Codice Civile art. 337 ter - Provvedimenti riguardo ai figli 1 .

Annachiara Massafra

Provvedimenti riguardo ai figli 1.

[I]. Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

[II]. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, nei procedimenti di cui all'articolo 337-bis, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori , in particolare qualora raggiunti all'esito di un percorso di mediazione familiare. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l'affidamento familiare. All'attuazione dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole provvede il giudice del merito e, nel caso di affidamento familiare, anche d'ufficio o su richiesta del pubblico ministero. [A tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare]2.

[III]. La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale separatamente. Qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuterà detto comportamento anche al fine della modifica delle modalità di affidamento.

[IV]. Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:

1) le attuali esigenze del figlio.

2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.

3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.

4) le risorse economiche di entrambi i genitori.

5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

[V]. L'assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.

[VI]. Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.

 

[1] Articolo inserito dall'art. 55, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154. Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014.

[2] Comma modificato dall'art. 1, comma 5, lett. a), d.lgs.  10 ottobre 2022, n. 149 che ha inserito le parole  «, in particolare qualora raggiunti all'esito di un percorso di mediazione familiare» dopo le parole «degli accordi intervenuti tra i genitori»  e le parole «o su richiesta del pubblico ministero» sono state aggiunte in fine al quinto periodo e soppresso il sesto periodo (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149/2022, il citato decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n. 197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

Inquadramento

La riforma della filiazione ha dettato un'unica disciplina degli effetti relativi ai figli nei casi di separazione, divorzio, cessazione della convivenza more uxorio, annullamento e nullità del matrimonio. Detta disciplina è stata collocata in un autonomo ambito nel capitolo secondo del nono titolo del libro primo del codice civile (così Bianca C.M., 2014, 237). La norma in esame, in particolare, è stata inserita dall'art. 55 comma 1 del d.lgs. n. 154/2013, e riproduce, pressoché integralmente, il testo del previgente art. 155 c.c., aggiungendovi alcune significative novità tra cui il riconoscimento del diritto del minore all'assistenza morale riconosciuto anche negli artt. 147 e 315-bis c.c.

Attraverso gli ultimi interventi legislativi la disposizione in commento è stata così armonizzata con le altre norme del codice civile, anch'esse oggetto di «revisione» da parte del legislatore, che disciplinano i diritti del figlio in un'ottica tesa a consacrarne l'unicità dello status, eliminando ogni residua disparità di trattamento esistente tra i figli nati nel matrimonio e fuori di esso. L'art. 337-ter c.c., inoltre, contiene alcune significative novità (in ordine alle quali si rinvia ai paragrafi successivi) mutuate dall'art. 6 della l. n. 898/1970, con l'obiettivo di porre fine alla diversità esistente in passato tra la disciplina della separazione e quella del divorzio riguardo alla prole (sul punto Morace Pinelli, 2014, 177; in merito si vedano anche: Ruscello, 630; Velletti, 1013; Danovi, 2013, 620; Bianca C.M., 2006, 679 con riferimento alla disciplina previgente). 

Il diritto alla bigenitorialità

Nel comma 1 della disposizione in commento vengono elencati i diritti fondamentali spettanti al figlio minore che devono essere tutelati, preservati ed attuati anche laddove la famiglia si sia disgregata.

Il comma 1, in particolare, disciplina e riconosce i diritti del figlio, enunciati e previsti in altre disposizioni del codice quali gli artt. 315-bis, 316, 316-bis e 147 c.c., e, soprattutto, riconosce il diritto soggettivo perfetto del figlio alla bigenitorialità (in merito, prima dell'ultima novella legislativa: Ruscello, 630). Tale diritto era già stato esplicitamente previsto e riconosciuto dall'art. 9 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 (ratificata dall'Italia con l. n. 176/1991), onde si potrebbe essere indotti a ritenere che la norma in commento, con particolare riferimento al citato riconoscimento, non abbia una reale portata innovativa.

La dottrina, tuttavia, ha evidenziato che, attraverso l'introduzione dell'art. 337-ter  c.c., vi sia stato un radicale mutamento di prospettiva che ha portato ad individuare quale interesse prevalente e fondamentale quello del minore a mantenere, nonostante la crisi del rapporto genitoriale e la disgregazione del nucleo familiare, un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, che si concreta nel ricevere cura, istruzione ed assistenza morale da entrambi, dovendosi garantire la continuità degli effetti che la separazione tra i genitori è in astratto in grado di minare (Morace Pinelli 695 che sottolinea come la riforma abbia consolidato il modello dell'affidamento condiviso; Sesta, 2012, 11; Sesta 2006, 377 con riferimento alla disciplina previgente; in merito altresì Bianca C.M., 2014, 337; Bianca C.M., 2006, 679 con riferimento alla disciplina previgente.

Al solenne riconoscimento del diritto alla bigenitorialità, contenuto nel comma 1 dell'art. 337-ter c.c., consegue l'individuazione, da parte del legislatore, dello strumento ritenuto più idoneo a garantirne l'attuazione. Tale strumento, «nel caso di disgregazione della famiglia, coincide oggi con il nuovo, e prevalente, modello dell'affidamento condiviso del minore, già previsto dal legislatore con la riforma del 2006, che chiama i genitori ad una effettiva, condivisa responsabilizzazione verso i figli» (Morace Pinelli, 698). È stato così superato il principio, esistente nel previgente sistema normativo (ante 2006), secondo cui la decisione relativa all'affidamento veniva sì fondata sulla necessità di tutelare l'interesse morale e materiale del minore ma questo interesse veniva fatto coincidere esclusivamente con «l'individuazione del genitore più idoneo a ridurre i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare mentre, con le ultime riforme è stato confermato il primato dell'affidamento condiviso» (Arceri, 2015, 1253; si veda altresì, con riferimento ai limiti dell'affidamento esclusivo antecedentemente alla riforma del 2006, Sesta, 2012, 7).

La giurisprudenza di legittimità, difatti, prima del riconoscimento del primato dell'affidamento condiviso (consacrato dall'ultima novella legislativa del 2013), aveva applicato, relativamente all'affidamento dei minori, il criterio cd. «del danno minore» in forza del quale, in un sistema imperniato sull'affidamento esclusivo, il Giudice doveva individuare il genitore più idoneo a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il miglior sviluppo possibile del minore e della sua personalità (ex multis, Cass. I, n. 14840/2006; nel medesimo senso Cass. I, n. 5714/2002; Cass. I, n. 6312/1999). La posizione del genitore affidatario era quindi configurata come un munus e la regolamentazione del diritto di visita come uno strumento in forma affievolita o ridotta per l'esercizio del fondamentale diritto-dovere di entrambi i genitori di mantenere, istruire, educare i figli (Cass. I, n. 5714/2002). La prospettiva nella quale si colloca oggi la giurisprudenza di legittimità è quella di riconoscere il primato dell'affidamento condiviso e di garantire, attraverso lo stesso il diritto alla bigenitorialità del minore «inteso quale presenza comune di entrambe le figure parentali nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, avendo il genitore il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione» (in questo senso Cass. VI, n. 18817/2015).

In quest'ottica l'affidamento condiviso non può ritenersi precluso dalla oggettiva distanza esistente tra i luoghi di residenza dei genitori, potendo detta distanza incidere soltanto sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascun genitore (Cass. IV, n. 24526/2010; da ultimo Cass I. n. 21054/2022). Né quindi la pronuncia di addebito della separazione, così come l'eventuale violazione dell'obbligo di mantenimento verso i figli, può precludere, automaticamente, l'affidamento condiviso dovendosi effettuare una valutazione in concreto della condotta posta in essere (circa la violazione dei doveri derivanti dal matrimonio, Cass. I, n. 17089/2013; circa la violazione dell'obbligo di mantenimento Cass. VI. n. 21282/2015; in merito all'impossibilità che l'appartenenza ad un'etnia di minoranza possa incidere sulle modalità di affidamento, Cass. I, n. 4936/1991).

Diritto alla bigenitorialità: affidamento condiviso e conflittualità genitoriale

Il mutamento di prospettiva è evidente con particolare riferimento alla fattispecie riguardante coniugi altamente conflittuali, la cui condotta in astratto potrebbe apparire incompatibile con un affidamento condiviso.

Uno dei problemi più rilevanti nella pratica, una volta riconosciuto il primato dell'affidamento condiviso, è infatti dato dalla circostanza secondo cui il diritto alla bigenitorialità potrebbe essere ostacolato nella sua concreta attuazione dalla elevata conflittualità esistente tra i genitori. Anche se il Tribunale dovesse decidere di affidare il minore ad entrambi i genitori, la loro conflittualità potrebbe rendere difficile, se non impossibile, l'esercizio della responsabilità genitoriale con grave danno per il minore e per la sua serena crescita.

A tal riguardo, in dottrina si sono registrati, nella vigenza della l. n. 54 del 2006 ma tuttora attuali, due distinti orientamenti.

Taluni hanno evidenziato che un affidamento condiviso, in caso di riscontrata elevata conflittualità, sarebbe concepito in un'ottica impositiva anziché promozionale, evidenziando in particolare che il modello previsto dal legislatore, qualunque esso sia, presuppone una partecipazione attiva da parte dei soggetti che devono realizzarlo ed una «gestione aconflittuale della crisi» (Rossi Carleo, 6). L'istituto in esame non potrebbe quindi determinare risultati positivi nel caso in cui tra i genitori sussista una conflittualità tale da precludere quel minimo di comunicazione funzionale alla «suddivisione delle funzioni genitoriali» (Bugetti, 139, la quale, pur non ritenendo che la conflittualità tra coniugi possa essere il «parametro discretivo della tipologia di affidamento più consona al caso di specie», afferma che debba comunque preferirsi l'affidamento esclusivo laddove i genitori siano del tutto incapaci di elaborare un progetto educativo condiviso per il figlio).

Accanto a tale posizione, vi è chi, al contrario, ha evidenziato che escludendo l'applicabilità dell'affidamento condiviso in situazioni conflittuali si frusterebbe la finalità programmatica e si giungerebbe ad escludere l'applicazione dell'istituto proprio nei casi in cui è maggiormente necessario. Peraltro, attribuire alla conflittualità il ruolo di linea di discrimine tra una forma di affidamento e l'altro si presterebbe alle condotte strumentali di uno dei coniugi tese ad ottenere l'affidamento esclusivo dei figli (Manera, 99). Seguendo quest'ultima impostazione, autorevole dottrina evidenzia che si giungerebbe ad escludere l'affidamento condiviso proprio nelle ipotesi in cui lo stesso costituirebbe lo strumento più idoneo a garantire al minore il diritto alla bigenitorialità (Arceri, 2015,1259).

