Legge - 4/05/1983 - n. 184 art. 5

Mauro Di Marzio

 

1. L'affidatario deve accogliere presso di sé il minore e provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione, tenendo conto delle indicazioni dei genitori per i quali non vi sia stata pronuncia ai sensi degli articoli 330 e 333 del codice civile, ovvero del tutore o curatore, ed osservando le prescrizioni stabilite dall'autorità affidante. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 316 del codice civile. In ogni caso l'affidatario esercita i poteri connessi con la responsabilita' genitoriale in relazione agli ordinari rapporti con la istituzione scolastica e con le autorità sanitarie. L'affidatario o l'eventuale famiglia collocataria devono essere convocati, a pena di nullita', nei procedimenti civili in materia di responsabilita' genitoriale, di affidamento e di adottabilita' relativi al minore affidato ed hanno facolta' di presentare memorie scritte nell'interesse del minore 1.

2. Il servizio sociale, nell'ambito delle proprie competenze, su disposizione del giudice ovvero secondo le necessità del caso, svolge opera di sostegno educativo e psicologico, agevola i rapporti con la famiglia di provenienza ed il rientro nella stessa del minore secondo le modalità più idonee, avvalendosi anche delle competenze professionali delle altre strutture del territorio e dell'opera delle associazioni familiari eventualmente indicate dagli affidatari.

3. Le norme di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in quanto compatibili, nel caso di minori ospitati presso una comunità di tipo familiare o che si trovino presso un istituto di assistenza pubblico o privato.

4. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci, intervengono con misure di sostegno e di aiuto economico in favore della famiglia affidataria 2.

[2] Articolo sostituito dall'articolo 5, comma 1, della Legge 28 marzo 2001, n. 149 e, successivamente, modificato dall'articolo 100, comma 1, lettera d), del Dlgs. 28 dicembre 2013 n. 154 a decorrere dal 7 febbraio 2014 come indicato dall' articolo 108, comma 1, del citato decreto.

Inquadramento

Gli artt. 2-5 della legge sull'adozione sono dedicati all'affidamento, e meritano perciò di essere esaminati simultaneamente, non senza rammentare anzitutto, che l'art. 2 è stato recentemente novellato con l'introduzione dei commi 1 bis e 1 ter, miranti a promuovere l'affidamento familiare dei minori stranieri non accompagnati. Affinché l'affidamento possa essere disposto, occorre che, a causa di circostanze di carattere transitorio, i genitori del minore non siano in grado di offrirgli le cure che gli necessitano (art. 2, comma 1, l. 4 maggio 1983, n. 184). L'affidamento familiare è anch'esso posto a tutela del minore, ma, a differenza dell'adozione, non mira al definitivo inserimento di questi nella nuova famiglia, ed è diretto a sopperire ad una temporanea situazione di carenza della famiglia di origine (Dogliotti 1992, 82; Sesta, 415).

La S.C. ha in proposito appunto chiarito che la situazione prevista quale presupposto dell'affidamento, ai sensi dei relativi articoli della l. n. 184 del 1983, come sostituiti dalla l. n. 149/2001, si differenzia radicalmente da quella che legittima la pronuncia della dichiarazione di adottabilità, in quanto la mancanza di un ambiente familiare idoneo, che costituisce il presupposto di entrambi i provvedimenti, deve risultare nel primo caso meramente temporanea e superabile con il predetto affidamento, mentre nel secondo caso deve apparire insuperabile e tale da non poter essere ovviata se non attraverso l'interruzione del rapporto tra il minore e la sua famiglia di origine (Cass. n. 21206/2014, che ha cassato la decisione dei giudici del merito, i quali, dopo aver affermato che la minore versava in stato di abbandono, e nonostante la specifica sottolineatura dell'irreversibilità di tale situazione, avevano ritenuto insussistenti i presupposti per la dichiarazione di adottabilità, ritenendo maggiormente conforme all'interesse della minore un provvedimento di affidamento etero-familiare; Cass. n. 10706/2010).

