Regolamento - 18/12/2008 - n. 4 art. 15 - Determinazione della legge applicabile

Giuseppe Fiengo

Determinazione della legge applicabile

La legge applicabile alle obbligazioni alimentari è determinata secondo il protocollo dell’Aia del 23 novembre 2007 relativo alla legge applicabile alle obbligazioni alimentari («protocollo dell’Aia del 2007») negli Stati membri vincolati da tale strumento.

Inquadramento

Uno dei profili di maggiore novità del regolamento (CE) n. 4/2009 consiste, come già anticipato, nel fatto che lo strumento di cooperazione giudiziaria qui in esame non si limita a porre regole in materia di giurisdizione e di circolazione delle decisioni, ma detta anche un sistema uniforme di norme destinate ad individuare la legge applicabile alle obbligazioni alimentari. Tale legge, prima dell'entrata in vigore del regolamento qui in esame, doveva essere individuata, nell'ambito di ciascun ordinamento nazionale, alla luce delle norme di diritto internazionale privato o, più frequentemente, delle norme pattizie eventualmente applicabili nel caso in cui lo Stato avesse aderito ad una delle convenzioni internazionali adottate, quanto alla materia alimentare, nel ventesimo secolo (Pesce, 2013, 187). Così, quanto all'ordinamento italiano, ai sensi dell'articolo 45 della legge 31 maggio 1995, n. 218, la legge applicabile alle obbligazioni alimentari doveva essere individuata sulla base della convenzione dell'Aia del 2 ottobre 1973 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari.

La creazione di un sistema uniforme di norme destinate ad individuare la legge applicabile alle obbligazioni alimentari è, a livello comunitario, stata realizzata mediante il rinvio formale, contenuto nell'art. 15 del regolamento (CE) n. 4/2009 (unica norma del capo III), al protocollo dell'Aia del 23 novembre 2007 relativo alla legge applicabile alle obbligazioni alimentari (il quale, proprio per effetto dell'art. 15 del regolamento, viene comunitarizzato); protocollo che vincola tutti gli Stati membri ad eccezione del Regno Unito e della Danimarca.

Come osservato, la scelta del testo definitivo del regolamento qui in esame costituisce un'opzione minimalista rispetto alle nove norme che integravano il capo III della proposta iniziale della Commissione e che sono state fortemente osteggiate da alcuni Stati membri (Villata, 2011, 756). Tale opzione si giustifica, per un verso, alla luce dell'opposizione manifestata in sede di lavori preparatori da parte di alcuni Stati quanto all'introduzione in via diretta di una disciplina di conflitto nel regolamento (CE) n. 4/2009 e, per altro verso, in considerazione del fatto che, parallelamente ai lavori per l'adozione del regolamento qui commentato si sono svolti anche, in seno alla conferenza dell'Aia, i negoziati per la modernizzazione delle convenzioni dell'Aia del 2 ottobre 1973 e del 24 ottobre 1956; negoziati ai quali ha partecipato anche l'Unione europea.

Con riferimento a tale ultimo profilo non si è mancato di osservare come il costante (e non unidirezionale) dialogo tra istituzioni comunitarie e Conferenza dell'Aia di diritto internazionale privato, pur causa di ritardi nell'elaborazione del testo definitivo del regolamento, sia stato un elemento privo di precedenti nell'esperienza della cooperazione europea in materia civile (Pesce, 2013, 35). Tale costante dialogo ha avuto quale effetto non solo la segnalata comunitarizzazione del protocollo sulla legge applicabile (per il tramite dell'articolo 15 del regolamento), ma, anche, l'instaurazione di uno spiccato parallelismo tra lo strumento comunitario e la convenzione dell'Aia del 23 novembre 2007 sull'esazione internazionale di prestazioni alimentari nei confronti di figli e altri membri della famiglia.

In verità, in seno alla Conferenza dell'Aia, era stata manifestata — almeno a partire dal 1999 — la tendenza a privilegiare l'elaborazione di strumenti convenzionali aventi ad oggetto il riconoscimento delle decisioni e la cooperazione giudiziaria e amministrativa tesa ad agevolare il recupero transfrontaliero del credito alimentare; l'elaborazione di un protocollo avente ad oggetto l'individuazione della legge applicabile è stato, almeno in parte, il frutto dell'influenza che i lavori preparatori (e, in particolare, il menzionato Libro verde del 2004) svolti a livello comunitario hanno esercitato sulla Conferenza dell'Aia (Pesce, 2013, 39 ss.).