La volontà del genitore, quindi, sembrerebbe il caso di aggiungere in questa sede, non può e non deve essere il discrimine tra l'affidamento condiviso e l'affidamento esclusivo: solo l'interesse superiore del minore deve costituire il faro che deve orientare le scelte dell'interprete nell'individuare le modalità di tutela dei suoi interessi fondamentali, tra cui quello della bigenitorialità.

In questo senso si pone la giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha infatti affermato che la conflittualità, di per sé, non rappresenta una controindicazione all'affidamento condiviso e che la duttilità del contenuto del provvedimento di affidamento è tale da consentire al Giudice di modulare i tempi e le modalità di permanenza nonché di spartire le rispettive attribuzioni a seconda del grado di collaborazione e di comunicatività riscontrato nella ex coppia (sul punto: Cass. I, n. 7477/2014; Cass. I, n.1777/2012).

La Corte di Cassazione è tornata a ribadire che l’affidamento condiviso non esclude la possibilità di collocare il minore stabilmente presso un solo genitore, con la previsione di uno specifico regime di visita con l'altro genitore; nel dettaglio è stato specificato che il principio della bigenitorialità deve essere coniugato con il preminente interesse del minore ad una crescita serena ed armoniosa, che, in una situazione di disgregazione familiare, può essere tutelato anche dalla collocazione stabile presso il genitore con il quale il minore abbia in precedenza convissuto e che possa garantirgli una maggiore attenzione, in quanto più idoneo a prendersi cura del medesimo, garantendo al contempo al genitore non collocatario ampi periodi di tempo per tenere il figlio presso di sé (Cass. VI, n. 25134/2018). Ciò, peraltro, è stato statuito in una fattispecie connotata da forte conflittualità e mancanza di collaborazione tra i genitori, nella quale era stato confermato il collocamento della prole presso l’abitazione materna, in forza del legame stabile e positivo con la genitrice, con la quale il minore aveva convissuto, ed in forza di un rapporto con la figura paterna che avrebbe dovuto costituirsi gradualmente.

La mera conflittualità tra i coniugi, che spesso connota i procedimenti di separazione, quindi non preclude il ricorso al regime preferenziale dell'affidamento condiviso ma ciò è possibile solo se essa si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole, assumendo invece connotati ostativi alla relativa applicazione, ove «si esprima in forme atte ad alterare e a porre in serio pericolo l'equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli», e, dunque, tali da pregiudicare il loro interesse (Cass. I, n. 5108/2012;Cass. I, n. 18559/2016, relativa ad una fattispecie ove le condotte poste in essere erano particolarmente gravi ed integranti reati  sul punto altresì Cass. I. n. 6535/2019).

Diritti all'assistenza morale ed alla conservazione dei rapporti con ascendenti e parenti di ciascun ramo genitoriale

Costituisce una significativa novità, introdotta dalla riforma di cui alla l. n. 219 del 2012, ed al relativo decreto attuativo 28 dicembre 2013, n. 154, il riconoscimento del diritto del minore a crescere in famiglia, a mantenere rapporti con i parenti ed il diritto all’assistenza morale da entrambi i genitori.

E’ stato evidenziato, come la l. n. 219 del 2012 non ha inteso avallare la presenza tra due genitori di un «ufficiale pagatore, di cui non vi è traccia nella vita del figlio se non in considerazione di una continua erogazione di denaro, ed ha inteso stimolare una maggiore presenza del genitore nella vita» del minore (così Arceri, 2015, 1272).

Quest’ultimo assume particolare rilevanza ove si consideri che affermare che il minore abbia il diritto all’assistenza morale vuole dire che è stato di fatto positivizzato il diritto ad essere amato dai propri genitori.

Il particolare il diritto del figlio all’assistenza morale può definirsi come «il diritto a ricevere l’apporto di affetto necessario ai fini della crescita e della maturazione della propria persona» (Spaziani, 70, l’autore in merito ricostruisce i presupposti dogmatici per riconoscere un vero e proprio «diritto soggettivo all’amore»). Tra gli interessi essenziali del minore si pone, infatti, in primo piano quello a ricevere quella carica affettiva di cui l’essere umano non può fare a meno nel tempo della sua formazione (Bianca C.M., 2014, 335).

Sicché, si può in conclusione ritenere che il riconoscimento di un diritto implichi cha la sua violazione (così come quella degli altri doveri gravanti sul genitore) sia fonte di responsabilità, legittimando il minore, attraverso il proprio rappresentante legale, ad agire per ottenere il risarcimento del danno patito per essere stato privato dell’assistenza morale del genitore.

In quest’ultimo senso si è pronunciata la Suprema Corte riconoscendo, con riferimento a differenti condotte attive od omissive, la violazione dei doveri gravanti sul genitore ex artt. 30 Cost., 147 c.c. e 315-bis c.c. e la conseguente lesione di diritti fondamentali del minore.

In particolare il Supremo consesso ha affermato, in una fattispecie relativa ad un genitore disinteressatosi per anni della prole, che la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitore verso i figli non trova sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, «potendo integrare gli estremi dell’illecito civile ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti» (Cass. I, n. 5652/2012). Nei casi di cui innanzi la descritta condotta del genitore è stata ritenuta elemento costitutivo di «illecito endofamiliare» (Cass. I, n. 9801/2005; Cass. I, n. 5652/2012; Cass. I, n. 26205/2013; Cass.VI-III, n. 3079/2015, quest’ultima in Giur. it., 2015, 2333, con nota di Daniela).

Il minore cresce e forma la sua identità personale attraverso l’imprescindibile apporto di entrambe le figure genitoriali, senza le quali egli verrebbe privato della famiglia, quale ambiente basilare, società naturale all’interno della quale i singoli si costruiscono come adulti e come persone. Trattasi di una situazione giuridica di rango primario e, come tale, suscettibile di ristoro, anche non patrimoniale (2059 c.c.), in caso di lesione, venendo in rilievo situazioni giuridiche tutelate dalla Costituzione (Cass. S.U., n. 26972/2008; Cass. I, n. 26140/2023; Cass. n. 34986/2022, Sez. I, n. 15148/2022).

In questo senso si è recentemente espresso anche il Tribunale di Milano, condannando un padre al risarcimento del danno non patrimoniale (pari a 100.000,00 euro) subito dal figlio quale conseguenza della «deprivazione della figura paterna», per essersi il genitore rifiutato di avere qualsiasi contatto con il figlio gravemente disabile (Trib. Milano, n. 2938/2017, in fattispecie nella quale ha agito in giudizio la madre in qualità di amministratore di sostegno del figlio disabile; sul punto si vedano altresì: Trib. Asti, 25 luglio 2017; Trib. Venezia, 30 giugno 2004; Trib. Roma, 19 maggio 2017, in Ilcaso.it).

Il principio di cui innanzi sembra essere ribadito dall’art. 337-ter, comma 1, c.c. anche per l’ipotesi di crisi familiare, sancendo il diritto del minore a conservare i rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti (di cui alla nuova formulazione dell’art. 74 c.c.) di ciascun ramo genitoriale, (già riconosciuto dall’art. 155 c.c. come modificato dalla l. n. 54 del 2006).

Tale riconoscimento è stato proceduto da una sapiente opera interpretativa della giurisprudenza e della dottrina.

Già prima della novella legislativa, la giurisprudenza di legittimità ha infatti ritenuto possibile, in assenza di una specifica previsione legislativa, che il giudice, in considerazione del particolare rilievo che assume il rapporto tra gli ascendenti ed il minore, possa comunque regolamentare i rapporti nonni-nipoti, senza però riconoscere un vero e proprio diritto soggettivo in capo agli ascendenti (Cass. I, n. 9606/1998, in Fam. dir., 1999, I, 17 con nota di Di Marzo).

Dal canto suo anche la dottrina ha evidenziato l’importanza, per una crescita equilibrata, del rapporto tra minore ed ascendenti e, già prima della riforma, così ritenendo esistente una posizione giuridica meritevole di tutela, da taluni già qualificata quale «diritto soggettivo del minore all’affetto dei familiari da esercitarsi nei confronti dei genitori e dei prossimi congiunti» (in questo senso Bianca C.M., 2006, I, 172).

La voluta armonizzazione di tutte le disposizioni contenute nella sezione in commento è evidente: a fronte del diritto del minore testé indicato vi è la disposizione, speculare, contenuta nel nuovo art. 317-bis c.c. che consente agli ascendenti di preservare il rapporto con i nipoti rivolgendosi al Tribunale per i minorenni.

Sul punto sembra il caso di sottolineare che la relazione illustrativa al d.lgs. n. 154 del 2013 ha evidenziato la circostanza per la quale la scelta di attribuire al Tribunale per i minorenni la competenza in merito a tali controversie è stata operata in ossequio all’orientamento giurisprudenziale riconducente le stesse all’art. 333 c.c. Già prima dell’introduzione degli artt. 317-bis c.c. e 337-ter, c.c. (che ha sostituito l’art. 155 c.c.) gli ascendenti erano, e sono tuttora, legittimati ad agire ex artt. 333 e 336 c.c.in caso di condotte pregiudizievoli poste in essere dal genitore. In ipotesi di condotte ostacolanti poste in essere dai genitori, gli ascendenti possono ricorrere al Tribunale per i minorenni del luogo di dimora abituale del minore perché vengano adottati i provvedimenti di cui all’art. 317-bis c.c. (sul punto si veda Corder, 113, il quale rimarca l’importanza dell’avvenuta individuazione del Giudice competente per le questioni relative agli ascendenti in seguito alla novella dell’art. 38 disp. att. c.c.).

Ci si è chiesti, tuttavia, se la consacrazione del diritto del minore ad avere rapporti significativi con gli ascendenti conferisca a questi ultimi la legittimazione ad agire nei giudizi di cui agli artt. 337-bis e ss. c.c.

A fronte della tesi che esclude una tale legittimazione, sia in termini di intervento che di successiva impugnazione (Carrano, 164), parte della dottrina ha dato risposta positiva al quesito ritenendo ammissibile un intervento adesivo a sostegno delle ragioni del genitore che intenda far valere il diritto alla conservazione dei rapporti con gli ascendenti (Tommaseo, 291; contra Auletta, che esclude la legittimazione sia all’intervento che alla successiva impugnazione, 689 con riferimento alla previgente disciplina).

La tesi della legittimazione in capo agli ascendenti appare non aver trovato riscontro nelle decisioni che hanno affrontato direttamente la citata questione.