L'affidamento familiare, di cui all'art. 4, l. n. 184/1983, è dunque una misura volta a tutelare il minore, in caso di difficoltà o di disagio temporaneo dei genitori, e in funzione del superamento di tali situazioni, con conseguente ripristino del collocamento presso la famiglia d'origine, sicché: a) può declinarsi nelle forme dell'affidamento interfamiliare, ai membri della c.d. famiglia allargata (es. a una zia); b) se disposto giudizialmente, il provvedimento deve essere motivato; c) lo stesso può essere adottato anche dal giudice della separazione o del divorzio, sempre che sussistano le condizioni previste dall'art. 4 cit.; d) a tal fine il giudice deve valutare in concreto la sussistenza di un conflitto di interessi tra il minore e i genitori, designando in tal caso un curatore speciale; e) il giudice deve altresì previamente procedere all'ascolto del minore ultradodicenne, o anche infradodicenne se capace di discernimento; f) il provvedimento deve indicare i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri dell'affidatario, le modalità attraverso cui i genitori e gli altri familiari mantengono il rapporto con il minore, nonché il servizio sociale responsabile del programma di assistenza e di vigilanza sull'affidamento, con l'obbligo di tenere costantemente informato il giudice procedente su ogni evento significativo, e comunque con relazioni periodiche semestrali; g) soprattutto deve indicarsi il periodo di presumibile estensione temporale della misura, rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d'origine, e anche l'eventuale proroga deve essere motivata e a sua volta limitata nel tempo; h) la misura in parola cessa con provvedimento della stessa autorità che l'ha disposta, valutato l'interesse del minore, quando sia venuta meno la situazione di difficoltà della famiglia d'origine ovvero allorché la prosecuzione sia pregiudizievole per il minore, non essendone possibile il reinserimento nella famiglia in questione; i) in tale seconda fattispecie il giudice procedente, se è quello ordinario, deve ascoltare nuovamente il minore e, se necessario, chiedere al giudice minorile competente l'adozione degli ulteriori provvedimenti nell'interesse del minore (Cass. n. 16569/2021, che ha cassato il provvedimento di merito, adottato dal giudice ordinario nell'ambito di una separazione giudiziale, che aveva disposto l'affido familiare di un minore, durato - senza proroghe espresse e senza che fosse stato sollecitato l'intervento del giudice minorile - circa cinque anni, pur se il minore, immotivatamente, non era stato ascoltato, e in mancanza di una valutazione del conflitto di interessi tra il minore stesso e i genitori, e senza che fossero stati chiesti provvedimenti al giudice minorile).

Come è stato detto, la condizione in cui il minore si trova è, in quel momento, identificabile con uno stato di abbandono, ma, trattandosi di una situazione non irreversibile, occorre ovviare a detta situazione con strumenti adeguati, senza compromettere i rapporti tra genitori e figlio (Giacobbe , 237).

La situazione materiale in cui viene a trovarsi il minore al fine di giustificare l'affidamento familiare e quella che conduce alla pronuncia di adottabilità si differenziano dunque per la prognosi, in quanto la mancanza di ambiente familiare idoneo è considerata, nel primo caso, temporanea e superabile con il detto affidamento, mentre, nel secondo caso, si ritiene che essa sia insuperabile e che non vi si possa ovviare se non per il tramite della dichiarazione di adottabilità (Cass. n. 938/1992). Non può tuttavia escludersi che l'affidamento possa convertirsi in adozione, ove subentrino circostanze tali da giustificare siffatta eventualità, ad esempio in presenza del maturare di un legame affettivo tra il minore e gli affidatari tale da suggerire modelli di relazione maggiormente stabili.

La caratteristica di temporaneità dell'affidamento familiare comporta che esso non dia luogo ad interruzione di rapporti con la famiglia di origine, con la quale il minore conserva tanto un legame giuridico, quanto di fatto, nella prospettiva del suo reinserimento in essa quando l'inidoneità sarà stata superata. Nondimeno, l'affidamento determina ineluttabilmente una limitazione dei contatti con la famiglia di origine, limitazione tale da determinare, in potenza, violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, di cui all'art. 8 CEDU: in particolare, la carenza di incontri tra il minore e la sua famiglia di origine produce l'impossibilità di mantenere un legame con la famiglia stessa e non fornisce a quest'ultima l'aiuto necessario per superare le proprie difficoltà (Corte EDU 21 ottobre 2008, in Nuova giur. civ. comm., 2009, 654).

