Legge - 15/01/1994 - n. 64 art. 3

Gustavo Danise
aggiornato da Francesco Maria Bartolini

Art. 3.

Il trasferimento o il mancato rientro di un minore è ritenuto illecito:

a) quando avviene in violazione dei diritti di custodia assegnati ad una persona, istituzione o ogni altro ente, congiuntamente o individualmente, in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro e:

b) se tali diritti vanno effettivamente esercitati, individualmente o congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o avrebbero potuto esserlo se non si fossero verificate tali circostanze.

Il diritto di custodia citato al capoverso a) di cui sopra può in particolare derivare direttamente dalla legge, da una decisione giudiziaria o amministrativa, o da un accordo in vigore in base alla legislazione del predetto Stato.

Inquadramento

L'art. 3 definisce compiutamente la condotta illecita che la Convenzione intende contrastare con le procedure di cui agli artt. 6 ss e con l'adozione degli atti descritti negli agli artt. 13 e 21. I compilatori della Convenzione hanno optato per una definizione unitaria dell'illecito con la formula «quando avviene in violazione dei diritti di custodia assegnati ad una persona, istituzione o ogni altro ente, congiuntamente o individualmente, in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro»; ma le condotte in cui tale illecito può concretizzarsi nella realtà esterna sono di due tipi: quando un genitore, durante l'esercizio del diritto di visita del figlio minore si trasferisca con quest'ultimo in un altro Stato, che aderisce alla Convenzione, determinando l'allontanamento del minore dallo Stato ove ha stabilito la sua residenza abituale; e quando un genitore che si è recato all'estero con il figlio minore, per una breve vacanza ad es., con il consenso dell'altro che ne esercita il diritto di custodia, ometta di far ritorno nel paese di provenienza e non riconsegni il minore all'altro genitore entro il termine concordato. Il presupposto affinché si configuri l'illecito, in una qualunque delle situazioni descritte, è la sussistenza di un diritto di custodia in favore dell'altro genitore stabilito da un provvedimento dell'autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato in cui il minore ha la residenza abituale; ed il diritto di custodia deve essere esercitato in modo effettivo, nel senso che il contenuto del provvedimento che lo dispone deve essere esercitato concretamente dal genitore avente diritto.

Carattere illecito di un trasferimento o di un mancato ritorno

L'art. 3 costituisce una delle disposizioni chiave della convenzione, in quanto dalla sua applicazione dipende l'avvio della procedura per il rientro del minore. La convenzione impone l'obbligo di restituire il minore solo se c'è stato un trasferimento o un mancato ritorno da essa considerati illeciti. Ai fini della definizione di trasferimento illecito, l'articolo in commento enfatizza due presupposti: in primo luogo l'esistenza di un diritto di custodia attribuito dallo Stato di residenza abituale del minore ed in secondo luogo, l'esercizio effettivo di tale custodia prima del trasferimento del minore. Il primo è un elemento giuridico e l'altro un elemento di fatto e devono coincidere; si avrà l'illecito ex art. 3 se tale situazione viene ad essere modificata dalla condotta unilaterale dell'altro genitore. Per quanto riguarda l'elemento giuridico, presente in queste situazioni, la convenzione ha l'obiettivo di difendere le relazioni che sono già protette in virtù dell'esistenza di un titolo per il diritto di custodia nello stato di residenza abituale del minore, cioè in virtù della legge dello stato di cui si svolgevano le relazioni del minore prima del suo trasferimento. Occorre sottolineare che durante la quattordicesima sessione furono sollevati numerosi problemi legati alla violazione del diritto di visita, specialmente quando il minore è portato all'estero da chi lo ha in custodia. Si evidenziò in tale sede che la modifica unilaterale illecita del provvedimento che dispone il diritto di custodia si traduce in una modifica della situazione di fatto che altera l'equilibrio del rapporto giuridico stabilito nel provvedimento sull'affidamento già emanato nel Paese di provenienza, che pertanto dovrebbe essere soggetto a revisione sulla base del nuovo equilibrio raggiunto. Ma la maggioranza degli Stati rappresentati ritenne che la revisione del titolo giuridico sarebbe stata incompatibile con la qualificazione di illiceità delle condotte illecite che la Convenzione cerca di prevenire; per tale motivo, la conferenza dell'Aja proseguì nei lavori rinunciando a coordinare e mediare ulteriormente sulle opinioni discordi sul punto, in considerazione dell'insanabile contrasto logico che avrebbe caratterizzato il contenuto della Convenzione ove, da un lato, essa mirasse ad assicurare nello Stato in cui il sottrattore si è rifugiato con il minore lo stesso grado di protezione dei diritti di custodia e di visita sanciti nel provvedimento dello Stato di provenienza, e dall'altro acconsentisse alla sostituzione dei titolari del diritto, affidando la custodia del minore al genitore sottrattore, perché nel frattempo il minore si stava integrando nel nuovo Stato. L'elemento fattuale indica il concreto ed effettivo esercizio del diritto di custodia previsto nel provvedimento emesso da un'autorità amministrativa o giudiziaria dello Stato di residenza abituale del minore. La precisazione della convenzione su questo punto impone di ritenere che in caso di omesso esercizio del diritto di visita, il genitore non potrà invocare la tutela massima prevista dalla convenzione perché il trasferimento all'estero del minore ad opera dell'altro genitore non costituirà illecito.