In particolare la Suprema Corte ha riconosciuto in capo agli ascendenti la titolarità di una posizione giuridica direttamente tutelabile. Essa evidenzia che l’art. 155 c.c. (nella sua formulazione, ratione temporis applicabile, ante novella del 2013), nel prevedere il diritto dei minori di conservare rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti di ciascun ramo genitoriale, «affida al giudice un elemento di ulteriore indagine e di valutazione nella scelta e nell’articolazione del provvedimenti da adottare in tema di affidamento nella prospettiva di una rafforzata tutela del diritto ad una serena crescita ed equilibrata ma non incide sulla natura e sull’oggetto dei procedimenti di separazione e divorzio» nonché sulle posizioni dei diritti delle parti coinvolte. Ciò comporta pertanto che non possano ravvisarsi diritti relativi all’oggetto o dipendenti dal titolo dedotto nel processo che possano legittimare un intervento degli ascendenti o di altri familiari nel giudizio, ai sensi dell’art. 105 c.c., nonché un interesse idoneo a fondare un intervento ad adiuvandum ai sensi dell’art. 105, comma 2, c.p.c. (Cass. I, n. 28902/2011; sul punto si veda altresì Cass. I, n. 22081/2009).

Altra questione posta all’attenzione della dottrina è quella relativa alla competenza ad emettere i provvedimenti di cui all’art. 317-bis c.c., durante la pendenza del Giudizio di separazione. È stato in particolare recentemente sottolineato che, ove sia pendente un giudizio di separazione, a seguito della modifica dell’art. 38 disp. att. c.c. (previgente), sarebbe opportuna la trattazione delle dette questioni da parte del Tribunale ordinario e non dal Tribunale per i minorenni. Ciò in quanto la ratio della norma deve essere rinvenuta nell’esigenza di fornire un’effettiva tutela all’interesse del minore, assicurando attraverso il simultaneus processus non solo una maggiore speditezza nella decisione ma anche uniformità e coerenza di giudizio (in questo senso: Morace Pinelli, 696; Velletti, 1013; Danovi, 2013, 620).

Scelta del genitore collocatario: principi e casistica

L'art. 337-ter c.c. dispone che il Giudice adotti i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa (sul punto Bianca C.M., 2014, 185; Arceri, 2007, 74).

L'interesse del minore costituisce, quindi, il principio informatore della decisione del giudice ma è lo stesso legislatore, tuttavia, che già individua le possibili soluzioni che possono essere adottate, predisponendo a tal fine un ordine di preferenza. Prioritariamente dovrà quindi disporsi l'affidamento condiviso e, solo in subordine, l'affidamento esclusivo (disciplinando in questo caso anche tempi e modalità di permanenza presso ciascun genitore). Del resto, anche il successivo art. 337-quater c.c. prevede che possa essere disposto l'affidamento esclusivo solo se l'affidamento condiviso si riveli contrario all'interesse del minore (questa modalità di affidamento è stata quindi correttamente ritenuta una soluzione eccezionale, Morace Pinelli, 751).

L'intervento del giudice, una volta stabilito l'affidamento condiviso del minore, sarà volto ad individuare il genitore collocatario, presso la cui abitazione è stabilita la residenza abituale dei figli, i tempi e modi di permanenza presso l'altro genitore anche se, tendenzialmente, al fine di realizzare compiutamente il diritto alla bigenitorialità è opportuno che il genitore non collocatario possa frequentare i figli liberamente nel rispetto delle loro esigenze (in questo senso Bianca C.M., 2014, 242).

L'affidamento condiviso, è stato osservato, non impone la spartizione paritaria dei tempi di permanenza di un figlio presso l'uno o l'altro genitore o una continua alternanza, altrimenti priverebbe il minore di un luogo stabile ove realizzare e conservare le proprie abitudini, prioritariamente tutelato proprio dal legislatore attraverso la disciplina dell'assegnazione della casa coniugale ( in questo senso Sesta, 2006, 382, con riferimento alla previgente disciplina; si veda, per una diversa prospettiva, Manera, 100).

Mentre l'affidamento condiviso tende a mantenere viva, in riferimento al rapporto tra genitori e figli, la comunità familiare, la collocazione della prole presso uno dei genitori è difatti il riflesso di un'esigenza pratica, essendo evidente che non è materialmente possibile né appare opportuno che il minore conduca la propria esistenza quotidiana presso entrambi i genitori, non più conviventi (in questo senso Cass. I, n. 26060/2014).

La necessità di tutelare e realizzare il superiore interesse del minore consente al Giudice di modulare i contenuti della decisione affinché si attaglino nel modo migliore possibile alla fattispecie concreta, alla situazione di quello specifico minore ed alle sue prevalenti esigenze.

Sicché, l'Autorità giudiziaria può individuare la modalità di affidamento più confacente alla situazione concreta e, in caso di affidamento condiviso, il genitore collocatario.

Con riferimento a questo specifico aspetto il giudizio prognostico che il giudice, nell'esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell'unione, va formulato in base ad elementi concreti.

In particolare, il Giudice deve valutare il modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, le rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché la personalità del genitore, le sue consuetudini di vita e l'ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore. Fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio  della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione.

Il principio di cui innanzi è stato applicato dalla Suprema Corte in una fattispecie nella quale il giudice di merito aveva ritenuto di collocare il minore (il cui affidamento era l'oggetto del giudizio) preferibilmente presso il genitore il cui nucleo familiare, in quanto composto esclusivamente da adulti, avrebbe potuto prestargli maggiori attenzioni, garantendo al contempo al genitore non collocatario, pur residente in altra città, ampi periodi di tempo per tenere il figlio presso di sé (Cass. I, n. 18817/2015).

Si pone altresì il problema di individuare il genitore collocatario nel caso in cui entrambi i genitori siano idonei ad educare la prole ed a garantire la conservazione del diritto alla bigenitorialità che assume particolare rilievo nel caso di genitori viventi in luoghi differenti. Il quesito giuridico si è posto, di recente, con riferimento ad una fattispecie nella quale la madre di due bambini in età scolare, per ragioni principalmente lavorative, si era trasferita in regione differente da quella ove aveva vissuto con il coniuge ed i figli fino alla disgregazione del rapporto coniugale (Cass. I, n. 18087/2016). La Suprema Corte nella specie ha statuito che, ove entrambi i genitori siano idonei ad educare i figli ed a preservare i rapporti con l'altro genitore, debba essere preferito il collocamento presso la madre, ed in concreto la detta preferenza è stata determinata dalla tenera età del minori in ragione della quale gli stessi sono stati collocati presso l'abitazione materna (in relazione al criterio c.d. del maternal preference anche nella giurisprudenza di merito si veda per una posizione diversa Trib. Milano, 19 ottobre 2016, in Ilfamiliarista.it).

Si specifica, peraltro, che lo «stabilimento e trasferimento della propria residenza e sede lavorativa costituiscono oggetto di libera e non conculcabile opzione dell'individuo, espressione di diritti fondamentali di rango costituzionale» e che, pertanto, il coniuge separato non perde, per tale ragione, la propria idoneità ad «avere in affidamento i figli minori o ad esserne collocatario» » (da ultimo Cass I. n. 21054/2022; in merito si veda altresì  Cass. I, n. 9633/2015 , la quale affronta anche le problematiche relative alla valutazione ed importanza per il minore del contesto amicale ed educativo, in considerazione anche dell'età e dell'importanza della «carica affettiva materna»).

La giurisprudenza di merito nell'ottica di individuare la soluzione, anche abitativa, più idonea a tutelare l'interesse del minore, ha disposto il collocamento alternato del minore, talvolta mediante il suo trasferimento, per periodi determinati, dall'abitazione di un genitore a quella dell'altro, talvolta disponendone la collocazione invariata, con alternanza nell'abitazione di entrambi i genitori (Trib. Ravenna, 21 gennaio 2015; Trib. Genova, 25 giugno 2015).

Tali scelte, in particolare quella adottata dal citato Tribunale di Genova, appaiono sensibili alla necessità di garantire al minore non solo la continuità degli effetti ma anche la continuità delle proprie abitudini, circostanza questa di particolare rilievo nell'ottica di tutela della serena ed equilibrata crescita, cercando tendenzialmente di realizzare, in mancanza di gravi ragioni ostative, una frequentazione dei genitori paritaria con il figlio anche se nell'interesse di quest'ultimo può determinare un assetto che si discosti da questo principio tendenziale, al fine di assicurare al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena (Cass. I. n. 19323/2020; si veda sul punto altresì Cass. I. n. 3652/2020).

Con riferimento al collocamento alternato la Suprema Corte si è peraltro espressa in senso sfavorevole atteso che devono essere tutelati l'interesse esclusivo del minore alla stabilità dell'ambiente domestico nonché il diritto ad avere una relazione significativa e costante con il genitore collocatario (Cass. I, n. 25418/2015).

L'affidamento del minore (anche a terzi) ed i provvedimenti che possono essere adottati per garantire i suoi diritti fondamentali

Essendo competente ad assumere provvedimenti riguardo alla prole, con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale della stessa, il giudice può stabilire che talune o tutte le decisioni relative ai figli minorenni siano prese dall'ente pubblico, così eludendo sia l'affidamento condiviso che quello esclusivo. In tal caso la decisione costituisce extrema ratio a tutela del superiore interesse del minore che, diversamente potrebbe essere pregiudicato qualora la responsabilità genitoriale fosse esercitata in tutto o in parte da uno o da entrambi i genitori.

In quest'ottica, deve ritenersi legittimo l'affidamento al Servizio sociale, in ragione della consumata violazione del diritto alla bigenitorialità e della conflittualità in atto tra i genitori (Cass. I, n. 11412/2014).

In questo caso, come nella maggior parte delle fattispecie per le quali viene disposto, l'affidamento all'ente trova la sua giustificazione nella necessità di evitare che la conflittualità esistente tra i genitori impedisca di fatto l'esercizio della responsabilità genitoriale, la tempestiva e condivisa assunzione di decisioni nel suo interesse, o lo renda particolarmente difficoltoso mediante il continuo intervento dell'autorità giudiziaria sulle questioni di maggiore importanza che riguardino il minore.

In tali circostanze l'affidamento a terzi, anche se non richiesto dalle parti, già prima degli interventi legislativi del 2012-2013, si riteneva potesse essere comunque pronunciato dal giudice della separazione, essendogli riconosciuto il potere di assumere provvedimenti più articolati i quali tali da farsi carico del contingente interesse dei minori, pur senza pretermettere radicalmente i genitori (Cass. I, n. 24907/2008; sul punto altresì Cass. I, 25290/2008 in tema di competenza a disporre l'affidamento al servizio sociale in pendenza del giudizio di separazione ante riforma). In forza di quanto previsto dal nuovo art. 38 disp. att. c.c., peraltro, tale potere è stato peraltro ulteriormente positivizzato.

Sempre con riferimento a decisioni volte alla tutela del superiore interesse del minore si richiama quella adottata dal Tribunale di Milano il 7 ottobre 2014 con la quale, in applicazione dell''art. 337-ter  comma 3, c.c. è stato disposto l'affidamento del minore di anni quindici all'ente con «collocamento protettivo» presso l'abitazione degli ascendenti, in quanto ritenuto il luogo più idoneo per garantire la serena ed equilibrata crescita del giovane, stante il suo rifiuto a vivere con la genitrice e la inidoneità del padre ad esercitare adeguatamente la responsabilità genitoriale.