Disposizioni ulteriori in tema di affidamento sono state dettate con riguardo agli orfani per crimini domestici dalla l. 11 gennaio 2018, n. 4. L'art. 10 di quest'ultima legge ha difatti inserito due commi dell'art. 4 in commento, specificamente volti a tutelare i minori rimasti orfani per avere uno dei genitori deliberatamente ucciso l'altro, tanto nel quadro di una relazione matrimoniale, anche se seguita da separazione o divorzio, quanto in caso di unione civile ovvero di convivenza more uxorio. Si stabilisce, sotto il primo aspetto, che il tribunale, nel caso di minore rimasto privo di un ambiente familiare idoneo a causa della morte del genitore, adotta in sede di affidamento, nelle circostanze indicate, soluzioni utili a favorire la continuità delle relazioni affettive consolidatesi tra il minore stesso e i parenti fino al terzo grado: e cioè, affida preferibilmente il minore al parente così individuato, con la precisazione che, ove i minori siano più d'uno, essi, fratelli e sorelle, non devono per quanto possibile essere separati. Viene inoltre previsto che i servizi sociali debbano assicurare agli orfani per crimini domestici un adeguato sostegno psicologico e l'accesso alle misure di sostegno volte a garantire il diritto allo studio e l'inserimento nell'attività lavorativa.

La disciplina dell'affidamento

Stabilisce al riguardo l'art. 2 l. 4 maggio 1983, n. 184, che il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno contemplati dall'art. 1 della stessa legge, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno.

Posto che l'affido consensuale eterofamiliare del minore costituisce misura temporanea, non finalizzata all'adozione, esso può essere disposto anche nei confronti di una coppia di fatto omosessuale, stabilmente convivente, se si accerti che la stessa sia in concreto idonea a soddisfare le esigenze del minore (Cass. n. 25213/2013, in caso in cui si era accertato da un lato che la coppia affidataria era consapevole del proprio ruolo non sostitutivo della genitorialità, e che la stessa minore non aveva sovrapposto gli affidatari ai genitori, essendo poi stato ritenuto preferibile, in ragione del suo vissuto, il collocamento della bambina medesima presso una coppia solo maschile e senza figli). L'affido consensuale eterofamiliare di un minore può dunque essere disposto anche nei riguardi di una coppia di fatto omosessuale, stabilmente convivente, trattandosi di una misura temporanea, non finalizzata all'adozione, una volta che si accerti in concreto l'idoneità degli affidatari a prendersi cura del minore, nella specie consenziente e vicino alla maggiore età (Trib. min. Palermo, 9 dicembre 2013, Foro it. 2014, 4, I, 1132; Trib. min. Bologna 31 ottobre 2013, Foro it. 2014, 1, I, 59).

Ove non sia possibile l'affidamento nei citati termini, è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza. Per i minori di età inferiore a sei anni l'inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare.

Secondo l'art. 3 l. 4 maggio 1983, n. 184, i legali rappresentanti delle comunità di tipo familiare e degli istituti di assistenza pubblici o privati esercitano i poteri tutelari sul minore affidato, fino a quando non si provveda alla nomina di un tutore in tutti i casi nei quali l'esercizio della responsabilità genitoriale o della tutela sia impedito. In tale frangente i legali rappresentanti devono proporre entro 30 giorni istanza per la nomina del tutore. Nel caso in cui i genitori riprendano l'esercizio della responsabilità genitoriale, le comunità di tipo familiare e gli istituti di assistenza pubblici o privati chiedono al giudice tutelare di fissare eventuali limiti o condizioni a tale esercizio.

Il provvedimento

Ai sensi del successivo art. 4. l'affidamento familiare è disposto dal servizio sociale locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la responsabilità genitoriale, ovvero dal tutore, sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento. Il giudice tutelare del luogo ove si trova il minore rende esecutivo il provvedimento con decreto. Ove manchi l'assenso dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale o del tutore, provvede il tribunale per i minorenni.

