Legge - 4/05/1983 - n. 184 art. 73

Mauro Di Marzio

 

Chiunque essendone a conoscenza in ragione del proprio ufficio fornisce qualsiasi notizia atta a rintracciare un minore nei cui confronti sia stata pronunciata adozione o rivela in qualsiasi modo notizie circa lo stato di figlio adottivo è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire 200.000 a lire 2.000.0001 2.

Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni.

Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche a chi fornisce tali notizie successivamente all'affidamento preadottivo e senza l'autorizzazione del tribunale per i minorenni.

[2] Comma modificato dall'articolo 100, comma 1, lettera cc), del Dlgs. 28 dicembre 2013 n. 154 a decorrere dal 7 febbraio 2014 come indicato dall' articolo 108, comma 1, del citato decreto.

Inquadramento

Nel quadro della complessiva legislazione in materia di adozione, dirette a tutelare l'interesse del minore ad una famiglia, si collocando le norme incriminatrici penali previste dagli artt. 70-73 l. n. 184/1983.

Omessa denuncia dello stato di abbandono

La previsione dettata dal comma 1 dell'art. 70 l. n. 184/1983 è volta a tutelare l'osservanza da parte dei soggetti a ciò tenuta provvedere alla segnalazione dello stato di abbandono.

Viene richiamata la previsione dell'art. 328 c.p., a fronte del quale la fattispecie in esame presenta un carattere di plurioffenvisità, giacché posta a tutela, oltre che del buon andamento della pubblica amministrazione, dell'interesse del minore a che la sua situazione di abbandono venga segnalata all'autorità giudiziaria. È' reato proprio, perché posto in essere da pubblici ufficiali, incaricati di pubblico servizio ed esercenti un servizio di pubblica necessità, in quali, nello svolgimento delle loro funzioni, vengano a conoscenza della situazione di abbandono.

La disposizione va posta in relazione con l'obbligo previsto dall'art. 8, comma 2, l. n. 184/83 di riferire al più presto della situazione di abbandono al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni. La conoscenza della condizione di abbandono del minore al di fuori delle funzioni svolte non determina l'operatività dell'obbligo e non comporta conseguentemente l'applicazione della sanzione penale.

Omessa trasmissione di elenchi ed informazioni inesatte

La previsione dettata dal comma 2 dell'art. 70 l. n. 184/1983 concerne i rappresentanti degli istituti di assistenza pubblici o privati che omettono di trasmettere semestralmente alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni l'elenco di tutti i minori ricoverati o assistiti, ovvero forniscono informazioni inesatte circa i rapporti familiari concernenti i medesimi.

Si tratta nuovamente di reato proprio, posto in collegamento con la qualifica dei soggetti attivi, da porsi in correlazione con l'obbligo di cui all'art. 9, comma 3, l. 184/1983 imposto agli istituti di assistenza pubblici o privati di trasmettere semestralmente al procuratore della repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo ove hanno sede l'elenco di tutti i minori collocati presso di loro con l'indicazione specifica, per ciascuno di essi, della località di residenza dei genitori, dei rapporti con la famiglia e delle condizioni psicofisiche del minore stesso.

Abusivo affidamento di minori

L'affidamento abusivo si presenta in diverse figure. È punito:

-) chiunque, in violazione delle norme di legge in materia di adozione, affida a terzi con carattere definitivo un minore, ovvero lo avvia all'estero perché sia definitivamente affidato

-) coloro che, consegnando o promettendo denaro od altra utilità a terzi, accolgono minori in illecito affidamento con carattere di definitività;

-) chiunque svolga opera di mediazione al fine di realizzare l'affidamento in violazione delle norme di legge in materia di adozione;

-) chiunque, per procurarsi denaro o altra utilità, in violazione delle disposizioni della legge sull'adozione, introduce nello Stato uno straniero minore di età perché sia definitivamente affidato a cittadini italiani.