Sempre in questo contesto si colloca la decisione del Tribunale di Roma che nell'ambito di procedimento di separazione ha sospeso entrambi i genitori dall'esercizio della responsabilità genitoriale, in applicazione degli artt. 333 e 337-ter  c.c., ed ha nominato il S un indaco pro tempore del Comune tutore del minore (Trib. Roma, 7 ottobre 2016, in Ilfamiliarista.it).

Le modalità dell'affidamento all'ente possono peraltro variare a seconda della situazione concretamente esistente, sicché potranno essere conferiti poteri in tema di decisioni ordinarie, di particolare rilevanza, relative alla salute ma non solo. Il Tribunale di Roma, in applicazione degli indicati principi, ha mantenuto la responsabilità genitoriale in capo ai genitori per le decisioni di ordinaria amministrazione mentre ha affidato il minore all'ente per le decisioni di maggiore rilievo inerenti all'istruzione scolastica, la salute e lo sport (Trib. Roma, 20 maggio 2015, in Ilfamiliarista.it).

L'art. 337-ter c.c. dispone, a differenza dei previgenti artt. 155 c.c. e 155-bis c.c. (che disciplinavano anche ipotesi non temporalmente limitate) testualmente che il giudice “adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità ad affidare il minore ad uno dei genitori, l'affidamento familiare”.

Questa disposizione, inizialmente contenuta nell'art. 6, comma 8, della l. n. 898 del 1970, con la riforma della filiazione è stata collocata nella disposizione in commento così rendendo omogenea la disciplina.

Nel recente passato, ma la questione appare tuttora controversa, si è discusso, in seguito all'abrogazione del sesto comma dell'art. 155 c.c., in merito a competenza ed alle modalità tramite le quali effettuare l'affidamento a terzi.

Attualmente, fermo restando l'acclarata competenza del giudice della crisi, appare controverso se il predetto possa disporre l'affidamento solo nelle forme di cui all'art. 2 della l. 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozione, o anche con altre modalità (per una disamina delle tesi esistenti prima della riforma si veda Cospite, 748; Morace Pinelli, 753 per la tesi che intende, successivamente alla riforma, che l'affidamento familiare sia quello previsto dalla legge sull'adozione).

Deve in merito ribadirsi che l'art. 337-ter c.c. prevede che il giudice possa adottare “ogni altro provvedimento relativo alla prole” e tra questi annovera l'affidamento familiare. Muovendo dallo stesso dato normativo appare quindi condivisibile la tesi di chi ritiene che il giudice della crisi possa disporre l'affidamento anche attraverso altre forme ( si fa riferimento a Cospite, 748).

Per quanto concerne la giurisprudenza di legittimità di osserva quanto segue.

Con talune decisioni è stato statuito che il giudice della separazione o del divorzio possa disporre l'affidamento del minore a terzi in forza di quanto previsto dall'art. 155 c.c., applicabile ratione temporis, quale provvedimento relativo alla prole (Cass. I, n. 11412/2014; Cass. I, n. 24996/2010; Cass. I, n. 784/2012), in altre più risalenti ritenendo applicabile gli artt. 333 e 38 disp att. c.c., nella formulazione previgente, quale provvedimento cautelare e temporaneo di competenza del Tribunale per i minorenni (Cass. I, n. 25290/2008).

In particolare, Cass. I, n. 24996/2010, in una fattispecie nella quale la Corte d'appello aveva confermato la decisione con la quale era stato disposto l'affidamento dei minori ai nonni, ha ricondotto l'affidamento della prole a terzi alla facoltà prevista dal previgente art. 155, comma 6, c.c., ed alla riserva generale contenuta nell'art. 155 c.c., applicabile ratione temporis, così come modificato dalla l. n. 54 del 2006.

La successiva Cass. I, n. 11412/2014 ha affermato che l'affidamento a terzi, in caso di consumata violazione del diritto alla bigenitorialità e di elevata conflittualità tra i genitori, può essere disposto dal giudice della separazione, anche ultra petitum, in forza di quanto previsto dall'art. 155 c.c., applicabile ratione temporis, laddove ciò sia necessario nel superiore interesse della prole.

Rileva in argomento la recente Cass. I, n. 26278/2022 che, in tema di provvedimento di affido eterofamiliare, ha chiarito che esso non richiede necessariamente che sia prima disposta una consulenza tecnica d'ufficio per valutare le capacità genitoriali e individuare le migliori modalità di affidamento, essendo sufficiente l'acquisizione di una valutazione multidisciplinare non risalente, operata da professionisti competenti e terzi rispetto alle parti, che abbia ad oggetto fatti concreti rilevanti ai fini della decisione, accertati nel contraddittorio delle parti e direttamente apprezzabili dal giudice, oltre che caratterizzanti le relazioni del minore con i genitori. In applicazione del principio, è stata confermata la pronuncia di merito che aveva disposto l'adozione della menzionata misura, fondandola sulla valutazione di un'equipe multidisciplinare della Asl, soggetto terzo rispetto ai Servizi sociali che avevano in carico il minore, svolta, previo ascolto dello stesso, in un arco temporale molto ampio in quanto ritenuta in grado di offrire comprovate garanzie di competenza e terzietà rispetto alle parti del giudizio.

In caso di temporanea impossibilità del genitore ritenuto più idoneo, il Giudice può quindi disporre l'affido a terzi, in luogo del genitore ritenuto meno idoneo, sempre che sussistano gravi motivi. L'impossibilità, peraltro, potrebbe non solo rilevare in termini oggettivi ma anche essere dovuta al pericolo di pregiudizio per la serena crescita del minore derivante dall'affidamento ai genitori.

Tra i provvedimenti che possono essere pronunciati, nell'interesse superiore della prole, per la giurisprudenza di legittimità non sono annoverabili quelli volti a prescrivere ai genitori un percorso psicoterapeutico individuale e di un altro, da seguire insieme, di sostegno alla genitorialità, in quanto in contrasto con gli artt. 13 e 32 Cost. L'adesione ad un percorso psicoterapico costituisce difatti un condizionamento, anche se ritenuto non vincolante, relativamente ad un percorso di maturazione che dipende dalla sola autodeterminazione dei genitori (così Cass. I, n. 13506/2015).

In merito Cass. I, n. 18222/2019 ha ulteriormente precisato che anche qualora non venga imposto un vero e proprio obbligo di intraprendere un percorso psicoterapico (nella specie per superare le criticità del rapporto madre-figlia), ove il decreto abbia esplicitato che trattasi di un mero invito giudiziale, tale statuizione integra “una forma di condizionamento idonea ad incidere sulla libertà di autodeterminazione alla cura della propria salute, garantita dall'art. 32 della Costituzione”.

Per converso, il Tribunale di Roma ha ritenuto possibile onerare le parti, in sede di pronuncia della separazione personale, a proseguire un percorso di sostegno alla genitorialità (che nel caso di specie era peraltro stato intrapreso nel corso del procedimento, Trib. Roma, 13 novembre 2015). Recentemente, peraltro, è stato chiarito che possono essere pronunciati provvedimenti limitativi o contenitivi dei diritti individuali dei genitori, in tema di libertà religiosa e di esercizio del ruolo educativo, purché intervengano all'esito di un accertamento in concreto, basato sull'osservazione e sull'ascolto del minore, dell'effettiva possibilità che l'esercizio di tali diritti possa compromettere la salute psico-fisica o lo sviluppo dei figli minori (Cass. I, n.21916/2019).

Tale provvedimento, pur se funzionale alla migliore gestione dell'evento-separazione da parte dei coniugi (circostanza questa che ovviamente si riflette sulla qualità della loro relazione e di quella con il figlio) appare, tuttavia, di difficile attuazione richiedendo, perché il percorso funzioni, la partecipazione volontaria e consapevole delle parti coinvolte (Scalera).

Sempre il Tribunale di Roma ha disposto in via provvisoria l'affidamento esclusivo della minore alla genitrice ed in considerazione delle gravi condotte poste in essere dal padre, regolamentando il diritto-dovere di visita di quest'ultimo, ha incaricato il Servizio assistenziale territorialmente competente di organizzare incontri in spazio neutro tra padre ei figlia disponendo che il genitore possa vedere e tenere con sé la figlia solo previo idoneo sostegno posto in essere con il monitoraggio del servizio ed in presenza di personale specializzato (Trib. Roma, 20 gennaio 2017). Nella fattispecie è emerso che il padre facesse uso di sostanze stupefacenti, sicché il tribunale ha disposto che il predetto si sottoponesse ad accertamenti periodici tesi ad accertare lo stato di tossicodipendenza o alcoldipendenza, pur evidenziando di non poter disporre alcun accertamento coattivo. L'Autorità giudiziaria ha quindi affermato che la mancata presentazione del consenso dell'uomo ad effettuare gli accertamenti disposti possa costituire elemento di giudizio per l'adozione di provvedimenti inerenti all'esercizio o alla titolarità della responsabilità genitoriale.

Deve in questa sede evidenziarsi, circa modifica delle condizioni di separazione personale dei coniugi, che rientra altresì nei poteri ufficiosi del giudice rimodulare i periodi in cui il genitore può tenere presso di sé il figlio di cui è disposto l'affido condiviso in relazione alla nuova situazione determinatasi.

In particolare la Corte di Cassazione ha ritenuto non viziato da extrapetizione il provvedimento della Corte di merito che, in sede di reclamo avverso il provvedimento di modifica delle condizioni della separazione, ha confermato l'affido della figlia minore e che, tenuto conto dell'intervenuto trasferimento per motivi di lavoro della madre, ne a disposto il collocamento presso la genitrice, nella sua nuova residenza, rimodulando, in relazione alla nuova situazione determinatasi, il regime di incontri della minore con il padre (Cass. I, n. 6339/2011).

Per converso, è stato ritenuto non censurabile in cassazione il provvedimento con il quale, a tutela della serena ed equilibrata crescita del minore, si faccia divieto al genitore di condurre i figli minori, al medesimo affidati, alle riunioni della confessione religiosa cui egli abbia aderito successivamente alla separazione (Cass. I, n. 24683/2013).

Alcune decisioni di merito sono conformi al principio sotteso alla decisione della Corte di Cassazione da ultimo citata. In particolare, il Tribunale di Novara, nel modificare parzialmente le condizioni della separazione, ha vietato alla madre e ad entrambi i nuclei familiari, di condurre la minore alle assemblee, di qualsiasi natura, tenute dai testimoni di Geova (alla cui confessione religiosa apparteneva la madre e dalla quale religione il padre era «disassociato»). Con riferimento al caso in esame è stato specificato, nella motivazione del divieto che «l'educazione alla fede dei familiari farebbe crescere la minore in un contesto che ostracizza e svaluta la figura paterna per una sua libera scelta, con evidente pregiudizio, per la minore, la quale vivrebbe il rapporto tra i propri genitori come sottoposto da parte della comunità, non solo familiare, ad un regime permissivo derogatorio, anziché improntato alla massima collaborazione come richiede l'affidamento condiviso» (Trib. Novara, 25 luglio 2016; in merito, si sono espressi analogamente Trib. Palermo, 12 febbraio 1990, e Trib. Napoli, 4 gennaio 2006).

