Codice Civile art. 312 - Accertamenti del tribunale (1) (2).

Francesco Bartolini

Accertamenti del tribunale (1) (2).

[I]. Il tribunale, assunte le opportune informazioni, verifica:

1) se tutte le condizioni della legge sono state adempiute;

2) se l'adozione conviene all'adottando.

(1) Ai sensi dell'art. 3 l. 5 giugno 1967, n. 431, nelle ipotesi di cui a questo Capo, alla competenza della corte d'appello è sostituita quella del tribunale nel cui circondario l'adottante ha la residenza. Per l'adozione di minorenni è competente il tribunale per i minorenni.

(2) Articolo così sostituito dall'art. 64 l. 4 maggio 1983, n. 184.

Inquadramento

L'art. 312 indica sinteticamente i poteri — doveri del tribunale nella fase che segue alla presentazione della richiesta di adozione. Spetta al tribunale un controllo che riguarda la legittimità della richiesta e che è riferito alla verifica delle condizioni imposte dalla legge per farsi luogo al successivo provvedimento; nonché un controllo che concerne il merito della richiesta, relativo alla convenienza dell'adozione per l'adottando. La norma citata deve essere letta unitamente all'art. 313 c.c., che disciplina più specificamente l'aspetto processuale delle valutazioni demandate al tribunale. Nel contesto di una procedura in camera di consiglio, omessa ogni formalità che non sia quella di sentire previamente il pubblico ministero, il tribunale effettua un apprezzamento in diritto e in fatto delle ragioni esposte dall'adottante e della conformità dell'adozione agli interessi dell'adottando.

L'interpretazione dottrinaria ha ampliato la portata dell'accenno normativo all'assunzione delle opportune informazioni (che si legge nell'art. 312) per collocare i relativi poteri attribuiti all'organo giudiziario nel contesto delle più generali disposizioni dettate dal codice di procedura civile per i procedimenti in camera di consiglio. Si afferma che il tribunale può acquisire d'ufficio e senza particolari formalismi le informazioni che ritiene utili per la sua decisione (Collura, 1140; Dogliotti, 2002, 284; Procida Mirabelli di Lauro, 614). Il tribunale può chiedere al ricorrente di integrare le sue produzioni ma può anche assumere direttamente notizie e documentazioni dai servizi sociali, dalle autorità comunali e dagli organi della pubblica sicurezza. Si ammette, in definitiva, che alla domanda di pronuncia di adozione possa seguire una fase istruttoria, priva di formalità e con poteri officiosi esercitati dal tribunale. Può osservarsi, in proposito, che, trattandosi di adozione di persone maggiorenni, viene ad esser privo di significato concreto il supporto, che pure si ritiene possibile, delle strutture deputate alla protezione dei bambini e dei fanciulli quali i servizi sociali comunali e in genere pubblici. Uno spazio per valutare la realtà della situazione concreta può sussistere allorché il presidente del tribunale riceve il consenso dell'adottando e l'assenso o le opposizioni di coloro che sono chiamati a manifestare il loro assenso. È certo, comunque, che i veri e propri poteri di informazione spettano al tribunale come organo collegiale.

Il procedimento

La disciplina del procedimento presso il tribunale non è resa oggetto di specifiche disposizioni. Essa va ricostruita dall'interprete in base alle scarne e separate indicazioni del codice civile e delle norme dettate con valore generale dal codice di procedura civile in tema di procedimenti in camera di consiglio. La riforma processuale di cui al d.lgs. 149/2022 e di cui al correttivo d.lgs. 164/2024 non ha attratto il procedimento di adozione del maggiorenne nel novero dei giudizi in materia di stato delle persone, di minorenni e di famiglie per le quali ha introdotto il rito unico familiare ex artt. 473-bis e segg. c.p.c. Restano pertanto ferme le norme in tema di procedimento in camera di consiglio ai sensi degli artt. 473-ter e 737 segg. c.p.c.

La procedura ha natura di volontaria giurisdizione. Essa ha inizio con un atto che assume la forma del ricorso, secondo lo schema tipico dei procedimenti che si svolgono in camera di consiglio. Essa si conclude, però, con la pronuncia di una sentenza, e in questo senso si discosta da tale schema tipico: la forma della sentenza è il risultato di una serie di modifiche legislative che hanno valorizzato anche sotto questo aspetto esteriore l'effetto dell'atto giurisdizionale di mutare uno status personale (si veda sub art. 313 c.c.). Il ricorso deve contenere la domanda di adozione, l'indicazione delle generalità delle parti, l'indicazione della disponibilità a prestare l'assenso dei soggetti che nella specie sono chiamati a manifestarlo e l'esposizione delle ragioni per le quali si chiede il provvedimento. Di volta in volta, al ricorso va allegata la documentazione necessaria a dimostrare l'esistenza in vita delle parti, il loro stato libero o coniugato, l'esistenza di figli e la loro età: documentazione da fornirsi nelle forme dell'atto di nascita, del certificato di stato libero o coniugato, dell'atto di notorietà e dell'autocertificazione, quando consentita dalla legge (Dogliotti, 2002, 275).

