Regolamento - 20/12/2010 - n. 1259 art. 8Legge applicabile in mancanza di scelta ad opera delle parti In mancanza di una scelta ai sensi dell'articolo 5, il divorzio e la separazione personale sono disciplinati dalla legge dello Stato: a) della residenza abituale dei coniugi nel momento in cui è adita l'autorità giurisdizionale, o, in mancanza; b) dell'ultima residenza abituale dei coniugi sempre che tale periodo non si sia concluso più di un anno prima che fosse adita l'autorità giurisdizionale, se uno di essi vi risiede ancora nel momento in cui è adita l'autorità giurisdizionale; o, in mancanza; c) di cui i due coniugi sono cittadini nel momento in cui è adita l'autorità giurisdizionale; o, in mancanza; d) in cui è adita l'autorità giurisdizionale. InquadramentoL'art. 8 prevede i criteri oggettivi e residuali che trovano applicazione in assenza di un accordo tra i coniugi: ossia: a) la residenza abituale dei coniugi nel momento in cui è adita l'autorità giurisdizionale; b) l'ultima residenza abituale dei coniugi sempre che tale periodo non si sia concluso più di un anno prima che fosse adita l'autorità giurisdizionale, se uno di essi vi risiede ancora nel momento in cui è adita l'autorità giurisdizionale; c) la residenza di cui i due coniugi sono cittadini nel momento in cui è adita l'autorità giurisdizionale; d) la residenza in cui è adita l'autorità giurisdizionale. Tali criteri sono residuali perché trovano applicazione in assenza di un diverso accordo ai sensi dell'art. 5. Sono quindi anche criteri «legali» e «suppletivi» appunto perché predeterminati dal legislatore europeo ed applicabili in mancanza di diversa indicazione. I quattro criteri sono posti in scala rigidamente gerarchica, di cui il criterio di cui alla lett. a) è quello principale e che deve trovare applicazione; ove non sia possibile stabilire la residenza abituale dei coniugi, scatterà il criterio b) e così via fino all'ultimo criterio che è quello finale. Occorre sottolineare che i predetti criteri sono pressochè analoghi a quelli che le parti possono convenire pattiziamente ai sensi dell'art. 5. Ciò si palesa ictu oculi leggendo congiuntamente le due disposizioni; il vantaggio per i coniugi nello stipulare un accordo consiste quindi nel poter bypassare il criterio gerarchico stabilito dal Regolamento nell'art. 8 potendo preferire la lex applicabile secondo le lettere b) e c) ad es. in una fattispecie in cui opererebbe automaticamente il criterio privilegiato fissato nella lett. a). La l. 20 maggio 2016, n. 76, ha poi aggiunto alla l. n. 218/1996 l'art. 30-bis, per il quale ai contratti di convivenza si applica la legge comune ai contraenti; se la cittadinanza è diversa si applica quella del luogo in cui la convivenza è prevalentemente localizzata, salve le norme nazionali, europee e internazionali che regolano il caso di cittadinanza plurima. L'art. 31 della stessa l. 218/1996 è stato sostituito dal d.lgs. n. 149/2022 e attualmente: rinvia per la disciplina della separazione personale e del divorzio al Regolamento 2010/1259/UE del Consiglio 20/12/2010; e lascia alle parti la libertà di designare di comune accordo, in tali materie, la legge applicabile, ai sensi dell'art. 5 del Regolamento, mediante scrittura privata, e ciò anche nel corso del procedimento, sino alla conclusione dell'udienza di comparizione delle parti oppure con dichiarazione resa a verbale dai coniugi personalmente o a mezzo di un procuratore speciale. I criteri residuali e suppletiviNel caso di mancanza di scelta della legge da parte dei coniugi, il regolamento dispone che la separazione e il divorzio siano regolati dalla legge individuata secondo uno dei quattro criteri residuali, «a cascata», contenuti nell'art. 8, in cui l'applicabilità del primo, ritenuto astrattamente più idoneo a regolare i rapporti delle parti, esclude quella dei successivi. Si tratta della residenza abituale dei coniugi (lett. a), dell'ultima residenza abituale comune, se non è decorso più di un anno