L'accordo sull'affidamento e la decisione del giudice

La dottrina maggioritaria ha evidenziato che il comma 1 della disposizione in commento (ex art. 155 c.c.) imponga al Giudice di preferire l'affidamento condiviso, nel superiore interesse del minore, e di disporre quello esclusivo solo nei casi in cui il primo sia pregiudizievole per la serena ed equilibrata crescita del minore (in merito: Quadri, 400 relativamente alla disciplina previgente; Morace Pinelli, 751).

Ne consegue che laddove i genitori predispongano un accordo in tema di affidamento del figlio minorenne, poiché il Giudice è tenuto ad assumere la decisione più idonea a garantire il diritto del minore alla bigenitorialità ed alla serena ed equilibrata crescita, ben potrà valutare detto accordo e, ove in contrasto con gli interessi del minore, potrà discostarsene e disporre l'affidamento condiviso (Bianca C.M., 2014, 241; Sesta, 2006, 379, il quale ritiene con riferimento alla previgente disciplina, che sia comunque precluso ai genitori di abdicare al principio della bigenitorialità per cui l'accordo potrà essere fatto proprio dal giudice solo qualora evidenzino motivi tali da giustificare la contrarietà dell'affido condiviso agli interessi del minore).

I genitori, quindi, possono regolamentare le modalità ma non possono disporre dell'affidamento condiviso in assenza degli eccezionali presupposti dello stesso (Morace Pinelli, 749).

Affidamento condiviso: definizioni e contenuti

L'esercizio congiunto della responsabilità genitoriale è modellato sull'idea fondamentale intorno alla quale ruota l'istituto dell'affidamento condiviso, e cioè che la famiglia, nonostante la crisi, in certo qual modo prosegue nell'interesse dei figli (così Morace Pinelli, 725). Tuttavia ciò non può importare né imporre che i genitori debbano continuare ad esercitare la responsabilità genitoriale con le modalità tipiche della fase fisiologica della convivenza. L'assetto dei rapporti familiari «subirà necessariamente un mutamento dovuto alla cessazione della convivenza ed all'insorgere di nuovi affetti ed abitudini, talché è assolutamente indispensabile che il provvedimento di affidamento contenga previsioni più o meno articolate in merito alla spartizione delle rispettive funzioni» (così Arceri, 2015, 1254; Sesta, 2006, 382, il quale distingue il contenuto del provvedimento a seconda che tra i genitori vi sia un accordo ovvero emergano elementi sintomatici di grave conflittualità).

L'importanza della corretta individuazione del contenuto dell'affidamento condiviso è peraltro di palmare evidenza laddove si consideri che esso si traduce, principalmente, nella regolamentazione dell'esercizio della responsabilità genitoriale. Quest'ultima, come osservato da autorevole dottrina, è strettamente funzionale all'interesse del minore ed alla formazione della sua personalità; tant'è che l'interferenza dei genitori nell'esercizio delle libertà fondamentali del minore può ammettersi solo in quanto obiettivamente ed effettivamente giustificata dalla funzione di educazione e di cura (Bianca C.M., 2014, 344). L'affidamento condiviso è difatti strettamente connesso alle modalità di esercizio della responsabilità genitoriale (Bianca C.M., 2014, 240; Ferrando, 280; Quadri, 403).

Deve evidenziarsi che in dottrina, in merito alla disciplina antecedente alla riforma del 2013, era stato posto il quesito in merito a cosa dovesse intendersi con l'espressione affidamento condiviso, se fosse una espressione non tecnica o se invece fosse connessa all'esercizio della responsabilità genitoriale. In quest'ultimo caso ci si è poi chiesti se la detta connessione fosse relativa solo ai casi di affidamento condiviso o anche alle ipotesi di affidamento esclusivo (per la ricostruzione del primo orientamento si veda Auletta, 676, il quale specifica che gli elementi caratterizzanti dell'affidamento devono essere ricostruiti dall'interprete; per la tesi dell'espressione tecnica si vedano: Sesta, 2006, 380; Mantovani, 110; Arceri, 2007, 86; in senso parzialmente difforme invece Tommaseo, 394).

In particolare, autorevole dottrina ha evidenziato che affidamento condiviso è caratterizzato da una tendenziale ripartizione di compiti e responsabilità, che possono essere attuate attraverso un vero e proprio affidamento congiunto, attraverso una gestione bilanciata delle sfere spettanti a ciascun genitore ovvero attraverso una situazione prossima all'affidamento esclusivo, a seconda di come il giudice, tenuto conto degli accordi tra i genitori, spartisca le rispettive competenze (Sesta, 2006, 381, con riferimento alla disciplina previgente).

All'esito della novella del 2013 è stato ritenuto che l'affidamento condiviso sia connesso alla responsabilità genitoriale essendovi due disposizioni distinte che regolano l'esercizio della responsabilità genitoriale. In caso di affidamento condiviso l'esercizio della responsabilità spetta ad entrambi i genitori, secondo quanto disposto dal c. 3 dellart. 337-ter c.c., mentre in caso di affidamento esclusivo esso spetta al solo genitore affidatario, secondo quanto disposto dall'art. 337-quater c.c. (Cospite, 745). In particolare, è stato osservato che la riforma del 2013 conferma la distinzione tra titolarità ed esercizio della responsabilità genitoriale, in quanto la fine del legame tra i genitori incide soltanto sull'esercizio della responsabilità genitoriale, unico ad essere interessato dai provvedimenti conseguenti alle pronunce relative allo status dei coniugi o al regime di affidamento dei figli nati da genitori non coniugati regolati dagli artt. 337-bis e seguenti (in questo senso Cianci, 90).

L'esercizio comune della responsabilità genitoriale postula, in particolare, l'assunzione in comune delle decisioni di maggiore interesse per i figli, anche durante la crisi, nel rispetto della personalità del minore e delle sue inclinazioni naturali, exart. 337-ter, comma 3, c.c. Ciò vale con riferimento all'assunzione della decisione (cd. profilo interno) e non relativamente alla attuazione della stessa per la quale valgono i principi generali di cui agli artt. 144, 316, 320 c.c. (profilo esterno). Sicchè, i genitori sono tenuti ad assumere insieme le decisioni di maggiore interesse previste dall'art. 337-ter c.c. quali quelle relative alla salute, all'educazione, all'istruzione, alla scelta della residenza abituale del minore.

Questa elencazione, peraltro, non si ritiene avere carattere tassativo.

Taluni ritengono infatti che debba essere oggetto di concertazione congiunta anche la decisione relativa alle scelte religiose, così come quella relativa alla cura intesa quale «costruzione di un contesto di abitudini e luoghi e modi entro cui deve svolgersi la sua vita» ovvero quella che sia tale da «imprimere una svolta nella vita del minore» (Defilippis, 103; in merito altresì Morace Pinelli, 730).

Durante la crisi, è stato infatti osservato, l'interferenza dei genitori nella vita dei figli si riduce progressivamente in rapporto all'accrescersi della loro capacità di discernimento (Morace Pinelli, 722). In caso di affidamento condiviso l'esercizio della responsabilità genitoriale deve dunque intendersi come congiunto, salvo l'intervento del giudice che può disporre l'esercizio disgiunto per le questioni di ordinaria importanza (Sesta, 2006, 386, relativamente alla disciplina previgente).

Con riferimento alla risoluzione delle controversie insorte tra i genitori, diversamente da quanto previsto dall'art. 316 c.c., in caso di disaccordo sulle questioni di maggiore interesse per i figli è il Giudice che assume a decisione.

In dottrina tale peculiare differenza è stata giustificata dalla circostanza secondo cui il venir meno della convivenza attenua quell'esigenza di salvaguardia dell'autonomia familiare che sta alla base della previsione contenuta nell'art. 316 c.c. e, nel contempo, esalta il compito del giudice (così Sesta, 2006, 382, ancorché con riferimento al previgente art 155 c.c.). Qualora, peraltro, la decisione riguardi aspetti di fondamentale importanza per il minore questi, se ha compiuto dodici anni o è capace di discernimento, si ritiene debba essere sentito dall'Autorità giurisdizionale la quale deve considerare la sua volontà (Morace Pinelli, 722). Le decisioni di minore importanza, di ordinaria amministrazione, quindi devono essere assunte di comune accordo salvo diverso provvedimento dell'autorità giudiziaria. Con tale provvedimento, secondo parte di dottrina, l'autorità giudiziaria potrebbe attribuire ai genitori «ambiti decisionali differenziati sulla base delle loro competenze», assicurando, per tali specifici ambiti, un indirizzo unitario mentre al genitore escluso spetterà un potere di controllo sull'operato dell'altro (Auletta, 693). Per altra dottrina la disposizione testé citata costituirebbe uno strumento da utilizzare qualora un genitore si discosti sistematicamente dall'altro nelle scelte quotidiane (Quadri, 406; in merito al contenuto ed all'interpretazione dell'art. 155 c.c., ora art. 337-ter c.c., si veda anche Sesta, 2006, 380).

Si discute in merito a quale sia l'ambito di applicazione delle disposizioni in commento e, in particolare, in ordine al se le decisioni cui si è fatto finora riferimento siano quelle relative alla sola cura della persona e non anche quelle relative all'amministrazione del patrimonio. Il problema è sorto alla luce della formulazione dell'art. 337-ter c.c. La disposizione riproduce l'art. 155 c.c., così come modificato in seguito alla legge n. 54/2006, e quindi non contiene il previgente comma 5, che testualmente attribuisce al Giudice il potere di dare disposizioni circa l'amministrazione dei beni dei figli (così come anche previsto dall'art. 6 della l. n. 898/1970 in materia di divorzio).

Tale mancato esplicito riferimento all'amministrazione dei beni del minore, secondo parte di dottrina, trova giustificazione nel fatto che il legislatore ha avvertito il bisogno di dettare una specifica disciplina della potestà (oggi responsabilità) genitoriale solo con riferimento alle decisioni sulla persona del minore mentre avrebbe inteso sottoporre i suoi rapporti patrimoniali alle regole generali disposte per la famiglia unita (Auletta, 694; Morace Pinelli, 728).

È opportuno evidenziare in questa sede che tra le decisioni di maggiore interesse per la prole rientra, in quanto espressamente prevista dall'art. 337-ter c.c., la scelta della residenza del minore.

