Legge - 15/01/1994 - n. 64 art. 1

Gustavo Danise

Art. 1.

La presente Convenzione ha come fine:

a) di assicurare l'immediato rientro dei minori illecitamente trasferiti o trattenuti in qualsiasi Stato contraente;

b) di assicurare che i diritti di affidamento e di visita previsti in uno Stato contraente siano effettivamente rispettati negli altri Stati contraenti.

Inquadramento

La Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, ratificata con l. n. 64/1994 disciplina tra gli Stati firmatari gli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori. Offre quindi strumenti di contrasto avverso quest'odioso fenomeno, che negli '70 aveva fatto registrare un sensibile aumento. La Convenzione non tratta aspetti sostanziali dell'affidamento dei minori, né individua la disciplina giuridica applicabile o l'autorità giurisdizionale che deve occuparsi dell'illecita sottrazione di un minore (scopi al cui perseguimento sono dedicate altre Convenzioni internazionali, come si vedrà nel corso della trattazione), ma si innesta nel settore della cooperazione giudiziaria ed amministrativa tra Stati, indicando procedure finalizzate ad assicurare l'immediato rientro dei minori illecitamente trasferiti o trattenuti in qualsiasi Stato contraente ed il rispetto effettivo dei diritti di affidamento e di visita previsti in uno Stato contraente, che consistono negli obiettivi sanciti nell'art. 1.

La genesi della Convenzione

Prima dell'emanazione della Convenzione in commento, la tutela internazionale dei minori era assicurata dalla Convenzione dell'Aja del 1961 (ratificata e resa esecutiva in Italia con la l. 742 del 1980, integrata con l. 15 gennaio 1994 n. 64 ed entrata in vigore il 22 aprile 1995) che si occupa della protezione della persona e dei beni del minore, individuando la legge applicabile ed affidando la competenza giurisdizionale allo Stato di residenza abituale, ma nulla dispone sulla sottrazione internazionale della prole. Quindi, in considerazione dell'assenza di altre norme convenzionali internazionali che affrontassero tale problematica, la cui rapida diffusione necessitava di strumenti di contrasto adeguati, il Consiglio d'Europa e la Convenzione dell'Aja di diritto internazionale privato affidarono alle loro commissioni di studio il compito di redigere il progetto di una nuova convenzione che si dedicasse esclusivamente alla cooperazione tra Stati in materia di sottrazione illecita di minori così da completare, unitamente alla precedente Convenzione del 1961, il quadro degli strumenti di tutela internazionale dei minori. I lavori si conclusero nel 1980, quando furono adottate, dal Consiglio d'Europa, la Convenzione europea sul riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori e di ristabilimento dell'affidamento, aperta alle firme il 20 maggio 1980 a Lussemburgo (entrata in vigore internazionalmente l'1 settembre 1983, e ratificata e resa esecutiva da 37 Stati membri, tra cui l'Italia che ha provveduto con legge di autorizzazione alla ratifica e esecuzione n. 15 gennaio 1994, n. 64) e, qualche mese dopo, la convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, adottata in seduta plenaria il 24 ottobre 1980 dalla quattordicesima sessione della conferenza De l'Aja di diritto internazionale privato, all'unanimità degli stati presenti. Il 25 ottobre 1980, i delegati firmarono l'atto finale della quattordicesima sessione recante il testo della convenzione e una raccomandazione contenente il formulario tipo da utilizzare per le domande di ritorno dei minori trasferiti o trattenuti illecitamente. La conferenza de l'Aja ha aperto alla firma degli Stati immediatamente dopo la seduta conclusiva del progetto di convenzione adottato nel corso della quattordicesima sessione. Quattro Stati hanno firmato immediatamente la convenzione (Canada, la Francia, la Grecia e la Svizzera), che è entrata in vigore internazionalmente l'1 dicembre 1983, e successivamente è stata ratificata e resa esecutiva in ben 90 Stati - di cui 26 non fanno parte della Conferenza dell'Aja di diritto internazionale privato - ed in Italia con L. 15 gennaio 1994 n. 64, entrata in vigore il primo maggio 1995 (Per un'analisi approfondita Carella, 777 ss.; Corbetta 715 ss).

