Legge - 4/05/1983 - n. 184 art. 1
1. Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia. 2. Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto. 3. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia. Essi promuovono altresì iniziative di formazione dell'opinione pubblica sull'affidamento e l'adozione e di sostegno all'attività delle comunità di tipo familiare, organizzano corsi di preparazione ed aggiornamento professionale degli operatori sociali nonché incontri di formazione e preparazione per le famiglie e le persone che intendono avere in affidamento o in adozione minori. I medesimi enti possono stipulare convenzioni con enti o associazioni senza fini di lucro che operano nel campo della tutela dei minori e delle famiglie per la realizzazione delle attività di cui al presente comma. 4. Quando la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all'educazione del minore, si applicano gli istituti di cui alla presente legge. 5. Il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell'ambito di una famiglia è assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e comunque non in contrasto con i princìpi fondamentali dell'ordinamento 1. [1] Articolo sostituito dall'articolo 1, comma 3, della Legge 28 marzo 2001, n. 149 e, successivamente, modificato dall'articolo 100, comma 1, lettera a), del Dlgs. 28 dicembre 2013 n. 154 a decorrere dal 7 febbraio 2014 come indicato dall' articolo 108, comma 1, del citato decreto. InquadramentoL'adozione dà luogo al sorgere di un rapporto giuridico di filiazione che non trova fondamento sul legame di sangue (Bianca, 413). L'ordinamento disciplina tre diverse figure di adozione, eterogenee quanto a ragioni ispiratrici, le prime due previste nella legislazione speciale (in particolare dalla l. 4 maggio 1983, n. 184, oggi intitolata al «Diritto del minore ad una famiglia», e successive modificazioni), la terza regolata dal codice civile: i) l'adozione c.d. piena o legittimante, che attribuisce all'adottato la posizione di figlio degli adottanti, creando tra l'uno e gli altri una relazione che si sostituisce a quella basata sul legame di sangue e comporta il definitivo ingresso dell'adottato in una nuova famiglia; ii) l'adozione c.d. in casi particolari, la quale trova applicazione in talune situazioni nelle quali non può realizzarsi l'adozione c.d. piena, che importa la creazione di una relazione che non si sostituisce, ma si sovrappone a quella basata sul legame di sangue, sicché la responsabilità genitoriale spetta agli adottanti, ma la relazione con la famiglia di origine non si estingue; iii) l'adozione dei maggiori di età (artt. 291 ss. c.c.), olim adozione ordinaria, prima ancora sic et simpliciter adozione, la quale si discosta nella ratio dalle prime due, entrambe volte ad assicurare al minore abbandonato la tutela materiale e morale che la famiglia di origine non è in grado di apprestare, essendo diretta a procurare una discendenza agli adottanti (Sesta, 414) in vista della continuità del nome e della collocazione del patrimonio; esulando dal tema del diritto del minore ad una famiglia, e trovando collocazione nel codice civile, sia pure per il tramite della novella introdotta dalla legge speciale, quest'ultima forma di adozione non sarà trattata in questa sede. Accanto all'adozione come prevista nelle prime due ipotesi considerate, il legislatore ha introdotto inoltre, sempre a protezione del minore, l'istituto dell'affidamento familiare, il cui scopo non è l'inserimento del minore della nuova famiglia, ma quello di sopperire temporaneamente ad una situazione di inidoneità della famiglia di origine. Il diritto alla famiglia di origineLa disposizione in commento fissa anzitutto il principio secondo cui i minori hanno diritto a crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia. Come ha chiarito la S.C. l'art. 1 l. 4 maggio 1983, n. 184 (nel testo novellato dalla l. 28 marzo 2001, n. 149) attribuisce al diritto del minore di crescere nell'ambito della propria famiglia d'origine un carattere prioritario — considerandola l'ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico — e mira a garantire tale diritto attraverso la predisposizione di interventi diretti a rimuovere situazioni di difficoltà e di disagio familiare. Ne consegue che, per un verso, compito del servizio sociale non è solo quello di rilevare le insufficienze in atto del nucleo familiare, ma, soprattutto, di concorrere, con interventi di sostegno, a rimuoverle, ove possibile, e che, per altro verso, ricorre la «situazione di abbandono» sia in caso di rifiuto ostinato a collaborare con i servizi predetti, sia qualora, a prescindere dagli intendimenti dei genitori, la