Legge - 1/12/1970 - n. 898 art. 9 bisArt. 9-bis. 1. A colui al quale è stato riconosciuto il diritto alla corresponsione periodica di somme di denaro a norma dell'art. 5, qualora versi in stato di bisogno, il tribunale, dopo il decesso dell'obbligato, può attribuire un assegno periodico a carico dell'eredità tenendo conto dell'importo di quelle somme, della entità del bisogno, dell'eventuale pensione di reversibilità, delle sostanze ereditarie, del numero e della qualità degli eredi e delle loro condizioni economiche. L'assegno non spetta se gli obblighi patrimoniali previsti dall'art. 5 sono stati soddisfatti in unica soluzione. 2. Su accordo delle parti la corresponsione dell'assegno può avvenire in unica soluzione. Il diritto all'assegno si estingue se il beneficiario passa a nuove nozze o viene meno il suo stato di bisogno. Qualora risorga lo stato di bisogno l'assegno può essere nuovamente attribuito (1). (1) Articolo aggiunto dall'articolo 3 della Legge 1° agosto 1978, n. 436. InquadramentoNorma che disciplina uno degli istituti che si fondano sulla c.d. solidarietà postconiugale, regolando un aspetto particolare, quale il diritto all'assegno successorio che spetta al coniuge divorziato. La norma è concettualmente collegata all'art. 9: dall'insieme delle due disposizioni si ricava, infatti, il complessivo trattamento economico spettante a vario titolo al coniuge superstite a seguito del decesso del coniuge dal quale era divorziato. Essa prevede che a determinate condizioni il coniuge superstite possa ottenere un assegno a carico dell'eredità del coniuge defunto. Assegno a carico dell'ereditàIl coniuge divorziato non ha diritti da vantare sull’ eredità morendo dismessa dal coniuge. Il divorzio produce l’effetto di privare gli ex coniugi dei diritti successori reciproci e per questo aspetto il matrimonio sciolto o i cui effetti civili sono dichiarati cessati viene definitivamente a estinguersi. L’art. 9 bis della L. 898/1970 prevede tuttavia una eccezione per lo specifico caso in cui l’ex coniuge superstite, già titolare di un diritto alla corresponsione periodica di somme di denaro, a norma dell’art. 5 stessa legge, versi in stato di bisogno. In tale ipotesi, ma non anche se gli obblighi patrimoniali previsti da quest’ultima disposizione sono stati soddisfatti in unica soluzione, il tribunale può attribuire, dopo il decesso dell’obbligato, un assegno periodico a carico dell’eredità. Ai fini della pronuncia del provvedimento, il tribunale deve tener conto dell’importo della somma oggetto delle prestazioni periodiche già godute e che con la morte dell’obbligato vengono a cessare; dell’entità del bisogno; dell’eventuale pensione di reversibilità; delle sostanze ereditarie; del numero e della qualità degli eredi e delle loro condizioni economiche. Il diritto all’ assegno così determinato si estingue con le nuove nozze o se viene a cessare lo stato di bisogno; può essere eventualmente nuovamente riconosciuto se tornano a sussisterne le condizioni. La disposizione, molto criticata dalla dottrina, è stata da essa intesa nel senso che riconosca all’ex coniuge superstite un diritto di natura successoria, che può anche venire a concorrere con il diritto alla pensione di reversibilità. La giurisprudenza si è espressa diversamente e ravvisa nella pretesa verso l’eredità una manifestazione di solidarietà post matrimoniale giustificata dal fatto oggettivo della pregressa esistenza del vincolo coniugale, anche se ormai per altri aspetti definitivamente sciolto (Cass. n. 3747/2004). La diversità di opinioni ha un risvolto pratico. Ad esempio, se si attribuisce al diritto in oggetto natura successoria, si deve anche ammettere che esso si perda ove vengano a sussistere i casi di indegnità a succedere di cui all’art. 563 c.c. Si concorda comunque nel ritenere che il diritto verso l’eredità sia un diritto personale, indisponibile, irrinunciabile e non cedibile; né pignorabile, per la sua funzione essenzialmente alimentare. L’art. 9 bis è dichiarato applicabile anche alle unioni civili tra persone dello stesso sesso, disciplinate dalla l. n. 76/2016 (art. 1, comma 25). L’art. 9 bis l. n 898/1970 indica al giudice gli elementi da valutare nell’esercizio del suo potere discrezionale. Tra questi elementi deve essere preso in