare, infatti, l'art. 1, comma 23, lett. bb), della predetta legge delega il Governo a prevedere che nel processo di separazione entrambe le parti abbiano facoltà di proporre domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, disponendo, tuttavia, che quest'ultima sia procedibile solo a seguito del passaggio in giudicato della sentenza parziale che abbia pronunciato la separazione e fermo il necessario rispetto del termine “minimo” che deve intercorrere tra separazione e divorzio ex art. 3 della l. n. 898/1970. È inoltre espressamente previsto che debba essere ritenuta ammissibile la riunione di procedimenti aventi ad oggetto queste domande qulaora pendenti tra le stesse parti dinanzi al medesimo tribunale, assicurando in entrambi i casi, nondimeno, l'autonomia dei diversi capi della sentenza, con specificazione della decorrenza dei relativi effetti. 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