Gli obiettivi della Convenzione

Già durante i lavori preparatori della quattordicesima sessione della conferenza De l'Aja emerse che il testo della convenzione riflette un compromesso fra due concezioni, parzialmente diverse, dell'obiettivo da raggiungere: da un lato il desiderio di proteggere le situazioni di fatto alterate dal trasferimento o dal mancato ritorno di un minore; e dall'altro, la preoccupazione di garantire soprattutto il rispetto dei rapporti giuridici che possono essere alla base di tali situazioni. L'equilibrio sancito dalla convenzione su questi due punti è abbastanza fragile: da un canto, la convenzione non incide sul merito del diritto di affidamento (articolo 19); ma dall'altro è altrettanto evidente che il fatto di qualificare come illecito il trasferimento o il mancato ritorno di un minore è condizionato proprio dall'esistenza di un provvedimento giudiziario o amministrativo che stabilisce il diritto di affidamento, la cui violazione si intende impedire. La convenzione mira a realizzare una cooperazione tra Stati per contrastare il fenomeno delle sottrazioni transnazionali di minori e pone in primo piano l'interesse del minore e le possibili eccezioni al ritorno immediato dei minori trasferiti o trattenuti illecitamente. Un aspetto molto importante della Convenzione, che non si percepisce ictu oculi dalla lettura dei suoi articoli, ma che è stato tenuto in grande considerazione durante i lavoro della quattordicesima sessione consiste nella necessità di evitare che il sottrattore del minore possa scegliersi l'autorità giudiziaria che vuole al fine di ottenere l'affidamento del minore. Infatti, il comportamento contrastato nella Convenzione, che consiste nella sottrazione del minore all'ambiente familiare e sociale nel quale si svolgeva la sua vita, sia che si realizzi mediante trasferimento fuori dal suo ambiente abituale, dove si trovava affidato ad una persona fisica o morale che esercitava su di lui un diritto legittimo di affidamento, sia che si consumi mediante rifiuto di reintegrare il minore nel suo ambiente dopo una permanenza all'estero assentita dalla persona che esercita l'affidamento, costituisce un illecito perché viola il titolo giuridico posto alla base dell'esercizio del diritto di affidamento sulla persona del minore, ma l'efficacia di questo titolo giuridico può diventare, nella pratica, effimera, perché la persona che trasferisce il minore (o che è responsabile del trasferimento, qualora l'azione materiale sia eseguita da un terzo) confida di ottenere dalle autorità del paese in cui il minore è stato condotto, un altro provvedimento che gli conceda il diritto di affidamento su di lui. Naturalmente, nella stragrande maggioranza dei casi, il sottrattore è il padre o la madre del minore; nel caso in cui i genitori provengono da diversi Paesi, ciascuno dei due avrebbe la possibilità di rifugiarsi nella propria nazione ove ha parenti ed amici, con l'intento di appropriarsi in via esclusiva del minore, violando quindi il contenuto del provvedimento giudiziario di affidamento, sperndo di ottenere una decisione giudiziaria o amministrativa dello Stato in cui si è rifugiato che legalizzi la situazione di fatto che ha appena creato, oppure rimanendo inerte, lasciando così l'iniziativa alla persona spodestata. In entrambi i casi, sia che l'iniziativa sia presa dal genitore spodestato, sia che sia assunta dal sottrattore, quest'ultimo si troverà comunque in una posizione vantaggiosa, in quanto avrà scelto il foro che giudicherà il caso, corrispondente a quello in cui si trova il minore, e che, in linea di principio, egli ritiene sia il più favorevole relativamente alle sue aspettative. Naturalmente, una eventuale decisione favorevole, che gli affidi il minore, ancorché in contrasto con una precedente decisione emessa da altro foro, avrà una validità geograficamente limitata, ma in ogni caso costituirà un titolo giuridico sufficiente a «legalizzare» una situazione di illecito materiale. Si tratta del risultato scongiurato da tutti i Paesi rappresentati nella commissione che ha predisposto il progetto preliminare. Per questo motivo, gli obiettivi che si propone la convenzione, descritti nell'articolo primo, vanno letti anche in quest'ottica, per cui, considerato che il sottrattore vuole che la sua azione venga legalizzata dalle autorità competenti dello stato in cui si è rifugiato, un mezzo efficace per contrastarlo è di fare in modo che la sua condotta venga privata di ogni conseguenza pratica e giuridica; ed a questo scopo, la convenzione sancisce quale primo obiettivo (art. 1 lett a) il ripristino dello status quo, tramite l'immediato rientro dei minori illecitamente trasferiti o trattenuti in qualsiasi stato contraente. Le difficoltà insormontabili incontrate nella