Regolamento - 18/12/2008 - n. 4 art. 11 - Verifica della ricevibilità

Giuseppe Fiengo

Verifica della ricevibilità

1. Se il convenuto che ha la residenza abituale nel territorio di uno Stato diverso dallo Stato membro in cui l’azione è stata proposta non compare, l’autorità giurisdizionale competente sospende il procedimento finché non sia accertato che il convenuto è stato messo nelle condizioni di ricevere la domanda giudiziale o atto equivalente in tempo utile a consentirgli di presentare le proprie difese o che sono stati effettuati tutti gli adempimenti in tal senso.

2. In luogo delle disposizioni del paragrafo 1 del presente articolo si applica l’articolo 19 del regolamento (CE) n. 1393/2007 qualora sia stato necessario trasmettere da uno Stato membro ad un altro la domanda giudiziale o un atto equivalente a norma di tale regolamento.

3. Ove non siano applicabili le disposizioni del regolamento (CE) n. 1393/2007, si applica l’articolo 15 della convenzione dell’Aia del 15 novembre 1965 relativa alla notificazione e alla comunicazione all’estero di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile o commerciale qualora sia stato necessario trasmettere all’estero la domanda giudiziale o un atto equivalente a norma di tale convenzione.

Inquadramento

L'esigenza di garantire in modo effettivo il diritto fondamentale del convenuto alla difesa (art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea) è alla base della disciplina (non esente da critiche, come si dirà) dettata all'art. 11 del regolamento (CE) n. 4/2009.

Tale norma impone al giudice, in caso di mancata comparizione del convenuto che abbia residenza abituale in uno Stato diverso dallo Stato membro nel quale è proposta l'azione, di sospendere il procedimento sino a quando non possa (verosimilmente) ritenersi che la mancata comparizione non deriva da incolpevole inerzia.

La verifica della regolarità della notifica costituisce peraltro anche momento preliminare rispetto alla valutazione d'ufficio della giurisdizione (valutazione che, come detto, il giudice adito deve compiere nel caso in cui il convenuto sia rimasto contumace), oltre che momento essenziale (come meglio si dirà) per evitare l'insorgere di ostacoli in sede di esecuzione della decisione.

La verifica della ricevibilità della domanda

L'art. 11 del regolamento in esame pone a carico del giudice innanzi al quale il convenuto non sia comparso l'obbligo di sospendere il procedimento sino a quando non abbia accertato o che il convenuto è stato posto in condizione di ricevere la domanda giudiziale o un atto equivalente in tempo utile da poter svolgere in modo effettivo le proprie difese, o che sono stati effettuati tutti gli adempimenti a tal fine necessari. Come osservato (Pesce, 2013, 172), in tale seconda ipotesi il giudice è tenuto a prescindere dall'accertamento della concreta conoscenza della domanda, dovendo semplicemente verificare l'astratta conoscibilità della stessa alla luce delle norme interne dello Stato di notificazione o comunicazione degli atti.

Come si dirà, il possibile pregiudizio al diritto di difesa che può derivare da una verifica giudiziale analoga a quella da ultimo indicata è peraltro destinato ad essere bilanciato dalla possibilità, per la parte soccombente nel giudizio di merito, di avvalersi dei rimedi disciplinati agli artt. 19, 21 e 24 del regolamento (CE) n. 4/2009.

In dottrina (Pesce, 2013, 173 — 174) si è ritenuto che, alla luce della formulazione letterale del regolamento in materia di obbligazioni alimentari, sarebbe stata reiterata quella discriminazione in favore del convenuto avente residenza abituale in uno Stato membro che già (sia pur con riferimento al domicilio e non alla residenza) risultava dalla lettera dell'art. 26 del regolamento (CE) n. 44/2001. In sostanza, il giudice dello Stato membro adito vedrebbe (temporaneamente) preclusa la possibilità di compiere atti del giudizio solo nel caso di mancata comparizione del convenuto che sia abitualmente residente in altro Stato membro, non anche nel caso di convenuto abitualmente residente in uno Stato terzo. La discriminazione, prosegue l'autore da ultimo citato, sarebbe particolarmente odiosa ove si consideri che, a differenza del regolamento (CE) n. 44/2001, il regolamento (CE) n. 4/2009 ha carattere universale, con la conseguenza che il rischio di mancata tutela dei diritti di difesa del convenuto avente residenza abituale in uno Stato terzo è reale.