La Suprema Corte di Cassazione nella recente Cass., ord. n. 13214/2021 ha affermato il principio di diritto secondo cui “In tema di sottrazione internazionale di minori, ai sensi dell'art. 3 della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, la residenza abituale del minore deve individuarsi in considerazione della condivisa fissazione della stessa da parte dei genitori fino al trasferimento, restando irrilevante il ripetuto spostamento del minore da un'abitazione all'altra all'interno della stessa area territoriale, né incidendo sulla valutazione da compiere la preminenza del ruolo di un genitore nella relazione con il minore”. (nella specie veniva cassata la pronuncia impugnata in relazione ad una vicenda in cui la madre aveva trasferito, senza il consenso del padre, il bambino in Italia dall'Inghilterra dove aveva prevalentemente vissuto, ancorché cambiando abitazione con una certa frequenza, e dove era stata fissata di comune accordo la residenza del minore). Diversamente, la medesima A.G. ha configurato come illecita sottrazione internazionale di minori, l trasferimento o il mancato rientro di un minore ad opera di uno dei genitori, senza il consenso dell'altro, in un luogo di residenza diverso da quello stabilito come dimora abituale del figlio, in virtù di un accordo transattivo che disciplini altresì la titolarità e l'esercizio del diritto di custodia, sottoscritto nel corso di un procedimento giurisdizionale avanti al tribunale dello Stato europeo competente, potendo l'ordine di rientro del minore essere legittimamente rifiutato solo in presenza delle condizioni ostative di cui all'art. 13 della Convenzione dell'Aja consistenti o nel mancato esercizio del diritto di affidamento in sede di trasferimento o di rientro o nel fondato rischio di un pregiudizio per il minore (Cass. ord. n. 18602/2021 in cui è stato cassato il provvedimento del giudice di merito, che aveva negato si fosse verificata un'ipotesi di sottrazione di minori da parte della madre che aveva condotto la figlia in Italia, senza il consenso del padre, non ritenendo vincolante un accordo sottoscritto dai genitori nel corso di un procedimento per l'affidamento della figlia avanti al tribunale di Bruxelles - nel quale la residenza abituale della minore era stata fissata in Belgio presso il padre).

Il concetto di legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la sua residenza abituale

La seconda questione da esaminare riguarda la legge scelta per valutare la validità iniziale del titolo invocato. La nozione di residenza abituale non è definita nella Convenzione; si tratta di una costante nell'esperienza normativa europea, dal momento che tanti altri strumenti di cooperazione giudiziaria, come i Reg. UE n. 2201/03 e Reg. UE n. 1259/10, oltre alle precedenti Convenzioni dell'Aja richiamano il concetto di residenza abituale, ma omettono di chiarirne il contenuto. La posizione emersa soprattutto in giurisprudenza europea è che tale concetto evoca una questione di puro fatto, differendo in ciò dal domicilio e dalla cittadinanza che sono legati a dati formali. Si è evidenziato che la scelta del diritto della residenza abituale come criterio determinante della legalità della situazione violata dalla sottrazione è logica, perché mobile - può variare di fatto nel corso del tempo - e corrispondente al reale ed effettivo legame territoriale che il minore stabilisce con un determinato Stato. Infatti, agli argomenti che hanno portato ad accordarle un ruolo preminente nella protezione dei minori, come nella convenzione de l'Aja del 1961, si deve aggiungere la peculiare natura della convenzione stessa, e cioè il suo campo d'azione limitato. La convenzione non cerca infatti di risolvere definitivamente questioni relative alla custodia dei minori e aderisce alla concezione che esista una sorta di competenza naturale dei tribunali del luogo di abituale residenza del minore in cause relative alla sua custodia. Quindi, in considerazione della natura e della finalità della convenzione, il provvedimento di custodia del minore emesso dallo Stato ove lo stesso ha la residenza abituale è un dato di partenza; è il referente giuridico per valutare la illiceità della condotta del genitore sottrattore. Da un altro punto di vista, si osserva che la convenzione parla del «diritto» dello stato di residenza abituale del minore, rompendo quindi una tradizione consolidata dalle convenzioni de l'Aja sulla legge applicabile elaborate fin dal 1955, che sottopongono la regolamentazione dell'argomento da esse trattato ad una determinata legge interna. In tali precedenti convenzioni sulla legge applicabile, l'aggettivo «interna» implica infatti esclusione di ogni riferimento alle norme che regolamentano i conflitti sulla legge designata, cioè alle norme di diritto internazionale privato vigenti negli Stati firmatari; e si tratta di una tradizione che è stata confermata anche in successivi strumenti di cooperazione internazionale in materia di individuazione della legge applicabile, come ad es. il Reg. UE n. 1259/10 (art. 5). Nella convenzione in oggetto, invece, come detto si rompe questa tradizione poiché si fa riferimento generico alla legge dello Stato dell'ultima residenza del minore senza ulteriori specificazioni o restrizioni. Sul punto corre l'obbligo di ricordare che durante i lavori della commissione nella quattordicesima sessione, si era proposto che l'articolo dicesse esplicitamente che il riferimento al diritto della residenza abituale si estendeva anche alle norme di diritto internazionale privato; ma questa proposta fu respinta, perché la conferenza era convinta che tale precisazione fosse superflua e comunque implicita dato che il testo non escludeva le norme in questione né direttamente né indirettamente. Emerse quindi già in detta sede la convinzione che il diritto del luogo di residenza abituale del minore deve essere interpretato nel senso più lato possibile, non soltanto con riferimento eventuale al rinvio ad altra legge, in caso di conflitto tra norme, risolto secondo la legge di diritto internazionale privato, ma anche alla consuetudine ed al diritto vivente giurisprudenziale sull'interpretazione offerta di determinati istituti della legge interna nelle materie che interessano la Convenzione.

La Corte di Cassazione ha chiarito che la nozione di residenza abituale posta dalla Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980, ratificata con la legge n. 64 del 1994, consiste nel luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza ha consolidato, consolida, ovvero, in caso di recente trasferimento, possa consolidare una rete di affetti e relazioni tali da assicurargli un armonico sviluppo psicofisico (Cass., ord. n. 30123/2017). Le S.U. della Suprema Corte, hanno successivamente precisato che al fine di accertare quale sia lo Stato in cui ha la residenza abituale un figlio di tenera età, nato da genitori non uniti in matrimonio che vivono in Paesi diversi, e di individuare in conseguenza il giudice nazionale dotato di giurisdizione al fine di assumere i provvedimenti riguardanti il minore, possono valorizzarsi indicatori di natura proiettiva, quali l'iscrizione del bambino presso l'asilo nido in un determinato Paese ed il godimento dell'assistenza sanitaria presso il sistema pediatrico del medesimo Stato (Cass. S.U., n. 8042 /2018; principio poco dopo ribadito in Cass S.U., n. 32359/2018 ove tra i criteri per stabilire la residenza del minore si è specificato di valorizzare le circostanze che emergono dagli atti processuali, quali la frequenza della scuola ed il conseguimento di un ottimo rendimento scolastico in un determinato Stato, l'apprendimento della lingua, l'inserimento nel contesto sociale ed anche la entusiasta volontà del minore di rimanere in un certo luogo, accertata mediante l' ascolto del minore medesimo).