La norma ricordata prevede dunque due distinte forme di affidamento: quello consensuale, ove i genitori prestino il proprio consenso, e quello giudiziario, qualora tale consenso manchi. A tale affidamento, in particolare, si ricorrerà quando, a seguito dell'iniziativa dei servizi locali ovvero di segnalazione da parte di chiunque, si sia accertata la necessità del collocamento del minore presso un'altra famiglia, ma non sia stato possibile ottenere il consenso dei genitori (o chi per loro).

L'affidamento familiare è come si è accennato disposto dal servizio sociale, con provvedimento peraltro sottoposto al controllo del giudice tutelare, se il titolare dell'esercizio della responsabilità genitoriale concorda, oppure dal tribunale per i minorenni, che provvede facendo applicazione degli artt. 330 ss. c.c. Va al riguardo precisato che, stando al dato normativo, il consenso dei genitori attiene all'affidamento in sé, e non si estende all'individuazione dell'affidatario né alle condizioni dell'affidamento stesso. Al fine dell'affidamento occorre altresì sentire il minore ultradodicenne ed anche l'infradodicenne, se capace di discernimento.

Va altresì precisato che la finalità della l. n. 173/2015, che ha novellato le disposizioni in esame, è quella di preservare «il diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare» sancendo, in tal direzione, anche una sorta di preferenza nel caso di procedimento adottivo, in favore delle famiglie che hanno instaurato con il fanciullo un «legame significativo affettivo»: solo ove sussista tale legame opera il novellato art. 5 l. n. 184/1983, mentre in caso di affidamento all'ente — quando il tribunale quindi applica una limitazione della responsabilità genitoriale ma non instaura un legame affettivo tra l'ente e il minore — il Tribunale non è tenuto alla convocazione dell'affidatario o del collocatario (Trib. Milano 26 novembre 2015). La norma sulla partecipazione dell'affidatario o del collocatario, di cui all'art. 5 l. n. 184/1983 (come modificata dalla l. n. 173/2015), trova cioè applicazione solo nel caso in cui il minore versi in una situazione di affidamento familiare ex art. 4 l. n. 184 cit.: non opera il suddetto art. 5 nel caso di misure meramente giuridiche ex art. 333 c.c., come l'affidamento all'ente ed il collocamento protettivo in ambiente comunitario e non familiare (Trib. Milano 26 novembre 2015).

Nel provvedimento di affidamento familiare devono essere indicate specificatamente le motivazioni di esso, nonché i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario, e le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore. Deve altresì essere indicato il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l'affidamento con l'obbligo di tenere costantemente informati il giudice tutelare o il tribunale per i minorenni, a seconda dei casi. Il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l'affidamento, deve riferire senza indugio al giudice tutelare o al tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova, ogni evento di particolare rilevanza ed è tenuto a presentare una relazione semestrale sull'andamento del programma di assistenza, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull'evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza. Nel provvedimento deve inoltre essere indicato il periodo di presumibile durata dell'affidamento che deve essere rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d'origine. Tale periodo non può superare la durata di ventiquattro mesi ed è prorogabile, dal tribunale per i minorenni, qualora la sospensione dell'affidamento rechi pregiudizio al minore.

L'affidamento familiare cessa con provvedimento della stessa autorità che lo ha disposto, valutato l'interesse del minore, quando sia venuta meno la situazione di difficoltà temporanea della famiglia d'origine che lo ha determinato, ovvero nel caso in cui la prosecuzione di esso rechi pregiudizio al minore. È illegittimo, in quanto contrario allo spirito della legge, il provvedimento del tribunale per i minorenni che pone fine all'affidamento — disposto, alla stregua degli artt. da 2 a 5 della l. n. 184/1983, nei confronti del minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, fino al superamento della situazione di difficoltà della famiglia di origine (allo scopo di realizzare il suo diritto, riconosciuto dall'art. 1 della citata legge, ad essere educato nell'ambito della propria famiglia), ovvero nel caso in cui la prosecuzione di tale affidamento rechi pregiudizio al minore — senza in alcun modo motivare in ordine alla sussistenza del pregiudizio derivante dalla prosecuzione dell'affidamento stesso (Cass. n. 9500/1998).

