Codice Civile art. 337 sexies - Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza (1).Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza (1). [I]. Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'articolo 2643. [II]. In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all'altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l'avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto. (1) Articolo inserito dall'art. 55, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154. Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. InquadramentoL'istituto dell'assegnazione della casa familiare ha la finalità di tutelare i figli in seguito alla disgregazione della coppia genitoriale ed ha una valenza eccezionale. Esso costituisce infatti una limitazione temporanea, prevista dalla legge, del diritto di proprietà e degli altri diritti reali di godimento e fa ingresso nell'ordinamento con la riforma del diritto di famiglia, in quanto previsto dal previgente art. 155 c.c. disciplinante i provvedimenti che possono essere pronunciati nei confronti della prole nel giudizio di separazione. Ai sensi del c. 4 della detta norma, che regola, per lungo tempo l'assegnazione della casa familiare, «l'abitazione della casa familiare spetta, di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli». Parallelamente, nel procedimento di divorzio è solo con la riforma di cui alla l. n. 74/1987, che, ex art. 6, viene disciplinata esplicitamente l'assegnazione della casa familiare, sebbene la giurisprudenza da tempo avesse esteso l'applicazione in via analogica del citato istituto (ex multis,Cass. S.U., n. 4089/1987). Successivamente interviene la l. n. 54/2006 che, riformando la materia, introduce l'art. 155-quater c.c., disposizione dedicata esclusivamente alla assegnazione della casa familiare. Essa diviene quindi norma generale di riferimento in tema di assegnazione della casa coniugale, tanto che la prevalenza della disposizione da ultimo citata è anche assicurata dalle disposizioni finali in materia di affidamento condiviso, prevedendo, l'art. 4, comma 2, della l. n. 54/2006, che le disposizioni si applicano anche in caso di scioglimento, cessazione degli effetti civili o nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati (in questo ultimo senso Anceschi, 26). In seguito alla entrata in vigore del d.lgs. n. 154/2013 la disposizione contenuta nell'art. 155-quater c.c. è stata abrogata ed è stato introdotto l'art. 337-sexies c.c. che si applica nei previsti dall'art. 337-bis c.c. e, quindi, in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori di esso. L'istituto in esame trova altresì applicazione nei casi di matrimonio putativo, cioè contratto in violazione degli impedimenti matrimoniali (sul punto Bianca, 2014, 178). L'articolo in commento riproduce, nel comma 1 integralmente quanto già previsto dall'art. 155-quater c.c., confermando che l'assegnazione della casa familiare deve essere effettuata tenendo conto prioritariamente dell'interesse dei figli, costituendo quindi nell'attualità la norma di riferimento in tema di assegnazione della casa familiare. Tale disposizione, inoltre, ribadisce l'obbligo di comunicazione, gravante su entrambi i genitori, del cambiamento di residenza o di domicilio, stabilendo, in particolare, che colui che non abbia effettuato la predetta comunicazione sia tenuto a risarcire il danno eventualmente verificatosi per la difficoltà di reperirlo. L'obbligo da ultimo citato, fermo restando il principio secondo cui ciascuno è libero di mutare residenza o domicilio, ha una particolare importanza nell'ambito delle disposizioni che regolano l'esercizio della responsabilità genitoriale ed i diritti fondamentali del minore di cui all'art. 315 bis c.c., in quanto funzionale alle esigenze della prole e degli stessi genitori che, in assenza di comunicazione, «possono essere pregiudicati nell'esercizio del proprio ruolo educativo o nel coltivare i rapporti» con i figli (così Auletta, 739 con riferimento alla disciplina previgente). Potrebbe in astratto destare perplessità la scelta del legislatore di collocare l'assegnazione della casa familiare in questo capo, relativo all'esercizio della responsabilità genitoriale in tutti i casi in cui il legame tra i genitori venga meno. A ben vedere però tale scelta corrisponde ad una valutazione unitaria della disciplina della filiazione ed è dovuta al fatto che l'attribuzione del godimento dell'immobile adibito a casa familiare è funzionale alla tutela dei primari interessi del figlio, minorenne o maggiorenne ma non economicamente autosufficiente ovvero portatore di grave handicap. In particolare della collocazione sottolinea e conferma la strumentalità dell'istituto in esame all'interesse prioritario del figlio a conservare e mantenere il proprio habitat ed i propri interessi (Cass. I, n. 6706/2000), che, in caso di non attribuzione dell'immobile al genitore collocatario, potrebbe essere compromesso in pregiudizio del figlio e del suo sereno ed armonico sviluppo (per una ricostruzione del quadro normativo e delle differenze rispetto alla normativa precedente, Gragnani). Nei rapporti familiari dai quali deriva un obbligo di contribuzione o di mantenimento, è stato osservato, «il diritto alla casa di abitazione costituisce un necessario corollario degli obblighi suddetti», può avere titolo nella solidarietà familiare e trova il suo fondamento nel prevalente soddisfacimento di interessi non patrimoniali (Cubeddu, 55, 70). La disposizione in commento, come sopra osservato, ribadisce che l'assegnazione della casa familiare deve essere disposta tenendo conto del prioritario interesse dei figli. Autorevole dottrina ha osservato che non essendovi più, se non in casi residuali, un genitore affidatario, potrebbe risultare difficoltoso individuare il contenuto di tale interesse. Si ritiene, quindi, che l'art. 337-sexies c.c. debba essere interpretato nel senso che il giudice dovrà procedere all'assegnazione della casa familiare in favore di quel genitore che, in modo prevalente rispetto all'altro, continuerà ad occuparsi delle esigenze della prole e con il quale la prole trascorrerà i periodi di permanenza più rilevanti (in questo senso Arceri, sub 337-sexies, 2015, 1313; Scarano, 2015, 824). Casa familiare: definizione e casi particolariÈ necessario stabilire quale possa essere considerata come «casa familiare» atteso che solo quest'ultima è assegnabile al genitore collocatario così comprimendosi temporaneamente il diritto di proprietà del legittimo titolare. Nel codice civile non vi è alcuna definizione di casa familiare e le uniche disposizioni di ausilio all'interprete sono gli articoli 45,143 e 144 c.c. Il comma 1 dell'art. 45 c.c. definisce il domicilio familiare inteso come il luogo in cui ciascuno dei coniugi abbia fissato la sede principale dei propri affari od interessi. Il comma 2 sancisce invece che «il domicilio del minore coincide con il luogo di residenza della famiglia o quello del tutore e che se i genitori sono separati od il loro matrimonio è stato annullato o sciolto o ne sono cessati gli effetti civili o comunque non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio del genitore con lui convivente. Oltre alla disposizione poc'anzi citata, anche gli articoli 143 e 144 c.c. contengono elementi rilevanti ai fini della individuazione della casa familiare. Essi prevedono, il primo, l'obbligo di coabitazione come uno dei doveri derivanti dal matrimonio, e, il secondo, che i coniugi sono tenuti a fissare la residenza familiare secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia. Potrebbe quindi condivisibilmente affermarsi che la casa familiare coincida con la residenza familiare, essendo tuttavia necessario definirne ulteriormente il concetto previa disamina delle principali decisioni sul punto susseguitesi nel tempo della Consulta e dalla Suprema Corte. La Consulta ha in particolare definito la casa familiare come il complesso di beni funzionalmente attrezzato per assicurare l'esistenza domestica della comunità familiare (Corte cost., n. 454/1989), specificando che essa costituisce il centro di affetti, di interessi e di consuetudini di vita fondamentale per la formazione e lo svolgimento della personalità dell'individuo (Corte cost., n. 166/1998). La giurisprudenza di legittimità ha poi chiarito in merito che l'assegnazione della casa familiare, avendo la finalità di conservare l'habitat domestico, inteso come il centro di affetti, interessi e consuetudini in cui si esprime ed articola la vita familiare, è