L'importanza che la disciplina in materia di legge applicabile alle obbligazioni alimentari assume nella complessiva struttura del regolamento (CE) n. 4/2009 è tale da influenzare la stessa efficacia del regolamento. Ed infatti l'art. 76.3 prevede che, fatta eccezione per le disposizioni indicate al paragrafo precedente (ovvero, gli artt. 2.2, 47.3 e 71, 72 e 73 — i quali si applicano, in ogni caso, dal 18 settembre 2010), l'intero regolamento (CE) n. 4/2009 troverà applicazione a partire dal 18 giugno 2011 a condizione che il protocollo dell'Aia del 2007 sia, a tale data, applicabile nella Comunità (disponendo altresì che, in caso contrario, il regolamento si applicherà comunque solo a partire dalla data di applicazione nella Comunità del protocollo del 2007 sulla legge applicabile).

Il protocollo è stato poi approvato con decisione del Consiglio del 30 novembre 2009. Tale decisione, espressamente, richiama il ruolo dello strumento normativo approvato nella prospettiva della certezza e prevedibilità del diritto per i creditori e debitori di alimenti e si mostra consapevole di come l'applicazione di norme uniformi relative alla legge applicabile è destinata ad assicurare la libera circolazione delle decisioni in materia di obbligazioni alimentari senza alcuna forma di controllo nello Stato membro nel quale è chiesta l'esecuzione. Non a caso, come si vedrà in sede di esame delle norme del capo IV, il regolamento, con scelta ancora una volta peculiare rispetto agli altri strumenti di diritto internazionale privato, prevede una disciplina estremamente semplificata di circolazione delle decisioni in materia di alimenti adottate da Stati membri che siano vincolati dal protocollo dell'Aia del 2007 sulla legge applicabile.

Il protocollo è composto da 30 articoli i quali, pur non suddivisi in capi, possono essere raggruppati in tre blocchi (Bonomi, 2013, 15): gli articoli 1 e 2 regolano l'ambito di applicazione ratione materiae e ratione loci, gli articoli da 3 a 14 pongono i criteri per l'individuazione della legge applicabile alle obbligazioni alimentari, precisandone l'ambito di applicazione e gli articoli da 15 a 30 pongono norme generali e finali (tali ultime norme, considerato l'oggetto della presente trattazione, non saranno in questa sede esaminate).

Il testo elaborato nel 2007 si colloca nella scia della convenzione dell'Aia del 2 ottobre 1973 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari e della convenzione dell'Aia del 24 ottobre 1956 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari nei confronti dei figli (convenzioni che sono — nei rapporti tra gli Sati contraenti — sostituite proprio dal protocollo — cfr. l'art. 18 del protocollo); esso tuttavia se ne differenzia prevalentemente per: a) il rafforzamento del ruolo della lex fori, eletto a criterio principale in ordine a pretese formulate da determinate categorie privilegiate di creditori; b) l'introduzione, per le obbligazioni alimentari tra coniugi ed ex coniugi, di una clausola di salvaguardia basata sulla nozione di prossimità (con superamento del collegamento alla legge del divorzio previsto all'art. 8 della convenzione del 1973); c) un maggior ruolo riconosciuto all'autonomia delle parti secondo quanto risulta dagli articoli 7 ed 8 (Bonomi, 2013, 15).

Nel complesso il protocollo, realizzando un'armonizzazione delle norme sulla legge applicabile, assicura — in tutti gli Stati partecipanti — un'elevata univocità quanto alla individuazione delle norme applicabili in materia di obbligazioni alimentari. Tale univocità favorisce la prevedibilità giuridica delle decisioni e facilita l'eliminazione delle «misure intermedie» nella fase del riconoscimento (Villata, 2011, 756).

Trib. Vercelli, 26 maggio 2016 (inedito) ha deciso un ricorso di modifica delle condizioni di divorzio determinate dall'autorità inglese con riferimento a tre minori, figli di genitori aventi doppia cittadinanza rumena e britannica. Il giudice piemontese ha escluso l'operatività in concreto del rinvio effettuato dall'articolo 15 del regolamento (CE) n. 4/2009 al protocollo dell'Aia del 23 novembre 2007, essendo tale protocollo entrato in vigore per l'Unione europea solo a partire dall'agosto 2013 ed essendo stato invece il ricorso exarticolo 9, legge 1 dicembre 1970, n. 898, depositato già il 28 giugno 2013. La decisione da ultimo citata ha quindi ritenuto applicabile l'articolo 45 della legge 31 maggio 1995, n. 218, il quale richiama la convenzione dell'Aia del 2 ottobre 1973 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari che, a sua volta, individua quale legge applicabile quella della dimora abituale del creditore; avuto riguardo al caso concreto, il giudice piemontese ha quindi ritenuto di dover applicare la legge italiana.