Le fonti del diritto di custodia

Va subito precisato che la convenzione ha adottato il termine «diritto di custodia» per indicare il concetto, a prescindere dal nome con cui questo viene definito nei singoli ordinamenti nazionali (ad es. nell'ordinamento italiano si parla di affidamento esclusivo dei minori ad un genitore, o in caso di affidamento condiviso, ex l. n 54/2006, di «collocazione preferenziale» presso uno dei genitori). Le fonti da cui può derivare il diritto di custodia che si vuole proteggere sono tutte quelle possibili nel contesto dell'ordinamento giuridico considerato. A questo proposito, il comma 2 dell'articolo 3 ne cita quattro, senza dubbio le più importanti, senza pretesa di esaustività. Lo si ricava dalla formulazione della parte iniziale del comma che recita «il diritto di custodia citato al capoverso a di cui sopra può derivare in particolare...», così lasciando intendere la possibile esistenza di altri titoli non contenuti nel testo. Tuttavia, si deve rilevare che questa formulazione è dipesa dalla prudenza dei compilatori, tesi ad evitare che vi potessero essere «zone franche» escluse della convenzione, ossia provvedimenti in materia di diritto di custodia emessi secondo una particolare ed atipica procedura nell'ambito di un ordinamento giuridico che non fossero suscettibili di far parte in alcuna delle fonti tipiche indicate nel comma 2; ma, in realtà, tali fonti sono di portata talmente vasta e generale che appare impossibile ipotizzare una decisione emanata in materia di diritto di custodia che non possa rientrare, neppure in senso lato, in una di esse. Peraltro, lo scopo della inclusione di ogni possibile provvedimento nel campo di applicazione del comma 2 si raggiunge agevolmente tramite una interpretazione estensiva di ciascuna delle fonti ivi elencate, che prediliga la prevalenza dell'aspetto teleologico e funzionale dell'atto piuttosto che la sua provenienza soggettiva (ad es. se un provvedimento in materia di diritto di affidamento di minori viene emesso in un singolo ordinamento anche da soggetti non rientranti a pieno titolo tra le autorità giudiziarie o amministrative, tale decisione devono comunque essere assimilata, quanto alla funzione, ad un provvedimento giudiziario o amministrativo e quindi è suscettiva di rientrare nel campo applicativo della convenzione). La prima delle fonti di diritto cui si riferisce l'articolo 3 è la legge, quando dice che la custodia «può derivare direttamente dalla legge». Questo ci porta a insistere su una delle caratteristiche di questa convenzione, in particolare la sua applicabilità alla protezione dei diritti di custodia esercitati anteriormente a qualsiasi decisione in merito. Al riguardo non si può dimenticare che, in termini di statistiche, il numero dei casi in cui un minore è trasferito prima di una decisione sulla sua custodia sono piuttosto frequenti. Peraltro, le possibilità del genitore deprivato di recuperare il minore in tali circostanze sono pressoché nulle, se non nell'ambito della convenzione, a meno che egli stesso a sua volta non ricorra a vie di fatto sempre dannose per il minore. La seconda fonte del diritto di custodia contenuta nell'articolo 3 è l'esistenza di una decisione giudiziaria o amministrativa. Dato che la convenzione non si pronuncia in merito, si deve ritenere da un lato che la parola «decisione» sia usata nel senso più ampio e comprenda ogni decisione o parte di una decisione (giudiziaria o amministrativa) riguardante la custodia di un minore. Queste decisioni possono provenire dai Tribunali dello Stato di residenza abituale del minore o dai tribunali di un paese terzo. In questo secondo caso, vale a dire quando il diritto di custodia era esercitato nello stato di residenza abituale del minore in base a una decisione straniera, la convenzione non richiede che tale decisione sia stata formalmente riconosciuta. Di conseguenza, per poter sortire l'effetto descritto, è sufficiente che la decisione sia considerata come tale dal diritto dello Stato di abituale residenza, cioè che contenga nei principi un certo numero minimo di caratteristiche necessarie ad avviare la procedura per la sua omologazione o riconoscimento. Quest'ampia interpretazione è confermata peraltro dal tenore dell'articolo 14 della convenzione. Infine, il diritto di custodia può derivare secondo l'art. 3 «da un accordo in vigore in base alla legislazione del predetto Stato». In via di principio, gli accordi in questione possono essere semplici transazioni private tra le parti in merito alla custodia dei minori. La condizione di essere «in vigore» secondo il diritto dello Stato di abituale residenza è stata introdotta nella quattordicesima sessione in sostituzione del requisito di «forza di legge», che compariva nel progetto preliminare e la variazione risponde a un bisogno di chiarimento, oltre che di maggiore flessibilità possibile, delle condizioni poste all'accettazione di un accordo in quanto fonte della custodia tutelata dalla convenzione. Un accordo in tal senso può consistere nell'attribuzione congiunta dell'affidamento del minore ed allora si avrà illecito quando un coniuge viola questo accordo ritenendo il minore all'estero impedendo così all'altro genitore di esercitare parimenti il suo di diritto di tenere con se il figlio. La vera natura della convenzione si rivela in maniera lampante in queste situazioni: non si tratta di stabilire la persona a cui la custodia del minore spetterà in futuro, né se sarà necessario modificare una decisione di custodia congiunta emessa sulla base di fatti che sono successivamente cambiati. Si cerca più semplicemente di evitare che una successiva sentenza in merito possa essere influenzata da un mutamento delle circostanze causato da un'azione unilaterale di una delle parti.

