Regolamento - 20/12/2010 - n. 1259 art. 1 - Ambito di applicazione

Gustavo Danise
aggiornato da Francesco Bartolini

Ambito di applicazione

1. Il presente regolamento si applica, in circostanze che comportino un conflitto di leggi, al divorzio e alla separazione personale.

2. Il presente regolamento non si applica alle seguenti materie, anche se si presentano semplicemente come questioni preliminari nell'ambito di un procedimento di divorzio o separazione personale:

a) la capacità giuridica delle persone fisiche;

b) l'esistenza, la validità e il riconoscimento di un matrimonio;

c) l'annullamento di un matrimonio;

d) il nome dei coniugi;

e) gli effetti patrimoniali del matrimonio;

f) la responsabilità genitoriale;

g) le obbligazioni alimentari;

h) i trust o le successioni.

Inquadramento

Il Regolamento del Consiglio n. 1259/10 detta regole uniformi in ambito europeo sull'individuazione della legge applicabile alle controversie in materia di separazione personale e divorzio, con entrata in vigore nel 2012. I coniugi hanno ora la facoltà di scegliere di comune accordo la legge applicabile al divorzio e alla separazione sulla base dei criteri ivi indicati. Si tratta di un regolamento in materia di diritto internazionale privato europeo. L'art. 1 indica il campo di applicazione del Regolamento.