Essa, pertanto, deve essere effettuata di comune accordo dai genitori ed in caso di contrasto gli stessi possono rivolgersi all'Autorità giudiziaria nei termini di cui al terzo comma della disposizione in commento.

Può capitare che il genitore collocatario debba trasferire la propria residenza in altro luogo. In tal caso, al di là delle ovvie possibili ripercussioni in tema di assegnazione della casa familiare, contributo al mantenimento (etc..) si pone il problema di coniugare il diritto fondamentale del genitore di fissare la propria residenza in qualsiasi parte del territorio o anche all'estero con i diritti del minore, e con quelli del genitore non collocatario, il quale potrebbe opporsi a tale trasferimento chiedendo l'intervento dell'autorità giudiziaria.

In tal caso infatti il giudice dovrà assumere una nuova determinazione in tema di collocamento del minore e potrà mantenerlo presso il genitore che intenda trasferirsi ove ciò corrisponda al superiore interesse del minore, per quanto ciò incida negativamente sui rapporti con il genitore non affidatario, ovvero potrà condizionarlo alla rinunzia al trasferimento (Cass. I, 19694/2014, la quale, riconoscendo come prevalente il diritto del minore ad avere un'evoluzione positiva della propria personalità, ha ritenuto legittima la compressione del diritto della madre collocataria di trasferire la propria residenza all'estero).

È appena il caso di rilevare che la Cass. S.U., n. 27091/2017, relativa alle disposizioni sulla competenza giurisdizionale contenute nei regolamenti europei n. 2201/2003, n. 44/2001 e n. 4/2009, ha avuto modo di chiarire che le controversie relative alla responsabilità genitoriale non possono limitarsi a quelle relative all'individuazione del genitore affidatario (in caso di affidamento esclusivo) o collocatario (in caso di affidamento condiviso o congiunto secondo le diverse denominazioni e i diversi regimi giuridici dei paesi facenti parte dell'unione europea), dovendosi ricomprendere in esse anche tutte le richieste riguardanti l'esercizio della responsabilità genitoriale ed in particolare quelle relative al mutamento di residenza in quanto direttamente incidenti sull'esercizio di tale potere da parte del genitore non affidatario o collocatario.

Mantenimento dei minori, accordi dei genitori e sindacato del giudice

Ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in proporzione al proprio reddito, secondo i fattori predeterminati dal legislatore quali: tempi di permanenza presso il genitore; tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori; specifiche ed attuali esigenze del figlio; risorse economiche di entrambi i genitori e valenza dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno di loro. La formulazione dell'art. 337-ter, comma 4, c.c., imponendo ad entrambi i genitori di mantenere i figli in proporzione dei parametri sopra indicati, induce a ritenere che la forma privilegiata di mantenimento sia quello diretto mentre quello indiretto abbia carattere residuale.

Relativamente al mantenimento dei figli, il legislatore ha previsto, in via prioritaria, che le modalità di contribuzione siano rimesse ai genitori, contemplando solo nel caso di assenza di accordo, l'intervento del giudice mediante la previsione di un assegno perequativo a carico del genitore finalizzato a riequilibrare la contribuzione di ciascun genitore al mantenimento della prole.

Condivisibilmente, è stato osservato che il nuovo testo dell'art. 337-ter, comma 2, c.c., così come formulato, induce a ritenere che il legislatore abbia voluto assegnare alla disposizione in commento una funzione riequilibratrice di eventuali disparità economiche tra i genitori. Ferma restando l'auspicabile forma di mantenimento c.d. pura, che consiste nell'apprestamento, durante i periodi in cui il minore permane presso un genitore o l'altro, di quanto necessario per la sua cura e il suo mantenimento, il legislatore non esclude quindi che il giudice possa optare, in ragione delle circostanze del caso e non necessariamente in funzione di riequilibrio delle condizioni patrimoniali, per un mantenimento in forma indiretta. Esso avverrebbe attraverso la corresponsione di un assegno periodico in favore del genitore presso il quale il figlio risiede la maggior parte del tempo (Arceri, 2015, 1298).

L'obbligo di mantenimento del figlio è prioritario rispetto ad ogni altro adempimento di natura economica e può quindi essere adempiuto in forma diretta o indiretta. La differenza è costituita dalla circostanza per la quale la prima forma si concretizza nel soddisfacimento immediato dei bisogni del minore, il che avviene soprattutto da parte del genitore collocatario del medesimo, mentre la seconda si sostanzia nella corresponsione di un assegno destinato a coprire le esigenze ordinarie del minore (Cass. I, n. 785/2012).

Va infatti ricordato che Il riconoscimento dell'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell'art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto (Cass. S.U. n. 18287/2018Cass. I, n. 21234/2019;  Sez. I, n. 5603/2020).

Ai fini della determinazione del contributo al mantenimento dovrà inoltre tenersi in considerazione anche l'età del figlio, la cui crescita determina in modo proporzionale l'aumento delle sue necessità (Cass. I, n. 8927/2012), nonché i tempi di permanenza presso ciascun genitore oltre che le loro capacità lavorative e valenze economiche dei rispettivi compiti domestici e di cura (sul punto si rinvia altresì al commento relativo al precedente art. 316-bis c.c.).

Anche l'eventuale mutamento ed evoluzione delle condizioni reddituali dei genitori nel corso del procedimento dovrà essere tenuto in considerazione dal Giudice ai fini della determinazione dell'assegno (Cass. I, n. 16398/2007).

Dovrà inoltre considerarsi l'eventuale provvedimento di assegnazione della casa familiare della quale secondo quanto prevede l'art. 337-sexies c.c. il Giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti tra i genitori considerato l'eventuale titolo di proprietà.

L'assegno, in forza di quanto prevede il quinto comma dell'art. 337-ter c.c. peraltro è automaticamente adeguato agli indici ISTAT ove nessun altro parametro sia stato individuato dalle parti o dal Giudice. La disposizione riproduce quanto già disposto dal previgente art. 155 c.c., come modificato dalla l. n. 54 del 2006, così confermando la necessità che tale assegno debba essere automaticamente adeguato e superando la necessità esistente in passato di ricorrere alla analogia per raggiungere il medesimo risultato (in merito si veda Cass. I, n. 15101/2004 con la quale è stata disposta l'applicazione in via analogica della disposizione contenuta nell'art. 5, comma 7, della l. 1 dicembre 1970, n. 898 all'assegno di mantenimento di cui all'art. 155 c.c., applicabile ratione temporis).

L'art. 337-ter c.c., al pari delle previgenti disposizioni, riconosce e fa salvi gli accordi liberamente sottoscritti dalle parti in tema di mantenimento del figlio, sicché l'Autorità giudiziaria dovrebbe intervenire solo se le parti nulla abbiano previsto in merito.

Il giudice, tuttavia, non è invero vincolato dalle richieste dei genitori, né dal loro accordo con specifico riferimento ai provvedimenti relativi all'affidamento dei figli ed al contributo per il loro mantenimento, dovendo ispirarsi nella decisione all'esclusivo interesse della prole. Sicché, qualora la sentenza di divorzio recepisca un accordo tra i genitori essa non può essere interpretata in base ai criteri stabiliti dall'art. 1362 c.c. – astenendosi, cioè, dall'esclusivo riferimento al senso letterale delle espressioni usate ed indagando, invece, la comune intenzione delle parti, anche alla luce del comportamento successivamente tenuto – non potendo essere attribuita natura negoziale alle condizioni in essa stabilite. Il cui recepimento delle predette condizioni costituisce, difatti, il risultato di un'autonoma valutazione giudiziale, soprattutto nella parte avente ad oggetto l'affidamento dei figli e la determinazione del contributo dovuto per il mantenimento «in ordine ai quali le richieste dei genitori non assumono carattere vincolante, dovendo il Tribunale ispirarsi, nelle relative scelte, all'esclusivo interesse della prole» (così Cass. I, n. 10174/2012).

È stato evidenziato che questa disposizione sembrerebbe imporre al Giudice il recepimento della volontà dei genitori. All'esito di un'attenta analisi del sistema nel suo complesso risulta però chiaro che il Giudice abbia un potere di controllo assai penetrante sugli accordi, essendogli riconosciuto addirittura il potere di sostituirsi ai genitori nell'adozione di ogni decisione ritenuta opportuna (Arceri, 2017, 1275).

Del resto, sembra potersi aggiungere in questa sede, gli accordi non potrebbero derogare all'obbligo di mantenimento dei figli gravante sui genitori, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro, ex artt. 147,148 e 316-bis c.c.

Secondo parte della dottrina gli accordi tra i coniugi potrebbero avere ad oggetto proprio il riparto dell'onere di contribuzione, così accordandosi liberamente al punto tale da distribuire l'onere contributivo in modo non equo tra loro pur garantendo al figlio un mantenimento adeguato. Ciò sarebbe possibile in quanto si tratterebbe solo si una suddivisione interna tra condebitori solidali(Di Gravio, 65).

Secondo altra e maggioritaria dottrina tali accordi non sarebbero leciti in quanto in contrasto con precetti inderogabili. Non vi sarebbe quindi altro spazio per l'autonomia negoziale, se non nei limiti di stabilire, fermo restando il criterio della proporzionalità, le modalità attraverso le quali assolvere al dovere di mantenimento, tramite assegno, contribuzione diretta etc. (Sesta, 384; Arceri, 2007, 72; Arceri, 2015; 1275; Morace Pinelli, 759; Auletta, 697). Ciò in considerazione della fondamentale circostanza in forza della quale tale dovere invero non è stato concepito in termini monetari ma quale espressione diretta di quello di cura, fondamentale componente del rapporto genitoriale (Casaburi, 46, Sesta, 2006, 384).

Determinazione dell'assegno e spese straordinarie

Ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento, assume particolare rilievo il profilo inerente le spese straordinarie riguardanti il figlio minorenne (o maggiorenne non autosufficiente). Esse sono le spese impreviste ed imprevedibili che riguardano, di regola, la salute e l'educazione ma non pare opportuna una limitazione del concetto di straordinarietà solo a tali categorie, atteso che, in concreto, nell'interesse del figlio, i genitori possono dover sostenere anche in altri ambiti spese che per la loro stessa natura non possono essere oggettivamente predeterminate (si pensi, ad esempio, alle spese connesse ad attività sportive).

Devono ritenersi straordinarie le spese le cui rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità esulano dall'ordinario regime di vita dei figli , cosicché la loro inclusione in via forfettaria nell'ammontare dell'assegno, posto a carico di uno dei genitori, può rilevarsi in contrasto con il principio di proporzionalità ( Cass. I, 9372/2012 , con riferimento all' art. 155 c.c. in questo senso altresì Cass. I. n. 1562/2020 ) e può peraltro costituire un danno per la prole laddove si tratti di spese rilevanti che possano incidere in modo determinante sull'assegno perequativo e non possano altrimenti essere sostenute dal genitore beneficiario.

La mancata inclusione nell'assegno di mantenimento tuttavia non esclude l'opportunità che il Giudice stabilisca in quale proporzione ciascun genitore debba contribuire, essendo altresì auspicabile la specificazione di cosa si debba intendere per «spesa straordinaria», anche attraverso virtuosi protocolli d'intesa, al fine di evitare l'insorgere di ulteriori controversie tra i genitori coinvolti nella crisi familiare (tra i più recenti si veda il Protocollo d'intesa del Tribunale di Torino del 15 marzo 2016, si vedano altresì le linee guida nazionali sul contributo al mantenimento dei figli, entrambi in Ilfamiliarista.it).

La Corte di Cassazione ha peraltro affermato che le spese scolastiche e mediche straordinarie che in sede giudiziale siano state poste pro quota a carico di entrambi i coniugi, ancorché non ricomprese nell'assegno periodico, ne condividono la natura, ove si presentino sostanzialmente certe nel loro ordinario e prevedibile ripetersi, così integrando, quali componenti variabili, l'assegno complessivamente dovuto. Pertanto ove il genitore abbia anticipato tali spese può agire in via esecutiva, per ottenere il rimborso della quota gravante sull'altro, in virtù del titolo sopra menzionato senza doversi munire di uno ulteriore, richiesto solo con riguardo a quelle spese straordinarie che per rilevanza, imprevedibilità ed imponderabilità esulano dall'ordinario regime di vita della prole (Cass. I, n. 3835/2021).

Ai fini del rimborso, in particolare, è necessario distinguere  gli esborsi che sono destinati ai bisogni ordinari del figlio e (che sono certi nel loro costante e prevedibile ripetersi, anche lungo intervalli temporali, e possono essere azionati in forza del titolo originario di condanna, previa una allegazione che consenta, con mera operazione aritmetica, di preservare del titolo stesso i caratteri della certezza, liquidità ed esigibilità) e le spese che, imprevedibili e rilevanti nel loro ammontare, sono idonee a recidere ogni legame con i caratteri di ordinarietà dell'assegno di contributo al mantenimento e che richiedono, per la loro azionabilità l'esercizio di un'autonoma azione di accertamento (Cass. I, n. 379/2021).   

In quest'ottica, valorizzando in particolare Il parametro della rilevanza della spesa, in luogo di quello della imprevedibilità, è stato ritenuto che le spese per l'alloggio universitario rientrino tra le spese straordinarie (Cass. I, n. 19532/2023).

Vengono quindi considerate straordinarie le spese occasionali, o gravose o voluttuarie. Per tali spese ciascun genitore è tenuto a contribuire nella misura stabilita dalle parti o dal giudice.

Le spese sanitarie straordinarie vengono poi suddivise in due categorie quelle che non richiedono il preventivo accordo (tra queste le cure dentistiche presso strutture pubbliche; occhiali o lenti a contatto se prescritte dallo specialista) e quelle che lo necessitano (cure dentistiche, ortodontiche e oculistiche presso strutture private; cure termali e fisioterapiche; trattamenti sanitari non erogati dal Servizio sanitario nazionale, farmaci omeopatici).

Le spese scolastiche vengono anch'esse ripartite in quelle che non richiedono il preventivo accordo (tasse scolastiche ed universitarie, dotazione informatica, gite scolastiche senza pernottamento, fondo cassa richiesto dalla scuola, assicurazione scolastica, spese di trasporto per recarsi a scuola) e quelle per le quali l'accordo è necessario: corsi di lingua, corsi di musica e strumenti relativi, attività sportive, spese per attività ludiche e ricreative comprese quelle per baby-sitter; acquisto e manutenzione compresi assicurazione e bollo auto per mezzi di trasposto per i figli; viaggi all'estero con o senza i genitori.

Le linee guida prevedono inoltre che per quanto concerne le spese da concordarsi, il genitore che intenda effettuare tali spese è tenuto ad inviare una richiesta scritta all'altro genitore e quest'ultimo è tenuto a formulare il proprio motivato dissenso entro 10 giorni, in difetto il silenzio sarà inteso come consenso ( analoghe previsioni sono contenute nel protocollo torinese del 15 marzo 2016).

In assenza di protocolli o linee guida, si pone il problema di stabilire come le spese straordinarie, non predeterminate, debbano essere decise dai genitori e ripartite tra gli stessi.

Quanto all'assunzione della relativa decisione essa compete ad entrambi i genitori ove si tratti di affido condiviso con possibilità di risolvere le controversie tra i genitori secondo quanto previsto dall'art. 473-bis.38 c.p.c per i procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.

 Qualora si tratti di affidamento esclusivo le decisioni spettano al genitore affidatario nei modi e nei limiti indicati dal Giudice nel provvedimento di affidamento (De Filippis, 2017, 281).

Quanto alle modalità di contribuzione, in assenza di qualsiasi determinazione da parte del Giudice o di accordo delle parti deve ritenersi che i genitori siano tenuti a provvedere alle spese straordinarie in proporzione al proprio reddito (De Filippis, 2017, 281).

In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione escludendo che, in caso di assenza di un provvedimento dell'autorità giudiziaria, le spese possano essere ripartite in ragione di metà secondo il principio generale in materia di debito solidale. Diversamente tali spese devono essere ripartite tenendo conto del duplice criterio delle rispettive sostanze patrimoniali disponibili e della capacità di lavoro professionale o casalingo di ciascun genitore (Cass. VI-I, n. 25723/2016).

In argomento, la recente Cass. I, n. 3835/2021 ha specificato che ove il contributo al mantenimento dei figli, le spese scolastiche e mediche straordinarie siano state poste, in sede giudiziale, pro quota a carico di entrambi i coniugi, pur non essendo ricomprese nell'assegno periodico forfettariamente determinato, ne condividono la natura, qualora si presentino sostanzialmente certe nel loro ordinario e prevedibile ripetersi, così integrando, quali componenti variabili, l'assegno complessivamente dovuto. Ne consegue che il genitore che abbia anticipato tali spese possa agire in via esecutiva, per ottenere il rimborso della quota gravante sull'altro, in virtù del titolo sopra menzionato senza doversi munire di uno ulteriore, richiesto solo con riguardo a quelle spese straordinarie che per rilevanza, imprevedibilità ed imponderabilità esulano dall'ordinario regime di vita della prole.

È appena il caso di rilevare che il concetto di «spese straordinarie» è ben distinto da quello di «scelte straordinarie» intese queste ultime come decisioni che incidono sulla vita, sull'istruzione, e sui valori guida nell'educazione dei figli. Siffatte spese possono trovare il proprio fondamento in decisioni relative ad aspetti importanti della vita ei figli ma «tale interferenza tra le due categorie non ne determina la coincidenza ben potendo ipotizzarsi decisioni non rilevanti dal punto di vista della vita e dell'educazione dei minori e, tuttavia, assai onerose sul piano economico» (Cass. I, n. 4459/1999).

Nel caso in cui un genitore sostenga delle spese straordinarie senza la preventiva acquisizione del consenso dell'altro ci si chiede inoltre se esse siano ripetibili.

In merito, la Suprema Corte, nel recente passato, ha ritenuto insussistente un obbligo di previa concertazione tra i genitori in ordine alle spese straordinarie, nei limiti in cui esse non comportino l'assunzione delle decisioni di maggiore interesse per i figli, specificando altresì che tale principio non è inderogabile, essendo sempre possibile per il giudice stabilire la misura ed i modi di contribuzione del genitore (all'epoca) non affidatario alle spese del minore, ai sensi dell'art. 155, commi 2 e 3, c.c., applicabile ratione temporis, nella formulazione antecedente alla novella del 2013 (Cass. I, n. 2182/2009, in questo stesso senso si vedano altresì: Cass. I, n. 9376/2011; Cass. VI-I. n. 16175/2015; Cass.I, n. 5059/2021). Le spese straordinarie sostenute in assenza di accordo tra i coniugi, quindi, non sono ripetibili, ove effettuate nel superiore interesse del minore e compatibili con il tenore di vita della famiglia (Cass. VI-I, n. 2467/2016; in senso conforme, ex plurimis: Cass. I, n. 4753/2017; Cass. VI-I, n. 4186/2016).

In particolare, come ha chiarito la giurisprudenza di legittimità, «non è configurabile un obbligo di informazione e concertazione preventiva delle spese straordinarie , trattandosi di decisioni di maggiore interessi per il figlio e sussistendo a carico del genitore non affidatario, un obbligo di rimborso qualora non abbia addotto tempestivamente validi motivi di dissenso». Pertanto, nel caso in cui non vi sia stata concertazione preventiva ed il genitore tenuto al rimborso abbia rifiutato di versare le somme da lui dovute, il giudice dovrà valutare se la spesa (straordinaria) sostenuta corrisponda al prevalente interesse del minore e se sia proporzionata alle condizioni economiche dei genitori (ex plurimis: Cass. VI-I, n. 16175/2015; Cass. I, n. 5059/2021.

Adempimento dell'obbligo di contribuzione al mantenimento del figlio: le modalità

Con riferimento alle modalità attraverso le quali adempiere l'obbligo di contribuzione al mantenimento del figlio assume particolare rilevanza la possibilità di  effettuare, in luogo del versamento di un assegno perequativo periodico, un trasferimento immobiliare. Tale eventualità, pacificamente ammessa in giurisprudenza, inizialmente non era stata valutata positivamente dalla dottrina, ritenendo tali trasferimenti in contrasto con lo stesso concetto di mantenimento.

Nel tempo, infatti, si sono avvicendate diverse tesi dalle più negazioniste fino a giungere a quelle che hanno ritenuto ammissibili detti trasferimenti, come forma di adempimento, in un'unica soluzione, sottoposta tuttavia alla clausola  rebus sic stantibus e, quindi, con possibilità di rivederli e modificarli a fronte delle mutate condizioni (Ferrari, 1067, il quale, in particolare, ricostruisce le varie tesi che nel tempo si sono avvicendate con riferimento ai trasferimenti tra coniugi in caso di divorzio, di separazione e quelli in favore dei figli; contra   Basini, 498).

Diversamente, come sopra evidenziato, secondo la giurisprudenza di legittimità i coniugi, in esplicazione della loro autonomia negoziale e nell'ambito di accordi di separazione, possono anche convenire un trasferimento patrimoniale ai figli a titolo gratuito ed in funzione di adempimento dell'obbligo genitoriale al mantenimento. Si tratterebbe difatti di accordo non nullo se idoneo a garantire il risultato solutorio, non essendo in contrasto con norme imperative o diritti indisponibili (Cass. II, 21736/2013, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, 333 con nota di Maione).