vita da loro offerta al figlio sia inadeguata al suo normale sviluppo psico-fisico, cosicché la rescissione del legame familiare sia l'unico strumento che possa evitargli un più grave pregiudizio ed assicurargli assistenza e stabilità affettiva (Cass. n. 7115/2011, la quale ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistere lo stato di abbandono nella persistenza di atteggiamenti violenti e aggressivi del padre e di un comportamento a lui sottomesso della madre, incapace di rendersi autonoma dal coniuge nell'interesse dei figli, nonché nell'evidente miglioramento dei minori a seguito dell'inserimento in comunità educativa e dell'interruzione dei rapporti con i genitori). In altre parole, in tema di accertamento dello stato di adottabilità, posto che il ricorso alla dichiarazione di adottabilità costituisce solo una soluzione estrema (da ult.Cass. I, n. 31038/2023), essendo il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia d'origine, quale ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, tutelato in via prioritaria dall'art. 1 l. n. 184/1983, il giudice di merito deve operare un giudizio prognostico teso, in primo luogo, a verificare l'effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento sia alle condizioni di lavoro, reddituali ed abitative, senza però che esse assumano valenza discriminatoria, sia a quelle psichiche, da valutarsi, se del caso, mediante specifica indagine peritale, estendendo detta verifica anche al nucleo familiare, di cui occorre accertare la concreta possibilità di supportare i genitori e di sviluppare rapporti con il minore, avvalendosi dell'intervento dei servizi territoriali (Cass. I, n. 7559/2018). Il giudice di merito, dunque, nell'accertare lo stato di adottabilità di un minore deve, in primo luogo, esprimere una prognosi sulla effettiva e attuale capacità e attraverso un percorso di crescita e sviluppo, delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento, in primo luogo, alla elaborazione, da parte dei genitori, di un progetto, anche futuro, di assunzione diretta della responsabilità genitoriale, caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione con il minore, ancorché con l'aiuto di parenti o di terzi, ed avvalendosi dei servizi territoriali (Cass. n. 4220/2021). Ed ancora, si è di recente affermato che il giudice chiamato a decidere sullo stato di abbandono del minore, e quindi sulla dichiarazione di adottabilità, deve accertare la sussistenza dell'interesse del minore a conservare il legame con i suoi genitori biologici, pur se deficitari nelle loro capacità genitoriali, perché l'adozione legittimante costituisce una extrema ratio cui può pervenirsi quando non si ravvisi tale interesse, considerato che nell'ordinamento coesistono sia il modello di adozione fondato sulla radicale recisione dei rapporti con i genitori biologici, sia modelli che escludono tale requisito e consentono la conservazione del rapporto (Cass. I, n. 3643/2020). La pronuncia riveste rilievo poiché, inquadrando la materia nel contesto europeo, giunge all'identificazione di una forma di adozione «mite» che non comporta la recisione dei rapporti con la famiglia di origine. Viene osservato: «Non è prevista, da alcuna norma espressa, come conseguenza automatica della dichiarazione di adottabilità la recisione di qualsiasi rapporto e contatto con i genitori biologici, mentre tale effetto si determina definitivamente ai sensi dell'art. 27, comma 3, con l'adozione. La cessazione dei rapporti e dei contatti con la famiglia di origine, tuttavia, è una conseguenza diretta dell'affidamento preadottivo perché costituisce una modalità di attuazione di questa cruciale fase del rapporto tra adottante ed adottando, diretta a culminare nella dichiarazione di adozione. Può, pertanto, ritenersi che con la dichiarazione di adottabilità, in quanto finalizzata all'adozione legittimante (ancorché possa verificarsi in alcune ipotesi l'assenza di tale esito finale) si determina la cessazione dei rapporti con i genitori biologici, non essendo compatibile con la finalità ultima dell'istituto, la perpetuazione di una relazione che è destinata a recidersi definitivamente con l'assunzione di un diverso status filiale mediante l'adozione. 4.1. Le osservazioni che precedono sono sostanzialmente coincidenti con la conclusione della Corte d'Appello … Ritiene, tuttavia, il Collegio che tale affermazione deve confrontarsi con le rilevanti indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani riguardanti il regime giuridico interno volto a disciplinare i modelli di adozione, oltre che agli orientamenti della giurisprudenza di legittimità relativi all'accertamento rigoroso della situazione di abbandono che costituisce il fondamento della dichiarazione di adottabilità. 