Le ragioni dell'emanazione del Regolamento

Gli strumenti giuridici per l'emanazione, da parte delle istituzioni europee, di atti normativi in materia di famiglia sono previsti nel Trattato di Amsterdam, a seguito del passaggio dall'allora terzo al primo pilastro, stabilito nel Tratto di Lisbona (per un'analisi dettagliata delle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona alle varie competenze dell'Unione Europea cfr. Rossi, IX-XVI; Cafari Panico, 433 ss.). Ed infatti, solo a seguito della «comunitarizzazione» del terzo pilastro, le istituzioni hanno potuto adottare atti vincolanti in materia di famiglia. Precisamente si ricordano il Regolamento (CE) n. 1347/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi (c.d. «Bruxelles II»), poi sostituito dal regolamento 2201/2003 avente lo stesso oggetto e successivamente il Reg. 1259/10, relativo all'attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, oggetto di trattazione in questo commento. Tali atti testimonierebbero, secondo alcuni commentatori, una lenta, ma progressiva, produzione normativa europea in materia di famiglia che potrebbe evolversi nella creazione di un diritto di famiglia europeo (Queirolo, 305 ss., che rileva che, grazie all'attività di «armonizzazione delle discipline nazionali», la Corte di giustizia «ha ricavato dal complesso dei principi ispiratori dello spazio giudiziario europeo e dalle norme materiali contenute nel Trattato CE limiti ben precisi all'applicazione della legislazione dei Paesi membri», in particolare nel campo del diritto di famiglia). Si tratta di un'opinione suggestiva, ma contraddetta dalla maggioranza degli autori sulla base del semplice ed evidente rilievo che manca una norma all'interno dei Trattati, anche successivamente al Trattato di Lisbona, che conferisca il potere alle Istituzioni di adottare atti vincolanti in materia di famiglia, sulla quale gli Stati europei non hanno inteso cedere parte la propria sovranità, trattandosi di un settore molto delicato. Per questo motivo, l'unica via percorribile per l'armonizzazione degli ordinamenti è rappresentata dall'adozione di atti che riguardino la giurisdizione e la legge applicabile (Bisogni, 17 ss.; Honorati, 3 ss.; Carbone — Queirolo, 1-27; De Cesari, 211 ss.; Pintens, 102 ss.; Fois, 351 ss.). Si tratta dell'impostazione classica seguita sin dai tempi in cui esisteva ancora la Comunità europea, secondo cui in settori esclusi dalla produzione di atti vincolanti contenenti norme sostanziali, la armonizzazione degli ordinamenti degli Stati membri poteva essere realizzata solo in forma «indiretta». In altre parole, con riguardo alle materie in cui gli Stati non hanno ceduto la propria sovranità nazionale normativa, tra cui rientra la famiglia, essendo impedita la regolamentazione sostanziale della materia in modo uniforme per tutti gli Stati (cd. armonizzazione diretta), l'unica forma di armonizzazione possibile è sempre stata quella indiretta, che si traduce nell'emanazione di atti vincolanti in materia di diritto internazionale privato e di riconoscimento da parte degli Stati dell'efficacia e validità delle sentenze emesse in un altro Stato. Si tratta della strada finora imboccata dalle istituzioni europee nell'adozione dei citati Regolamenti n. 1347/2000 prima e n. 2201/2003, poi, che lo ha sostituito ed ora con il Reg. 1259/10. Il regolamento n. 2201/2003, al cui commento si rinvia nello specifico, disciplina la competenza giurisdizionale per i giudizi di separazione e divorzio ed annullamento del matrimonio, prevedendo negli articoli da 3 a 6 sette criteri aventi carattere alternativo ed esclusivo (art. 6), ma nulla dispone sulla legge applicabile; ne consegue che il giudice nazionale specificamente adito deve giudicare la separazione o il divorzio secondo le norme giuridiche del suo ordinamento, ivi comprese le norme sui conflitti di legge (id est le norme di diritto internazionale privato; nel nostro ordinamento è vigente la l. n. 218/1995) da cui estrapolare la disciplina normativa applicabile secondo i criteri di collegamento ivi previsti. Orbene, le norme del regolamento in questione consentivano ad un coniuge di presentare la domanda di separazione o divorzio prima dell'altro, incardinando preventivamente il giudizio dinanzi al giudice nazionale dello Stato le cui norme di diritto internazionale privato avrebbero comportato l'applicazione di una disciplina più favorevole in relazione alle sue aspettative al solo scopo di trarne un beneficio e di arrecare un pregiudizio all'altro. Tale tendenza viene definita comunemente «forum shopping» e «forum running» (Cagnazzo, t. I, 165 ss.; Franzina, 1458). Tali criticità, scaturite dall'assenza nel Reg. 2201/03 di norme sulla legge applicabile nei giudizi di separazione e divorzio, hanno suggerito la necessità di adozione di una specifica normativa europea che vi provvedesse. Si è anche rilevato che l'eccessiva rigidità della clausola della litispendenza contenuta nell'art. 19 del regolamento 2201/2003 può indurre ad anticipare i tempi per l'avvio dei procedimenti, in quanto preclude l'instaurazione di un procedimento parallelo in un altro Stato, mentre la decisione finale è automaticamente riconosciuta in tutti gli Stati membri (ex art. 21), anche in quelli la cui legislazione subordini la concessione del divorzio a condizioni più restrittive, stante il fatto che la divergenza fra le leggi sostanziali applicabili non può costituire, per espressa previsione dell'art. 25, motivo per il rifiuto del riconoscimento (rilievo di Baruffi, 867-893). In presenza di un numero sempre crescente di separazioni e di divorzi transfrontalieri [a tal proposito si evidenzia nella Relazione della Commissione alla proposta di decisione n. ..../ 2010/EU del Consiglio che autorizza una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, Bruxelles, 24 marzo 2010, (COM(2010) 104 def., 2010/0066 (APP), reperibile al sito Internet http://eur-lex.europa.eu/), nel 2010, 16 milioni di matrimoni su circa 122 milioni, vale a dire il 13%, erano internazionali; nel 2007 avevano carattere internazionale circa 300.000 matrimoni su un totale di 2.400.000 (punto 19). Inoltre, su 1.040.000 di divorzi pronunciati sempre nel 2007 all'interno dell'Unione, il 13% circa (140.000) presentava elementi di estraneità rispetto al singolo ordinamento nazionale. I paesi in cui il fenomeno è particolarmente sentito sono quelli di dimensioni maggiori, vale a dire Germania con 34.000 casi, Francia con 20.500 e Gran Bretagna con 19.500 (punto 20). In Italia si sono registrati nello stesso anno 3.000 divorzi «transnazionali», vale a dire circa il 6% del totale], si rendeva quindi necessaria una regolamentazione globale del fenomeno da parte delle istituzioni europee, che cercasse di risolvere i problemi illustrati.

