Codice Civile art. 443 - Modo di somministrazione degli alimenti.

Francesco Bartolini

Modo di somministrazione degli alimenti.

[I]. Chi deve somministrare gli alimenti ha la scelta di adempiere questa obbligazione o mediante un assegno alimentare corrisposto in periodi anticipati, o accogliendo e mantenendo nella propria casa colui che vi ha diritto [1285].

[II]. L'autorità giudiziaria può però, secondo le circostanze, determinare il modo di somministrazione [1287].

[III]. In caso di urgente necessità l'autorità giudiziaria può altresì porre temporaneamente l'obbligazione degli alimenti a carico di uno solo tra quelli che vi sono obbligati, salvo il regresso verso gli altri [1299].

Inquadramento

Il comma 1 dell'art. 443 indica due modalità di esecuzione della prestazione di alimenti e demanda la scelta tra esse a chi deve effettuare la somministrazione, con riserva comunque al giudice di provvedere, con una decisione che costituisce lo strumento risolutivo di ogni incertezza e difficoltà. La duplicità dei modi della prestazione ha fatto ritenere a parte della dottrina che l'obbligazione alimentare ha, quanto alla sua esecuzione, natura alternativa (Pacia, 540; Sala, 624; Vincenzi Amato, 915). Si sostiene, in contrario, trattarsi invece di una obbligazione semplice, che ha ad oggetto la prestazione alimentare, con libertà di scelta nei comportamenti di adempimento.

La scelta è rimessa al soggetto obbligato. Essa è effettuata direttamente da lui, quando l’adempimento dell’obbligo è volontario; se è il giudice a pronunciare il diritto agli alimenti, la  modalità che viene  disposta è  conseguente ad una sua valutazione di opportunità (Sala, 624; Vincenzi Amato, 915). In ogni caso, decide il giudice, anche contro la scelta proposta, con i poteri che il comma 2 dell’art. 443 espressamente contrappone alle facoltà riconosciute all’obbligato.

Si controverte sulla possibilità che chi è tenuto alla prestazione possa scegliere modalità di esecuzione della prestazione diverse dal versamento di somme periodiche o dall'accoglimento nella propria casa. Per alcune opinioni la scelta è obbligata e le relative indicazioni sono tassative. Sembra più ragionevole ritenere che il legislatore abbia indicato le modalità che in linea generale risultano essere le più convenienti e di tipologia ordinaria; e che non abbia inteso impedire forme di adempimento ugualmente adatte, secondo le circostanze (Figone, Gli alimenti, 241; Pacia, 542; Vincenzi Amato, 914).

In particolare, l'ammissibilità di opzioni diverse da quelle espressamente indicate dall'art. 443 riguarda l'eventuale dazione di una somma una tantum, a titolo liberatorio e di totale soddisfacimento dei bisogni dell'alimentando. Ostano a questa possibilità considerazioni di opportunità, in quanto la dazione in unica soluzione potrebbe non risultare sufficiente, nel tempo, a tutelare chi si trova in stato di bisogno, se la somministrazione si è rivelata inadeguata o se le circostanze di fatto sono mutate. La corresponsione dell'assegno alimentare è soggetta a revisione e ad adattamento; ma l'art. 444 vieta che essa possa essere nuovamente richiesta, qualunque sia l'uso che l'alimentato ne ha fatto. Questa disposizione è citata dalla dottrina quale ostacolo a ritenere consentita la dazione in forma unica: essa impedirebbe, infatti l'adeguamento nel tempo ed esporrebbe il soggetto bisognoso alle conseguenze negative del mutare delle sue condizioni o dell'utilizzo inappropriato delle risorse ricevute. Si ammette, allora, che possano essere trasferiti all'alimentando beni o denaro, con riguardo allo stato di fatto esistente, ma senza carattere di definitività: per far fronte ad una situazione di bisogno che per tal modo viene ridimensionata. E si ammette, di conseguenza, che, se torna a verificarsi lo stato di bisogno, il soggetto già beneficiato possa chiedere nuovamente un assegno alimentare, riferito, specificamente, a questa nuova condizione e non anche a quella pregressa.

