Regolamento - 20/12/2010 - n. 1259 art. 10 - Applicazione della legge del foro

Gustavo Danise
aggiornata da Francesco Bartolini

Applicazione della legge del foro

Qualora la legge applicabile ai sensi dell'articolo 5 o dell'articolo 8 non preveda il divorzio o non conceda a uno dei coniugi, perché appartenente all'uno o all'altro sesso, pari condizioni di accesso al divorzio o alla separazione personale, si applica la legge del foro.

Inquadramento

L'art. 9 prevede la disciplina applicabile in caso di conversione della separazione in divorzio e può applicarsi solo negli ordinamenti degli Stati parti in cui è prevista la suddetta conversione. La disposizione prevede la perpetuatio iurisdictionis della legge scelta per la separazione, che regolerà anche il successivo divorzio; tale criterio è però suppletivo perché fa salva la diversa volontà delle parti di prevedere concordemente una legge diversa per il divorzio. L'art. 10 prevede un ulteriore criterio suppletivo, stabilendo che deve trovare applicazione la lex fori nel caso in cui la legge scelta su accordo dei coniugi o quella individuabile da uno dei criteri residuali di cui all'art. 8 non preveda il divorzio o non conceda a uno dei coniugi, perché appartenente all'uno o all'altro sesso, pari condizioni di accesso al divorzio, ipotesi che può verificarsi nel caso in cui un ordinamento non regoli il matrimonio tra persone dello stesso sesso (vi rientrava anche l'ordinamento Italiano, sebbene, attualmente, con la Legge Cirinnà n. 76/16 si è introdotta la possibilità per persone dello stesso sesso di formalizzare la propria unione civile).

La legge applicabile in caso di conversione della separazione in divorzio.

L'art. 9 prevede che in caso di conversione della separazione personale in divorzio, la legge applicata alla separazione personale si applichi anche al divorzio, a meno che le parti abbiano convenuto diversamente ai sensi dell'articolo 5; tuttavia (par. 2), se la legge applicata alla separazione personale non prevede la conversione della separazione in divorzio, si applica l'articolo 8, a meno che le parti abbiano convenuto diversamente ai sensi dell'articolo 5. Appare lampante che tale disciplina è destinata a trovare applicazione solo negli Stati in cui è prevista la conversione della separazione in divorzio. Il criterio sancito dall'art. 9 prevede la perpetuatio iurisdictionis della disciplina della separazione — scelta dai coniugi ai sensi dell'art. 5 o individuata sulla base di uno dei criteri residuali ex art. 8 – e troverà applicazione anche nel giudizio sul futuro divorzio. Trattasi di un criterio residuale e legale, che si applica in mancanza di diverso accordo. Deve ritenersi che le parti possano ipoteticamente convenire ai sensi dell'art. 5 Reg. che la separazione sia regolata dalla legge di uno Stato ed il divorzio da quella di un altro.

Deve ritenersi che le parti possano ipoteticamente convenire ai sensi dell'art. 5 Reg. che la separazione sia regolata dalla legge di uno Stato ed il divorzio da quella di un altro. Si segnala la sentenza di Corte giustizia Unione Europea n. 249/2020 ove si precisa che l'articolo 10 del regolamento (UE) n. 1259/2010 del Consiglio, del 20 dicembre 2010, relativo all'attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, dev'essere interpretato nel senso che i termini "qualora la legge applicabile ai sensi dell'articolo 5 o dell'articolo 8 non preveda il divorzio" riguardano unicamente le situazioni in cui la legge straniera applicabile non prevede il divorzio in alcuna forma. Un'interpretazione diversa – scrive la Corte –  vanificherebbe l'obiettivo del regolamento che è quello di “istituire un quadro giuridico chiaro e completo in materia di legge applicabile al divorzio e alla separazione personale negli Stati membri partecipanti”, assicurando certezza del diritto, prevedibilità e flessibilità nei procedimenti matrimoniali internazionali. Di qui il no all'assimilazione che permette anche di evitare la corsa alla legge più favorevole e al giudice “la cui legge subordini il divorzio a condizioni meno restrittive”.