In merito al Reg. 2201/03 corre l'obbligo di evidenziare i problemi interpretativi sorti in ordine ai criteri stabiliti negli artt. 3, 6 e 7. L'articolo 3 prevede che «1. Sono competenti a decidere sulle questioni inerenti al divorzio, alla separazione personale dei coniugi e all'annullamento del matrimonio le autorità giurisdizionali dello Stato membro: a) nel cui territorio si trova: — la residenza abituale dei coniugi, o — l'ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora, o — la residenza abituale del convenuto, o — in caso di domanda congiunta, la residenza abituale di uno dei coniugi, o — la residenza abituale dell'attore se questi vi ha risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda, o — la residenza abituale dell'attore se questi vi ha risieduto almeno per sei mesi immediatamente prima della domanda ed è cittadino dello Stato membro stesso o, nel caso del Regno Unito e dell'Irlanda, ha ivi il proprio «domicile»; b) di cui i due coniugi sono cittadini o, nel caso del Regno Unito e dell'Irlanda, del «domicile» di entrambi i coniugi». L'art. 6 recita: «Il coniuge che: a) risiede abitualmente nel territorio di uno Stato membro o b) ha la cittadinanza di uno Stato membro o, nel caso del Regno Unito e dell'Irlanda, ha il proprio «domicile» nel territorio di uno di questi Stati membri può essere convenuto in giudizio davanti alle autorità giurisdizionali di un altro Stato membro soltanto in forza degli articoli 3, 4 e 5»; l'art. 7 infine prevede che «Qualora nessun giudice di uno Stato membro sia competente ai sensi degli articoli 3, 4 e 5, la competenza, in ciascuno Stato membro, è determinata dalla legge di tale Stato. 2. Il cittadino di uno Stato membro che ha la residenza abituale nel territorio di un altro Stato membro può, al pari dei cittadini di quest'ultimo, invocare le norme sulla competenza qui in vigore contro un convenuto che non ha la residenza abituale nel territorio di uno Stato membro né ha la cittadinanza di uno Stato membro o che, nel caso del Regno Unito e dell'Irlanda, non ha il proprio «domicile» nel territorio di uno di questi Stati membri». Orbene dalla lettura dell'art. 7, sulla competenza residuale in combinato con l'art. 6 che afferma il carattere esclusivo dei criteri di giurisdizione indicati negli artt. 3, 4 e 5 del regolamento, si ricava che, nel caso in cui il coniuge convenuto abbia la cittadinanza di uno Stato dell'Unione, ma risieda in un paese terzo, è possibile che ricorra la fattispecie di cui all'art. 7, ma, poiché l'art. 6, lett. b) precisa che il coniuge cha abbia la cittadinanza di uno Stato membro non può essere convenuto in giudizio in uno Stato diverso da quello della cittadinanza stessa, l'operatività delle norme interne sulla giurisdizione finisce per essere circoscritta al solo caso in cui si intenda instaurare un procedimento nel paese di cittadinanza del coniuge convenuto, e non ricorra altro criterio di competenza previsto dal regolamento. In tale circostanza tuttavia, se dal punto di vista dell'ordinamento italiano non esistono problemi a determinare comunque la giurisdizione sulla base delle norme interne, facendo l'art. 32 della legge 218/1995 riferimento al criterio della cittadinanza di uno dei coniugi, lo stesso non necessariamente si verifica in altri ordinamenti. I dubbi interpretativi suscitati dalla disposizione sono stati chiariti dalla Corte di giustizia nell'importante sentenza del 29 novembre 2007, C-68/07, nota come sentenza Lopez, relativa al divorzio di una cittadina svedese, coniugata con un cittadino cubano, con cui aveva risieduto in Francia in costanza di matrimonio, e che aveva mantenuto la residenza francese anche successivamente alla crisi coniugale e al ritorno del marito a Cuba, suo paese di origine. La Corte ha in tale ipotesi escluso la possibilità di invocare l'art. 7 — e quindi di radicare la giurisdizione in Svezia sulla base dei criteri stabiliti dalle norme nazionali — stabilendo che, nel caso in cui il convenuto non sia residente in uno dei paesi dell'Unione e non ne abbia nemmeno la cittadinanza, ma sia possibile individuare la competenza giurisdizionale sulla base di uno qualsiasi dei criteri stabiliti nel regolamento, ciò è sufficiente a rendere applicabile l'art. 3. Sulla base di tale considerazione la Corte ha quindi escluso sussistenza della giurisdizione svedese individuata sulla base dell'art. 7, in quanto, facendo applicazione dell'art. 3, sarebbe stato possibile individuare un altro giudice competente, vale a dire quello francese, in virtù della residenza in quel paese mantenuta dalla ricorrente, indipendentemente dalla sua cittadinanza (svedese) e dalla cittadinanza extracomunitaria del marito, ormai residente a Cuba. In altre parole, ad avviso della Corte, il regolamento deve trovare applicazione, indipendentemente dal fatto che il convenuto sia cittadino di un paese terzo e risieda al di fuori dell'Unione, sulla base del dato fattuale dell'esistenza di un giudice di uno Stato membro competente in virtù di uno qualunque dei criteri stabiliti nell'art. 3.