L'obbligo di trasferimento immobiliare, già in precedenza qualificato quale contratto preliminare in favore di terzo soggetto a facoltà di rifiuto da parte di quest'ultimo (Cass. II, n. 9500/1987) è stato ricollegato ad un negozio, con autonoma causa familiare, non avente mera funzione solutoria ma volto a determinare il completo e soddisfacente assetto della crisi coniugale (in tal senso si veda Cass. I, n. 11342/2004 che ha qualificato tali contratti come atipici, distinto dalle convenzioni matrimoniali e donazioni, volto a realizzare interessi meritevoli di tutela ai sensi dell'art. 1322 c.c.).

Trattasi altresì di trasferimenti non soggetti al regime tributario proprio dei trasferimenti immobiliari, essendo connotati da finalità di soddisfacimento di interessi di natura prettamente familiare (in questo senso Cass. I, n. 3747/2006; Cass. n. 21736/2013 e, da ultimo, Cass. I, n. 3110/2016).

Nella stessa ottica di cui innanzi, la giurisprudenza di merito ha ritenuto valido un accordo con il quale, ai fini del soddisfacimento dell'obbligo di mantenimento, è stato costituito un trust in favore della prole (Trib. Milano, 23 febbraio 2005, in Riv. not. 2005, 850), oltre che possibile, in forza di accordo delle parti, disporre atti di destinazione ex 2645-ter c.c. (Trib. Reggio Emilia, 26 marzo 2007, in Giur.it., 2008, 3, 269).

Circa le modalità di adempimento dell'obbligo di contribuzione, è stato altresì ritenuto possibile porre a carico di un genitore il pagamento delle rate del mutuo contratto per l'acquisto della casa familiare, trattandosi di voce sufficientemente determinata e strumentale al soddisfacimento delle esigenze del minore (in questo senso Cass. I, 20139/2013).

Gli accertamenti della Polizia Tributaria

L'ultimo comma dell'art. 337-ter c.c. prevede che il Giudice, qualora «le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate», dispone un accertamento da parte della polizia tributaria sui redditi e suoi beni oggetto della contestazione.

Quella di cui innanzi è una disposizione espressione di un potere discrezionale, sussidiario ed a carattere eccezionale che non può supplire ad una carenza probatoria della parte onerata o rivestire carattere esplorativo. Esso è funzionale alla individuazione dell'effettivo patrimonio del genitore al fine di determinare il contributo al mantenimento da questi dovuto nei confronti del figlio minorenne ( Morace Pinelli, 780).

La giurisprudenza, tanto di legittimità quanto di merito, ha chiarito che non è possibile disporre le indagini in via esplorativa ovvero in forza di generiche affermazioni da parte del ricorrente nel giudizio. In tema di determinazione dell'assegno di mantenimento in sede di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, l'esercizio del potere del giudice che, ai sensi dell'art. 5, comma 9, della l. n. 898/1970, può disporre (d'ufficio o su istanza di parte) indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, costituisce difatti una deroga alle regole generali sull'onere della prova. L'esercizio di tale potere discrezionale non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del «bagaglio istruttorio» già fornito, incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova. Sicché, non potendo avere l'intervento del giudice finalità esplorative, l'istanza e la contestazione di parte dei fatti incidenti sulla posizione reddituale del coniuge tenuto al predetto mantenimento devono basarsi su fatti specifici e circostanziati (Cass. VI, n. 23262/2016; sul punto anche Cass. I, n. 3905/2011, Cass. I, n. 8744/2019). Questi ultimi ben possono essere costituiti dalla disponibilità di uno stile di vita lussuoso e particolarmente agiato, da un consistente patrimonio mobiliare e immobiliare, non conforme ai redditi dichiarati (autovetture, risparmi etc.) idonei a giustificare l'indagine a mezzo della Guardia di finanza (sul punto, si veda Cass. I, n. 9915/2007).

Esecuzione coattiva dei provvedimenti concernenti l'affidamento (cenni e rinvio)

L'esecuzione dei provvedimenti riguardo ai figli costituisce fonte di attuali rilevanti quesiti giuridici oltre che risvolti pratici di difficile soluzione, avendo ad oggetto un minore, con la sua personalità e la sua volontà, la cui serenità non deve essere, per quanto possibile, minata dalla disgregazione del nucleo familiare.

In particolare, non esiste una norma che esplicitamente disciplini la «consegna del minore» o l'esecuzione del diritto-dovere di visita, sicché, sia in dottrina che in giurisprudenza, è stata cercata una disposizione applicabile alla fattispecie in esame.

La giurisprudenza di legittimità più risalente ha ritenuto applicabile la disciplina dell'esecuzione forzata, pur essendo essa tesa a disciplinare l'esecuzione coattiva di obblighi relativi a diritti reali e non relativi a diritti non aventi contenuto patrimoniale (come invece nelle ipotesi in esame).

Nel dettaglio, la Suprema Corte ha statuito che i provvedimenti urgenti e temporanei emessi dal Presidente del Tribunale nel corso del giudizio di separazione devono essere eseguiti, per via breve, a mezzo dell'ufficiale giudiziario e sotto la direzione e il controllo del giudice che li ha pronunciati, salvo l'eventuale ausilio della forza pubblica (Cass. III, n. 2823/1966). Questa modalità di esecuzione del provvedimento, in via breve, vanterebbe pertanto il pregio di non essere vincolata a forme predeterminate, di non richiedere l'osservanza di formalità preliminari, come la notifica del precetto, e di essere gestita e decisa direttamente dal giudice che procede.

Per converso, qualche anno dopo l'arresto di legittimità di cui innanzi la Suprema Corte ha invece ritenuto che alla consegna del minore debbano applicarsi le disposizioni in tema di esecuzione di obblighi di fare (Cass. I, n. 292/1979, che, in ragione della normativa applicabile ratione temporis, ne fa conseguire la competenza in capo al Pretore).

Solo l'anno successivo, il Giudice di legittimità, mutando ulteriormente il proprio indirizzo, ha affermato che il procedimento da utilizzarsi, con riferimento all'esecuzione dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole, è quello disciplinato dall'art. 612 c.p.c. (Cass. I, n. 5474/1980). Nel dettaglio, chiarito in via preliminare e quale principio fondamentale, che l'esecuzione delle decisioni in tema di affidamento dei figli deve essere effettuata secondo forme giurisdizionali e che la decisione, ove abbia carattere provvisorio, deve essere eseguita in via breve perché la fase esecutiva fa corpo con quella cautelare. Qualora si tratti di decisioni avanti carattere definitivo dovrebbero invece trovare applicazione le disposizioni di cui all'art. 612 c.p.c., che meglio si attagliano ai procedimenti relativi ai minori (orientamento seguito anche successivamente, si veda: Cass. I, n. 8317/1997).

La giurisprudenza di merito, alla ricerca di soluzioni maggiormente attente alla necessità di preservare il minore e la sua serenità, si è discostata dalla soluzione fornita dalla Suprema Corte, ora individuando nel Giudice tutelare l'autorità giudiziaria preposta all'esecuzione dei provvedimenti in tema di affidamento del minore, in quanto dotato di poteri che consentono un esecuzione flessibile della decisione, ora negando che il provvedimento da eseguirsi possa essere oggetto dell'esecuzione forzata degli obblighi di fare, mancando alla base un diritto certo, liquido ed esigibile (Pret. Milano, 8 agosto 1986, in Nuova giur. civ. comm, 1987, I; Pret. Roma 5 agosto 1981, in Giur. mer. 1982, I, 544).

Da ultimo la S.C., sembra aver mutato nuovamente il proprio orientamento. E' stato infatti affermato che, il diritto dovere di visita del figlio minore spettante al genitore non collocatario, non è suscettibile di coercizione neppure nelle forme indirette previste dall'art. 614 bis c.p.c.. poiché esso costituisce di un "potere-funzione" che, non essendo sussumibile negli obblighi la cui violazione integra una grave inadempienza ex art. 709-ter c.p.c., è destinato a rimanere libero nel suo esercizio, quale esito di autonome scelte che rispondono anche all'interesse superiore del minore ad una crescita sana ed equilibrata (Cass. I, n. 6471/2020). In applicazione del principio la S.C. ha quindi cassato il provvedimento del giudice di merito, che aveva condannato il genitore non collocatario al pagamento di una somma in favore dell'altro genitore, per ogni inadempimento all'obbligo di visitare il figlio minore.

Anche in dottrina non vi sono voci unanimi sulle modalità attraverso le quali debbano essere eseguiti i provvedimenti in oggetto.

Taluni hanno ritenuto che l'esecuzione spetti al Giudice tutelare (Morani, 370), altri che debba essere effettuata per la via breve, altri ancora hanno sostenuto la tesi della Suprema Corte e per altro orientamento l'esecuzione dovrebbe essere effettuata ai sensi dell'art. 605 c.p.c. (per tale ultima tesi si veda Fornaciari, 214). L'orientamento che appare maggiormente convincente, anche in forza dell'ultimo intervento normativo di cui all'art. 337-ter c.c. (che espressamente attribuisce al giudice che procede il compito di eseguire i provvedimenti) è quello che ritiene l'esecuzione per la via breve la modalità più idonea a garantire la tutela del minore (Chiarloni, 121, sembra in questo senso Danovi, 530, Canavese, 250) ed a contemperare i suoi diritti con l'esigenza che l'esecuzione sia giurisdizionalizzata.

L'esecuzione di cui innanzi è difatti caratterizzata dall'essere effettuata mediante procedura informale e flessibile, che si instaura senza particolari formalità, come quelle previste dall'art. 605 c.p.c., dinanzi al Giudice della cognizione il quale, conoscendo la situazione del minore, può individuare le modalità attuative più consone alla situazione esistente (Chiarloni, 121, 122,).

In tema di esecuzione dei provvedimenti relativi all'attuazione delle modalità di affidamento del minore sorge altresì il problema della resistenza del minore, tale da determinare, secondo la giurisprudenza di merito, l'improcedibilità dell'azione e spingere la dottrina a propendere per l'applicabilità, nei detti casi, dell'art. 318 c.c. Esso, ritenuto espressione di un principio generale, attribuisce difatti al giudice tutelare il potere di far rientrare il minore nell'abitazione familiare, nel caso di suo allontanamento in assenza di permesso dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale.

Deve evidenziarsi che la l. n. 149 del 2022 ha introdotto l'art. 473-bis.38 c.p.c. che individua, stante anche l'intervenuta eliminazione della trasmissione degli atti al gudice tutelare prevista in precedenza dalla disposizione in commento,  nel giudice che procede, ed in caso in cui non vi sia alcun procedimento pendente,  in quello che ha emesso il provvedimento l'unica l'autorità competente ad attuare i provvedimenti di affidamento dei minori secondo le modalità in esso previste(al riguardo si veda il commento relativo al precedente art. 337 c.c. al quale si rinvia).

Bibliografia

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