dal momento in cui è stata adita l'autorità giudiziaria, a condizione che uno dei due coniugi abbia ancora in tal luogo la propria residenza (lett. b), della cittadinanza comune (lett. c) o della lex fori (lett. d). Il momento determinante è quello dell'adizione dell'autorità giudiziaria, a differenza di quando la scelta viene effettuata dalle parti ex art. 5, in cui determinante è il momento della conclusione dell'accordo, anche se a norma del par. 2 dell'art. 5 i due momenti possono coincidere ed anzi, se ricorrono i presupposti indicati nel paragrafo 3 la legge applicata dopo l'instaurazione della causa, ed individuata secondo uno dei criteri residuali ex art. 8, verrebbe sostituita da quella scelta pattiziamente dalle parti nel prosieguo del giudizio. I criteri indicati sono tutti espressione di uno stretto legame tra i coniugi ed il territorio, tranne l'ultimo che indica appunto la legge dello Stato in cui è presentata la domanda di separazione o di divorzio, senza richiedere che con esso sussista già una connessione territoriale. I primi due criteri di collegamento sono legati alla residenza abituale, in linea di continuità con la produzione normativa europea (cfr. convenzione dell'Aja), rispetto a quello della cittadinanza, tipico della tradizione di diversi ordinamenti nazionali, come il nostro (cfr l. n. 218/95) (Campiglio, 1051 rinviene la ratio della scelta nel garantire «l'identità sociale dell'individuo», evitando qualunque tipo discriminazione sulla base della cittadinanza). Tuttavia tali criteri possono talvolta essere sconvenienti per i coniugi, come accade, per esempio, nei casi in cui la normativa nazionale prevede condizioni meno rigorose di quelle della residenza abituale che si applica in via preferenziale (Clerici, 1056 ss. cita l'esempio di una coppia straniera residente in Italia che per divorziare deve attendere il termine di tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza di separazione o dall'omologa dell'accordo di separazione consensuale; diversamente dalla legge di nazione di nascita, che prevede un termine inferiore oppure addirittura la possibilità del divorzio consensuale. Chiaramente questo rilievo critico risulta attualmente ridimensionato dopo l'emanazione della legge n. 55/15 che ha ridotto a sei mesi in caso di separazione consensuale ed un anno in caso di separazione giudiziale il termine per promuovere il giudizio di divorzio fissandone il momento di decorrenza dalla data di emanazione dell'Ordinanza Presidenziale ex art. 708 c.p.c. che autorizza i coniugi a vivere separati e detta le statuizioni accessorie della separazione). Peraltro, la non coincidenza tra i due ordini di criteri adottati renderà ipotizzabile l'applicazione della legge straniera quando, ad esempio, l'attore ritorni nel paese di origine e vi risieda per più di sei mesi, ma meno di un anno. Passando adesso all'ultimo criterio, quello della lex fori si evidenzia come essa possa determinare il fenomeno del forum shopping in contrasto con l'obiettivo dichiarato dalla Commissione sin dai tempi della redazione del Libro verde del 2005 (se non ricorrono i presupposti materiali affinchè operino i tre criteri indicati nelle lett. a), b) e c), un coniuge potrebbe incardinare il giudizio innanzi ad un'autorità giudiziaria di uno Stato, con cui non ha alcun collegamento, per determinare l'applicazione della legge sul divorzio di quel foro che contiene condizioni poco restrittive e quindi appetibili per liberarsi più velocemente dal vincolo coniugale); tale criterio esprime quindi il favor divortii che già permea il regolamento 2201/2003, e che ne ha costituito uno degli aspetti critici cui la Commissione, nel Libro verde più volte richiamato, aveva intenzione di porre rimedio nel nuovo regolamento sulla legge applicabile. Tuttavia, in disparte gli indubbi vantaggi che detto criterio assicura in termini di certezza e prevedibilità del diritto, il rischio del forum shopping è scongiurato dalla collocazione della