Il lungo e tortuoso cammino verso l'emanazione del Regolamento UE 1259/10

Le prime riflessioni delle Istituzioni europee sulle criticità sopra delineate sono contenute nel libro verde sulla giurisdizione e la legge applicabile in materia di separazione e divorzio redatto dalla Commissione nel 2005 (per un commento cfr. Tonolo, 767-773). Sul piano della giurisdizione, il Libro verde affronta i problemi posti soprattutto dalle norme in tema di competenza residuale e di litispendenza previste dal regolamento 2201/2003, suggerendo proposte atte ad assicurare la certezza giuridica e la prevedibilità della legge applicabile, evitando il rischio di forum shopping determinato dalle norme di diritto internazionale privato previste nei singoli Stati. Il 17 luglio 2006 è stata quindi emanata la proposta di regolamento modificativa del Regolamento 2201/2003 per quanto concerne la competenza giurisdizionale in materia matrimoniale e introduttiva delle norme sulla legge applicabile, i cui punti salienti erano rappresentati dalla previsione di norme di conflitto armonizzate in materia di divorzio e separazione al fine di rendere certo e prevedibile il diritto applicabile, garantendo ai coniugi un'ampia possibilità di scelta, aumentando così la flessibilità normativa e riconoscendo ampio spazio all'autonomia delle parti, sulla scorta delle osservazioni formulate nel libro verde. Per consentire l'entrata in vigore del regolamento era tuttavia necessaria l'unanimità in seno al Consiglio che non è mai stata raggiunta, a cagione della ritrosia degli Stati Nazionali a cedere la propria sovranità in un settore delicato come la famiglia, determinando così l'abbandono della proposta (Ottaviano, 113-144; Bergamini, 409-422). Successivamente, nel luglio 2008, il Consiglio prendeva atto della volontà di alcuni Stati di instaurare una cooperazione rafforzata ed il 24 marzo 2010, su richiesta di dieci Stati (Austria, Bulgaria, Francia, Grecia, Italia, Lussemburgo, Romania, Slovenia, Spagna e Ungheria), la Commissione formulava una nuova proposta di regolamento, limitata alla sola legge applicabile, che diverrà, dopo l'autorizzazione all'instaurazione di una cooperazione rafforzata da parte del Consiglio, concessa con Decisione del 12 luglio 2010 (in GUUE L 189 del 22 luglio 2010, 12 ss.) e l'approvazione del Parlamento, con atto del 16 giugno 2010, il nuovo regolamento 1259 del 20 dicembre 2010 (Baruffi, 867-893; Clerici, 1053-1065; Viarengo, 601-624). A differenza della proposta del 2006 che si occupava anche di giurisdizione, tale regolamento si limita a stabilire norme uniformi in materia di legge applicabile alle separazioni personali e ai divorzi, non incidendo sul regolamento 2201/2003, che non viene pertanto modificato ed anzi viene ivi richiamato come vedremo. Il Regolamento continua ad ispirarsi alla flessibilità di scelta per i cittadini europei, espressione dell'obiettivo della libera circolazione delle persone, ma questa viene coniugata con i principi di certezza e prevedibilità del diritto, al fine di evitare il fenomeno del forum shopping. Si tratta della prima volta nella storia dell'integrazione, in cui lo strumento della cooperazione rafforzata è stato impiegato per stabilire la legge applicabile (Pocar, 297-306).