Il criterio suppletivo della lex fori

L'articolo 10 prevede che nei casi in cui la legge applicabile non preveda il divorzio o non garantisca analoghe condizioni di accesso al divorzio o alla separazione a entrambi i coniugi, a causa dell'appartenenza all'uno o all'altro sesso, i giudici nazionali sono autorizzati ad applicare la legge del foro. Si tratta di un criterio legale, suppletivo posto a tutela dell'ordine pubblico internazionale. La ratio della norma è stata ravvisata nella necessità di evitare qualunque forma di discriminazione, secondo il principio di parità sancito nei Trattati e nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea ed in quella di non compromettere l'effetto utile di una normativa sovranazionale adottata allo scopo di consentire la libera circolazione di persone che vogliono sciogliere il loro legame matrimoniale quando la lex causae non lo consentirebbe (cfr. Leandro,  1507). In dettaglio, se la legge prescelta (magari di un Paese non europeo), sia lesiva del principio di non discriminazione tra uomo e donna, tale previsione intende assicurare, di là da ogni dubbio, in tutti gli Stati da esso vincolati, il rispetto di tale principio, nella specifica configurazione dell'eguaglianza sostanziale e processuale di fronte alla legge. La lex voluntatis in questo caso viene superata dalla previsione legale dell'applicazione della lex fori al fine di evitare l'operatività di una disciplina giuridica che pone la donna in una condizione giuridica deteriore rispetto all'uomo (come gli ordinamenti non europei di tradizione islamica). Da ciò emerge che la norma in questione, pur presentando punti di contatto con l'ordine pubblico di cui all'art. 12, in quanto entrambe le disposizioni sono volte a salvaguardare valori fondamentali dell'Unione Europea e dalla Carta Fondamentale dei diritti dell'Uomo, se ne differenzia, sottraendo all'ordine pubblico due fattispecie in materia di divorzio che sarebbero destinate ad esservi ricomprese. Per tale motivo, è stato affermato che l'art. 10 concretizza un'ipotesi di ordine pubblico speciale, in quanto tipizzata dal legislatore europeo, che elimina la discrezionalità dei singoli giudici nazionali nella valutazione — e quindi eventuali discriminazioni –, a vantaggio dell'uniformità delle soluzioni (MosconiCampiglio, 166 ss.; Leandro, op. cit. p. 1504). Una volta esclusa l'operatività della legge nazionale discriminatoria, il regolamento risolve il problema della legge individuabile in concreto mediante il richiamo alla lex fori. Verificando l'operatività concreta della norma nel nostro ordinamento occorre evidenziare che la L. n. 218/1995, analogamente al regolamento, dispone all'art. 31, comma 2, che si applichi la legge italiana qualora l'ordinamento straniero non conosca l'istituto del divorzio o della separazione, ma, all'art. 16, comma 2, risolve in generale il problema degli effetti dell'ordine pubblico imponendo al giudice la possibilità di applicare le altre leggi richiamate dalla norma di conflitto attraverso i vari criteri di collegamento in cui essa eventualmente si articoli, prima di ripiegare sulla lex fori. Parte della dottrina ritiene che tale soluzione si applichi anche al Regolamento (Castellaneta, in Le nuove regole per divorzi in Europa, a cura di Baruffi-Viarengo-Leandro-Castellaneta-Biagioni, su Famiglia e minori, Milano, 2011). Tuttavia, tenuto conto che l'art. 11 del Regolamento esclude le norme di diritto internazionale privato quando prevede l'applicazione della legge di uno Stato, deve ritenersi che se ad es. il problema della scelta da parte dei coniugi di una legge discriminatoria si pone dinanzi al giudice italiano, quest'ultimo, oltre a non applicare la legge straniera scelta dalle parti, appunto perché discriminatoria, deve direttamente applicare la legge italiana sul divorzio, quale criterio legale suppletivo ex art. 10 comma 2 Reg. e non il cpv dell'art. 16 L. n 218/95 che potrebbe portarlo ad applicare leggi di altri Stati secondo i criteri di collegamento che rileverebbero nel caso di specie.

La Corte di giustizia europea con decisione n. 249/2020 ha affermato che l'espressione “non preveda il divorzio” deve essere intesa come riferita unicamente ai casi in cui il diritto straniero applicabile non preveda alcuna forma di divorzio, ossia, non conosca l'istituto del divorzio. Essa non riguarda l'ipotesi in cui il diritto straniero applicabile consente il divorzio ma lo assoggetta a condizioni restrittive, quali la preventiva separazione personale. La formulazione normativa si riferisce soltanto ai casi in cui la legge straniera applicabile non riconosca una disciplina giuridica per il divorzio. L'art. 10 non riconosce al giudice competente alcuna discrezionalità e lo pone dinanzi ad un'alternativa semplice e oggettiva: o la legge applicabile prevede l'istituto del divorzio oppure no.

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