lex fori all'ultimo gradino della scala gerarchica dei criteri oggettivi delineati nell'art. 8 e come tale destinato ad operare nel caso, pervero di difficile verificazione, in cui non ricorra alcuno dei criteri di collegamento previsti nelle lettere antecedenti. Un caso concreto in cui potrebbe operare il criterio residuale della lex fori è l'apolidia, che si caratterizza appunto per l'assenza di legami territoriali con una nazione. Sul punto l'art. 22 prevede che «Laddove, ai fini dell'applicazione della legge di uno Stato, il presente regolamento si riferisce alla cittadinanza quale fattore di collegamento, la problematica dei casi di cittadinanza plurima dovrebbe essere disciplinata dalla legislazione nazionale, nel pieno rispetto dei principi generali dell'Unione europea». Tale previsione è in grado di determinare un'antinomia tra gli ordinamenti nazionali e quello dell'Unione: quanto meno con riferimento al nostro ordinamento, si ricorda che l'art. 19, comma 2, della l. 218/1995 risolve il problema del conflitto tra più cittadinanze secondo la prevalenza della cittadinanza italiana, se esistente; ma l'applicazione di un criterio che accordi preminenza alla legge nazionale mal si concilia con il principio di non discriminazione in base alla cittadinanza postulato dalla Corte di Giustizia nella celebre sentenza Garcia Avello. Corte Giust. sentenza del 2 ottobre 2003 in cui si esprimono principi di diritto assurti tra quelli fondamentali dell'Unione europea. La Corte ha stabilito che i cittadini di uno Stato membro che soggiornano legalmente sul territorio di un altro Stato membro possono avvalersi del diritto, sancito dall'art. 12 CE, di non subire alcuna discriminazione in ragione della propria cittadinanza con riferimento alle norme che disciplinano il loro cognome. Infatti, lo status di cittadino dell'Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri e consente a chi tra di essi si trovi nella medesima situazione di ottenere, nell'ambito di applicazione ratione materiae del Trattato CE (ratione temporis), indipendentemente dalla cittadinanza e fatte salve le eccezioni a tal riguardo espressamente previste, il medesimo trattamento giuridico. Tra le situazioni che rientrano nell'ambito di applicazione ratione materiae del diritto comunitario figurano quelle relative all'esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato, in particolare della libertà di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri quale conferita dall'art. 18 CE. Sebbene, allo stato attuale del diritto comunitario, le norme che disciplinano il cognome di una persona rientrino nella competenza degli Stati membri, questi ultimi, nell'esercizio di tale competenza, devono tuttavia rispettare il diritto comunitario e, in particolare, le disposizioni del Trattato relative alla libertà, riconosciuta a ogni cittadino dell'Unione, di circolare e di soggiornare sul territorio degli Stati membri. La cittadinanza dell'Unione, sancita dall'art. 17 CE, non ha tuttavia lo scopo di ampliare la sfera di applicazione ratione materiae del Trattato a situazioni nazionali che non abbiano alcun collegamento con il diritto comunitario. Tuttavia, sussiste un simile collegamento con il diritto comunitario nel caso di persone che si trovino in una situazione come quella del cittadino di uno Stato membro che soggiorni legalmente sul territorio di un altro Stato membro. A tale conclusione non si può obiettare che gli interessati hanno anche la cittadinanza dello Stato membro in cui soggiornano dalla nascita e che, secondo le autorità di tale Stato, sarebbe pertanto l'unica cittadinanza ad essere riconosciuta da quest'ultimo. Infatti, lo Stato membro non è legittimato a limitare gli effetti dell'attribuzione della cittadinanza di un altro Stato membro, pretendendo un requisito ulteriore per il riconoscimento di tale cittadinanza ai fini dell'esercizio delle libertà fondamentali previste dal Trattato. 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