La base giuridica del Regolamento.

Il fondamento giuridico del regolamento, ai fini del rispetto del principio di attribuzione delle competenze, è l'art. 81, par. 3 TFUE che dispone «In deroga al paragrafo 2, le misure relative al diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali sono stabilite dal Consiglio, che delibera secondo una procedura legislativa speciale. Il Consiglio delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. Il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare una decisione che determina gli aspetti del diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali e che potrebbero formare oggetto di atti adottati secondo la procedura legislativa ordinaria. Il Consiglio delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. I parlamenti nazionali sono informati della proposta di cui al secondo comma. Se un parlamento nazionale comunica la sua opposizione entro sei mesi dalla data di tale informazione, la decisione non è adottata. In mancanza di opposizione, il Consiglio può adottare la decisione». L'articolo ha innovato sensibilmente il suo antesignano normativo costituito dall'art. 65 TCE, differenziando le decisioni relative al diritto di famiglia dalle altre rientranti nella cooperazione giudiziaria in materia civile, anche se si riferisce pur sempre a situazioni aventi implicazioni transnazionali, allo scopo di realizzare un sistema di riconoscimento reciproco delle decisioni all'interno dell'Unione.

Si è affermato che per effetto dell'introduzione della normativa sulla cooperazione giudiziaria civile, seppur caratterizzata dai descritti vincoli procedurali ancora fortemente limitanti per l'Unione europea, il diritto internazionale privato e processuale — nel campo delle relazioni familiari, ma non solo – è stato «largamente assorbito dal diritto dell'UE» (Salerno, 907), che in breve tempo ha emanato una vasta disciplina relativa alle questioni aventi implicazioni transnazionali, lasciando invece quelle puramente interne al legislatore nazionale. Ciò premesso, la procedura speciale prevista dall'art. 81 par. 3 è stata attivata, ma non essendo stata raggiunta l'unanimità per l'opposizione del Parlamento di alcuni Stati, il Regolamento è stato emanato su proposta soltanto dei dieci Stati che hanno avanzato richiesta di cooperazione rafforzata. Le Istituzioni non hanno potuto operare una modifica / integrazione del Reg. n. 2201/03 inserendo al suo interno le nuove norme sulla disciplina applicabile, come sarebbe stato opportuno e coerente con le premesse e le finalità sottese all'adozione dell'atto, ma hanno dovuto emanare un nuovo Regolamento, proprio a causa della non coincidenza soggettiva degli Stati destinatari dei due Atti; infatti, a differenza del Reg. n. 2201/03 che si applica vincolativamente a tutti gli Stati dell'Unione Europea, il nuovo Regolamento del 2010 avrebbe potuto trovare applicazione solo negli ordinamenti degli Stati che avevano aderito all'iniziativa della cooperazione rafforzata. Ciò pone il problema più generale dei limiti e degli effetti critici che discendono dalla cooperazione rafforzata e che vengono riassunti nella comune espressione «Europa a due velocità»; la cooperazione rafforzata consente la condivisione di una disciplina giuridica uniforme nell'ambito di alcuni Stati che ne fanno richiesta; ma nello specifico settore normato gli altri Stati europei, che non erano ancora pronti, rimangono per così dire «indietro» nel processo di integrazione normativa. La cooperazione rafforzata tra alcuni Stati costituisce dunque un vantaggio sul piano dell'integrazione europea, perché consente di sfuggire alla rigida logica della unanimità, che non sempre si raggiunge per motivi intuibili, e premia i paesi con maggior spirito di iniziativa, ma al contempo rappresenta un limite per l'integrazione europea, che rimarrebbe confinata, con riguardo allo specifico settore normato, solo nell'ambito spaziale dei Paesi che aderiscono all'iniziativa.