4.3. I due profili, quello posto in luce dalla giurisprudenza EDU relativo alla sperimentazione di modelli di adozione diversi dall'adozione legittimante, quando non sia coerente con l'interesse preminente del minore la recisione definitiva della relazione affettiva con i genitori biologici e quello riguardante l'accertamento della situazione di abbandono morale e materiale del minore posta a base della dichiarazione di adottabilità, pur riguardando due procedimenti separati, non sono privi d'interconnessioni. La Corte Edu, nei numerosi procedimenti che hanno riguardato l'Italia, ed in particolare, nel caso Zhou c. Italia (sentenza emessa il 21 gennaio 2014) e nel caso S.H. c. Italia (sentenza emessa il 13 ottobre 2015), oltre a sottolineare che le autorità statuali devono adottare tutte le misure concrete per permettere al fanciullo di vivere con i genitori biologici, così delineando un argine che, tuttavia, oltrepassa il limite del sindacato giurisdizionale perché ha ad oggetto la valutazione dell'impegno (condizionato dalle risorse e dalle scelte politico amministrative) delle autorità addette alle politiche sociali, ha esplicitamente affermato che è necessario preservare il legame tra i genitori biologici ed il minore anche quando siano accertate condizioni di parziale compromissione della idoneità genitoriale ma non sia emersa una situazione di abbandono morale e materiale e risulti corrispondente all'interesse preminente del minore la conservazione di tale legame. In particolare, la Corte Edu, nel caso Zhou c. Italia ha posto in luce come, nonostante l'assenza, nel sistema legislativo italiano, di una qualche forma di adozione "mite" o semplice, c'è una varietà di orientamenti nei tribunali per i minorenni improntata, ancorché non in modo univoco, ad un'interpretazione estensiva delle ipotesi normative di adozione in casi particolari (l. n. 184/1983, artt. 44 e segg.). Anche alla luce di queste ultime considerazioni, la Corte Edu ha ritenuto che non siano state esplorate tutte le alternative compatibili con il sistema legislativo interno in tema di modelli adottivi, da interpretare secondo la definizione del perimetro delle ingerenze statuali giustificate in relazione all'esercizio del diritto alla vita familiare ex art. 8 Cedu, prima di pervenire alla definitiva recisione di qualsiasi rapporto tra il minore e la famiglia di origine. Può affermarsi, pertanto, che tali pregnanti indicazioni debbano essere tenute in considerazione, in primo luogo, proprio nel procedimento diretto alla dichiarazione di adottabilità alla luce della configurazione complessiva del sistema adottivo nel nostro ordinamento interno. 4.4. L'adozione legittimante o piena di un minore consegue ad un accertamento giurisdizionale articolato in due giudizi separati, caratterizzati da una radicale diversità dell'oggetto della decisione. Il secondo giudizio non può essere introdotto se non in funzione del preventivo accertamento della condizione di abbandono del minore cui si attribuisce lo status di figlio adottivo. Dunque quest'ultimo giudizio non ha autonomia non potendo che conseguire da uno solo degli esiti possibili del giudizio precedente. Nei procedimenti l. 184/1983, ex art. 44, l'adottabilità non è un antecedente processuale del successivo giudizio ma al contrario che nell'adozione legittimante, il procedimento ex art. 44, non deve seguire ad una dichiarazione di adottabilità ed all'accertamento di una condizione di abbandono, certificata da una pronuncia passata in giudicato. Questi diversi modelli di filiazione adottiva sono, infatti, caratterizzati dalla partecipazione dei genitori biologici del minore, (salvo che il minore sia orfano di entrambi, come nelle ipotesi sub a e c) i quali, ai sensi dell'art. 46, comma 1, devono prestare il loro consenso, salvo l'intervento sostitutivo del tribunale, secondo le modalità procedimentali stabilite nel comma 2. Il legislatore ha introdotto, nell'adozione in casi particolari, una pluralità di percorsi che conducono alla genitorialità adottiva, incentrati sulla continuità delle relazioni con i genitori biologici o, comunque (come nelle ipotesi sub a e c) con il nucleo parentale originario. I giudizi che hanno ad oggetto questi diversi modelli adottivi si fondano su un esame rigoroso della idoneità degli adottanti o del singolo richiedente, essendo l'adozione ex art. 44 non soltanto bigenitoriale. In particolare, tale forma di adozione può riguardare minori che conservano non solo lo status filiale rispetto ad uno dei genitori biologici ma anche la continuità relazionale con tale genitore, come previsto nell'ipotesi disciplinata dell'art. 44, lett. b) e non escluso nell'ipotesi di cui all'art. 44, lett. d), secondo l'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di questa sezione (Cass. n. 12692/2016; Cass. S.U., n. 12193/2019). 