Non integra il delitto di riduzione in schiavitù la condotta di chi concorra — come venditore, acquirente o intermediario — nella compravendita di un essere umano (nella specie: un minore di circa dieci anni), al fine del suo inserimento come figlio nel nucleo familiare degli acquirenti, non essendo configurabile, in tal caso, l'esercizio di un potere corrispondente al diritto di proprietà, che, implicando la reificazione della vittima, ne comporta ex se lo sfruttamento, trattandosi invece di una condotta finalizzata all'inserimento della stessa vittima in una famiglia «uti filius». (Cass. pen. n. 1797/2015, che ha escluso, altresì, la sussistenza sia del reato di cui all'art. 567 c.p. — poiché per la sua configurabilità è necessario che la sostituzione abbia ad oggetto un neonato — sia dei delitti previsti dagli artt. 71,72 e 72-bis della legge 4 maggio 1983, n. 184, non essendo finalizzata la condotta all'espletamento di una irregolare pratica di adozione ovvero ad una qualsiasi forma di affidamento di minore vietata dalle disposizioni in materia; nello stesso senso Cass. pen. n. 1795/2016; Cass. pen. n. 1796/2016; Cass. pen. n. 1799/2016; Cass. pen. n. 1800/2016).

Configura il reato di «alterazione di stato» (art. 567 c.p.) e non quello previsto dall'art. 71 l. n. 184 del 1983, la condotta di chi riceve un minore uti filius attraverso il falso riconoscimento della paternità naturale, sia pure verso il pagamento di una somma di denaro o di altra utilità, in quanto tale ultima ipotesi delittuosa sanziona la condotta di cedere in affidamento il minore e non invece quella di riceverlo, laddove la previsione di cui al comma 5 dell'art. 71 legge cit., che estende la sanzione a chi riceve il minore in illecito affidamento con carattere di definitività, riguarda, l'attività di fatto preordinata ad una futura adozione (Cass. pen. n. 40610/2012). La condotta di chi riceve un minore uti filius attraverso il falso riconoscimento della paternità naturale, sia pure verso il pagamento di una somma di denaro od altra utilità, integra il reato di alterazione di stato (art. 567 c.p.) e non quello di cui all' art. 71 l. 4 maggio 1983, n. 184, il quale — pur non essendo reato proprio —, sanziona non la attività che consiste nel ricevere ma quella che consiste nel cedere in affidamento il minore o nell'avviarlo all'estero, mentre la previsione del comma 5 dell'art. 71, che estende la sanzione a chi riceve il minore in illecito affidamento con carattere di definitività, ha ad oggetto soltanto l'attività di fatto preordinata ad una futura adozione (Cass. pen. n. 39044/2004). L'alterazione dello status filiationis (vale a dire lo spostamento del naturale rapporto di procreazione) avviene quando, nella formazione dell'atto di nascita del neonato, s'inserisce un dato non veritiero sull'identità, sulla discendenza, sulla qualità di figlio legittimo o naturale, sul sesso ecc., mediante false attestazioni o altre falsità. La qualità di figlio, infatti, compete non già per un atto di autonomia privata del genitore, il quale non può disporre dello stato familiare del bambino, ma in quanto ricorra nella realtà il rapporto naturale di discendenza. Per la integrazione del delitto, inoltre, è sufficiente il dolo generico, cioè la contemporanea presenza nell'agente della consapevolezza della falsità della dichiarazione, della volontà di effettuarla e della previsione dell'evento di attribuire al neonato uno stato civile diverso da quello spettategli secondo natura. La fattispecie relativa ad alterazione di stato di un neonato da parte di due coniugi, avendo il marito falsamente dichiarato — in sede di formazione dell'atto di nascita — la sua paternità naturale, quale frutto di una relazione extraconiugale con una non meglio identificata donna ed avendo, poi, la moglie chiesto l'adozione del neonato medesimo, ai sensi dell'art. 44 lett. b), l. n. 184 del 1983 (Cass. pen. n. 17627/2003).

Rivelazione di notizie sulla provenienza del minore adottato

L'art. 73 l. 184/1983 punisce la rivelazione di notizie idonee a rintracciare un minore nei cui confronti sia stata pronunciata adozione ovvero la rivelazione in qualsiasi modo di notizie circa lo stato di figlio adottivo, in mancanza di autorizzazione dal tribunale per i minorenni.

La norma è volta a tutelare il nuovo status di filiazione del minore all'ionterno della famiglia adottiva.

Bibliografia

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