considerazione l’importo dell’assegno periodico di divorzio di cui il coniuge superstite era titolare al momento del decesso del coniuge obbligato. L’assegno a carico dell’eredità viene a comprimere il diritto degli eredi e l’apprezzamento del giudice deve dunque contemperare le legittime aspettative di costoro con i bisogni dell’ex coniuge. Si sostiene che l’ammontare dell’assegno di divorzio già goduto debba essere considerato più che come elemento di confronto come un limite massimo non superabile con l’assegno a carico dell’eredità, altrimenti gli eredi sarebbero gravati in misura maggiore di quanto lo era in vita il de cuius (Trib. Pavia 13 maggio 1993). In presenza di determinati presupposti il tribunale può disporre un assegno a carico dell'eredità, provvedendo a determinare autonomamente l'importo, e cioè non più soltanto in base all'entità dell'assegno precedentemente goduto, ma in ragione di vari criteri l'assegno è quantificato in relazione al complesso degli elementi espressamente indicati dalla norma, cioè tenendo conto, oltre che della misura dell'assegno di divorzio, dell'entità del bisogno, dell'eventuale pensione di reversibilità a favore del ricorrente, delle sostanze ereditarie (sia in qualità che quantità), del numero e della qualità degli eredi e delle loro condizioni economiche (Cass. I, n. 1253/2012). PresuppostiQuanto ai presupposti sui quali riposa l'assegno a carico dell'eredità, va osservato che esso è rimesso alla discrezionalità del giudice, a differenza di quanto è invece disposto per il trattamento di pensione di reversibilità. L'attribuzione implica lo status di coniuge divorziato, nel richiedente; la morte del coniuge o la dichiarazione di sua morte presunta; l'esistita corresponsione periodica di somme di denaro per le esigenze personali del coniuge e non anche per il mantenimento dei figli; e lo stato di bisogno. In particolare, con riferimento alla titolarità della corresponsione di somme periodiche, va ricordato che un contrasto interpretativo, sulla possibilità che essa potesse essere anche sussistente solo in astratto e non anche riconosciuta e stabilita con la sentenza del giudice, è stato normativamente risolto dall'art. 5 l. n. 263/2005, per il quale è richiesta l'avvenuta attribuzione da parte del tribunale. L'attribuzione deve avere ad oggetto una corresponsione periodica e sul punto è l'art. 9-bis della l. n. 898/1970 ad escludere possa avere rilevanza l'assegno versato in unica soluzione. Il requisito dello stato di bisogno è stato inteso in senso restrittivo. La dottrina unanimemente sostiene che la disposizione ad esso riferita non richiama il tenore di vita adeguato a quello goduto durante il matrimonio ma presuppone il difetto delle risorse per il sostentamento e per le esigenze di vita ; e che devesi avere riguardo, nel farne accertamento, a quanto disposto in tema di alimenti dall'art. 438 c.c. Conformemente si è pronunciata la giurisprudenza: “… il richiedente deve mancare delle risorse economiche occorrenti per soddisfare essenziali e primarie esigenze di vita; ai fini della quantificazione dell'assegno, dette esigenze vanno valutate, nell'ottica di ragionevolezza, oltre che di solidarietà imposta dai principi costituzionali, in analogia a quanto previsto dall'art. 438 c.c. in materia di alimenti, con riferimento al contesto socio-economico del richiedente e del de cuius” (Cass. n. 9185/2004; Cass. n. 1253/2012). Si ritiene quindi che lo stato di bisogno dell'ex coniuge può essere valutato in termini meno rigorosi di quelli richiesti dall''art. 438 c.c., così che può configurarsi anche in presenza di una situazione che non esclude in assoluto, in capo all'ex coniuge superstite, la sussistenza di risorse o disponibilità di mezzi astrattamente sufficienti ad un temporaneo e parziale soddisfacimento delle necessità primarie della vita. Il presupposto è la sussistenza di uno stato di bisogno, nel quale il coniuge titolare di assegno di divorzio si viene a trovare dopo la morte dell'ex coniuge obbligato. Ciò può accadere per l'assenza di una pensione di reversibilità, ma anche in presenza di una pensione esigua, tale da configurare ugualmente uno stato di bisogno, vale a dire la mancanza delle risorse economiche occorrenti per soddisfare le essenziali e primarie esigenze di vita. L'entità del bisogno deve, però, essere valutata non già con riferimento alle norme dettate da leggi speciali per finalità di ordine generale di sostegno dell'indigenza —le quali sono prive di ogni collegamento con ragioni di solidarietà familiare, che costituiscono, invece, il fondamento della norma in esame-, bensì in relazione al contesto socio-economico del richiedente e del de cuius, in analogia a quanto previsto dall'art. 438 c.c. in materia di alimenti (Cass. I, n. 1253/2012). ProcedimentoLa competenza spettava al tribunale del luogo di apertura della successione ma, per l'espresso disposto dell'art. 12 quater l. n. 898/1970, anche al tribunale del luogo in cui deve essere eseguita l'obbligazione dedotta in giudizio. Per la dottrina le forme del procedimento erano quelle ordinarie; per la giurisprudenza dovevano essere quelle camerali, previste per tutti i procedimenti in materia divorzile (Cass. n. 2089/1998). L'affermazione giurisprudenziale risulta attualmente sfornita del detto riferimento alle procedure camerali, posto che per il divorzio e le controversie familiari in genere la riforma del processo civile disposta dal d.lgs. n. 149/2022 ha introdotto, , il rito uniforme di cui agli artt. 473-bis segg. c.p.c., avente natura contenziosa. Anche per il procedimento di revisione delle condizioni di divorzio, di cui all'art. 9 l. 898/1970, la riforma ha soppresso il richiamo alle forme camerali, che era espressamente da esso previsto: e dunque la contestuale creazione di una normativa dedicata alle questioni di famiglia è denoa chiaramente il disfavore del legislatore verso riti diversi da quello che si è voluto affidare – in prospettiva – ad un giudice specializzato (il tribunale della famiglia). Il peculiare istituto dell'assegno a carico dell'eredità pone dunque, nel quadro emergente dalla riforma, il problema di stabilire quale sia la forma del procedimento da seguire per ottenerne l'assegnazione. Le alternative sono per l'ordinario giudizio di cognizione, come indicava la dottrina con riguardo ad una situazione normativa ormai mutata; o a favore del processo uniforme in tema di cause familiari. E' preferibile questa seconda prospettazione, giustificata da indicazioni di diritto positivo sufficientemente esplicite. L'art. 473-bis c.p.c. enuncia genericamente il principio per cui le disposizioni per il procedimento in materia di minori, di persone e di famiglia si applicano ai procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie. Questo ampio dettato è poi precisato dal testo dell'art. 473-bis.47, per il quale quelle norme si applicano, in particolare, a seguito delle domande di separazione, di divorzio, di regolamentazione dell'esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli nati fuori del matrimonio nonché per quelle di modifica delle relative condizioni. Poiché l'assegno a carico dell'eredità spetta a chi ha visto riconosciuto il diritto alla corresponsione periodica di somme di denaro a norma dell'art. 5, può fondatamente ritenersi che la domanda diretta a conseguirlo rientri tra quelle di modifica delle condizioni precedenti. Lo stato di bisogno in cui viene a trovarsi chi già aveva diritto alle prestazioni periodiche giustifica nuovi provvedimenti di solidarietà che rientrano a buon diritto in una comprensiva nozione di modifiche alla situazione precedente. Si era formato un contrasto interpretativo sulla necessità del litisconsorzio tra tutti gli eredi, ove ve ne sia più di uno a concorrere con il coniuge divorziato. Pare preferibile l'opinione che propende per tale necessità, dato che il giudice deve effettuare una comparazione tra la situazione personale ed economica di tutte le parti interessate e, quindi, di tutti gli eredi. Si concorda nell'affermare che il tribunale deve pronunciarsi con sentenza ma si discute, poi, se essa abbia natura costitutiva (il diritto all'assegno sorge soltanto con la pronuncia, se e in quanto disposto dal giudice) oppure natura di accertamento, riferito alla quantificazione e alla ripartizione per quote dell'assegno. Il contrasto ha rilievo di effetti pratici in ordine alla decorrenza dell'assegno. Se si ritiene la natura costitutiva della sentenza (in tal senso Corte App. Bari 14 giugno 2005, n. 602), per la disposizione dettata