In tema di competenza territoriale nei procedimenti di affidamento etero-familiare di minori, qualora il provvedimento iniziale di affidamento, di regola soggetto a durata non superiore ai ventiquattro mesi, necessiti di essere seguito da un'ulteriore proroga o, viceversa, da una cessazione anticipata, queste ultime vicende integrano provvedimenti camerali nuovi, per i quali il principio della perpetuatio deve essere temperato con quello di prossimità, sicché il giudice competente per territorio deve essere individuato nel tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore legittimamente si trova, in tal modo dando rilievo ad eventuali sopravvenuti cambiamenti di residenza. (Cass. S.U., n. 28875/2008, che ha dichiarato la competenza del tribunale per i minorenni del distretto ove risiedeva la famiglia cui il minore era stato affidato con provvedimento di un altro tribunale per i minorenni, nel cui distretto originariamente il minore risiedeva con la propria madre).

Il provvedimento è reclamabile con ricorso alla sezione minorile della corte d'appello.

Il decreto che decide il reclamo avverso il decreto di affidamento di un soggetto minorenne ai servizi sociali, pronunciato dal tribunale per i minorenni ai sensi dell'art. 2, commi 1 e 2, e dell'art. 4, commi 2 e 7, l. 4 maggio 1983 n. 184, essendo privo dei caratteri della decisorietà e definitività, non può essere impugnato con ricorso straordinario per cassazione (Cass. n. 7609/2011).

Si rammenta infine che l'affidatario o la famiglia collocataria devono essere convocati a pena di nullità nei procedimenti riguardanti l'adottabilità del minore (Cass. n. 27137/2017).

Poteri e doveri degli affidatari

Nel corso dell'affidamento gli affidatari esercitano i poteri e doveri riconnessi all'esercizio della responsabilità genitoriale. Grava così sugli affidatari il dovere di provvedere al mantenimento, educazione ed istruzione del minore: si tratta insomma dei medesimi doveri ai quali sono tenuti i genitori. Essi, perciò, sono tenuti al rispetto dei diritti del minore di cui all' art. 315-bis c.c. e sono per converso titolari dei poteri strumentali alla realizzazione di tali diritti. In detta veste, come accennato, l'affidatario o l'eventuale famiglia collocataria devono essere convocati, a pena di nullità, nei procedimenti civili in materia di responsabilità genitoriale, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato ed hanno facoltà di presentare memorie scritte nell'interesse del minore. Sicché si determina nullità del procedimento di affidamento se non viene chiamata a partecipare la coppia a cui è affidato il minore (Cass. n. 9456/2021). Detta previsione, contenuta nell'art. art. 5, comma 1, l. n. 184/1983, come modificato dall'art. 2, l. n. 173/2015, reca una norma di natura processuale che trova applicazione anche nel giudizio di appello al fine di consentire una compiuta valutazione dell'interesse del minore (Cass. n. 23862/2021).

Si è peraltro precisato che, in tema di adozione di minori di età, l' art. 5, comma 1, ultimo periodo l. n. 184 del 1983, il quale prevede l'obbligo di audizione della famiglia collocataria, trova applicazione anche in grado di appello, ma solo ove l'adempimento ivi previsto sia stato omesso dal tribunale per i minorenni in prime cure, altrimenti spettando al giudice dei gradi successivi di verificare se l'incombente debba essere rinnovato, in presenza di ulteriori, fondate e sopraggiunte ragioni evidenziate dalle parti, oppure se le dichiarazioni già rese dall'affidatario o dalla famiglia collocataria, completate dalle relazioni dei servizi sociali, possano essere ritenute esaustive senza necessitare di aggiornamenti (Cass. I, n. 11682/2023).