determinazione convenzionale dei criteri di competenza diretta in materia hanno infatti portato a scegliere questa via che, sebbene indirettamente, fa sì che nella maggior parte dei casi la decisione finale sull'affidamento sia emessa dalle autorità della residenza abituale del minore prima del suo trasferimento. D'altro canto, sebbene l'obiettivo espresso al punto b), «assicurare che i diritti di affidamento e di visita previsti in uno stato contraente siano effettivamente rispettati negli altri stati contraenti», sembri possedere un carattere autonomo rispetto all'obiettivo di cui alla lett. a), sussiste, in realtà, una connessione teleologica tra i due, talmente forte da consentire di affermare che si tratti di un solo obiettivo visto in due momenti diversi: mentre il rientro immediato del minore risponde al desiderio di ristabilire una situazione che il sottrattore ha modificato unilateralmente, il rispetto effettivo dei diritti di affidamento e di visita si colloca su un piano preventivo, nella misura in cui tale rispetto deve contribuire ad eliminare una delle cause più frequenti di sottrazioni di minori. Ora, poiché la convenzione non precisa i mezzi che ogni stato deve usare per far rispettare il diritto di affidamento esistente in un altro stato contraente, bisogna concludere che, fatta eccezione per la protezione indiretta, che comporta l'obbligo di restituire il minore a colui che ne aveva la custodia, il rispetto del diritto di affidamento sfugge quasi interamente al campo convenzionale. Il diritto di visita, invece, è oggetto di una regolamentazione di certo incompleta, ma indicativa dell'interesse attribuito ai contatti regolari fra genitori e figli, anche quando l'affidamento sia stato assegnato ad uno solo dei genitori o ad un terzo. Alla luce di tali considerazioni, bisogna concludere che ogni tentativo di gerarchizzazione degli obiettivi della convenzione non può avere che un significato simbolico. Sembra infatti quasi impossibile stabilire una gerarchia fra i due obiettivi che traggono origine dalla stessa preoccupazione: agevolare il rientro di un minore trasferito o adottare le misure necessarie ad evitare un tale trasferimento. Se questo è vero in linea teorica, nella pratica indubbiamente il ripristino della situazione alterata dall'atto del sottrattore è l'obiettivo prevalente nell'ambito della convenzione, perché la sottrazione o la ritenzione illecita sono le condotte materiali che possono determinare maggiori danni per il minore e sono quelle che esigono soluzioni particolarmente urgenti, che non possono essere risolte in modo unilaterale da ogni ordinamento giuridico interessato e quindi necessitano di una cooperazione interstatale. Così delimitati gli scopi della convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, se ne può ricavare la natura e funzione di strumento di stretta cooperazione fra le autorità giudiziarie e amministrative degli stati contraenti volta a realizzare in concreto gli obiettivi del ritorno immediato del minore nell'ambiente da cui è stato allontanato e del rispetto effettivo dei diritti di affidamento e di visita esistenti in uno degli stati contraenti. Si può pervenire alla stessa conclusione anche attraverso un approccio «in negativo», nel senso che la convenzione non riguarda la legge applicabile alla custodia dei minori, in quanto i riferimenti fatti al diritto dello Stato della residenza abituale del minore hanno, infatti, una portata ristretta, poiché il diritto in questione è preso in considerazione solo per accertare il carattere illecito del trasferimento (per esempio, all'articolo 3); ed in secondo luogo, non è nemmeno un trattato sul riconoscimento e sull'esecuzione delle decisioni in materia di affidamento (questa opzione, che ha tuttavia suscitato lunghe discussioni all'interno della prima riunione della commissione speciale, è stata volutamente evitata). Appurato in definitiva che la Convenzione è esclusivamente incentrata sul concetto di cooperazione fra autorità, limitata giuridicamente e territorialmente agli Stati che vi hanno aderito, si impone un'ultima osservazione di portata generale prima di approfondire alcune riflessioni specifiche sui due obiettivi. Sebbene la convenzione non includa alcuna norma che sancisca il carattere internazionale delle situazioni considerate, tale conclusione emerge in maniera lampante sia dal titolo che dai diversi articoli. Il carattere internazionale deriva dalla situazione della dispersione dei membri di una famiglia in diversi paesi; una situazione puramente interna al momento del suo nascere può quindi rientrare nel campo di applicazione della convenzione per il fatto, per esempio, che uno dei membri della famiglia si sia trasferito all'estero col minore, o per il desiderio di esercitare