Art. 1 del Regolamento: ambito di applicazione ed ambiti di esclusione

Il campo di applicazione materiale del regolamento è limitato alla separazione personale e al divorzio in situazioni che comportino un conflitto di legge, non comprende anche l'annullamento del matrimonio che rientra invece nell'ambito di applicazione del regolamento 2201/2003. Però, un dato comune di entrambi i Regolamenti è l'assenza di una definizione di «separazione», «divorzio» e di «matrimonio» (cfr art. 3 ove sono contenute le definizioni soltanto di «Stato membro partecipante» ed «autorità giurisdizionale»); non si tratta di un'omissione voluta, ma di una scelta obbligata in considerazione delle diverse accezioni che tali istituti assumono negli ordinamenti degli Stati membri. Si pensi al matrimonio ove in alcuni Stati viene ancora concepito come unione formale di un uomo e di una donna (tra cui vi rientrava anche il nostro ordinamento nazionale fino all'emanazione della Legge Cirinnà n. 76/2016, che ha ammesso che coppie dello stesso sesso possano formalizzare un'unione civile registrata) mentre in altri Stati viene ammesso tra persone dello stesso sesso. Deve già anticiparsi che non avendo il regolamento inteso disciplinare la nozione di matrimonio, che resta di competenza esclusiva dei singoli ordinamenti statali, si potrebbe verificare l'ipotesi di domande di scioglimento di matrimoni di coppie dello stesso sesso proposte davanti a giudici di Stati dove tali vincoli non sono conosciuti, né riconoscibili ancorché instaurati validamente all'estero ed i giudici aditi dovranno dichiarare inammissibile la domanda proprio perché ha ad oggetto un vincolo non riconosciuto nell'ordinamento giuridico.

Essendo la definizione di matrimonio rilevante per stabilire se il giudice nazionale possa applicare al rapporto coniugale la disciplina del Regolamento in oggetto, la dottrina è divisa tra chi ritiene tendenzialmente preferibile un'interpretazione autonoma ed uniforme del termine, da reperire nell'attività interpretativa della Corte di Giustizia (Ricci, 55-80), e chi reputa necessario rinviare alle norme nazionali di diritto materiale (Lopes Pegna, 126 ss.), in considerazione della peculiarità della materia della famiglia. A favore della prima opzione militano esigenze di coerenza ed uniformità dell'ordinamento, in linea del resto con un costante orientamento della stessa Corte, che ritiene necessario, nell'esercizio della propria attività interpretativa, considerare la Comunità nel suo insieme. Ancora sull'ambito di applicazione, l'art. 1 par. 1 dispone che il regolamento si applichi a separazioni e divorzi che «comportano conflitti di leggi»; ossia quando si determina un conflitto di leggi potenzialmente applicabili ai giudizi di separazione e divorzio tra due persone che presentano profili di estraneità (diversa cittadinanza, diversa residenza, ecc.). Il par. 2 dell'art. 1 esclude dal campo di applicazione del Regolamento le materie di: capacità giuridica delle persone fisiche; esistenza, validità e riconoscimento di un matrimonio; annullamento di un matrimonio; nome dei coniugi; effetti patrimoniali del matrimonio; responsabilità genitoriale; obbligazioni alimentari; trust o successioni, ancorché rilevino nell'ambito di un procedimento di divorzio o separazione personale. Tale esclusione è dettata da ragioni di coerenza interna all'ordinamento dell'Unione, in quanto detti settori sono espressamente regolati in altri atti europei vincolanti. Pertanto le ragioni di tale esclusione riposano sull'esigenza di evitare interferenze e sovrapposizioni tra discipline normative differenti, con particolare riferimento alla disciplina della giurisdizione e del riconoscimento delle decisioni nella materia matrimoniale prevista nel Regolamento n. 2201/2003, in modo analogo a quanto espressamente stabilito nei considerando n. 7 dei regolamenti «Roma I» e «Roma II», in cui si valorizza la coerenza di questi strumenti con il Regolamento n. 44/2001 in materia di giurisdizione e riconoscimento delle decisioni, oltre che con gli altri regolamenti sulla legge applicabile.