La competenza spetta al tribunale e, per territorio, al tribunale del luogo di residenza dell'adottante. Si ritiene, generalmente, che si tratti di competenza inderogabile, la cui inosservanza comporta la nullità del procedimento e della sentenza di adozione (Orsingher, 593; Procida Mirabelli di Lauro, 604). È sorto contrasto interpretativo in ordine alla competenza nel caso in cui l'adottante non ha residenza in Italia. La giurisdizione del giudice italiano sussiste «se gli adottanti o uno di essi o l'adottando sono cittadini italiani ovvero stranieri residenti in Italia» (art. 40 l. 31 maggio 1995, n. 218, di diritto internazionale privato).

La competenza territoriale, secondo la Corte di cassazione (Cass. n. 4232/1991), spetta al tribunale dell'ultimo domicilio in Italia dell'adottante (in applicazione, per analogia, del disposto dell' art. 29 della l. 4 maggio 1983, n. 184; mentre per altri la competenza si radica nel luogo di ultima residenza dell'adottante o, in mancanza, in Roma (Campanato — Rossi, 92; Dogliotti, 2002, 275) . I provvedimenti di adozione di persone non aventi la cittadinanza italiana e per i quali si applica la legge straniera sono direttamente efficaci nell'ordinamento italiano, ai sensi degli artt. 64 — 66 della l. n. 218/1995 citata.

Trattandosi di questioni di status, è espressamente previsto che il pubblico ministero debba essere sentito. L'omissione è sanzionata con la nullità del procedimento, in quanto l'obbligo è posto nell'interesse della legge e dell'ordine pubblico. L'applicazione concreta della norma che prevede il dovere di consentire la partecipazione del pubblico ministero è nel senso che questi non è tenuto a presenziare necessariamente al procedimento ma deve essere posto in grado di parteciparvi, se lo ritiene, e comunque di esporre le proprie osservazioni. La prassi prevede la trasmissione degli atti e la redazione di un parere scritto. Il pubblico ministero può comunque comparire nell'udienza in cui il presidente del tribunale raccoglie il consenso dell'adottante e il consenso dell'adottando (nonché l'assenso delle persone chiamate a prestarlo, secondo coloro che reputano debba essere manifestato nella stessa forma del consenso: si veda sub art. 311 c.c.).

Deve essere fissata un'udienza dinanzi al presidente del tribunale per la verbalizzazione della prestazione dei consensi. È generale opinione che il presidente possa delegare un magistrato dell'ufficio, per ragioni interne di distribuzione del lavoro. L'udienza può essere più di una, ove ve ne sia la necessità, potendo le manifestazioni del consenso e dell'assenso non essere contestuali. Per una parte della dottrina, anzi, il consenso dell'adottante e quello dell'adottando dovrebbero essere raccolti in occasioni diverse, per favorirne la genuinità e la spontaneità (Collura, 1140; Giusti, 579). Non sono regolate le modalità dell'assunzione delle manifestazioni di volontà, le quali possono essere anche di revoca di un consenso o di un assenso preannunciato, posto che la revoca è consentita sino alla pronuncia della sentenza. In proposito è disposto che il consenso deve essere prestato personalmente, mentre l'assenso può essere manifestato da un procuratore speciale; si ritiene che una regola speculare valga anche per la dichiarazione di revoca.

Nel caso in cui l'adottando o gli adottanti risiedano all'estero, in mancanza di una disposizione espressa, la competenza del tribunale deve essere individuata per analogia con l'art. 29 l. n. 184/1983 sull'adozione internazionale dei minori, nella circoscrizione giudiziaria dell'ultimo domicilio in Italia dell'adottante (Cass. n. 4232/1991).

Il requisito di legittimità

Il richiamo normativo alla verifica delle condizioni richieste dalla legge ha attualmente un prevalente significato generale di descrizione dei compiti dell'organo giurisdizionale in ordine alla sua funzione di pronuncia sulle istanze che gli sono formulate. Il richiamo aveva un senso ben più specifico allorché erano vigenti le norme di cui agli artt. 292 e 293 c.c., rispettivamente riferite al divieto di adozione per diversità di razza e al divieto di adozione dei figli nati fuori dal matrimonio. Si trattava di norme imperative la cui osservanza doveva essere garantita dal tribunale e il cui mancato rispetto comportava la nullità radicale dell'adozione. Oggi residua da verificare l'osservanza del divieto di adozione ad opera del tutore, prima che la tutela cessi nelle sue prestazioni di fatto; nonché la conformità della richiesta alle norme procedurali che regolano il percorso verso la sentenza.