In verità, pare sostenibile, alla luce del dato letterale, anche un'interpretazione maggiormente conforme all'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea; Carta che, senza dubbio, deve ritenersi applicabile pure nel caso di giudizio promosso innanzi al giudice di uno Stato membro nei confronti di convenuto avente residenza abituale in uno Stato terzo, atteso che l'applicazione del regolamento (CE) n. 4/2009 consente di ritenere comunque ricorrente un caso di «attuazione del diritto dell'Unione» (art. 51 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea).

Ed in vero, sulla base della lettura congiunta dei paragrafi 1 e 2 dell'art. 26 del regolamento (CE) n. 44/2001, il giudice (dello Stato membro) adito è tenuto a sospendere il giudizio se «il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato membro» non compare. La norma fa in altri termini specifico riferimento al domicilio del convenuto non comparso in uno Stato membro diverso da quello ove è radicato il giudizio. L'art. 11 del regolamento (CE) n. 4/2009, invece, si limita a far riferimento al convenuto abitualmente residente in uno «Stato diverso» dallo Stato membro in cui l'azione è stata proposta. Non pare tuttavia che tale «Stato diverso» debba necessariamente essere uno Stato membro.

La Corte di giustizia (Corte giustizia CE, 8 maggio 2009, C-14/07, Ingenieurbüro Michael Weiss und Partner GbR c. Industrieund Handelskammer Berlin) ha precisato che la nozione di «atto oggetto di comunicazione o di notificazione» contemplata all'art. 8, n. 1 del regolamento (CE) n. 1348/2000 (regolamento oggi abrogato dal regolamento CE n. 1393/2007) deve, qualora tale atto consista in una domanda giudiziale, essere inteso come «l'atto o gli atti la cui notificazione o comunicazione al convenuto, effettuata in tempo utile, pone l'interessato in grado di far valere i suoi diritti nel contesto di un procedimento giurisdizionale nello Stato mittente. Tale atto deve consentire di identificare in modo certo quantomeno l'oggetto e la causa della domanda, nonché l'invito a comparire dinanzi al giudice, ovvero, a seconda della natura del procedimento, la possibilità di esperire un ricorso giurisdizionale. Documenti che svolgano esclusivamente una funzione probatoria e non siano indispensabili alla comprensione dell'oggetto e della causa della domanda non costituiscono parte integrante della domanda giudiziale ai sensi del regolamento n. 1348/2000.» Tanto premesso la Corte ha anche precisato che compete al giudice nazionale verificare se il contenuto della domanda giudiziale pone il convenuto nella condizione di far valere i suoi diritti nello Stato mittente e, in particolare, gli consente di individuare l'oggetto ed il titolo della domanda nonché l'esistenza del procedimento giurisdizionale.

Il coordinamento dell'art. 11 con la disciplina del regolamento (CE) n. 1393/2007 e della convenzione dell'Aia del 1965

I paragrafi 2 e 3 dell'art. 11 pongono una disciplina specificamente destinata a coordinare le previsioni del regolamento (CE) n. 4/2009 con le più analitiche disposizioni del regolamento (CE) n. 1393/2007 relativo alla notificazione ed alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile e commerciale e della convenzione dell'Aia del 15 novembre 1965 relativa alla notificazione e alla comunicazione all'estero di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile o commerciale.

Ai sensi del paragrafo 2 ove la domanda giudiziale o atto equivalente sia stata trasmessa da uno Stato membro ad un altro ai sensi del regolamento (CE) n. 1393/2007 troverà applicazione l'art. 19 di tale regolamento, il quale pone delle garanzie minime in favore del convenuto; garanzie suscettibili tuttavia di deroghe da parte dei singoli Stati membri.

In particolare, ferma la possibilità per il giudice adito di adottare, in caso d'urgenza, provvedimenti provvisori o cautelari, il primo paragrafo dell'art. 19 del regolamento (CE) n. 1393/2007 prevede che ove l'atto introduttivo del giudizio sia stato trasmesso ad altro Stato membro per la notificazione o la comunicazione secondo le norme del medesimo regolamento ed il convenuto non sia comparso, il giudice non può decidere la controversia sino a quando non abbia la prova, alternativamente, o che l'atto è stato notificato o comunicato secondo le forme prescritte dalla legge dello Stato membro richiesto per la notificazione o la comunicazione degli atti nell'ambito di procedimenti nazionali, a persone che si trovano sul suo territorio (art. 19.1, lett. a)o che l'atto è stato effettivamente consegnato al convenuto o nella sua residenza abituale secondo un'altra procedura prevista dallo stesso regolamento del 2007 (art. 19.1, lett. b).