4.5 In conclusione nel nostro ordinamento convivono modelli di adozione fondati sulla radicale recisione del rapporto con i genitori biologici con altri che escludono la ricorrenza di tale requisito. La pluralità di forme di genitorialità adottiva volute dal legislatore e l'intervento interpretativo compiuto dalla giurisprudenza di merito e di legittimità (Cass. 12692/2016; Cass. S.U., n. 12193/2019) sulla ipotesi normativa contenuta nella l. n. 184/1983, art. 44, lett. d), in modo da valorizzarne la natura di ipotesi residuale ed aperta, consentono di adeguare il nostro sistema legislativo della filiazione adottiva con le rilevanti indicazioni provenienti dalla giurisprudenza EDU». Occorre aggiungere che anche il giudice delle leggi è intervenuto sul tema, osservando, anche con riguardo l’adozione piena, che al giudice non è impedito di prevedere, nel preminente interesse del minore, che vengano mantenute talune relazioni con i componenti della famiglia d'origine (Corte cost. n. 183/2023): sono state così respinte le q.l.c. dell'art. 27, comma 3, l. 4 maggio 1983, n. 184. Nondimeno, nonostante la pluralità di modelli di adozione presenti nel nostro ordinamento imponga di valutare, oramai, anche il ricorso al modello di adozione che non recida del tutto i rapporti del minore con la famiglia di origine, in presenza di situazioni di semi abbandono, il quadro normativo esistente, non consente di superare lo schema normativo che delinea in realtà due procedimenti ben delineati e definiti come quello dell'adozione legittimante e quello dell'adozione c.d. mite: da qui, dunque, l'impossibilità di un passaggio endoprocedimentale tra l'una e l'altra procedura e l'altrettanto evidente impossibilità di una conversione della domanda volta alla dichiarazione di adozione legittimante in quella di adozione c.d. mite (Cass. I, n. 26791/2023). La natura non assoluta, ma bilanciabile, dell'interesse del minore a conservare il legame con i suoi genitori biologici postula dunque un esame approfondito, completo e attuale delle condizioni di criticità dei genitori e dei familiari entro il quarto grado disponibili a prendersi cura del minore e delle loro capacità di recupero e cambiamento, ove sostenute da interventi di supporto adeguati anche al contesto socioculturale di riferimento (Cass. n. 24717/2021). Nell'esame che deve compiere il giudice del merito del preminente interesse del minore, è allora necessario verificare, in primo luogo, se la definitiva recisione dei rapporti con figure significative sul piano affettivo e relazionale strettamente collegate ai parenti giuridicamente qualificati corrisponda al preminente interesse del minore. Non è sufficiente a sostenere questo doveroso accertamento, la verifica delle condizioni del minore nella famiglia affidataria senza alcuna comparazione con la relazione del minore con le figure vicarianti che hanno dimostrato in via effettiva la propria disponibilità a rivestire tale ruolo. All'interno di questa indagine deve essere dato rilievo centrale alla costruzione di un nucleo familiare ancorché con soggetti non identificabili come formalmente legittimati a partecipare al processo perché estranei alla linea di parentela (Cass. n. 34714/2021). Ciò fermo restando che la «figura parentale vicariante» - in grado di prendersi cura del minore con riferimento alle sue esigenze materiali, economiche, emotive e relazionali - non può essere nel suo nucleo essenziale e imprescindibile integrata o sostituita nella sua funzione da terzi non legati al minore da alcun vicolo parentale (Cass. n. 274/2020; Cass. n. 21554/2021). Né può escriversi rilievo decisivo alla circostanza che il minore, a seguito di affidamento etero-familiare, abbia trascorso molto tempo presso una famiglia diversa dalla quella propria, atteso che tale affidamento è per sua natura temporaneo, essendo destinato a dare soluzione ad una situazione transitoria di difficoltà o di disagio familiare, al fine di consentire il rientro nella famiglia di origine (Cass. n. 24727/2021). Movendo dal rilievo che il diritto del minore di crescere nell'ambito della propria famiglia d'origine, considerata l'ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, è tutelato dall'art. 1 l. 4 maggio 1983, n. 184, è stato così affermato che il giudice di merito deve, prioritariamente, verificare se possa essere utilmente fornito un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare, e, solo