La vera questione concerne la facoltà dell'alimentando di interloquire nella scelta altrui. Ci si è chiesti se egli possa rifiutare di essere accolto nella casa dell'obbligato e quali siano le conseguenze del rifiuto; e se la scelta dell'obbligato possa essergli imposta. La difficoltà a riconoscere nell'avente diritto un titolo ad esprimere una volontà riguardo ai modi della prestazione proviene dal suo stato di bisogno, che rende comunque necessario provvedere. Un suo rifiuto viene a contraddire questa necessità e non può dunque comportare la perdita o la rinuncia al diritto. Ammettere la possibilità di un rifiuto che costringe ad una scelta diversa l'obbligato significa affidare, in definitiva, la scelta allo stesso alimentando. Inoltre, la sentenza che imponesse l'accoglimento nella casa del soggetto obbligato, o altre modalità analoghe, sgradita all'avente diritto, non potrebbe avere esecuzione forzata, trattandosi di modalità che danno luogo ad obbligazioni incoercibili (Vincenzi Amato, 916).

La determinazione ad opera del giudice

La questione relativa alla possibile scelta di modalità diverse di esecuzione della prestazione alimentare si ripropone a proposito dei poteri demandati al giudice. Il suo intervento riguarda in primo luogo la pronuncia di sussistenza dell'obbligazione alimentare; ma può aver luogo anche soltanto per stabilire le modalità di adempimento di un obbligo che è stato riconosciuto esistente tra le parti. L'opinione più tradizionale è nel senso che, nel determinare le modalità di adempimento, il giudice deve scegliere tra l'imporre il versamento dell'assegno periodico e l'ordinare l'accoglimento del soggetto in stato di bisogno nella casa dell'obbligato alla prestazione. Queste modalità costituiscono, si afferma, una indicazione tassativa e non possono essere indicati modi di somministrazione diversi: potendosi, se mai, combinare i due criteri, di per sé già esaustivi nell'assicurare la tutela dell'alimentando (Figone, Gli alimenti, 242; Vincenzi Amato, 917; Tamburrino, 487). Si dubita inoltre della possibilità che il giudice possa ordinare l'accoglimento in casa contro la volontà dell'alimentando, con un provvedimento che, come si è accennato, non potrebbe essere eseguito con la forza.

L'urgente necessità

Il comma 3 dell'art. 443 c.c. consente all'autorità giudiziaria di porre temporaneamente l'obbligazione alimentare a carico di uno solo tra coloro che vi sono obbligati nel caso di urgente necessità di provvedere ai bisogni dell'alimentando. La disposizione risponde all'esigenza di non lasciare privo di assistenza chi è sprovvisto dei mezzi di mantenimento durante il tempo occorrente a determinare quale dei possibili soggetti tenuti alla prestazione ne deve essere dichiarato obbligato e quali debbano essere le modalità della somministrazione. Nella situazione di urgenza, la prestazione può essere accollata ad uno dei soggetti, secondo il prudente apprezzamento del giudice e nell'esercizio di un potere discrezionale, dipendente dalla valutazione di tutte le circostanze della vicenda.

La dottrina discute sull'aspetto processuale dell'intervento rimesso al giudice. Si afferma, da taluni, che per effetto della disposizione in esame il processo si divide in due fasi. Nella prima deve essere accertato lo stato di bisogno dell'alimentando e l'entità delle risorse occorrenti, con la conseguente imposizione a carico di uno dei soggetti coobbligati; nella seconda, sono individuati gli altri obbligati ed è stabilito il regresso verso ciascuno di essi, in proporzione della rispetta compartecipazione. Per altri Autori il procedimento conduce ad un provvedimento tendenzialmente definitivo, per il quale la modalità di somministrazione è costituita dai versamenti a carico di un solo soggetto; l'azione di regresso richiede una azione autonoma e separata (Vincenzi Amato, 920). Per ulteriori studiosi, esaurito lo stato di urgente necessità, occorre un autonomo procedimento, finalizzato a ripartire l'obbligazione tra i coobbligati e da intraprendersi dall'unico somministrante. La nuova sentenza ripartisce la prestazione in proporzione alle condizioni economiche degli obbligati.

Bibliografia

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