La norma, peraltro, si riferisce esclusivamente all'affidamento extra familiare, disposto ex art. 4 della medesima legge, e non all'affidamento preadottivo, poiché la ratio di tale previsione, a differenza di quella relativa all'affidamento preadottivo, è costituita dall' esigenza di tutelare quei minori che, a causa del lungo protrarsi dell'affidamento extrafamiliare, per il permanere della situazione di inidoneità dei genitori biologici, hanno ormai instaurato una relazione di tipo genitoriale con il minore stesso, consentendo agli stessi la possibilità di partecipare al giudizio per rappresentare gli specifici interessi del minore (Cass. n. 9456/2021, che ha confermato la validità della sentenza d'appello che aveva revocato la dichiarazione di adottabilità di un minore, in esito ad un procedimento nel quale non era stata chiamata a partecipare la coppia alla quale il minore era stato affidato, a titolo di affidamento preadottivo, dal giudice di primo grado che ne aveva dichiarato lo stato di adottabilità). Inoltre, l'obbligo di convocare, nel corso del procedimento per la dichiarazione di adottabilità, l'affidatario o la famiglia collocataria mira a valorizzare il legame affettivo instauratosi con quelle figure che, avendo assunto un ruolo centrale nello sviluppo psico-fisico del minore, sono in grado di fornire un apporto significativo nella valutazione complessiva dell'interesse di quest'ultimo; ne consegue che tale obbligo non si estende agli enti, quali le comunità di tipo familiare o gli istituti di assistenza, dovendo escludersi rispetto ad essi l'instaurazione di un concreto legame affettivo ed essendo la loro partecipazione comunque assicurata durante il corso di tutta la procedura (Cass. n. 24723/2021).

 La convivenza con il minore comporta la responsabilità degli affidatari per il fatto illecito dell'affidato affidato ai sensi dell' art. 2048 c.c.. Debbono ritenersi legittimati all'azione civile nei confronti del responsabile di un reato commesso in danno di un minore (nella specie, omicidio colposo), anche i soggetti che abbiano veste di affidatari dello stesso minore quando l'affidamento abbia dato luogo ad un rapporto prolungato nel tempo e caratterizzato da stabilità e tendenziale definitività (Cass. pen. n. 35135/2001, ove si afferma che i genitori affidatari possono avere gli stessi diritti di quelli biologici se il bambino che hanno cresciuto ha vissuto con loro con «stabilità e tendenziale definitività»).

Dall'obbligo di mantenimento del minore discende il riconoscimento agli affidatari del diritto di chiedere la corresponsione degli assegni familiari e le prestazioni previdenziali a favore del minore (art. 80 l. n. 184/1983), nonché l'applicazione delle norme a tutela dei genitori (l. 8 marzo 2000, n. 53). Si discute se l'obbligo degli affidatari concorra con quello dei genitori e, cioè, se l'affidamento comporti l'esonero dei genitori dal dovere di mantenimento: nonostante qualche voce contraria. In prevalenza si afferma che gli affidatari, pur tenuti al mantenimento del minore, possano successivamente agire in regresso nei confronti dei genitori, sempre che la loro situazione economica lo consenta (App. Napoli 26 settembre 2012, Corr. merito, 2013, 368; la S.C. ha nella stessa prospettiva riconosciuto la facoltà di rivalsa da parte dell'ente pubblico che ospita il minore nei confronti dei genitori: Cass. n. 22678/2010, secondo cui il provvedimento del tribunale dei minorenni di allontanamento dalla casa familiare e di collocamento in casa famiglia del minore adottato, ancorché accompagnato dalla sospensione della potestà genitoriale, non fa venir meno l'obbligo dei genitori adottivi di provvedere al mantenimento del minore medesimo, nella specie consistente nella retta da pagare alla struttura di accoglienza, trattandosi di un obbligo collegato esclusivamente al perdurare dello status di figlio legittimo e non alla permanenza del minore presso il nucleo familiare, status che cessa esclusivamente con la revoca dell'adozione).

L'obbligo di mantenimento degli affidatari cessa con il raggiungimento della maggiore età del minore. Il principio secondo cui i genitori sono obbligati a mantenere il figlio fino a quando non abbia raggiunto l'indipendenza economica non può difatti essere esteso agli affidatari, dal momento che l'affidamento cessa al raggiungimento della maggiore età. 