relativa a quell' immobile che abbia costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza (ex plurimis: Cass. VI-I, n. 32231/2018;Cass. I, n. 14553/2011; Cass. I, n. 11320/2005; Cass. S.U., n. 13063/2004 e Cass. I, n. 8867/1992). Trattasi, quindi, di un immobile che stabilmente è adibito a casa familiare e che conserva tale connotazione al momento della presentazione della domanda di assegnazione. Ciò implica l'impossibilità di considerare tale un'abitazione utilizzata dal nucleo familiare con carattere saltuario o temporaneo. La Suprema Corte ha altresì escluso che possa attribuirsi la qualifica di casa familiare, con conseguente inapplicabilità della disciplina di cui all'art. 155-quater c.c. all'epoca vigente, ad un immobile acquistato allo stato di rustico ed utilizzato dalla famiglia solo nel periodo estivo. Nel dettaglio essa ha ritenuto che la «casa familiare» coincida con l'habitat domestico, il luogo degli affetti, degli interessi e delle consuetudini della famiglia durante la convivenza dei suoi membri. Sicché, l'assegnazione della casa familiare, prevista dall'art. 155, comma 4, c.c. (applicabile alla fattispecie ratione temporis), rispondendo all'esigenza di conservare l'habitat domestico, è consentita unicamente con riguardo a quell'immobile che abbia costituito il centro d'aggregazione della famiglia durante la convivenza, con esclusione di ogni altro immobile nella disponibilità dei coniugi (Cass. I, n. 14553/2001; in merito si vedano altresì: Cass. I, n. 4816/2009; Cass. I, n. 13065/2002, e Cass. I, n. 1198/2006). La qualificazione di un immobile quale «casa familiare» presuppone che, in modo inequivoco e prima del conflitto tra i genitori, il nucleo abbia utilizzato l'abitazione, in modo stabile e continuativo, e che la destinazione impressa alla stessa si sia realizzata in concreto, attraverso la convivenza nell'immobile. In quest'ottica l'immobile acquistato in comunione ed abitato dalla coppia prima della nascita del figlio ed un funzione della loro futura convivenza, è stata qualificata come casa familiare da Cass. I, n.3331/2016, con riferimento all'art. 155-quater c.c., applicabile alla fattispecie ratione temporis. Contra, rispetto al criterio dell'unicità della casa familiare,, una parte della dottrina ritiene invece possibile la sussistenza di più case destinate a residenza familiare in ipotesi di affidamento condiviso (Gabrielli, 839; contra, Scarano, 2015, 818). Tale tesi non è condivisa dalla giurisprudenza di legittimità che, come visto, si riferisce espressamente alla «casa familiare» come al luogo ove la vita familiare si svolge e si è svolta, circostanza questa che di per sé esclude la possibilità di attribuire ad un'altra abitazione la stessa funzione (sul concetto di casa familiare ex multis Cass.I, n. 13736/2003). Una volta verificato che l'abitazione oggetto dell'assegnazione della casa costituisce effettivamente il luogo dove i figli sono cresciuti ed ove conservano e mantengono le proprie abitudini, deve chiedersi se, ove le sue dimensioni lo consentano, possa essere assegnata «parzialmente». La questione è stata risolta in senso positivo dalla Suprema Corte già con riferimento alla disciplina dettata dal previgente art. 155-quater c.c. In particolare essa ha affermato che la disposizione da ultimo citata, all'epoca vigente, non ha carattere assoluto ma attribuisce un potere discrezionale al Giudice. Quest'ultimo può, quindi, limitare l'assegnazione a quella parte della casa familiare realmente occorrente ai bisogni delle persone conviventi nella famiglia, tenendo conto delle esigenze di vita dell'altro coniuge e della possibilità di godimento separato e autonomo dell'immobile, anche attraverso modesti accorgimenti o piccoli lavori (Cass. I, n. 26586/2009). Tuttavia deve specificarsi che la divisibilità dell'immobile non sufficiente ai fini della sua assegnazione parziale, dovendosi valutare anche la concreta situazione esistente tra i genitori, con particolare riferimento al grado di conflittualità. Il provvedimento de quo, infatti, è funzionale all'interesse prioritario del minore che si sostanzia anche nella possibilità di mantenere quanto più possibile inalterate le sue abitudini. Sicché, il Giudice può limitare l'assegnazione della casa familiare ad una porzione dell'immobile, di proprietà esclusiva del genitore non collocatario, anche in caso di precedente destinazione dell'intero fabbricato a casa familiare. Ciò potrà essere effettuato però nel caso in cui sussista un lieve grado di conflittualità coniugale tale che siffatta assegnazione agevoli in concreto la condivisione della genitorialità e la conservazione dell'habitat domestico dei figli. Nel senso di cui innanzi si è espressa Cass. VI-I, n. 8580/2014, per la quale ove il genitore non collocatario muti residenza, non trova più giustificazione il provvedimento di assegnazione parziaria fondato, erroneamente, sulla riconducibilità alla casa familiare, in mancanza di riscontri di fatto, della sola porzione occupata dal genitore collocatario e sulla sufficienza, alla luce dell'art. 1022 c.c., della titolarità, da parte del genitore non collocatario, della proprietà dell'intero fabbricato. Deve evidenziarsi però che il Giudice di legittimità, nel recente passato, con riferimento all'assegnazione parziale della casa familiare, aveva diversamente sostenuto l'impossibilità dell'assegnazione parziale a meno che l'unità immobiliare fosse sia del tutto autonoma e distinta da quella destinata ad abitazione della famiglia, ovvero quest'ultima eccedente, per estensione, le esigenze della famiglia ed agevolmente divisibile (Cass.I, n. 23631/2011, in questo senso altresì Cass. VI-I, n. 22266/2020). In conclusione, la casa familiare può ritenersi coincidere con l'unità immobiliare e le relative pertinenze in cui i coniugi od i conviventi abbiano concordemente fissato la loro residenza, prima della loro separazione o del divorzio, dovendo quindi essere determinata principalmente in base ad un criterio anagrafico. Tuttavia, deve ritenersi che la sua individuazione debba essere effettuata secondo un criterio di concretezza, quindi anche a prescindere dal mero dato anagrafico, sia nel caso in cui la famiglia esplichi la propria vita familiare in un luogo diverso da quello in cui risulta formalmente residente, sia in quello in cui i coniugi siano formalmente residenti in luoghi diversi» (così Anceschi, 33). Beni mobili e casa familiareIl provvedimento di assegnazione della casa familiare deve inoltre ritenersi comprensivo anche dei beni mobili (intesi come arredi, elettrodomestici, servizi), atteso che gli stessi sono funzionali per la necessaria tutela del minore. In questo senso si è pronunciata, con risalente decisione, la Suprema Corte, affermando che, l'assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi, ai sensi dell'art. 155, comma 4, c.c., ricomprende, non il solo l'immobile ma anche i mobili, gli arredi, gli elettrodomestici ed i servizi, con l'eccezione dei beni strettamente personali che soddisfano esigenze peculiari del coniuge privato del godimento della casa familiare. Tale diritto di uso dei mobili, essendo strumentale al godimento dell'immobile, è destinato altresì a cessare nel caso di perdita della disponibilità dell'immobile da parte dell'assegnatario. Ne consegue la possibilità per il coniuge privato del godimento di tali mobili di reclamare quelli di sua appartenenza esclusiva o richiedere la divisione di quelli comuni, salvo che, in considerazione del permanere di fondate esigenze del nucleo familiare, il Giudice autorizzi il trasferimento dei mobili fino allora goduti nel nuovo alloggio (Cass.I. n.7303/1983, che specifica quindi l'estraneità dei beni strettamente personali tali da soddisfare esigenze peculiari del coniuge privato del godimento dell'immobile; sul punto si veda, indirettamente, Corte cost., n. 454/1989). L'abbandono della casa familiare: condizioni e conseguenze.In caso di abbandono della casa familiare da parte del genitore collocatario e dei figli, ove si verifichi la definitività di esso, l'abitazione perde la qualifica di casa familiare, con tutte le relative implicazioni e conseguenze (in questo senso Cass. I, n. 3030/2006). È infatti evidente che ove il genitore assegnatario abbandoni l'abitazione familiare, in via definitiva, cessa la necessità di proteggere e conservare la continuità delle abitudini ivi radicate dalla prole. Tale principio è stato applicato in una fattispecie nella quale la madre assegnataria si era stabilmente trasferita con i figli presso una diversa abitazione ed aveva utilizzato la casa familiare saltuariamente, nell'interesse dei figli, in particolare per far sì che gli stessi si incontrassero, vivendo uno con la madre mentre ed essendosi trasferito l'altro con il padre (Cass. I, n. 2952/2014). L'allontanamento deve però essere definitivo, pertanto, se avvenuto da poco tempo e per motivi scusabili non è suscettibile di determinare la perdita della qualità di casa familiare (in questo senso si vedano, per la giurisprudenza di legittimità, Cass. I, n. 11218/2013, e, per quella di merito, Trib. Milano, 8 ottobre 2013, in Fam. dir., 2014, 1027). Parimenti, l'allontanamento dall'abitazione familiare nei soli giorni lavorativi, dovuto a motivi di lavoro, e che si realizzi mediante permanenza presso l'abitazione degli ascendenti solo per tale limitato periodo, non comporta la perdita della qualifica di casa familiare (Cass. I, n. 14348/2012). La natura giuridica dell'assegnazione della casa familiareIn dottrina è controversa la natura del diritto di assegnazione della casa familiare. Varie sono state le tesi propugnate, tra esse meritano particolare considerazione quelle che qualificano l'assegnazione della casa familiare come diritto reale, in particolare come un diritto di abitazione, desumendone la natura dall'immediatezza del godimento e dalla finalità di tutela dell'interesse dell'assegnatario e dei suoi figli (Bianca, 222 e 224), nonché quelle che lo qualificano come un diritto personale di godimento atipico (Acierno, 2005, 562; Zanetti Vitali, 27; Quadri, 429; auletta 733; De Filippis, 143; sul punto, circa la natura di diritto personale di godimento si veda altresì Frezza, 1758). In giurisprudenza, diversamente, la questione è stata da tempo definita e risolta nel senso per il quale la disponibilità della casa familiare, derivante da provvedimento giudiziale di assegnazione, non integra un diritto reale bensì un diritto personale di godimento di natura atipica (ex plurimis: Cass. V, n. 2273/2014, che esclude pertanto che tale assegnazione possa precludere il riconoscimento dei benefici fiscali «prima casa»; Cass. V, n. 23225/2015, e la recente Cass. V,n. 13334/2016 che ha affermati il medesimo principio di diritto di quella in precedenza citata; circa la natura del diritto in esame si vedano altresì: Cass. I, n. 11630/2001; Cass. II,n. 7680/1997; Cass. I, n. 13126/1992; Cass. II, 6348/1991; Cass. I, 5082/1985). Trattasi di diritto personalissimo, strettamente connesso alla funzione genitoriale e, pertanto, incedibile ed intrasmissibile. Ciò comporta, secondo la Suprema Corte, che l'acquirente del bene, gravato da siffatto diritto di godimento, possa agire facendo valere la responsabilità del venditore ai sensi dell'art. 1489 c.c. (ed eventualmente nei limiti del richiamo, ivi compiuto, dagli artt. 1480,1481,1485,1486,1487 e 1488 c.c.) nonché agire per il risarcimento del danno, in forza del richiamo compiuto dall'art. 1480 c.c. all'art. 1223 c.c. (Cass. I, n. 5455/2003). Come osservato da attenta dottrina, l'elemento principale che impedisce la ricostruzione del provvedimento di assegnazione della casa familiare in termini di un diritto reale di abitazione risiede nella sua strutturale temporaneità. In particolare, mentre il diritto di abitazione di cui all'art. 1022 c.c. costituisce un vero e proprio diritto reale di godimento, l'assegnazione della casa familiare, ancorché trascrivibile, rimarrebbe soggetta alla regola rebus sic stantibus, risultando revocabile in qualsiasi momento al verificarsi di mutamento delle circostanze originariamente legittimanti la relativa adozione (Anceschi, 29). L'interesse prioritario della prole e quello del coniuge deboleL'assegnazione della casa familiare è un istituto posto a tutela della prole ed ha la finalità di garantire la conservazione dell'habitat domestico e delle proprie abitudini ai figli minorenni ed a quelli maggiorenni ma non autosufficienti ovvero portatori di handicap grave (ex art. 337-septies, comma 2, c.c.). L'art. 337-sexies c.c., così come il previgente art. 155-quater c.c., prevede tuttavia che «l'assegnazione della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto degli interessi dei figli». Bisogna quindi chiedersi cosa si intenda con l'avverbio «prioritariamente». Con riferimento al previgente art 155-quater c.c., ciò valendo anche per la disposizione in commento, è stato osservato che i termini di non esclusività attraverso i quali si esprime la legge (prioritariamente, preferibilmente) sono finalizzati ad escludere l'applicazione dell'istituto nel caso in cui il concreto interesse della prole sia in contrario al mantenimento dell'habitat domestico ovvero nel caso in cui quest'ultimo risulti sufficientemente determinato (Anceschi, 21). Sempre in merito al significato da attribuirsi all'avverbio «prioritariamente», altra dottrina ha evidenziato che gli altri criteri di valutazione, previsti dalla disposizione previgente e ribaditi da quella in commento, tra i quali la tutela del coniuge debole e condizioni economiche delle parti, possano essere comunque valutati dal Giudice, sebbene in posizione subordinata (Quadri, 269, Zanetti Vitali, 28; Auletta, 728). In particolare, si evidenzia (sempre con riferimento al previgente art. 155-quater c.c.) che pur essendo divenuto prioritario, ancorché non esclusivo, l'interesse dei figli, il provvedimento di assegnazione può determinarsi e fondarsi sulla valutazione complessiva di più parametri di riferimento. Tra questi ultimi, pur rimanendo indeterminati, avrebbe particolare rilievo quello relativo alla tutela del coniuge debole, così tenendosi conto della stretta correlazione esistente tra l'assegnazione della casa familiare e la quantificazione del contributo al mantenimento (Zanetti Vitali, 28; Auletta, 728). La giurisprudenza di legittimità, già con riferimento al previgente art. 155 c.c., ha diversamente e chiaramente affermato che, sebbene la disposizione in commento preveda che «l'assegnazione della casa familiare è attribuita tenendo conto prioritariamente dell'interesse dei figli», che l'assegnazione in oggetto è finalizzata unicamente alla tutela della prole. Ciò comporta che essa non possa essere disposta come se fosse una componente dell'assegno previsto dall'art. 156 c.c., essendo quest'ultimo finalizzato a consentire una tendenziale conservazione del tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio. In questo senso si è recentemente pronunciata Cass. VI-I, n. 19347/2016 la quale sostanzialmente ha escluso che l'assegnazione della casa familiare possa essere determinata da interessi differenti da quelli della prole. In quest’ottica, si colloca peraltro la recente Cass. I, n. 25604/2018 la quale ha ribadito che l’interesse da porsi a fondamento dell’assegnazione della casa familiare è prioritariamente quello dei figli, minorenni o maggiorenni non autosufficienti, a permanere proprio ambiente domestico e che, pertanto, deve escludersi che possa rilevare a tal fine ogni valutazione relativa alla ponderazione tra interessi di natura solo economica dei coniugi o della prole ove essa sia avulsa dalle esigenze di quest’ultima di conservare il proprio habitat familiare. Se l’interesse prioritario è prioritariamente quello dei figli, la casa deve essere assegnata al genitore collocatario, anche se se ne sia allontanato prima dell’introduzione del giudizio (Cass. VI-I, n. 32231/2018). Il principio di cui innanzi è stato affermato dalla S.C. in fattispecie nella quale la casa familiare era stata assegnata alla madre, collocataria del figlio di età minore, reputando non ostativa la circostanza che la donna si fosse allontanata dalla abitazione in conseguenza della crisi nei rapporti con il padre del bambino, e non attribuendo rilievo al tempo trascorso dall'allontanamento, dipeso dalla lunghezza del processo, non potendo quest’ultimo ritorcersi in pregiudizio dell'interesse del minore. Si colloca in quest’ottica anche la recente Cass. I, n. 23501/2023 la quale ha affermato che nel regolare il godimento della casa familiare il giudice deve tener conto esclusivamente del primario interesse del figlio minore, con la conseguenza che l'abitazione in cui quest'ultimo ha vissuto quando la famiglia era unita deve essere, di regola, assegnata al genitore presso cui il minore è collocato con prevalenza, a meno che non venga esplicitata una diversa soluzione (anche concordata dai genitori) che meglio tuteli il menzionato interesse del minore. Non può, quindi, rilevare la finalità di sopperire alle esigenze del coniuge più debole, malgrado essa abbia dei riflessi economici (ex plurimis: Cass. IV, n. 2620/2017; Cass. I, n. 1545/2006; Cass. I, n. 6979/2007; Cass. I, n. 4558/2000, in Giur. it., 2000, 2235, con nota di Massafra; Cass. S.U.,n. 11297/1995, e, per quella di merito, Trib. Roma, n. 2408/2017). Né potrebbe, diversamente, essere imposto un obbligo di pagamento del canone di locazione da parte dell'assegnatario per il godimento della casa. Qualsiasi corrispettivo inciderebbe difatti sulla funzione dell'istituto in esame, privandolo dei suoi requisiti essenziali, in quanto incompatibile con la finalità di tutela della prole e in quanto direttamente incidente sull'assetto dei rapporti patrimoniali trai coniugi dettato dal Giudice della separazione o del divorzio (in questo senso, Cass. I, n. 4188/2006). Tuttavia, la revoca dell'assegnazione della casa familiare così come l'assegnazione al coniuge economicamente più debole costituiscono circostanze rilevanti che devono essere considerate dal Giudice ma con riferimento alla diversa valutazione quella relativa, in entrambi, i casi alla determinazione adeguata dell' assegno di mantenimento. Si pensi, al riguardo, alla seconda fattispecie indicata che determina un vantaggio in favore del coniuge assegnatario con conseguente perdita economica dell'altro, da valutarsi in termini monetari alla stregua del valore del canone di locazione per un alloggio di pari caratteristiche (Cass. I, n. 4203/2006; con riferimento alla revoca si veda in particolare Cass. VI-I, n.13565/2014). Presupposti dell'assegnazione: la convivenza con la proleCome già evidenziato nei precedenti paragrafi, la disposizione in commento è stata collocata nell'ambito delle norme che regolamentano l'esercizio della responsabilità genitoriale nei casi previsti dall'art. 337-bis c.c. Ciò in quanto il godimento dell'immobile da parte del figlio è funzionale al soddisfacimento dei suoi interessi ed alla conservazione dell'habitat dallo stesso goduto e vissuto prima della disgregazione del nucleo familiare. Sicché appare evidente che, previa interruzione della convivenza tra i genitori, il presupposto per l'assegnazione della casa familiare sia costituito esclusivamente dall'esistenza di figli minorenni, maggiorenni ma economicamente non autosufficienti ovvero affetti da handicap grave (artt. 337-sexies e 337-septies c.c.). Questo principio è stato più volte ribadito dalla Suprema Corte in diverse pronunce, affermando che quello inerente l'assegnazione della casa familiare è un provvedimento presupponente l'imprescindibile presenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti in quanto funzionale agli interessi preminenti degli stessi (si vedano: Cass. I, n.16398/2007; Cass. I, n. 1545/2006; Cass. I, n. 22500/2004; Cass. I, n. 661/2003; Cass. S.U., n. 11297/1995). L'assegnazione della casa familiare postula inoltre che i soggetti, alla cui tutela è preordinata, siano figli di entrambi i coniugi. Ciò determina l'impossibilità di assegnare l'abitazione al coniuge convivente con un figlio minore che non sia anche figlio dell'altro coniuge (Cass.I, n. 20688/2007). La finalità dell'assegnazione è quella di consentire al figlio di conservare habitat ed abitudini anche nella disgregazione della famiglia, venendo quindi, di regola, disposta in favore del genitore collocatario, ovvero del genitore con il quale i figli trascorrano periodi di permanenza maggiormente rilevanti (in questo senso Arceri, 1318). Nell'ottica di privilegiare l'interesse della prole a conservare le proprie abitudini si collocano così quelle decisioni di merito che hanno ritenuto possibile disporre l'affidamento condiviso alternato a collocamento invariato, così prevedendo presenza alternata dei genitori presso la casa familiare in modo da conservare le abitudini dei minori (Trib. Genova, 25 giugno 2015, in personaedanno.it; Trib. Varese, n.158 del 2013, in il caso.it; Trib. Varese n. 9473 del 2013, in ilcaso.it; Trib. Milano, 13 giugno 2013, in ilcaso.it ). È stato in merito osservato che la considerazione del prioritario interesse del minore deponga nel senso per il quale l'assegnazione della casa familiare, da esercitarsi in modo turnario da parte dei coniugi affidatari e non dei figli, potrebbe costituire una soluzione idonea a tutelare l'interesse prevalente del minore (Scarano, 2015, 824). Assegnazione della casa familiare e figli maggiorenniAnche la presenza di un figlio maggiorenne non autosufficiente economicamente ovvero portatore di grave handicap (al quale si applicano le disposizioni in favore dei minori ex art. 337-septies c.c.), consente l'assegnazione della casa familiare al genitore con egli convivente. Nei confronti del figlio maggiorenne (che si trovi in taluna delle situazioni di cui innanzi), al pari che per il minorenne, sussiste difatti la necessità di preservare abitudini ed habitat, finché non cessi la convivenza con i genitori (in materia si vedano, ex plurimis: Cass. I, n. 12977/2012; Cass. I, n. 16027/2001). Peraltro in materia di regolamentazione della crisi familiare, qualora vi siano figli maggiorenni portatori di handicap grave ai sensi della l. n. 104 del 1992, trovano applicazione, in forza dell'art. 337 septies c.c. (già art. 155 quinquies c.c.), le disposizioni in tema di visita, cura e mantenimento da parte dei genitori non conviventi e di assegnazione della casa familiare, previste in favore dei figli minori (Cass. I. n. 2670/2023). Sovente si verifica la circostanza per la quale il figlio viva stabilmente presso l'abitazione familiare ovvero se ne allontani, ad esempio perché frequenta un corso di studi in un'altra città. Si pone quindi il problema di stabilire, qualora la permanenza del figlio maggiorenne presso l'abitazione familiare non sia continua se ed in che limiti, in questi casi, possa essere disposta e conservata l'assegnazione della casa familiare al genitore con egli convivente. A tal fine è necessario prendere le mosse da quanto, con plurime decisioni, ha affermato la Suprema Corte. La convivenza rilevante, ai fini dell'assegnazione della casa familiare, comporta la stabile dimora del figlio presso l'abitazione di uno dei genitori, che si intende non pregiudicata da eventuali sporadici allontanamenti per brevi periodi. Tra il figlio e l'abitazione deve esserci quindi un legame stabile, anche a fronte di allontanamenti dall'abitazione, che ben può realizzarsi mediante il ritorno presso la casa familiare ogniqualvolta i suoi impegni lo consentano. Tale principio è stato in particolare applicato in una fattispecie avente ad oggetto il mantenimento del figlio maggiorenne economicamente non autosufficiente e l'impugnazione in Cassazione, da parte del padre, della decisione della Corte territoriale che aveva l'obbligo di contribuzione da versarsi nei confronti della madre convivente con la prole. Il ricorrente aveva prospettato che il figlio maggiorenne in realtà non coabitasse con la madre e che, quindi, quest'ultima non fosse legittimata a riscuotere il contributo al mantenimento da lui dovuto per il figlio. A tal fine particolare valore era stato dato al contratto di locazione dal quale si desumeva la presenza stabile del giovane in diverso comune ove frequentava l'università. Ebbene la Suprema Corte, diversamente da quanto rappresentato dal ricorrente, ha evidenziato che « a differenza del rapporto coniugale, connotato di regola da una quotidiana coabitazione e dalla unicità degli interessi familiari, quello di filiazione può essere spesso caratterizzato, in presenza di peculiari e personali interessi del figlio, specie se maggiorenne, da una sua presenza solo saltuaria per la necessità di assentarsi con frequenza per motivi di studio o di lavoro anche per non brevi periodi (Cass. I, n. 11320/2005). In senso contrario sembrerebbero però essersi espresse la precedente Cass. I, n. 5857/2002, per la quale la presenza del figlio maggiorenne, avente carattere saltuario e concretizzantesi in meri rientri per il fine settimana, costituirebbe mera ospitalità (in merito Cass. I, n. 5857/2002). Successivamente la Corte ha affermato, specificando e ulteriormente chiarendo quanto già statuito dalla citata Cass. I, n. 11320/2005, che al fine di accertare la sussistenza o meno della coabitazione tra soggetti, che si assumono coabitanti ma con presenza non continuativa, deve tenersi conto del «criterio della regolarità del ritorno». In particolare il collegamento stabile con l'abitazione del genitore deve necessariamente coniugarsi con il criterio della prevalenza temporale in relazione ad una determinata unità di tempo (anno semestre, mese) dell'effettiva presenza del figlio nel luogo di coabitazione con il genitore o, in ogni caso, con il criterio della frequenza con cadenza regolare del ritorno in rapporto a quella stessa unità di tempo assunta ai fini del criterio della prevalenza temporale. Nel caso concretamente portato all'attenzione del Giudice di legittimità il figlio viveva e lavorava in una diversa città rispetto a quella ove si trovava la casa familiare, presso la quale tornava sporadicamente, e la Corte di merito, a giudizio della Suprema Corte, non aveva verificato la sussistenza dello stabile legame tra il figlio e l'abitazione attraverso il criterio sopra indicato della «regolarità del ritorno». Sotto questo specifico aspetto, dunque, si può affermare che l'allontanamento per brevi periodi dall'abitazione familiare, se accompagnato da un regolare rientro presso la stessa, non determina la cessazione della convivenza tra figlio maggiorenne e genitore assegnatario dell'abitazione. Ove, per converso, venisse accertato un rientro saltuario si configurerebbe un rapporto di mera ospitalità (in questo senso Cass. I, n. 4555/2012, in Nuova Giur. civ. comm., 2012, I, 712, con nota di Roma, La nozione di convivenza del figlio maggiorenne con i genitori ai fini della assegnazione della casa familiare; analogamente Cass. I. n. 18075/2013, in fattispecie caratterizzata da figlio vivente, per ragioni di studio, in diversa città ma con ritorni saltuari presso l'abitazione familiare, da ultimo in questo senso Cass. I n. 16134/2019). Sulla stessa linea argomentativa si è poi posta la recente Cass. I, n. 6550/2017 nel confermare che la casa familiare non possa essere assegnata al genitore, convivente con il figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, ove in essa viva di fatto il solo figlio ed il genitore si sia trasferito presso l'abitazione del compagno. La disciplina della «casa familiare» in assenza dei figliIl presupposto soggettivo dell'assegnazione della casa familiare, nell'ambito dei procedimenti di cui all'art. 337-bis c.c., è dato dalla presenza di figli minori o maggiorenni economicamente non autosufficienti ovvero con handicap grave, essendo un istituto volto alla tutela della prole ed in particolare a conservarne l'habitat familiare. Ne consegue l'impossibilità della detta assegnazione in assenza di figli. In quest'ultimo caso, così come ha chiarito in plurime decisioni la Suprema Corte, il titolo che giustifica la disponibilità della casa familiare, sia esso un diritto di godimento o un diritto reale del quale sia titolare uno dei coniugi o entrambi, è giuridicamente irrilevante con la conseguenza che, in caso di abitazione di proprietà comune di entrambi i coniugi, il godimento dell'immobile sarà disciplinato dalle norme che regolano la comunione, ed il relativo regime per l'uso e la divisione (in questo senso: Cass. I, n. 16398/2007; Cass. I, n. 11030/1997). In altra fattispecie, nella quale non vi erano figli minorenni, è stato statuito che ove entrambi i coniugi rivendichino il godimento esclusivo della casa coniugale, l'esercizio del potere discrezionale del giudice in presenza di una sostanziale parità di diritti non possa trovare altra giustificazione se non quella di favorire quello tra i coniugi che non abbia adeguati redditi propri, al fine di consentirgli la conservazione di un tenore di vita corrispondente a quello di cui godeva in costanza di matrimonio. Per converso, nel caso di inesistenza di diversità reddituali, il Giudice dovrà respingere le domande contrapposte di assegnazione del godimento esclusivo, lasciandone la disciplina agli accordi tra i comproprietari, i quali, ove non riescano a raggiungere un ragionevole assetto dei propri interessi, restano liberi di chiedere la divisione dell'immobile e lo scioglimento della comunione (Cass.I, n. 2070/2000, che valorizza gli accordi tra i coniugi comproprietari). Deve tuttavia evidenziarsi che in alcune isolate decisioni di legittimità è stato dato rilievo, alla volontà delle parti, pur in assenza dei presupposti normativamente previsti per farsi luogo all'assegnazione della casa familiare. In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto valido l'accordo con il quale i genitori avevano stabilito che la casa familiare sarebbe rimasta assegnata alla moglie fino al momento in cui avesse vissuto con lei la figlia maggiorenne, indipendentemente dal raggiungimento dell'indipendenza economica da parte della predetta. Cass. I, n. 387/2012 (in Fam. e dir. 2012, con nota di Arceri) ha riconosciuto la validità del detto accordo, come consacrato nel verbale di separazione, ha cassato la sentenza pronunciata dalla Corte territoriale che non aveva dato conto della ragioni per le quali tale accordo non avrebbe dovuto influire sulla domanda di assegnazione (sempre in tema di riconoscimento dell'accordo dei coniugi e con riferimento alla previgente normativa, si vedano: Cass. I,n. 9071/2002; Cass. I,n. 266/2000). Gli effetti del provvedimento di assegnazione della casa familiare sul valore del beneÈ controverso se il provvedimento con il quale si dispone l'assegnazione della casa familiare al genitore convivente con la prole incida sul valore del relativo bene. In ipotesi l'assegnazione potrebbe difatti durare per lungo tempo, sicché, ove il proprietario dell'immobile volesse alienarlo, potrebbero prospettarsi difficoltà nel reperimento di un acquirente interessato a divenire titolare di un diritto di proprietà non fruibile nell'immediato. La questione è stata da ultimo affrontata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 18641/2022 che ha risolto il contrasto esistente in seno alla Corte ed in particolare tra Cass. II, n. 8202/2016 e Cass. II, n. 17843/2016. Cass. II, n. 8202/2016 , confermando il proprio precedente orientamento, ha in particolare affermato che l'assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, cui l'immobile non appartenga in via esclusiva, instaura in vincolo che oggettivamente comporta una «decurtazione del valore di proprietà, totalitaria o parziaria», di cui è titolare l'altro coniuge, il quale da quel vincolo rimane astretto, come i suoi aventi causa, fino a quando tale provvedimento non venga revocato o modificato. Nel caso concreto è stato quindi stabilito che nel giudizio di divisione dovesse essere valutato anche il provvedimento di assegnazione della casa familiare (nello stesso senso già Cass. II, n. 20319/2004). Sincronicamente il Giudice di legittimità ha altresì affermato che l'assegnazione della casa familiare non possa essere considerata, in occasione della divisione dell'immobile in comproprietà tra i coniugi, al fine di determinare il valore di mercato del bene qualora l'immobile venga attribuito al coniuge titolare del diritto al godimento stesso, atteso che tale diritto è attribuito nell'esclusivo interesse dei figli e non del coniuge affidatario. Nel dettaglio, Cass. II, n. 17843/2016 ha specificato che altrimenti opinando si realizzerebbe una «indebita locupletazione» in favore dell'assegnatario, potendo egli, dopo la divisione, alienare il bene a terzi senza alcun e per il prezzo integrale (nello stesso senso anche la precedente Cass. II, n. 11630/2001. Le Sezioni Unite con la decisione n. 18641/2022 hanno risolto il contrasto affermando, in tema di scioglimento della comunione legale, l'attribuzione, che in sede di divisione, dell'immobile adibito a casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge che ne era già assegnatario, comportando la concentrazione, in capo a quest'ultimo, del diritto personale di godimento scaturito dall'assegnazione giudiziale e di quello dominicale sull'intero immobile, che permane privo di vincoli, configura una causa automatica di estinzione del primo, che, pertanto, non potrà avere alcuna incidenza sulla valutazione economica del bene in comunione a fini divisori, o sulla determinazione del conguaglio dovuto al coniuge comproprietario non assegnatario, dovendosi conferire all'immobile un valore economico pieno, corrispondente a quello venale di mercato; né, a tal fine, rileva che nell'immobile stesso continuino a vivere i figli minori, o non ancoraautosufficienti, affidati al coniuge divenutone proprietario esclusivo,rientrando taleaspetto nell'ambito dei complessivi e reciproci obblighi di mantenimento della prole, da regolamentare nella sede propria, anche con la eventuale modificazione dell'assegno di mantenimento). L'assegnazione della casa familiare già concessa in comodato da parte di un terzoL'assegnazione della casa familiare ha ad oggetto l'immobile dove la famiglia, prima della disgregazione, ha vissuto. Diversi possono essere i titoli sottostanti al provvedimento di assegnazione: diritto di proprietà, usufrutto, diritto di abitazione, enfiteusi. Allo stesso modo, il titolo sottostante può avere natura contrattuale e trovare fondamento in un contratto di comodato o di locazione. In quest'ultimo caso, il contratto non si estingue ed il genitore assegnatario subentra ex lege all'altro coniuge, così realizzandosi un‘ipotesi di cessione legale del contratto, con tutti gli oneri che ne conseguono ai sensi dell'art. 6 della l. n. 392/1978. In tal caso il rapporto in capo al coniuge, originario conduttore, si estingue e non è più suscettibile di reviviscenza neppure nel caso di abbandono della casa locata da parte del nuovo conduttore (Cass. III, n. 10890/1993). Particolare rilevanza assume, poi, con riferimento al titolo di natura contrattuale, il problema giuridico relativo alla assegnazione della casa familiare laddove la stessa sia stata concessa in comodato da parte di un terzo. La fattispecie sovente ricorrente è quella che vede il genitore di uno dei coniugi concedere in comodato un bene immobile di sua proprietà affinché sia destinato a casa familiare e successiva assegnazione della stessa al genitore affidatario. In merito sovviene l'intervento nomofilattico delle Sezioni Unite per le quali tale assegnazione non modifica la natura o il contenuto del titolo di godimento sull'immobile. In particolare, il provvedimento di assegnazione della casa, idoneo ad escludere uno dei coniugi dalla utilizzazione in atto ed a concentrare il godimento del bene in favore dell'assegnatario, resta regolato dalla disciplina del comodato negli stessi limiti che segnavano il godimento del bene in precedenza. Ove, quindi, il comodato sia stato convenzionalmente stabilito a termine indeterminato (diversamente da quello nel quale sia stato espressamente ed univocamente stabilito un termine finale) il comodante è tenuto a consentire la continuazione per l'uso previsto nel contratto, salva l'ipotesi di sopravvenienza di urgente ed imprevisto bisogno, ai sensi dell'art. 1809, comma 2, c.c. (Cass. S.U., n. 13603/2004). In successive plurime decisioni la Suprema Corte ha fatta concreta applicazione del principio di cui innanzi ribadendo che la specificità della destinazione, impressa al bene per effetto della concorde volontà delle parti, è incompatibile con un godimento caratterizzato da provvisorietà ed incertezza tipiche del comodato precario e che legittimano la cessazione, ad nutum, del rapporto su iniziativa del comodante. Quest'ultimo, quindi, ove abbia concesso in godimento il bene è tenuto a garantirne la continuazione oltre l'eventuale crisi coniugale, salva l'ipotesi di un sopravveniente urgente ed improvviso bisogno (ex multis: Cass. I, n. 16769/2011;Cass. III, n. 4917/2011; Cass. III, n. 16559/08, e Cass. III, n. 13260/2006). L'orientamento di cui innanzi ha destato perplessità in dottrina in quanto privilegiante il diritto dell'assegnatario rispetto a quello del comodante. In particolare è stato evidenziato il contrasto con la disciplina normativa del comodato e con la funzione causale tipica del detto contratto, «lasciando perplessi la ben più ampia tutela che viene attribuita al comodatario rispetto al conduttore» (Acierno, 561). Parimenti, è stato criticamente osservato che la scelta di uno schema contrattuale come il comodato, funzionale ad assicurare al proprietario la pronta restituzione del bene, possa dar vita ad una pretesa dei beneficiari alla permanenza nell' immobile per un lasso di tempo ben superiore a quello che sarebbe stato garantito qualora fosse stato stipulato un contratto di locazione (Al Mureden, 696, il quale, commentando Cass. III, n. 2103/2012, ricostruisce il panorama giurisprudenziale successivo a Cass. S.U., n. 13603/2004 ed evidenzia i correttivi interpretativi dati e la persistente incertezza relativa all'assegnazione della casa familiare in comodato). Sempre nello stesso senso critico è stato altresì rilevato che in caso di comodato concesso tra familiari sussiste una particolare forma di affidamento sull'atteggiamento comprensivo e solidale del comodante che viene meno con l'insorgere della crisi coniugale e tale da far riemergere l'esigenza di «regolamentare in modo puntuale e formale il diritto al godimento dell'immobile» (così Al Mureden, 699). Sicché, circa un decennio dopo l'intervento nomofilattico delle Sezioni Unite del 2014, Cass. S.U., n. 20448/2014 si è pronunciata nuovamente sulla questione. Essa ha confermato il principio ma specificando, in tema di onere probatorio, che spetta all'assegnatario dell'immobile, che opponga alla richiesta di rilascio del comodante l'esistenza di una destinazione dell'immobile a casa familiare, dimostrare la pattuizione attributiva del diritto personale di godimento. Per converso spetterà a colui che invochi la cessazione del comodato la dimostrazione del sopraggiungere del termine, fissato per relationem, e quindi l'avvenuto dissolversi delle esigenze connesse all'uso familiare. Nel caso di comodato avente ad oggetto l'abitazione familiare non troverebbe quindi applicazione la disciplina del comodato senza determinazione di durata (art. 1810 c.c.) bensì quella di cui all'art. 1809, comma 2, c.c., inerente il comodato sorto con la consegna della cosa per un tempo determinato o per un uso che consenta di stabilirne la scadenza contrattuale. Ciò in funzione di riequilibrio della posizione del comodante, escludendo distorsioni della disciplina negoziale. Al contratto di cui all'art 1809 c.c., hanno concluso le citate Sezioni Unite del 2014, deve quindi essere ricondotto il comodato di immobile che sia stato pattuito per la destinazione a soddisfare le esigenze della famiglia, atteso che trattasi di un contratto sorto per un uso determinato e dunque per un tempo determinabile per relationem «che può essere cioè individuato in considerazione della destinazione a casa familiare contrattualmente prevista, indipendentemente dall'insorgere di una crisi coniugale». Qualora, peraltro, venisse chiesta la restituzione del bene il Giudice sarebbe comunque tenuto ad accertare, ai sensi dell'art. 1810 c.c., che perduri, nell'interesse dei figli conviventi minorenni (o maggiorenni non economicamente autosufficienti o con grave handicap), la destinazione dell'intero bene al detto uso, dovendo, in caso contrario, ordinarne la restituzione, almeno parziale (così Cass. I, n. 2771/2017). Trascrizione e opponibilità dell'«assegnazione»Nel contesto della crisi della coppia genitoriale, assume particolare rilevanza il problema dell'opponibilità del provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al genitore collocatario che non sia proprietario del bene. Sul punto la norma in commento prevede la trascrivibilità del detto provvedimento, riproducendo quanto già disposto dall'art. 155-quater c.c. L'entrata in vigore della disposizione testé citata succede ad una lunga serie di interventi in materia da parte della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione. Nel recente passato si era discusso in merito la possibilità di trascrivere il provvedimento di assegnazione della casa familiare in caso di separazione coniugale così come era previsto dall'art. 6 nell'ambito della disciplina del divorzio. La Corte Costituzionale era quindi intervenuta con sentenza n. 454/1989 dichiarando l'incostituzionalità dell'allora vigente art. 155, comma 4,, in parte qua, per contrasto con gli artt. 3,29, e 30 della Costituzione nella parte in cui non prevedeva la possibilità di trascrivere il provvedimento di assegnazione. Questa decisione non aveva fugato tutti i dubbi esistenti in particolare con riferimento alle conseguenze della mancata trascrizione del provvedimento di assegnazione. La stessa Corte Costituzionale, pronunciatasi all'indomani della citata decisione, quindi, aveva ulteriormente chiarito che la trascrizione del provvedimento non era necessaria ai fini dell'opponibilità dell'assegnazione nei limiti del novennio ( Corte cost., n. 20/1990). Tali interventi, tuttavia, non avevano comportato un unico indirizzo interpretativo in seno alla Corte di Cassazione sicché nel medesimo periodo erano state pronunciate decisioni discordanti rispetto all'indicazione della Corte Costituzionale (Cass. I, n. 5902/1995; Cass. I, n. 5234/1994 nel senso della non opponibilità dell'atto se non trascritto; contra Cass. I,n. 10977/1996). Ne era quindi seguito l'intervento di Cass. S.U., n. 11096/2002 per le quali ai sensi dell'art. 6, comma 6, della l. 1 dicembre 1970, n. 898 (nel testo sostituito dall'art. 11 della l. 6 marzo 1987, n. 74), applicabile anche in tema di separazione personale, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, era opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell'assegnazione, ovvero – ma solo ove il titolo fosse stato in precedenza trascritto – anche oltre i nove anni (conforme Cass. I, 22593/2014). Successivamente è stato introdotto l'art. 155-quater c.c. il quale prevedeva, per quel che rileva in questa sede che «il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili ed opponibili a terzi ai sensi dell'art. 2643 c.c.». Nell'immediatezza dell'introduzione della citata norma, è stato osservato in dottrina che la riforma avrebbe dovuto correttamente intendersi nel senso dell'inclusione nell'elenco di cui all'art. 2643 c.c. dei provvedimenti di assegnazione della casa familiare, con conseguente produzione degli effetti propri degli stessi ex art. 2644 c.c. (Zaccaria, 779; sul punto si veda altresì Auletta, 733). Si è quindi discusso in merito all'opponibilità ai terzi dell'assegnazione della casa familiare ove non trascritto il relativo provvedimento (Zaccaria, 780, Cubeddu, 195). In particolare è stato osservato che il rinvio operato dall'allora vigente art. 155-quater c.c. all'art. 2643 c.c. determini una situazione di maggiore tutela per i terzi atteso che sia necessario che l'atto di assegnazione venga trascritto prima della trascrizione dell'acquisto del terzo ai fini dell'opposizione (Auletta, 733). Altra dottrina, pur riconoscendo il precedente assunto, lo ha criticato in quanto la formulazione della norma non terrebbe conto della necessità di bilanciare gli interessi in conflitto familiari e proprietari a fronte della assegnazione di una casa già concessa in locazione o in comodato ad uno dei coniugi (Zaccaria, 780 che ha sollevato anche dubbi di costituzionalità). Diversamente, secondo altri, il riferimento all'art. 2643 c.c. avrebbe la finalità di precisare la natura dichiarativa della trascrizione che rimarrebbe sottoposta alle regole generali di cui all'art. 1599 c.c. Con la conseguenza che l'assegnazione sarebbe comunque opponibile nei limiti del novennio, anche se non trascritta (Quadri, 428). In questo panorama dottrinale appare comunque evidente che la citata decisione di Cass. S.U., n. 11096/2002 costituisca il punto fermo dal quale deve partire l'interprete ed al quale tuttora può approdare atteso che l'art. 337-sexies c.c riproduce nella sostanza la previgente disposizione di cui all'art. 155-quater c.c. senza risolvere le questioni cui sopra è stato fatto cenno. Appare inoltre opportuno osservare che Corte di Cassazione, successivamente alla decisione da ultimo citata, si è occupata della questione, in un'altra pronuncia. Essa ha affermato che il provvedimento di assegnazione della casa familiare pronunciato dal Presidente del tribunale non trascritto non è opponibile oltre il periodo di nove anni dall'assegnazione al terzo che abbia successivamente acquistato l'immobile. Senza che assuma alcun valore la circostanza che il titolo di acquisto contenga l'esplicito riferimento dell'esistenza del diritto del coniuge assegnatario (Cass. I, n. 20144/2009). Inoltre è stato evidenziato che al fine di ritenere sussistente una domanda giudiziale opponibile a terzi deve aversi riguardo esclusivamente al contenuto della nota di trascrizione, dovendo le indicazioni in essa riportate consentire di individuare senza possibilità di equivoci gli elementi essenziali del negozio ed i beni cui si riferisce. In tal senso Cass. III, n.13137/2006 la quale, nella specie, ha quindi escluso che la trascrizione della generica domanda di separazione valesse già a tutelare la costituzione del diritto di abitazione. Nel caso concreto la ricorrente, comproprietaria della casa coniugale, aveva trascritto domanda per separazione giudiziale nel 1995 ed alla fine del 1996 l'atto con cui il marito costituiva in favore di lei un diritto di abitazione sullo stesso immobile ma nelle more tra i due atti una creditrice del marito aveva però iscritto ipoteca giudiziale sulla quota di proprietà di quest'ultimo. La citata sentenza, proprio in applicazione del principio di cui innanzi, ha confermato la decisione del merito, che aveva escluso che la generica trascrizione del ricorso per separazione valesse già a tutelare la costituzione del diritto di abitazione, attesa la differenza tra quest'ultimo e l'assegnazione della casa familiare, che è un diritto personale di godimento. Il Giudice di legittimità ha contestualmente precisato che, nella specie, l'atto trascrivibile sarebbe stato comunque non il ricorso per separazione bensì il provvedimento di assegnazione della casa familiare, del quale parte ricorrente aveva dedotto l'opponibilità solo nel giudizio di cassazione e, comunque, oltre il termine di nove anni dall'adozione entro il quale può essere opposto al terzo acquirente. Diversamente si è espressa Cass. III, n. 12387/2022 la quale ha affermato che 'assegnazione della casa familiare, disposta in sede di separazione personale o divorzio ai sensi dell'abrogato art. 155-quater c.c., può essere opposta ai terzi solo se trascritta anteriormente alla trascrizione del titolo del diritto del terzo sull'immobile, così come previsto dalla norma citata (trasposta nel vigente art. 337- sexies c.c.), e non anche nei limiti del novennio ove non trascritta, ai sensi del combinato disposto di cui all'art. 6, comma 6, legge 1 dicembre 1970, n. 898, e all'art. 1599, comma 3, c.c., poché a seguito dell'introduzione dell'art. 155-quater c.c. l'assegnazione della casa coniugale è trascrivibile come tale, e non più agli effetti dell'art. 1599 c.c., non potendo trarsi argomento contrario dalla circostanza della mancata abrogazione dell'art. 6, comma 6 della l. n. 898 del 1970, in considerazione dei limiti della delega legislativa di cui all'art. 2 della legge n. 219 del 2012. Quanto agli effetti della trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare e della relativa revoca, la Cass. III, n. 7776/2016 (in fattispecie relativa all'art. 155-quater c.c., ritenuto applicabile ratione temporis) ha chiarito che la trascrizione di tali atti non produce effetto riguardo al creditore ipotecario che abbia acquistato il suo diritto sull'immobile in base ad un atto iscritto anteriormente alla trascrizione del provvedimento di assegnazione. L'atto trascrivibile è quindi il provvedimento con il quale viene assegnata la casa familiare, in quanto avente data certa, sia esso sentenza che definisce il giudizio o provvedimento provvisorio pronunciato dal Presidente del Tribunale. Esso è opponibile al terzo acquirente del bene in epoca successiva al provvedimento, nel termine di nove anni ed anche oltre nel caso di sua trascrizione (Cass. I, n. 4719/2006). La necessità sottesa a tale opponibilità è quella di assicurare l'effettiva del godimento dell'assegnatario e trova realizzazione mediante il riconoscimento al predetto di un titolo legittimante comunque opponibile al terzo successivo acquirente, senza soluzione di continuità dall'emissione del provvedimento, così da porlo al riparo da iniziative dell'altro coniuge proprietario idonee a frustrare anche immediatamente la statuizione del giudice (Cass. S.U., n. 11096/2002, la quale ricostruisce analiticamente la differenza degli effetti nei confronti dei terzi del provvedimento di assegnazione della casa familiare trascritto e non trascritto). Deve inoltre evidenziarsi che la Suprema Corte ha recentemente specificato che il diritto di godimento dell'immobile adibito a casa familiare, attribuito al convivente more uxorio collocatario, è comunque opponibile all'avente causa dell'ex convivente proprietario, indipendentemente dall'anteriorità del trasferimento immobiliare rispetto al provvedimento di assegnazione, sempre che il terzo acquirente fosse a conoscenza del rapporto di convivenza e del vincolo di destinazione impresso al bene (Cass.I, n. 17971/2015). Peraltro, una volta assegnata la casa familiare la posizione del genitore assegnatario, non proprietario e non titolare di un'autonoma situazione giuridica qualificata rispetto all'immobile, è comunque assimilabile a quella di un detentore qualificato, al pari comodatario, anche quando proprietario esclusivo sia l'altro convivente “in virtù dell'affectio familiaris che costituisce il nucleo costituzionalmente protetto della relazione di convivenza” (Cass. I, n. 17971/2015, in Guida al dir., 2015, 41, 56, con nota di Galluzzo; in merito altresì Cass. II, n. 7714/2013; Cass. II, n. 7/2014 ed in precedenza Cass. I, n. 10102/2004). Recentemente, inoltre, nel caso di previa trascrizione del provvedimento di assegnazione in favore del genitore assegnatario del bene e già comodatario dello stesso, esso è stato ritenuto opponibile all'acquirente ma non oltre il novennio ancorché la trascrizione del titolo di acquisto di quest'ultimo fosse anteriore a quello del citato provvedimento (Cass. VI-III, n. 7007/2017, nella fattispecie è stata quindi esclusa la possibilità di opporre all'acquirente il provvedimento di assegnazione oltre i novennio e fino al raggiungimento della maggiore età della figlia convivente con l'assegnataria). Sotto il profilo relativo al pagamento degli oneri condominiali, l'assegnazione della casa familiare non comporta che il genitore assegnatario sia tenuto al pagamento delle spese straordinarie ad essa relative. La domanda con la quale un coniuge chieda, richiamando il provvedimento di assegnazione provvisoria ed urgente, il rimborso delle somme spontaneamente e consapevolmente corrisposte a titolo di spese di riscaldamento, nonché a titolo di imposte e tasse, si pone al di fuori del giudizio di separazione non avendo connessioni od interferenze dirette con quelle statuizioni, riguardando la sorte degli oneri che trovano presupposto in tali statuizioni. Ne consegue, per Cass. I, n. 18476/2005, che la competenza relativa a tali domande deve essere stabilita in base alle regole comuni non trovando deroga in favore del giudice competente della separazione. Sempre in tema di oneri condominiali, la recente Cass. II, n. 9998/2017 ha statuito che il genitore affidatario dei figli minorenni, assegnatario della casa familiare, non è tenuto al pagamento della quota della spese straordinarie di amministrazione, in quanto gravanti esclusivamente su colui che, al momento della delibera assembleare, risulta essere proprietario dell'immobile. Il Tribunale di Roma, con decisione altrettanto recente, ha ritenuto che il pagamento di oneri condominiali sia a carico dell'assegnatario e non del proprietario (Trib. Roma, 2689/2017, in il familiarista.it). La cessazione del diritto di assegnazione della casa familiareIl provvedimento con il quale si dispone l'assegnazione della casa familiare è suscettibile di revoca e modifica. Tuttavia, come correttamente osservato in dottrina, in virtù del relativo oggetto, la modificabilità di tale provvedimento si riduce significativamente a poche ipotesi ed in particolare a quelle di modifica del regime di affidamento della prole (Anceschi, 72). È altresì possibile, in sede di revisione, chiedere la revoca dell'assegnazione qualora, il figlio maggiorenne non conviva più stabilmente con il genitore assegnatario (in merito si rinvia al precedente paragrafo, relativo inerente il presupposto dell'assegnazione costituito dalla convivenza con la prole). L'assegnazione già disposta può cessare anche in forza di eventi che colpiscano il bene, tra i quali il suo perimento, la cessazione del diritto reale gravante sul bene, l'espropriazione per pubblica utilità ovvero circostanze relative alla persona dell'assegnatario, tra le quali la sua morte o la dichiarazione di morte presunta. In tali ultimi casi si ritiene che non sia necessario alcun provvedimento di revoca (Anceschi, 72 e 76). L'art. 337-sexies c.c. peraltro disciplina le cause che determinano la cessazione dell'assegnazione, disciplinate dall'art. 337-sexies c.c., relative ad eventi riguardanti la persona del coniuge affidatario (in merito Zanetti Vitali, 29). Quale causa di cessazione dell'«assegnazione» lo stesso articolo da ultimo citato annovera l'intervento di una nuova convivenza more uxorio. La formulazione dell'art. 337-sexies c.c., così come quella di cui al previgente art. 155-quater c.c., potrebbe difatti ritenersi, in questa sede, tale da non consentire alcuna valutazione al Giudice in merito all'interesse del minore a fronte della realizzazione della fattispecie tipica (intervento di una nuova convivenza more uxorio). Trattasi, in realtà, di problema da tempo avvertito, sia in dottrina che in giurisprudenza, non risultando l'apparente automatismo della cessazione dell'assegnazione della casa familiare conforme ad un'interpretazione costituzionalmente orientata oltre che in linea con la ratio sottesa alla relativa disciplina. La risoluzione del quesito di diritto si deve solo all'intervento chiarificatore di Corte cost., n. 308/2008 (in Corr. Giur., 2008, 1661, con nota di Quadri, Vicende dell'assegnazione familiare ed interessi dei figli) che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dagli artt. 155-quater c.c. e 4 della l. n. 54/2006, in relazione ai parametri di cui agli artt. 2,3,29 e 30 Cost. In particolare la Consulta ha specificato che, pur nel silenzio della legge, dal sistema scaturirebbe comunque l'esigenza che il Giudice valuti se la caducazione del diritto ad abitare la casa familiare corrisponda, nel caso concreto, all'interesse della prole. Si esclude quindi che la convivenza more uxorio o il nuovo matrimonio dell'assegnatario della casa possano essere considerati, di per se stessi, circostanze idonee a determinare la cessazione dell'assegnazione. Una differente interpretazione, fondata dunque solo sul dato letterale della norma scrutinata, non sarebbe difatti coerente con i fini preminenti di tutela della prole posti a fondamento dell'istituto. Così argomentando, il Giudice delle leggi ha affermato che la norma sindacata debba invece essere interpretata nel senso per il quale l'assegnazione della casa familiare viene meno non già di diritto, al verificarsi degli eventi indicati nella disposizione in esame, ma solo all'esito del provvedimento giudiziale di decadenza, subordinato ad un giudizio di conformità dell'interesse del minore. Conformemente a tale condivisibile interpretazione, la Suprema Corte ha escluso l'effetto caducatorio che la norma ricollega alla nuova convivenza o alle nuove nozze del genitore collocatario (Cass.I, n. 16171/2014). Sul punto si segnala, ancora più di recente, la decisione del Tribunale di Palermo con la quale è stato escluso che la nuova convivenza more uxorio del genitore collocatario possa da sola determinare la revoca dell'assegnazione della casa familiare, trattandosi di una circostanza ininfluente sull'interesse della prole atteso ed atteso che l'interesse posto a fondamento del provvedimento di assegnazione è quello di consentire al figlio di conservare il proprio habitat. La particolarità della fattispecie da ultimo citata è costituita dalla circostanza che i coniugi avevano sottoscritto un ricorso congiunto per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, prevedendo, in ordine alla regolamentazione dei loro rapporti patrimoniali, l'automatica cessazione della assegnazione della casa familiare al genitore collocatario in caso di convivenza more uxorio (Trib. Palermo, 29 dicembre 2016). Da ultimo e con riferimento alle modalità di esecuzione della decisione, la Suprema Corte ha affermato che l'ordinanza attributiva del diritto del coniuge assegnatario ad abitare la casa familiare, in mancanza di spontaneo adempimento, è soggetta ad esecuzione coattiva per via breve, tramite ufficiale giudiziario o mediante procedura di esecuzione forzata (Cass.I, n. 8317/1997). 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I, Milano, 2011; Gabrielli, I problemi della assegnazione della casa familiare al genitore convivente con i figli dopo la dissoluzione della coppia, in Riv. dir. civ. 2003; Gragnani, Per un'interpretazione non discriminatoria della norma sull'assegnazione della casa familiare, il familiarista.it, 18 ottobre 2016; Paladini, Ipoteca, assegnazione della casa familiare e presunta abrogazione “tacita” dell'art. 6, comma 6, L, n. 898/1970. (Separazione dei coniugi), in Nuova Giur. civ. comm, 2022; Quadri, L'assegnazione della casa familiare in sede di separazione e divorzio, in Fam. e dir. 1995; Scarano, Assegnazione della casa familiare, in Bianca (a cura di), La riforma della filiazione, Padova, 2015; Zaccaria, Opponibilità e durata dell'assegnazione della casa familiare, dalla riforma del diritto di famiglia alla nuova legge sull'affidamento condiviso, in Fam. pers. e succ., 2006; Zanetti Vitali, La separazione personale dei coniugi, artt. 155-155 sexies c.c., in Shlesinger (diretto da), Il diritto civile Commentario, Milano, 2006. |