dall'art. 445 c.c. l'assegno inizia a decorrere dal momento della domanda giudiziale o dal momento della messa in mora, se seguita nei successivi sei mesi dalla proposizione della domanda. Nel caso si ritenga la natura dichiarativa della pronuncia, la sussistenza del diritto dovrà essere dichiarata a partire dal momento dell'apertura della successione. L'art. 9-bis l. n. 898/1970 descrive l'assegno a carico dell'eredità come una prestazione periodica, a concreto carico degli eredi. La periodicità è determinata dal giudice, come parte essenziale della sua pronuncia. La stessa norma prevede che l'assegno possa essere liquidato con una dazione una tantum. Essa richiede l'accordo tra le parti e non può dunque essere disposta dal giudice d'ufficio. Si richiede soltanto l'accordo tra le parti e non anche una valutazione di equità ad opera del giudice, come invece è disposto per la dazione una tantum dell'assegno di divorzio. Sul punto si è sviluppato un contrasto dottrinario. Sono state espresse opinioni per le quali l'accordo tra le parti è richiesto per conferire alla dazione in unica soluzione il suo effetto solutorio mentre il quantum della dazione deve pur sempre essere controllato e stabilito dal giudice. Per altre opinioni la normativa non ha limitato la libera autonomia degli interessati nella quantificazione dell'assegno una tantum. Si osserva, a questo proposito, che nessun argomento a favore di un controllo ad opera del giudice si desume dal testo letterale dell'art. 9-bis e che senza fondamento si vorrebbe ravvisare in questa disposizione o in una lettura sistematica della disciplina del divorzio una limitazione alla libera determinazione delle parti. La domanda si presenta con ricorso al tribunale che ha pronunciato la sentenza di divorzio. Si applicano, come sopra accennato, le norme di cui agli artt. 473-bis e segg. c.p.c. La legittimazione attiva spetta all'ex coniuge al quale era stato riconosciuto l'assegno di divorzio, ai sensi dell'art. 5 l. 1 dicembre 1970, n. 898, tranne che nel caso in cui l'assegno sia stato corrisposto in unica soluzione. Occorre, quindi, che l'ex coniuge sia ancora titolare del diritto alla contribuzione periodica. Gli eredi sono legittimati passivi necessari, possono opporsi e contrastare la pretesa dell'ex coniuge ricorrente. La possibilità di un accordo tra le parti è espressamente prevista con riferimento all'ammissibilità della corresponsione in unica soluzione (art. 9-bis, comma 2, l. n. 898/1970). In caso di nuove nozze l'ex coniuge perde il diritto all'assegno a carico dell'eredità, che tuttavia può essere nuovamente attribuito qualora risorga lo stato di bisogno (art. 9-bis, 2° comma, l. n. 898/1970). Revisione, estinzione, prescrizione dell’assegnoLa dottrina ritiene consentita la revisione dell’assegno a carico dell’eredità sull’assunto che anch’esso, come le altre prestazioni economiche in materia di separazione e di divorzio, è soggetto alla clausola rebus sic stantibus. Il diritto in sé non si prescrive, se non nel termine ordinario decennale; si prescrivono nel termine quinquennale le singole rateazioni, se versate periodicamente. Il diritto si estingue con il passaggio a nuove nozze del suo beneficiario e quando viene a cessare lo stato di bisogno che ne costituisce il presupposto fattuale. Il matrimonio deve avere avuto efficacia nell’ordinamento e dunque deve essere stato trascritto nei registri dello stato civile. Cause di estinzione sono anche quelle che si riferiscono alla persona del percettore: la sua morte e la dichiarazione di morte presunta. Si è discusso, in dottrina, se il diritto venga a estinzione anche per la morte degli eredi obbligati all’assegno. Per l’opinione prevalente la risposta al quesito deve essere affermativa. Secondo alcuni autori, nel caso non muoiano tutti gli eredi, l’avente diritto all’assegno potrebbe chiedere al giudice un incremento quantitativo delle obbligazioni degli eredi superstiti, in proporzione tra loro della quota che veniva corrisposta dall’erede deceduto. Per altri autori, poiché l’assegno grava sull’eredità e non sugli eredi, la morte di costoro dovrebbe trasferire il loro obbligo sui loro eredi. BibliografiaAmadio, Macario, Diritto di famiglia, Torino 2016; Aa.Vv. 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