Codice Civile art. 306 - Revoca per indegnità dell'adottato.

Francesco Bartolini

Revoca per indegnità dell'adottato.

[I]. La revoca dell'adozione può essere pronunziata dal tribunale su domanda dell'adottante, quando l'adottato abbia attentato alla vita di lui o del suo coniuge, dei suoi discendenti o ascendenti, ovvero si sia reso colpevole verso loro di delitto punibile con pena restrittiva della libertà personale non inferiore nel minimo a tre anni.

[II]. Se l'adottante muore in conseguenza dell'attentato, la revoca dell'adozione può essere chiesta da coloro ai quali si devolverebbe l'eredità in mancanza dell'adottato e dei suoi discendenti.

Inquadramento

L'art. 306, primo comma, riferisce il termine «indegnità» utilizzato nella rubrica ad una fattispecie ben precisa, costituita da fatti di rilievo penale posti in essere dall'adottato. Questi fatti sono costituiti dall'aver attentato alla vita dell'adottante o del suo coniuge o dei suoi discendenti o ascendenti; o dall'essersi reso colpevole verso costoro di un delitto punibile con pena restrittiva della libertà personale non inferiore nel minimo a tre anni. L'indegnità presa in considerazione dalla norma è dunque una circostanza che contrassegna negativamente la persona dell'adottato per motivi diversi da quelli concernenti l'indegnità a succedere (art. 463 c.c.) o l'ingratitudine verso il donante (art. 801 c.c.).

Rispetto all'indegnità a succedere e all'ingratitudine, la revoca di cui alla norma in esame è più radicale, in quanto i suoi effetti si estendono anche ai discendenti. Ove si fosse fatta valere una delle circostanze di cui all'art. 463, si osserva (Coppola, 737), dalla successione dell'adottante sarebbe stato escluso l'adottato, in quanto indegno, ma non anche i suoi discendenti, che verrebbero all'eredità per rappresentazione.

La dottrina concorda nel considerare le ragioni di revoca dell'adozione tassative e non estensibili in via di interpretazione (Collura, 1155; Giusti, 587; Campanato-Rossi, 90; Procida Mirabelli di Lauro, 576; Sbisà-Ferrando, 277).

La ratio della disposizione è generalmente ravvisata nell'imposizione di una sanzione a carico dell'adottato resosi colpevole di un fatto delittuoso nei confronti di un soggetto che gli ha conferito un preciso status giuridico di favore. Per questa ragione si afferma che non occorre un accertamento di colpevolezza con sentenza penale passata in giudicato e che il fatto lesivo può essere accertato anche in sede civile. Sempre per la stessa ragione si ritengono irrilevanti la prescrizione e l'amnistia (Dogliotti, 264). La disposizione dettata dall'art. 306 è comunque interpretata in senso restrittivo: deve escludersene l'applicazione nel caso di delitto colposo e nei casi di non imputabilità del soggette agente come disciplinati dal diritto penale. Si afferma, inoltre, che il delitto deve riguardare le persone dell'adottante e degli altri soggetti indicati dall'art. 306, negli aspetti della loro integrità fisica e psichica: non varrebbero a costituire causa di revoca i delitti contro il patrimonio (Dogliotti, 249), fatta eccezione per quelli in cui è elemento costitutivo la violenza, fisica o contro la libertà morale della vittima: quali la rapina (art. 628 c.p.), l'estorsione (art. 629 c.p.) e il sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.).

Il fatto penalmente rilevante e determinante ai fini della revoca deve essere compiuto dopo la  pronuncia dell'adozione, in quanto è assunto dalla legge a motivo della revoca di una adozione già compiuta e non è preso in considerazione al diverso fine di legarvi il consenso all'adozione o la pronuncia del relativo provvedimento. In queste fasi, il fatto che sia stato tenuto un comportamento delittuoso è circostanza che deve essere valutata da colui che si appresta ad adottare il soggetto autore dell'evento lesivo nonché dal giudice, per quanto concerne il suo potere-dovere di apprezzare la convenienza dell'adozione.

Le disposizioni dettate dall'art. 306 non specificano se il coniuge debba essere convivente o possa essere anche separato, legalmente o di fatto. Può dirsi che non sussiste la causa di revoca se la condotta lesiva è manifestata in danno del coniuge divorziato, dell'ex coniuge nel caso di matrimonio annullato o in ipotesi di matrimonio religioso non trascritto. La dottrina propende a ritenere che tranne per queste specifiche ipotesi le vicende del rapporto coniugale non hanno rilevanza, in quanto non sono idonee a far venir meno la qualità di «coniuge». Sono state espresse opinioni diverse a proposito della convivenza more uxorio, a seconda che si richiamino le esigenze di tutelare i vincoli di affetto e di solidarietà o si insista sulle diversità che dividono questa situazione di fatto da quella formale del matrimonio. Uno spunto interpretativo può essere fornito dalla disciplina dettata dalla l. 20 maggio 2016, n. 76, per regolare le convivenze di fatto iscritte nei registri anagrafici (art. 1, commi 36 e ss.). Una convivenza di questo genere non fa acquisire uno status specifico ma conferisce ai soggetti che ne sono parte una serie di diritti che la legge enumera ed elenca con indicazione tassativa. In questo contesto, la considerazione dimostrata dal legislatore verso la situazione di fatto dei conviventi induce a ritenere che la convivenza suddetta possa essere compresa tra le  relazioni personali che l'art. 306 ha considerato meritevoli di tutela ai fini della revoca dell'adozione.

Legittimazione alla richiesta di revoca

La revoca può essere chiesta soltanto dall'adottante. La legittimazione attiva circoscritta alla sua persona è indice della stretta personalità del rapporto ed è riflesso della consensualità reciproca dalla quale ha origine il rapporto adottivo. I diversi soggetti passivi del reato che è occasione della revoca (coniuge, ascendenti, discendenti) non hanno, nonostante questa loro veste, legittimazione all'istanza di revoca dell'adozione; né potrebbe farne domanda il pubblico ministero. Ove l'adottante sia divenuto incapace, soccorrono gli istituti di protezione: tutela e curatela (per una parte della dottrina l'inabilitato potrebbe agire anche senza l'assistenza del curatore, in quanto l'azione non lo espone ad un grave pregiudizio: Dogliotti, 251).

Regole diverse valgono nel caso in cui l'attentato alla vita dell'adottante riesca e conduca alla sua morte. Estinta la sua persona, la revoca dell'adozione può essere chiesta da coloro ai quali si devolverebbe l'eredità in mancanza dell'adottato e dei suoi discendenti. Il secondo comma dell'art. 305, che così dispone, precisa che questa legittimazione sussiste (e che ricorre la causa della revoca) quando la morte dell'adottante avviene in conseguenza dell'attentato. Deve dunque esistere un nesso di causalità diretto tra la condotta tenuta dall'adottato e il successivo decesso dell'adottante (Procida Mirabelli di Lauro, 582). La revoca, si afferma, non può essere chiesta se l'adottante aveva tenuto un comportamento incompatibile con la volontà di far revocare l'adozione.

I successori a titolo universale possono proseguire l'azione che fosse stata iniziata dall'adottante nel frattempo deceduto.

Effetti della revoca

Per effetto della revoca, l'adottato perde lo stato di figlio adottivo dell'adottante. In conseguenza, perde il diritto di portarne il cognome, i diritti successori e alimentari. Cadono gli impedimenti al matrimonio e può essere preclusa la partecipazione all'impresa familiare. Questi effetti si producono dal momento del passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la revoca.

Bibliografia

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