Affidamento a rischio giuridico

In tema di adozione di minori di età, l' art. 5, comma 1, ultimo periodo, l. n. 184 del 1983 (come sostituito dall'art. 2 l. n. 173 del 2015 ), a tenore del quale l'affidatario o l'eventuale famiglia collocataria devono essere convocati, a pena di nullità, nei procedimenti civili in materia di responsabilità genitoriale, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato e hanno facoltà di presentare memorie scritte nell'interesse del minore, trova applicazione sia nel procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità riguardante un minore di cui sia stato già disposto l'affidamento ai sensi dell'art. 2 medesima legge, sia allorquando, pendente il menzionato procedimento e fino alla eventuale declaratoria di sua adottabilità, il minore venga collocato temporaneamente presso una famiglia o una comunità di tipo familiare (affidamento c.d. a rischio giuridico), nonché in grado di appello ove l'ivi previsto adempimento sia stato omesso dal tribunale per i minorenni in prime cure (Cass. sez. I, n. 36092/2022). Ivi si rammenta che il procedimento che conduce all'adozione di un minore prevede due fasi distinte: a) una riguarda soltanto il bambino e si chiude con la dichiarazione di adottabilità; b) l'altra, cronologicamente successiva, coinvolge anche gli aspiranti genitori e, a seguito di una valutazione della loro idoneità, può condurre all'affidamento preadottivo ed all'adozione legittimante. Entrambe le descritte fasi procedimentali spettano alla competenza del Tribunale per i Minorenni (del distretto nel quale si trova il minore) e sono disciplinate dalla L. 4 maggio 1983, n. 184, come modificata dalla L. 28 marzo 2001, n. 149 : in particolare, il capo I, tramite gli artt. 6 e 7, detta le disposizioni generali; il capo II, recanti gli artt. da 8 a 21, regola il procedimento volto ad accertare la situazione di abbandono del minore ed a dichiararne lo stato di adottabilità; il capo III, infine, mediante gli artt. 22 e ss., descrive il procedimento che conduce alla dichiarazione di adozione a favore della coppia che ne ha presentato la corrispondente domanda e che sia stata valutata idonea e maggiormente in grado di corrispondere alle esigenze del minore. Orbene, nell'ambito della prima fase, a seguito del ricorso ricevuto dal Pubblico Ministero presso il Tribunale per i Minorenni (art. 9, comma 2) per l'apertura del procedimento di adottabilità del minore e del decreto provvisorio pronunciato dal menzionato tribunale ai sensi dell'art. 10, disposta l'indagine psicosociale con conferimento dell'incarico al Servizio Sociale, avvertiti i genitori o, in mancanza, i parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore con invito a nominare un difensore di fiducia e con l'avviso della nomina di un loro difensore d'ufficio ove non vi provvedano (quindi anche nel caso di assenza), il tribunale medesimo, giusta l'art. 10, comma 3, "può disporre in ogni momento e fino all'affidamento preadottivo ogni opportuno provvedimento provvisorio nell'interesse del minore, ivi compreso il collocamento temporaneo presso una famiglia o una comunità di tipo familiare", la sospensione della responsabilità genitoriale sul minore, la nomina di un tutore provvisorio. Proprio dall'interpretazione di tale ultima disposizione normativa alla luce del concreto e superiore interesse del minore, alcuni Tribunali per i Minorenni, a partire dagli anni ottanta, hanno ritenuto che "il collocamento provvisorio presso una famiglia", come previsto dall'appena riportato art. 10 della L. n. 184 del 1983, potesse essere effettuato proprio collocando provvisoriamente il minore presso una c::oppia aspirante all'adozione nell'attesa della definizione del procedimento di adottabilità e fino al passaggio in giudicato della relativa sentenza. Tale possibilità è stata variamente denominata in dottrina e dagli esperti giuridici e sociali in materia: taluno parla di affido a rischio giuridico, altri di adozione a rischio giuridico o di collocazione (o collocamento) a rischio giuridico.

Bibliografia

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