un diritto di visita in un altro paese, ove risieda la persona che asserisce avere tale diritto, invece la differenza di nazionalità delle persone interessate non implica necessariamente che ci troviamo di fronte ad una fattispecie internazionale alla quale deve essere applicata la convenzione. Non conta in altri termini la cittadinanza originaria né la residenza abituale dei genitori; rileva il fatto che uno dei due, approfittando dei periodi in cui gli è consentito di esercitare il diritto di visita del minore, lo porta con sé all'estero, in un altro Stato che aderisce alla Convenzione dell'Aja, con lo scopo di ritenerlo esclusivamente per sé, escludendo la figura dell'altro genitore, in violazione di un titolo giuridico che ne dispone l'affidamento a favore dell'altro o l'affidamento congiunto ma con collocazione preferenziale presso l'altro genitore. E' in questo caso che la fattispecie materiale acquista carattere internazionale e consente l'operatività della Convenzione. Esaminando l'art. 1 più in dettaglio, il capitolo primo definisce il campo di applicazione della convenzione in merito alla materia e alle persone interessate (campo di applicazione ratione materiae e ratione personae). L'articolo 1 espone in due paragrafi gli obiettivi convenzionali già esaminati. La formulazione della lett. a) è rimasta immutata; la quattordicesima sessione non ne ha cambiato il tenore letterale elaborato dalla commissione speciale. Occorre solo chiarire due aspetti: il primo concerne la caratterizzazione dei comportamenti che si vorrebbero evitare con la realizzazione di questo obiettivo. Il riferimento ai minori «trattenuti illecitamente» intende comprendere i casi in cui il minore che si trovi in un luogo diverso da quello della sua residenza abituale - col consenso della persona che esercitava normalmente la sua custodia - non viene restituito dalla persona con la quale si trova, e rappresenta la situazione tipo che si verifica quando il trasferimento dei minore è la conseguenza di un esercizio abusivo del diritto di visita. In secondo luogo, il testo precisa che i minori di cui si cerca di assicurare il ritorno sono quelli che sono stati trasferiti o trattenuti «in ogni stato contraente». Tale formula non intende semplicemente confermare l'ambito di applicazione non universale della Convenzione, ma limitato soggettivamente e territorialmente agli Stati aderenti, che sarebbe una considerazione scontata e superflua, ma, leggendola in rapporto all'articolo 2 che recita «Gli Stati contraenti prendono ogni adeguato provvedimento per assicurare, nell'ambito del proprio territorio, la realizzazione degli obiettivi della Convenzione. A tal fine, essi dovranno avvalersi delle procedure d'urgenza a loro disposizione», consente di apprezzare il carattere generale di tale obiettivo. In altre parole l'art. 2 pone a carico degli Stati contraenti un obbligo generale di realizzare gli obiettivi della Convenzione stabiliti nella lett. a) anche nel caso in cui il paese di provenienza del minore non rientri tra gli Stati firmatari. Tuttavia, mentre in quest'ultimo caso lo Stato ove è stato introdotto illecitamente il minore deve raggiungere gli obiettivi della Convenzione con le procedure ed i rimedi ivi descritti (quindi con il ricorso alle Autorità centrali), diversamente l'obbligo di realizzazione degli obiettivi suddetti con riguardo ai minori che provengono da Stati non aderenti alla Convenzione, potrà essere adempiuto con gli ordinari strumenti giuridici previsti nei rispettivi ordinamenti giuridici dei singoli Stati firmatari. Si tratta di un precisazione importante perché la vocazione universale dell'art. 2 è finalizzata ad impedire che i territori degli Stati aderenti si trasformino in luoghi di rifugio di eventuali «sottrattori». Per quanto concerne l'obiettivo convenzionale esposto nella lettera b) occorre rimarcare che il suo ambito di applicazione è circoscritto alle situazioni internazionali come sopra descritte; non si tratta di una precisazione superflua, perché il testo del progetto preliminare dava adito ad altre interpretazioni, tese a ricomprendervi anche situazioni interne (cioè trasferimento del minore da una parte all'altro nell'ambito dello stesso Stato). Per quanto concerne la portata applicativa, occorre distinguere tra diritto di custodia e diritto di visita. Per quanto riguarda il diritto di custodia, la convenzione non ha cercato di svilupparlo in modo autonomo; rientra nell'obbligo generale espresso dall'articolo 2, e viene considerato quale presupposto nell'art. 3 per stabilire la illiceità della condotta di sottrazione o ritenzione del minore ai fini dell'adozione delle misure di cui all'art 13. Invece, al diritto di visita è stata dedicata una disciplina autonoma nell'articolo 21.