Il requisito della convenienza

L'art. 312 utilizza una espressione, quella della «convenienza», che è molto diversa da quella di cui si serve in tema di provvedimenti sui minori, per i quali è adoperata l'espressione «nell'interesse del minore». L'espressione riferita alla convenienza riecheggia concezioni dell'adozione legate alla sua originaria funzione di trasmissione del nome, del titolo e del patrimonio: sì che nella confusione dei patrimoni conseguente all'adozione doveva ravvisarsi una utilità di tipo economico o, comunque, non certo un deterioramento della situazione antecedente dell'adottando. Si attribuisce comunque un significato più esteso alla detta nozione di convenienza, così come avviene a proposito della nozione di interesse riferita alla tutela da prestarsi ai minorenni. Un significato comprensivo anche degli aspetti morali e sociali della posizione da assumersi dall'adottato ed eventualmente del suo sviluppo se egli è ancora in età evolutiva.

Mentre nel caso dei provvedimenti richiesti al giudice relativamente ai minori di età il compito affidatogli è pregnante e specifico, nell'adozione di maggiorenni è lo stesso adottando a valutare per primo la convenienza di consentire all'adozione. Non residua un largo spazio al tribunale per sindacare la volontà dell'adottando, se non quello di formarsi una opinione fondata su dati esterni e maggiormente affidabili, quali le informazioni raccolte e le osservazioni di coloro che sono chiamati a prestare il loro assenso. La convenienza da verificare è riferita alla persona dell'adottando; ma l'adozione colloca costui all'interno di un nucleo familiare o nella cerchia di persone che possono risentirne effetti e la cui contrarietà può creare situazioni difficili per tutti. Sussiste la convenienza se l'adozione trova corrispondenza nella comunione di intenti di tutta la famiglia. Essa può non sussistere se, per contro, gli altri interessati hanno espresso ostilità e dissenso.

La dottrina ha evidenziato che l'adozione potrebbe essere posta in atto per ottenere gratuitamente i servigi in vita dall'adottato con la prospettiva di una successione ereditaria futura (Galgano, 631); oppure per eludere la normativa fiscale (Collura, 1141). Per la giurisprudenza non può aversi convenienza se tra l'adottante e l'adottando non esiste alcun significativo legame affettivo e di consuetudine e, a maggior ragione, se l'adozione costituisce un espediente per nascondere relazioni affettive o per eludere le norme sull'immigrazione (si veda sub art. 291 c.c.).

Secondo Cass. I, ord. ord. n. 3462/2022 il giudizio di convenienza, ai sensi dell'art. 312 c.c., rappresenta il fulcro dell'attività istruttoria ed implica una valutazione di merito, diretta ad accertare se l'adozione risulti moralmente vantaggiosa ed economicamente non pregiudizievole per l'adottando. Ne consegue che le informazioni necessarie per decidere sull'adozione possono essere assunte, senza particolari vincoli o formalità, mediante organi di pubblica sicurezza, servizi locali, o autorità comunali, udite tutte le persone che potrebbero essere a conoscenza della situazione di fatto dell'adottante, dell'adottando e della loro famiglia. Più accomodante la decisione di Cass. I, n. 3766/2024. Per la quale il giudice non può valutare discrezionalmente la sussistenza dell'interesse dell'adottando, effettuando controlli al riguardo; è invece sufficiente il consenso dell'adottante e quello dell'adottato, parti necessarie del procedimento ed è altresì richiesto l'assenso del coniuge convivente dell'adottante o dell'adottato che, in quanto mera condizione, può sopraggiungere o divenire irrilevante per la pronuncia di separazione dei coniugi anche nel giudizio di impugnazione.

Per Cass. n. 2426/2006 la convenienza per l'adottando, di cui all'art. 312 c.c., sussiste in quanto il suo interesse all'adozione trovi una effettiva e reale rispondenza nella comunione di intenti di tutti i membri della famiglia. Rientra nell'ambito dei poteri di verifica del tribunale, all'interno del procedimento di adozione di persone maggiori di età, la valutazione dell'effettiva sussistenza e validità della volontà dell'adottante, nonché delle finalità per le quali i soggetti — adottante e adottando — abbiano fatto ricorso all'istituto dell'adozione (Trib. Prato 11 gennaio 2012, in Nss.GCC, 2012, 529 nota di Salvi).

Bibliografia

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