Si è già evidenziato che la convenzione in oggetto non offre una definizione di «residenza abituale del minore»; si tratta di una carenza descrittiva ricorrente nella redazione di strumenti normativi o convenzionali internazionali, riscontrata anche nella Convenzione dell'Aja del 1961 e nei Reg. UE n. 2201/03 e 1259/10. Come sovente accade in questi casi, la giurisprudenza svolge una funzione suppletiva del legislatore offrendo l'interpretazione concreta di concetti astratti e generici. Ad onor del vero, va detto che la nozione di residenza abituale non ha mai creato dubbi interpretativi tali da generare contrasti giurisprudenziali; tant'è che le pronunce emesse in argomento dalla Corte di Giustizia ed anche delle Corti nazionali sono dello stesso segno. Si ricordano ex multis CGUE sentenza 22 dicembre 2010 nel procedimento C 497/10 PPU, Mercredi contro Chaffe, in cui la nozione di «residenza abituale», ai sensi degli artt. 8 e 10 del regolamento (CE) del Consiglio 27 novembre 2003, n. 2201, e art. 13 Convenzione Aja del 25 ottobre 1980, richiamata nel corpo della sentenza, deve essere interpretata nel senso che corrisponde al luogo che denota una certa integrazione del minore in un ambiente sociale e familiare. A tal fine, devono essere presi particolarmente in considerazione, da un lato, la durata, la regolarità, le condizioni e le ragioni del soggiorno nel territorio di tale Stato membro nonché del trasferimento della madre in detto Stato e, d'altro lato, tenuto conto segnatamente dell'età del minore, l'origine geografica e familiare della madre nonché i rapporti familiari e sociali che madre e minore intrattengono in quello stesso Stato membro. Nel caso in cui il giudice nazionale ritenga impossibile, in applicazione di tali criteri, accertare la residenza abituale del minore, la determinazione del giudice competente deve essere effettuata in base al criterio del luogo in cui si trova il minore. In senso analogo, si è espressa in sentenza la GCUE 2 aprile 2009, C- 523/2007, Finlande c. A. Nell'ambito della giurisprudenza di legittimità domestica, la Cassazione in sentenza n. 22507/06 allineandosi all'interpretazione della nozione emersa in sede europea, ha chiarito che in tema di sottrazione internazionale del minore da parte di uno dei genitori, ai fini del procedimento monitorio previsto dalla Convenzione dell'Aja, ratificata con la legge n. 64 del 1994, detta Convenzione fa riferimento alla residenza abituale del minore al duplice scopo di stabilire il luogo dal quale questi non deve essere arbitrariamente distolto ed in cui, se allontanato, deve essere immediatamente riaccompagnato, e di individuare il titolare del diritto di custodia. La nozione di «residenza abituale" posta dalla succitata Convenzione corrisponde ad una situazione di fatto, dovendo per essa intendersi il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non sol parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località la sua quotidiana vita di relazione, il cui accertamento è riservato all'apprezzamento del giudice del merito. Nella specie, in applicazione di detto principio, la S.C. ha confermato il decreto del tribunale per i minorenni che aveva rigettato l'istanza del padre coaffidatario - in quanto non legalmente separato dalla moglie - dei due figli minori, di emissione di ordine di rientro in Argentina degli stessi, condotti in Italia dalla madre e non più rientrati, in quanto si era escluso che la residenza abituale dei minori fosse in Argentina, essendo essi nati in Roma, ed il loro trasferimento, con il nucleo familiare, in Argentina, deciso, in via provvisoria e sperimentale, dai genitori allo scopo di tentare di porre rimedio ad una crisi economica e relazionale della coppia, ma durato pochi mesi, poiché la madre, resasi conto della inefficacia di detto tentativo, aveva fatto ritorno con i figli in Italia. In senso conforme Cass. n. 397/2006 ove si è confermato il decreto del tribunale per i minorenni che aveva rigettato l'istanza del padre coaffidatario di una bimba di emissione di ordine di rientro in Francia della stessa, che, dopo aver trascorso, con il consenso del padre, un periodo di tempo con la madre a Venezia, non era stata più ricondotta in Francia: il giudice di merito aveva escluso che la residenza abituale della bambina potesse ravvisarsi nell'abitazione paterna in Francia, in quanto la stessa aveva costantemente seguito la madre, la quale aveva sempre mantenuto la residenza anagrafica in Venezia, dovendo svolgere la propria attività lavorativa tra la città di Villejuif in Francia e l'Italia, e che aveva vissuto con lei durante i periodi trascorsi a Venezia, frequentando l'asilo, alternativamente, tra detta città e quella francese, mantenendo rapporti ed amicizie in entrambe le città, cosicché, pur ammesso che la residenza formale prevalente fosse in Francia, la bimba era vissuta tra i due Paesi, ma soprattutto a Venezia. In senso conforme anche Cass. n. 2093/2005). In sentenza Cass. n. 19544/2003 la S.C., pur confermando il principio già enunciato, ha precisato ulteriormente che la nozione di «residenza abituale» posta dalla succitata Convenzione dell'Aja del 1980 non coincide con quella di «domicilio" (art. 43, primo comma, c.c.), né con quella, di carattere formale, di residenza scelta d'accordo tra i coniugi (art. 144, c.c.), ma corrisponde ad una situazione di fatto, ossia al luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza ha il centro dei propri legami affettivi (Conforme a Cass. n. 15145/2003).

Più di recente si è affermato che, in tema di sottrazione internazionale del minore da parte di uno dei genitori, la nozione di residenza abituale posta dalla Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980, ratificata con la legge n. 64 del 1994, consiste nel luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza ha consolidato, consolida, ovvero, in caso di recente trasferimento, possa consolidare una rete di affetti e relazioni tali da assicurargli un armonico sviluppo psicofisico; e che essa, pertanto, integra una situazione di fatto il cui accertamento è riservato all'apprezzamento del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato (Cass. I, n. 30123/2017). Per quanto concerne i riflessi in tema di giurisdizione, Cass. I, n. 9632/2015 ha avvertito che il regolamento CE 27 novembre 2003, n. 2201/2003 non deroga alla Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 - in base alla quale la decisione sull'istanza di rientro nel luogo di residenza del minore illecitamente trasferito spetta all'autorità competente del Paese in cui si trova - ma conserva, per un periodo di tempo limitato, la competenza giurisdizionale allo Stato membro in cui il minore aveva la residenza abituale prima del trasferimento, a condizione che sia tempestivamente presentata e successivamente accolta un'istanza di rientro. Ne consegue, si è precisato, una fase di sdoppiamento della competenza giurisdizionale sul rientro e sull'affidamento, tesa a garantire, da un lato, che la decisione sul rientro sia presa dal giudice del luogo in cui il minore si trova, in base al criterio di prossimità e possibilità di ascolto, e, dall'altro, ad impedire che la sottrazione illecita del minore favorisca, con lo spostamento della giurisdizione, il suo autore. Per il caso di relazione di fatto tra genitori che vivono in Paesi diversi, le Sezioni unite (Cass. S.U.. n. 8042/218) hanno dichiarato che, al fine di accertare quale sia lo stato in cui ha la residenza abituale un figlio di tenera età e di individuare in conseguenza il giudice nazionale dotato di giurisdizione legittimato ad assumere i provvedimenti riguardanti il minore, possono essere presi in considerazione indicatori di natura protettiva, quali l'iscrizione del bambino presso l'asilo nido in un determinato Paese ed il godimento dell'assistenza sanitaria presso il sistema pediatrico del medesimo stato.

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