Si riporta di seguito una rassegna giurisprudenziale della Corte di Cassazione italiana molto interessante, perché nelle varie pronunce si delimita l'esatto ambito di applicazione della Convenzione e se ne illustrano le finalità. Le S.U, in sentenza (Cass.S.U., n. 22238/2009 precisano che il trasferimento all'estero o il mancato rientro in Italia di figli minori di genitori separati non è qualificabile come illecita sottrazione all'altro genitore, allorché l'allontanamento avvenga ad opera dell'affidatario, e non dell'altro, con la conseguenza che in tale ipotesi è inapplicabile la Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 sugli effetti civili della sottrazione internazionale di minori. Diversamente, il trattenimento del figlio minore da parte di un genitore, pur in presenza dell'esercizio congiunto del diritto di custodia da parte di entrambi i genitori, deve ritenersi illecito, alla luce della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, come integrata dal Regolamento CE n. 2201/2003 (diciassettesimo «considerando»), se contrasta con la situazione di fatto - concordemente e convenzionalmente accettata dai genitori - sulla base della presunzione secondo la quale l'interesse del minore coincide con quello di non essere allontanato o di essere immediatamente ricondotto nel luogo in cui si svolge la sua abituale vita quotidiana. (Cass. n. 1527/2013). Sempre con riguardo all'ambito di applicazione, la Cassazione precisa che l'illiceità del trasferimento, o del mancato rientro, del minore, in violazione dei diritti di custodia o di affidamento assegnati ad una persona, istituzione o ogni altro ente, congiuntamente o individualmente, in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento o del mancato rientro sussiste solo se tali diritti siano effettivamente esercitati, congiuntamente o individualmente, al momento del trasferimento del minore o del mancato rientro, o avrebbero potuto esserlo se non si fossero verificate tali circostanze (Cass. n. 27593/2006; principio confermato successivamente da Cass. n. 12293/2010). Quindi, in presenza di un provvedimento giudiziario che dispone l'affidamento condiviso dei figli minori con collocazione privilegiata presso la madre e con regolamentazione del diritto di visita del padre, ove quest'ultimo per un lasso di tempo apprezzabile non eserciti il suddetto diritto, la condotta della madre che si rechi all'estero portando con sé il figlio non costituisce illecito ai sensi della Convenzione dell'Aja, appunto perché difetta il requisito di effettività, ed una domanda da parte sua di attivazione di uno dei rimedi previsti dalla suddetta Convenzione rischia di essere rigettata. Ed ancora, la decisione sull'affidamento emessa dal giudice nazionale diverso da quello competente in base al criterio della residenza abituale del minore non legittima l'esecuzione personale ed autonoma del provvedimento da parte dell'affidatario il quale, agendo di sua iniziativa, senza il rispetto della procedura per l'esecuzione all'estero di un provvedimento del giudice nazionale, realizza il fatto materiale della sottrazione del fanciullo all'altro genitore e del successivo trasferimento in altra nazione, che integra il presupposto per l'applicazione dell'art. 3 della Convenzione (Cass. n. 13167/2004). Importantissima poi è la sentenza n. 8000/4004 in cui la Cassazione affronta diverse questioni che traggono origine dalla Convenzione. Con specifico riferimento all'oggetto di questo paragrafo, chiarisce che l'esercizio non effettivo, al momento del trasferimento o del mancato rientro, del diritto di affidamento da parte del genitore, che determina il rigetto della domanda di rientro del minore, ad opera dell'autorità giudiziaria, non può essere valutato in termini meramente quantitativi; sicché l'esercizio effettivo è configurabile anche quando, in caso di affidamento congiunto del minore ad entrambi i genitori non conviventi, la convivenza del bambino col genitore, al quale il minore sia stato sottratto, sia inferiore rispetto a quella col genitore autore dell'illegittimo trattenimento. Per stabilire il requisito dell'affidamento del minore al richiedente il