Fermo restando che il regolamento (CE) n. 1393/2007 non offre una definizione di residenza abituale (la quale dovrà pertanto essere individuata alla luce della citata elaborazione della Corte di Giustizia), è comunque necessario (sia che ricorra l'ipotesi sub a), sia che ricorra l'ipotesi sub b)) che tanto la notificazione o la comunicazione, quanto la consegna dell'atto siano avvenute in tempo utile per consentire al convenuto di difendersi.

La previsione (espressione di massimo garantismo) del primo paragrafo dell'art. 19 è tuttavia suscettibile di deroga da parte dei singoli Stati membri i quali possono comunicare alla Commissione (ai sensi dell'art. 23.1 del regolamento) che i propri giudici, in deroga a quanto previsto all'art. 19.1 e nonostante non sia pervenuto alcun certificato di avvenuta notificazione o comunicazione o consegna, possono adottare una decisione ove concorrano le seguenti condizioni: a) l'atto è stato trasmesso secondo uno dei modi previsti dal regolamento; b) dalla data di trasmissione dell'atto è trascorso un termine di almeno sei mesi, che il giudice ritiene adeguato avuto riguardo al caso concreto; c) non è stato ottenuto alcun certificato nonostante la diligenza usata presso le autorità o gli organi competenti dello Stato richiesto.

In definitiva, la previsione del secondo paragrafo dell'art. 19 (la quale, si ribadisce, è destinata ad operare solo a fronte di una intervenuta comunicazione dello Stato membro del giudice adito) consente al giudice adito di pronunciarsi anche ove non vi sia certezza in ordine alla notifica o comunicazione dell'atto introduttivo del giudizio ed anche ove la notificazione o comunicazione sia inesistente (Biavati, 2002, 527).

Con disposizione che (a differenza di quella dell'art. 19.1) non è derogabile, il paragrafo 4 dell'art. 19 prevede come, ove alla decisione (resa in assenza del convenuto) si sia addivenuti tanto in applicazione del primo, quanto in applicazione del secondo paragrafo del medesimo articolo 19, il giudice può rimuovere la preclusione derivante per il convenuto dallo scadere del termine di impugnazione (e può, quindi, superare il giudicato) ove concorrano le seguenti condizioni: a) il convenuto, incolpevolmente, non ha avuto conoscenza dell'atto in tempo utile per difendersi o, incolpevolmente, non ha avuto conoscenza della decisione in tempo utile per impugnarla; b) i motivi di impugnazione del convenuto non sembrano del tutto privi di fondamento (sotto tale profilo, pertanto, la disposizione richiede un fumus di fondatezza dell'impugnazione).

La richiesta di rimuovere la preclusione deve comunque essere proposta entro un termine ragionevole che decorre dal momento in cui il convenuto ha avuto conoscenza della decisione, ferma restando la possibilità per ciascuno Stato membro di comunicare, ai sensi dell'articolo 23.1, che tale domanda è inammissibile se è presentata dopo la scadenza del termine indicato nella stessa comunicazione effettuata a norma dell'art. 23.1 (termine che, in ogni caso, non può essere inferiore ad un anno a decorrere dall'adozione della decisione).

Infine, il terzo paragrafo dell'art. 11, del regolamento (CE) n. 4/2009 dispone che, ove non sia applicabile il regolamento (CE) n. 1393/2007, troverà applicazione l'art. 15 della convenzione dell'Aia del 15 novembre 1965 relativa alla notificazione e alla comunicazione all'estero di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile o commerciale, nel caso in cui sia stato necessario trasmettere la domanda giudiziale o un atto equivalente all'estero nel rispetto della stessa convenzione. Tale convenzione contiene una disciplina analoga a quella dei primi due paragrafi dell'articolo 19 del regolamento (CE) n. 1397/2007; non anche, invece, la garantista remissione in termine prevista all'art. 19.4 del regolamento n. 1397/07.

Bibliografia

Biavati, Notificazioni e comunicazioni in Europa, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2002; Frigo, Problemi applicativi della normativa comunitaria in materia di notificazioni di atti giudiziari, in Riv. dir. int. priv. e proc. 2006; Pesce, Le obbligazioni alimentari tra diritto internazionale e diritto dell'Unione europea, Roma, 2013; Panzarola, La notificazione degli atti giudiziari ed extragiudiziari negli Stati membri dell'Unione Europea, in Leggi civ. comm., 2000; Tommaseo, Sulle notificazioni internazionali nello spazio giuridico europeo, in Riv. dir. proc. 2005, 407 ss.; Villata, Il regolamento CE n. 1393/2007 sulle notificazioni di atti giudiziali nell'ambito degli Stati membri, in Riv. dir. proc. 2009.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario