Legge - 15/01/1994 - n. 64 art. 12

Gustavo Danise

Art. 12.

Qualora un minore sia stato illecitamente trasferito o trattenuto ai sensi dell'articolo 3, e sia trascorso un periodo inferiore ad un anno, a decorrere dal trasferimento o dal mancato ritorno del minore, fino alla presentazione dell'istanza

presso l'Autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato contraente dove si trova il minore, l'autorità adita ordina il suo ritorno immediato.

L'Autorità giudiziaria o amministrativa, benché adita dopo la scadenza del periodo di un anno di cui al capoverso precedente, deve ordinare il ritorno del minore, a meno che non sia dimostrato che il minore si è integrato nel suo nuovo ambiente.

Se l'autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto ha motivo di ritenere che il minore è stato condotto in un altro Stato, essa può spendere la procedura o respingere la domanda di ritorno del minore.

Inquadramento

L'art. 12 si riferisce al contenuto del provvedimento che può essere reso all'esito del procedimento amministrativo o giudiziario che viene celebrato nel paese ove si trova il minore. La norma pone il limite temporale ben preciso di un anno dalla consumazione della condotta di sottrazione per presentare la domanda innanzi all'autorità giudiziaria o amministrativa di rientro del minore. Se infatti il procedimento viene incardinato prima di tale termine, e l'autorità adita dovesse riscontrare in effetti il compimento dell'illecito di cui all'art. 3, ordinerà senz'altro il rientro coattivo del minore; se viene invece instaurato oltre il suddetto termine, l'autorità potrà ordinare il rientro del minore, salvo che emerga durante l'istruttoria che il minore si è integrato nel suo nuovo ambiente. L'ultimo comma è dedicato alla sospensione della procedura o al rigetto della domanda nel caso in cui emerge che il minore è stato trasferito in un altro Paese.

La legittimazione ad agire.

Come si è evidenziato nei commenti agli articoli precedenti ed anche nell'inquadramento di questo articolo, la convenzione parla indifferentemente di autorità giudiziali o amministrative per garantire l'armonizzazione degli ordinamenti dei singoli Stati e rispettarne il contenuto delle norme interne sulla ripartizione delle competenze in materia di sottrazione dei minori, cosicché una disposizione così ampia si riferisce senza difficoltà ai paesi che affidano la decisione sul rientro del minore all'Autorità giudiziaria - sicuramente la maggioranza, tra cui vi rientra lo Stato Italiano - ed a quelli che l'affidano ad una autorità amministrativa. Osservando il sistema italiano, la convenzione, come già ricordato, è stata ratificata e resa esecutiva con l. n. 64/1994, il cui art. 7 disciplina in dettaglio il procedimento giudiziario sulla domanda del genitore spodestato di rimpatrio del minore, affidandone la competenza al Tribunale per i minorenni. Si riporterà nell'ambito di questo commento ampia giurisprudenza della Corte di Cassazione italiana sugli aspetti processuali più problematici scaturiti dalla casistica relativa ai giudizi che si sono celebrati innanzi ai Tribunali per i minorenni italiani, quali autorità giudiziarie del paese in cui si è consumata la condotta di sottrazione del minore, ex art. 7 l. n. 64/1994.

In sentenza (Cass. n. 16830/2006), la Cassazione ha precisato che in caso di sottrazione internazionale di minori, il soggetto legittimato a promuovere il procedimento previsto dall'art. 7 della legge 15 gennaio 1994, n. 64 per ottenere il ritorno del minore o per ristabilire l'esercizio del diritto di visita è esclusivamente il genitore affidatario, o comunque chi è genitore del minore; per tale motivo ha cassato la decisione di merito, che aveva accolto la domanda volta ad ottenere il ristabilimento del diritto di visita in favore di un cittadino straniero, padre naturale di un minore convivente in Italia con la madre, cittadina tedesca, essendo stato accertato che al momento della nascita la donna era coniugata con un altro uomo, con la conseguenza che il minore, pur essendo stato riconosciuto alla nascita quale figlio naturale del ricorrente, ai sensi della legge tedesca doveva considerarsi figlio legittimo del predetto uomo, non essendo intervenuta una pronuncia di disconoscimento di paternità. (in senso conforme Cass. n. 5944/2003).

Il procedimento

In sentenza Cass. n. 5465/2004, gli ermellini precisano che il procedimento, di volontaria giurisdizione, previsto dalla legge 15 gennaio 1994, n. 64 in tema di sottrazione internazionale di minori è inquadrabile nello schema generale dei procedimenti speciali in materia di famiglia e di stato delle persone, e quindi soggetto, per quanto in essa non previsto, alle disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio, e nel contempo caratterizzato dall'estrema urgenza di provvedere nell'interesse del minore. Il contraddittorio è assicurato dalla fissazione dell'udienza in camera di consiglio con obbligo di avviso della persona presso la quale si trova il minore e di quella che ha presentato la richiesta affinché siano poste in grado di parteciparvi (conforme a Cass. n. 15295/2000). In sentenza Cass. n. 10577/2003 il principio di diritto sopra enunciato viene confermato ma con l'aggiunta che non costituisce motivo di nullità del procedimento, per violazione del principio del contraddittorio, la mancata concessione alle parti di un termine per esame e controdeduzione in ordine ad una relazione informativa del consultorio, acquisita agli atti il giorno precedente quello dell'udienza camerale, allorché di tale relazione sia stata comunque consentita la visione alle parti presenti, in quanto la nullità del procedimento si verifica solo quando il decreto di fissazione dell'udienza camerale non viene notificato ad una delle parti che pertanto non è messa in condizione di parteciparvi, con palese violazione del diritto al contraddittorio.

L'istruttoria

Il giudizio sulla domanda di rimpatrio non investe il merito della controversia relativa alla migliore sistemazione possibile del minore; cosicché tale domanda può essere respinta, nel superiore interesse del minore, solo in presenza di una delle circostanze ostative indicate dagli artt. 12, 13 e 20 della Convenzione, fra le quali non è compresa alcuna controindicazione di carattere comparativo che non assurga - nella valutazione di esclusiva competenza del giudice di merito - al rango di vero e proprio rischio, derivante dal rientro, di esposizione a pericoli fisici e psichici o ad una situazione intollerabile (Cass. n. 5236/2007). Nel giudizio sull'illecita sottrazione internazionale di minori da parte di un genitore, l'espletamento di una consulenza tecnica di ufficio non è incompatibile con la procedura camerale di cui alla legge n. 64 del 1994, prevista in attuazione della Convenzione dell'Aja del 1980, in quanto, se è vero che l'onere di provare la sussistenza di una delle circostanze che - ai sensi dell'art. 13, primo comma lett. b), della Convenzione - legittimano la deroga all'obbligo di rimpatrio del minore e di consegna al genitore affidatario incombe su quegli che la allega, la norma non autorizza alcuna limitazione alle fonti di prova dalle quali il giudice può trarre il suo convincimento (Cass. n. 19546/2003). Il principio viene esteso alle sommarie informazioni da terzi, la cui assunzione rientra nella discrezionalità del Tribunale per i minorenni (Cass. n. 2748/2002). Nell'ambito di questo paragrafo, dedicato all'istruttoria, rientra certamente la problematica dell'audizione del minore, che è l'unico mezzo istruttorio da cui l'autorità giudiziaria o amministrativa non può prescindere in linea di principio. Si ritiene opportuno però riportare la rassegna giurisprudenziale nel commento all'art. 13 in considerazione del fatto che l'audizione del minore risulta spesso decisiva per consentire ai Tribunali di ritenere integrata l'eccezione al rimpatrio del minore di cui al 3° comma.

La decisione

L'art. 12 costituisce una parte essenziale della convenzione, dato che è quello che precisa le situazioni in cui le autorità giudiziarie o amministrative dello stato in cui si trova il minore ordinano il suo rientro non volontario. La norma prevede due ipotesi: la prima riguarda il dovere delle autorità quando sono state adite entro il termine di un anno dopo il trasferimento o il mancato rientro illeciti di un minore; la seconda riguarda le condizioni che accompagnano tale dovere quando la presentazione della domanda è successiva al termine prima citato. Nel primo comma, l'articolo propone una soluzione unica al problema sollevato dalla determinazione dell'arco di tempo entro il quale le autorità in questione devono ordinare il ritorno immediato del minore. Il problema è importante in quanto, se è vero che il rientro del minore è previsto nel suo interesse, è indubbio che nel momento in cui il minore si è inserito in un nuovo ambiente, il suo ritorno non dovrebbe verificarsi se non dopo un esame nel merito del diritto di custodia, che è questione sottratta alla convenzione. Le difficoltà incontrate nel cercare di tradurre il criterio dell'integrazione del minore sotto forma di norma oggettiva hanno portato alla fissazione di un termine, che è forse arbitrario, ma che costituisce la risposta «meno peggiore» alle perplessità espresse su questo punto in commessione speciale. Nell'approccio adottato, è stato necessario affrontare una pluralità di problemi: 1) il momento a partire dal quale decorre il termine; 2) l'estensione del termine; 3) il momento di scadenza del termine. Per quanto riguarda il primo punto, cioè la determinazione del momento in cui comincia a decorrere il termine, l'articolo si riferisce alla consumazione dell'illecito, con la precisazione che tale momento coincide, in caso di mancato ritorno, con il giorno in cui il minore avrebbe dovuto essere consegnato all'affidatario secondo gli intercorsi accordi o in cui il detentore della custodia ha rifiutato il consenso a un prolungamento della permanenza del minore in un luogo diverso da quello della sua residenza abituale. Per quanto riguarda il secondo punto, la fissazione del termine unico di un anno, a prescindere dalle difficoltà incontrate nella localizzazione del minore, costituisce un miglioramento sostanziale del sistema previsto dall'articolo 11 del progetto preliminare elaborato dalla commissione speciale. In tal modo è stata infatti chiarita l'applicazione della convenzione, eliminando le difficoltà inerenti alla prova dei problemi eventualmente causati dalla localizzazione del minore. Per quanto riguarda il terzo punto, l'articolo individua il momento della presentazione della domanda, invece della data della decisione, in quanto l'eventuale ritardo nell'azione delle autorità competenti non deve nuocere agli interessi delle parti protette dalla convenzione. Le autorità giudiziarie o amministrative devono ordinare il ritorno immediato del minore, a meno che non constatino l'esistenza di una delle eccezioni previste dalla convenzione (art. 12 comma 2 e art. 13). Il secondo comma risponde alla necessità, sentita nel corso dei lavori preparatori, di attutire le conseguenze dell'adozione di un termine rigido trascorso il quale la convenzione non potrebbe essere invocata. Infatti, ove la domanda sia presentata dopo che sia trascorso il termine di un anno, la restituzione del minore può ancora essere ordinata, ma tale decisione è subordinata alla verifica «in negativo» della circostanza che «il minore si è integrato nel suo nuovo ambiente». La norma non precisa chi debba provare questa circostanza; ma appare evidente che il suddetto onere spetti al sottrattore o alla persona che si oppone al rientro del minore, salvaguardando l'eventuale potere di valutazione delle autorità interne in proposito. In ogni caso, la prova o l'accertamento della nuova sistemazione del minore apre la porta alla possibilità di una procedura più lunga rispetto a quella di cui al primo comma. In definitiva, sia per questi motivi che per il fatto che il ritorno avverrà sempre, per la natura stessa delle cose, molto più tardi di un anno dopo la sottrazione, la convenzione non parla in questo contesto di ritorno «immediato», ma semplicemente di ritorno. Un problema comune alle due situazioni esaminate è la determinazione del luogo in cui bisogna riportare il minore. A questo proposito, la convenzione non ha accettato la proposta di precisare che il ritorno dovesse avvenire sempre nello stato di residenza abituale del minore prima del trasferimento; nella formulazione finale del testo si è preferita la formula «...deve ordinare il ritorno del minore...» allo scopo di renderla quanto più flessibile ed ampia possibile. Alla base di tale scelta vi è la considerazione che la Convenzione, accanto all'obiettivo di evitare che la competenza «naturale» dei tribunali dello stato di residenza sia bypassata con un atto di forza del sottrattore, persegue lo scopo di impedire che i minori siano allontanati da un certo ambiente che, di solito, è rappresentato dalla famiglia, per cui l'ordine di rientro deve essere inteso come reintegrazione dell'affidamento concreto ed effettivo esercitato prima della condotta di legalkidnapping; e tale obiettivo prescinde dal luogo ove il genitore richiedente risieda concretamente al momento in cui viene disposto il rientro. Quindi, l'ordine di ritorno del minore deve essere come ripristino del diritto di custodia su di lui in favore del genitore richiedente, che deve essere attuato anche se quest'ultimo nelle more del procedimento non abita più nello stato di residenza abituale precedente al trasferimento ma si sia trasferito in un altro Stato.

Si è ricordato nel commento all'articolo precedente come la convenzione preveda all'art. 11 il termine di sei settimane per la definizione del procedimento da parte dell'autorità amministrativa o giurisdizionale. Il legislatore italiano, nell'attuare questo punto, ha ridotto tale termine a 30 giorni dalla data di ricezione della richiesta entro il quale il Tribunale per i minorenni deve decidere sulla richiesta di rientro (art. 7 comma 3 l. n 64/1994); ma la Cassazione con sentenza n. 7479/2014 precisa che il suddetto termine è di carattere meramente ordinatorio, non essendo prevista da nessuna disposizione la nullità della pronuncia eventualmente emessa o, comunque, la decadenza del provvedimento eventualmente adottato oltre detto termine.

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