giudice può dar peso anche del diritto di custodia, che - secondo la disposizione recata dall'ultimo comma del menzionato art. 3 - può derivare anche da una decisione giudiziaria o amministrativa (Cass. n. 15192/2001), ma - aggiungerei - di per sé sola non è sufficiente dovendo il giudice adito, alla luce delle precisazioni sinora fatte, verificare se il titolo giuridico che prevede il diritto di custodia sia effettivamente esercitato. Potrebbe infatti accadere che nonostante in un provvedimento giudiziario sia indicata la collocazione preferenziale del minore presso un genitore, col passar del tempo l'altro genitore riesca ad accumulare sempre maggior spazio nella vita del minore fino al punto che quest'ultimo si trasferisce definitivamente da lui con il consenso dell'altro genitore, senza che le parti, però, si attivino per ottenere dal Tribunale un mutamento del titolo giuridico sul diritto di custodia corrispondente alla nuova situazione di fatto determinatasi. Ad avviso dello scrivente in tal caso il mero titolo giuridico formale non rileverebbe quale indice comprovante l'illecito dell'altro genitore che si sia trasferito all'estero con il minore se si prova che oramai il minore di fatto coabitava con quest'ultimo e vedeva solo sporadicamente l'altro genitore; in tal caso l'autorità adita dovrebbe rigettare la domanda avente ad oggetto l'ordine di rientro. Con riguardo all'interpretazione dell'obiettivo di cui alla lett. b), la Cassazione, in linea con l'opzione ermeneutica ut supra espressa, evidenzia come la Convenzione presuppone, ai fini della sua applicabilità, la rilevanza internazionale, cioè relativa a rapporti tra Stati contraenti, delle questioni trattate, e quindi postula, anche quando l'autorità giudiziaria dello Stato contraente sia adita direttamente dall'interessato, che vi siano rapporti tra genitori di Stati diversi e che la sottrazione o il mancato rientro del figlio minore non assicuri che i diritti di affidamento e di visita previsti in uno Stato contraente siano effettivamente rispettati negli altri Stati contraenti; ne deriva, pertanto, che si è al di fuori del campo di applicazione di detta Convenzione allorché si tratti di dare esecuzione a provvedimenti dell'autorità giudiziaria di uno degli Stati contraenti emessi tra cittadini dello stesso Paese in cui si trattiene il minore, al quale sia impedito il rientro in uno Stato diverso, ove il genitore affidatario abbia trasferito la propria residenza (Cass. n. 17647/2002). Quanto alle finalità generali della Convenzione, in sentenza Cass. n. 17648/2007 la Cassazione precisa che detto strumento mira a proteggere il minore contro gli effetti nocivi derivanti da un suo trasferimento o mancato rientro illecito, con esclusivo riferimento alla situazione di mero fatto, sulla base della presunzione secondo la quale l'interesse del minore coincide con quello di non essere allontanato o di essere immediatamente ricondotto nel luogo in cui svolge la sua abituale vita quotidiana. In sentenza Cass. n. 14960/2007, invece, la Corte di legittimità sottolinea la finalità bivalente della Convenzione, quale traspare dalle lett. a) e b) dell'art. 1, in cui sono tracciati due percorsi differenti di tutela in ragione della (diversa) natura del diritto del genitore che si assume leso, nel senso che, in caso di violazione del diritto di custodia, attribuito al medesimo genitore in via esclusiva o congiunta, va ripristinata la situazione preesistente alla sottrazione, consentendo al minore di tornare, a vivere con il genitore al quale è stato illecitamente sottratto, laddove, nel caso in cui sia compromesso il diritto di visita del genitore non affidatario, difettando il presupposto dell'illiceità del trasferimento ai sensi dell'art. 5 della Convenzione stessa, va garantita a quest'ultimo, con l'ausilio dell'autorità centrale, l'effettività dell'esercizio del suo diritto, anche attraverso una nuova definizione dei suoi rapporti con il figlio, alla luce del diverso contesto ambientale in cui egli si sia trasferito (in senso conforme Cass. n. 16092/2006; Cass. n. 10374/2006 e Cass. n. 6014/2005).

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