ove risulti impossibile, quand'anche in base ad un criterio di grande probabilità, prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittimo e corretto l'accertamento dello stato di abbandono (Cass. n. 6137/2015), quale premessa dell'adozione. In tale prospettiva, ad esempio, la S.C. ha cassato la decisione di merito perché la corte di appello, pur dando atto che non era stato tentato un intervento di sostegno alla genitorialità, aveva ugualmente confermato la dichiarazione di adottabilità, fondandola sugli esiti di una consulenza tecnica in cui l'ausiliario aveva concluso che l'idoneità genitoriale era completamente carente in entrambi i genitori, e non risultavano margini di miglioramento (Cass. n. 22589/2017). Il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia d'origine comporta dunque che il ricorso alla dichiarazione di adottabilità sia praticabile solo come «soluzione estrema», quando, cioè, ogni altro rimedio appaia inadeguato con l'esigenza dell'acquisto o del recupero di uno stabile ed adeguato contesto familiare in tempi compatibili con l'esigenza del minore stesso; qualora però, a prescindere dagli intendimenti dei genitori e dei parenti, la vita da loro offerta a quest'ultimo risulti inadatta al suo normale sviluppo psico-fisico, ricorre la situazione di abbandono ai sensi dell'art. 8 l. 4 maggio 1983, n. 184, e la rescissione del legame familiare è l'unico strumento che possa evitargli un più grave pregiudizio (Cass. n. 881/2015). Riassumendo, il giudice di merito, nell'accertare lo stato di adottabilità di un minore, deve: a) verificare l'effettiva ed attuale possibilità di recupero dei genitori (nella specie, della madre), sia con riferimento alle condizioni economico-abitative, senza però che l'attività lavorativa svolta e il reddito percepito assumano valenza discriminatoria, sia con riferimento alle condizioni psichiche, queste ultime da valutare, se del caso, con una indagine peritale; b) estendere tale verifica anche al nucleo familiare, di cui occorre accertare la concreta possibilità di supportare i genitori e di sviluppare rapporti con il minore, anche se, allo stato, mancanti (nella specie, in quanto i minori sono da anni collocati in casa famiglia); c) avvalersi di un mediatore culturale, non al fine di colmare deficit linguistici, ma di elidere la distanza tra modelli culturali familiari, nella specie quello italiano e quello filippino, che, se non superata, osta ad un'adeguata valutazione della capacità genitoriale (Cass. n. 6552/2017, concernente fattispecie in cui il giudice di merito, confermando una precedente pronuncia di adottabilità di due minori, già cassata dalla Suprema Corte, ne aveva però disatteso le vincolanti e specifiche prescrizioni sopra riportate, con conseguente cassazione anche della sentenza di rinvio). È stato ulteriormente ribadito che il giudice di merito, nell'accertare lo stato di adottabilità di un minore, deve in primo luogo esprimere una prognosi sull'effettiva ed attuale possibilità di recupero, attraverso un percorso di crescita e sviluppo, delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento, in primo luogo, alla elaborazione, da parte dei genitori, di un progetto, anche futuro, di assunzione diretta della responsabilità genitoriale, caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione con il minore, ancorché con l'aiuto di parenti o di terzi, ed avvalendosi dell'intervento dei servizi territoriali (Cass. n. 14436/2017, che ha cassato la sentenza di appello che aveva revocato la pronuncia di adottabilità di una minore, in tenera età, in affido eterofamiliare, sul rilievo che il padre, l'unico genitore, aveva stabilito con essa un rapporto affettivo significativo, senza avere il sostegno attivo dei servizi sociali, omettendo però l'esame della elaborazione, da parte di quel genitore, di un progetto di recupero nel senso sopra delineato, presupposto indispensabile per qualsivoglia intervento di sostegno). Resta nondimeno fermo che il prioritario diritto dei minori a crescere nell'ambito della loro famiglia di origine non esclude la pronuncia della dichiarazione di adottabilità quando, nonostante l'impegno profuso dal genitore per superare le proprie difficoltà personali e genitoriali, permanga tuttavia la sua incapacità di elaborare un progetto di vita credibile per i figli, e non risulti possibile prevedere con certezza l'adeguato recupero delle capacità genitoriali in tempi compatibili con l'esigenza dei minori di poter conseguire una equilibrata crescita psico-fisica (Cass. n. 21554/2021).. Sicché il prioritario diritto dei minori a crescere nell'ambito della loro famiglia di origine non esclude la