Regolamento - 20/12/2010 - n. 1259 art. 12 - Ordine pubblico

Gustavo Danise
aggiornato da Francesco Bartolini

Ordine pubblico

L'applicazione di una norma della legge designata in virtù del presente regolamento può essere esclusa solo qualora tale applicazione risulti manifestamente incompatibile con l'ordine pubblico del foro.

Inquadramento

L'art. 12, in linea con la tradizione normativa europea sull'armonizzazione degli ordinamenti degli Stati parti (si pensi al regolamento 2201/2003; ed all'art. 16 comma 1 l. n. 218/95 per quanto riguarda il nostro ordinamento interno), stabilisce che la legge prescelta concordemente dalle parti o individuata, in mancanza, sulla base dei criteri residuali dell'art. 8 non deve contenere norme che si pongano in contrasto con l'ordinamento giuridico dello Stato presso cui viene incardinato il giudizio.

Il limite dell'ordine pubblico

Il favor mostrato dal legislatore comunitario verso l'autonomia privata dei coniugi, cui è consentito di scegliere la legge applicabile al giudizio di separazione e divorzio, anche se di un ordinamento extracomunitario, è controbilanciata dal limite dell'ordine pubblico (Baruffi, 69-109). L'ordine pubblico è un «limite mobile» perché può variare da Stato a Stato, ma è mutevole anche nell'ambito dello stesso ordinamento, nel caso di profondi mutamenti sociali che determinino l'emersione di nuovi valori da inglobare nella nozione di ordine pubblico o che ne escludano valori e principi che in precedenza vi rientravano. Nel richiamare l'ordine pubblico, il regolamento ha utilizzato una tecnica di formulazione classica degli ordinamenti nazionali, che si basa su «clausole generali» e «norme indeterminate». Con tali formule, il legislatore si limita a prevede un principio astratto, lasciando all'interprete il compito di valutare quali fattispecie concrete rientrino nel suo campo di applicazione. La normazione per clausole generali consente, quindi, all'ordinamento di attualizzarsi ed aggiornarsi continuamente, allargando o restringendo il campo di applicazione della nozione a seconda del mutamento del quadro dei valori e principi che caratterizzano la società in un determinato momento storico. Un esempio può essere rappresentato dal matrimonio tra persone dello stesso sesso, che è sempre stato contrario all'ordine pubblico italiano, in quanto la nostra Costituzione abbraccia un modello di famiglia fondata sul matrimonio tra due persone eterosessuali (art. 29 Cost. comma 2), mentre invece attualmente non lo sarebbe più, dopo che il legislatore, avendo recepito le relative istanze sociali, ha previsto nella l. n. 76/16 la formalizzazione di unioni di persone dello stesso sesso. Fatta questa premessa, l'ordine pubblico, pur costituendo un limite in grado di escludere l'operatività della legge scelta dalle parti, non è conoscibile ex ante ma viene in rilievo solo in un momento successivo quando la legge straniera già viene applicata, ed il giudice ne rilevi la contrarietà all'ordinamento interno. Un esempio specifico può essere determinato dal richiamo delle parti ad una legge straniera (di un paese extracomunitario di tradizione islamica ad es.) che prevede discriminazioni tra uomo e donna; una volta reperita e studiata la normativa eletta dalle parti, il giudice non la applicherà appunto perché la discriminazione basata sul sesso viola l'ordine pubblico interno. L'art. 12 del Reg. prevede che la contrarietà all'ordine pubblico debba essere «manifesta», rendendo così eccezionale l'operatività della limitazione. Il giudice investito della questione dovrà valutare se la legge individuata o sulla base della scelta effettuata dalle parti o sulla base dei criteri stabiliti dal regolamento non produca effetti contrari ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico interno, nell'ambito dei quali vanno considerati anche i precetti del diritto internazionale, sia generale che pattizio, e del diritto comunitario (MosconiCampiglio, 249 ss.). L'appartenenza infatti all'Unione europea comporta che il giudice, nel ricercare i principi fondamentali del nostro ordinamento, deve tener conto anche di quelli originati in ambito europeo. Ne consegue che l'ordine pubblico potrà essere invocato a tutela dei valori fondamentali di un determinato ordinamento solo se essi sono conformi ai principi dell'Unione europea espressi nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, come l'art. 21, ad es., che vieta ogni forma di discriminazione (cfr 25° considerando). Il legislatore europeo non indica quale debba essere la legge regolatrice del conflitto a seguito della non applicazione della legge straniera da parte del giudice. Tre sono le possibili opzioni: il giudice la individua sulla base delle norme di diritto internazionale interne, che potranno determinare il rinvio ad altre norme; il giudice applica la lex fori per effetto di applicazione analogica dell'art. 10 Reg. (il quale pone un limite di ordine pubblico speciale con finalità analoga all'art. 12 in commento, per cui, essendovi identità di ratio, potrebbe ritenersi ammissibile il ricorso all'analogia legis); il giudice applica i criteri oggettivi residuali di cui all'art. 8 nell'ordine gerarchico in cui sono posti. Quest'ultima soluzione è proposta da parte della dottrina (FERACI, 955-964; Ottaviano, 139), motivando che, essendo venuta a mancare la legge eletta dalle parti, occorre far riferimento ai criteri residuali dell'art. 8, e che in tal modo la lex fori verrebbe in luce come ultimo criterio. Tale opzione ermeneutica, in pratica, postula un'equiparazione tra mancanza di scelta da parte dei coniugi ed esclusione della legge scelta dai coniugi perché contraria all'ordine pubblico. Entrambi diventerebbero presupposti normativi per l'operatività dei criteri residuali. Tale impostazione non convince, non solo perché amplia surrettiziamente i presupposti di applicabilità dei criteri oggettivi, residuali, come detto, ma soprattutto perché determina una evidente antinomia nel sistema giuridico interno del regolamento, in quanto, aderendo ad essa, la lex fori nell'ambito dell'art. 12 verrebbe in rilievo solo come extremaratio, come ultimo criterio (lett. d) dell'art. 8, mentre costituisce per voluntas legis il solo ed unico criterio legale suppletivo nella fattispecie disciplinata dall'art. 10 che costituisce una proiezione del principio dell'ordine pubblico limitata ai soli giudizi di divorzio. Per tale motivo, altra parte della dottrina postula la tesi, che anche lo scrivente ritiene preferibile, dell'applicazione immediata dell'art. 10 (sostenuta da Viarengo, 612).

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