Sulla questione dell'allargamento della nozione di matrimonio alle coppie omosessuali, la Corte di Giustizia, pur non esprimendosi direttamente, ha aderito ad un orientamento restrittivo, inteso ad escludere dalla nozione di matrimonio le unioni omosessuali, anche se registrate, ritenendo la diversità di sesso un concetto essenziale ai fini della definizione di matrimonio (Corte Giust. 17 aprile 1986, causa 59/85; invece in sentenza del 7 gennaio 2004, causa C-117/01 KB ha affermato che rientra nella nozione di matrimonio tra persone eterosessuali anche quello tra persone originariamente dello stesso sesso, ma di cui una abbia assunto il sesso diverso attraverso un intervento chirurgico di mutamento dei caratteri sessuali). In considerazione del fatto che il comune sentire della comunità europea, nell'accezione indicata dalla Corte di Giustizia, considera ancora il matrimonio tra un uomo ed una donna la regola ed il tratto caratterizzante l'istituto, mentre quello tra due persone dello stesso sesso costituisce ancora un'eccezione perché non normato in tutti gli ordinamenti degli Stati aderenti, deve ritenersi che i matrimoni tra persone dello stesso sesso non rientrano nell'ambito di applicazione del Regolamento, in quanto carenti dei requisiti che caratterizzano il matrimonio, nella percezione comune. In tale direzione si muove anche il legislatore europeo che ha preferito disciplinare i regimi patrimoniali delle coppie in due strumenti differenti, a seconda che si tratti di coppie unite in matrimonio o di unioni registrate; ed occorre, inoltre, considerare che il legislatore comunitario, quando ha ritenuto di dover prendere posizione, equiparando o meno gli effetti derivanti dal matrimonio a quello delle unioni registrate, lo ha fatto espressamente, come nell'art. 1 del regolamento Roma I, mentre analoga previsione difetta nel Regolamento n. 1259/2010, c.d. Roma III.

Si segnala altresì la pronuncia resa dalla Corte giustizia Unione Europea n. 372/16 nella causa tra Soha Sahyouni e Raja Mamisch in cui si precisa che l'articolo 1 del regolamento (UE) n. 1259/2010 del Consiglio, del 20 dicembre 2010, relativo all'attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale va interpretato nel senso che il divorzio risultante da una dichiarazione unilaterale di uno dei coniugi dinanzi a un tribunale religioso non ricade nella sfera di applicazione ratione materia e di detto regolamento. In motivazione si precisa che diversi Stati membri hanno introdotto nei loro ordinamenti giuridici, dopo l'adozione del regolamento Roma III, la possibilità di pronunciare divorzi senza l'intervento di un'autorità statale (com'è noto anche l'ordinamento italiano ha introdotto tale facoltà con l'art. 12 della l. n. 162/2014). Tuttavia, l'inclusione dei divorzi privati nell'ambito di applicazione di detto regolamento richiederebbe un riassetto che ricade nella competenza del solo legislatore dell'Unione. In tal senso, alla luce della definizione della nozione di «divorzio» di cui al regolamento n. 2201/2003, risulta dagli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 1259/2010 che esso ricomprende unicamente i divorzi pronunciati da un'autorità giurisdizionale statale, da un'autorità pubblica o con il suo controllo). La pronuncia in esame dunque esclude i divorzi privati dalla cooperazione rafforzata in materia di separazione e divorzio prevista dal Regolamento n 1259/2010; pertanto potrebbero verificarsi problemi di riconoscimento negli ordinamenti degli Stati parti delle sentenze di divorzio rese a favore di quanti (come i cittadini italiani) abbiano deciso di avvalersi della rispettiva disciplina interna che ammette modalità di scioglimento del matrimonio diverse da quella giudiziale. Con riferimento preciso all'ordinamento italiano, il problema dell'inapplicabilità delle norme del Regolamento potrebbe essere superato in chiave interpretativa ponendo mente al fatto che la l. n 162/2014 prevede che il divorzio pronunciato dinanzi all'Ufficiale di Stato civile deve essere sottoposto al visto del visto del Pubblico Ministero e ciò integra una forma di “controllo” dell'Autorità sul divorzio privata richiesta dal Regolamento affinché operino le due disposizioni sulla cooperazione rafforzata e pertanto i divorzi privati pronunciati in Italia possano essere riconosciuti anche negli ordinamenti degli altri Stati.  

La Corte di giustizia ha dichiarato, con pronuncia sez. I, 20 gennaio 2017, n. 372, che non rientra nel settore europeo di cooperazione rafforzata il divorzio risultante da una dichiarazione unilaterale innanzi a un tribunale religioso.

Bibliografia

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