pronuncia della dichiarazione di adottabilità quando, nonostante l'impegno profuso dal genitore per superare le proprie difficoltà personali e genitoriali, permanga tuttavia la sua incapacità di elaborare un progetto di vita credibile per i figli, e non risulti possibile prevedere con certezza l'adeguato recupero delle capacità genitoriali in tempi compatibili con l'esigenza dei minori di poter conseguire una equilibrata crescita psico-fisica (Cass. n. 21554/2021). Anche un singolo episodio, di particolare gravità, se inserito nel contesto, può assumere rilievo. Perciò, lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità ricorre allorquando i genitori non sono in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la formazione della sua personalità e la situazione non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio, tale essendo quella inidonea per la sua durata a pregiudicare il corretto sviluppo psicofisico del minore, secondo una valutazione che, involgendo un accertamento di fatto, spetta al giudice di merito (Cass. n. 1473/2021, che ha confermato la decisione di merito secondo cui un gravissimo episodio di pestaggio, preceduto da altri comportamenti violenti nei confronti della bambina, fossero sufficiente per legittimare il provvedimento di adottabilità; da ult. Cass. I, n. 23077/2023). Gli interventi pubblici di sostegnoIl secondo, terzo, quarto e quinto comma della norma possiedono un rilievo eminentemente politico-programmatico, che trova il proprio fondamento nei principi costituzionali sanciti dagli artt. 3, commi 1 e 2, e 31 Cost. Essi contemplano l'impegno dello Stato e degli enti territoriali ad adottare, allo scopo di garantire il diritto alla famiglia di origine, le misure utili «al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia». Ne discende, per un verso, che il diritto del minore alla famiglia di origine assume un rilievo schiettamente pubblicistico, e, per altro verso, che l'adozione trova in definitiva applicazione solo laddove gli interventi diretti a favorire la permanenza nella famiglia di origine non abbiano avuto successo, sicché, come si desume dalle massime giurisprudenziali poc'anzi citate, l'adozione si pone quale extrema ratio, il che concorre altresì ad orientare l'interpretazione del dato normativo nel suo complesso. Ecco, dunque, che il prioritario diritto fondamentale del figlio di vivere, nei limiti del possibile, con i suoi genitori e di essere allevato nell'ambito della propria famiglia, sancito dall'art. 1 l. n. 184 del 1983, impone particolare rigore nella valutazione dello stato di adottabilità, ai fini del perseguimento del suo superiore interesse. Quel diritto può essere limitato solo ove si configuri un endemico e radicale stato di abbandono — la cui dichiarazione va reputata, alla stregua della giurisprudenza costituzionale, della Corte europea dei diritti dell'uomo e della Corte di giustizia, come extrema ratio — a causa dell'irreversibile incapacità dei genitori di allevarlo e curarlo per loro totale inadeguatezza. In particolare, il ricorso alla dichiarazione di adottabilità di un figlio minore è consentito solo in presenza di fatti gravi, indicativi in modo certo dello stato di abbandono, morale e materiale che devono essere specificamente dimostrati in concreto, senza possibilità di dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale non basati su precisi elementi idonei a dimostrare un reale pregiudizio per il figlio (Cass. n. 782/2017, concernente fattispecie in cui la condizione di abbandono era stata affermata nonostante la stessa corte territoriale avesse dato atto della volontà dei nonni materni di occuparsi del minore, e l'inidoneità della rete parentale si palesasse ancorata a rilievi apodittici. Soprattutto l'inidoneità genitoriale della madre — ha evidenziato la S.C. — era stata affermata in base a un giudizio sommario, essenzialmente facente leva sulla evidenziata condizione di fragilità personale e di non meglio esplicitata freddezza rispetto al figlio. Condizione peraltro desunta da quella stessa Ctu eseguita in primo grado che pure aveva concluso per il necessario mantenimento del legame con i membri della famiglia allargata). In tale prospettiva, In forza della normativa espressa dagli artt. 7 CdfUe, 8 Cedu e 18 della Convenzione di Istanbul, e delle pronunce della Cedu in materia, una pronuncia di stato di abbandono di un minore non può essere in alcun caso fondata sullo stato di sudditanza e di assoggettamento fisico e psicologico in cui versi uno dei genitori, per effetto delle reiterate e gravi violenze subite dall'altro (Cass. S.U., n. 35110/2021). 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