L'ambito di applicazione ratione materiae e ratione loci del Protocollo

Il protocollo condivide con il regolamento (CE) n. 4/2009 il medesimo ambito di applicazione materiale (Villata, 2011, 757).

Anche il primo strumento normativo disciplina infatti le obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità, comprese le obbligazioni alimentari nei confronti dei figli a prescindere dallo stato civile dei genitori. In proposito si è osservato come la lettera dell'articolo 1 del protocollo (che riprende la corrispondente previsione della convenzione dell'Aia del 1973) sia stata opportunamente mutuata dall'articolo 1.1 del regolamento (CE) n. 4/2009 sì da ridurre al minimo gli spazi di differente estensione applicativa di due strumenti i quali, per effetto del rinvio dell'articolo 15 del regolamento, sono destinati ad essere applicati in via congiunta all'interno dell'Unione europea (Pesce, 2013, 216).

La nozione di «obbligazione alimentare» accolta dal protocollo costituisce una «categoria autonoma di collegamento» (Bonomi, 2013, 16). Da tale natura deriva l'esigenza di verificare tanto quali siano i rapporti dai quali l'obbligazione alimentare può discendere, quanto di delimitare i presupposti alla luce dei quali una prestazione pecuniaria possa essere qualificata come alimentare.

Con riferimento al primo profilo, deve rilevarsi come l'obbligazione alimentare cui ha riguardo il protocollo prescinda del tutto dalla determinazione della legge applicabile ai rapporti di famiglia dai quali derivano le obbligazioni alimentari (in senso analogo si veda il considerando 21 del regolamento CE n. 4/2009). La questione — stante il diverso regime giuridico negli Stati membri — appare importante soprattutto con riferimento alle forme di matrimonio o di unioni tra persone dello stesso sesso. Alla luce di quanto osservato, infatti, le norme di conflitto del protocollo non individuano la legge applicabile al rapporto di famiglia (o, in senso più ampio) al rapporto sul quale si fondano le obbligazioni alimentari; tali norme di conflitto individuano infatti solo la legge applicabile alle obbligazioni alimentari (Bonomi, 2013, 17). Peraltro, la connotazione patrimoniale di tali obbligazioni, dovrebbe anche precludere la possibilità di invocare la clausola dell'ordine pubblico quale strumento per escludere l'applicazione di una legge straniera che riconosca un'obbligazione alimentare derivante da rapporti tra persone dello stesso sesso (Velletti, 2014, 50 ss.).

L'ambito di applicazione del protocollo è assai ampio; più ampio di quello della convenzione sulle obbligazioni alimentari del 1973 che (pur contenendo una disposizione analoga a quella dell'art. 1 del protocollo qui in esame) prevede la possibilità che gli Stati contraenti, mediante riserve, limitino l'applicazione della convenzione medesima a determinate obbligazioni alimentari.

Analogamente a quanto detto con riferimento al regolamento (CE) n. 4/2009, il protocollo del 2007 sulla legge applicabile non specifica se lo stesso si applica anche alle obbligazioni alimentari derivanti da relazioni tra persone dello stesso sesso.

Anche in questo caso, il silenzio è conseguenza della forte opposizione di alcuni Stati ad una soluzione positiva della questione.

Peraltro, la commissione II della sessione diplomatica ha ammesso che gli Stati che riconoscono tali forme di unioni possono ricondurre le medesime all'art. 5 del protocollo. Nessuna soluzione è stata invece adottata con riferimento agli Stati contraenti che non sono disposti a trattare le unioni in esame alla stregua del matrimonio; per questi Stati dovrebbe escludersi l'assimilabilità di tali unioni al matrimonio, ferma l'applicabilità — in ogni caso — degli articoli 3 e 6 del protocollo (Bonomi, 2013, 17). Indubbiamente gli spazi che, sotto il profilo da ultimo evocato, sono lasciati ai singoli Stati possono comportare un vulnus alla uniforme applicazione del protocollo (e, quindi, del regolamento); gli effetti pregiudizievoli di una simile, mancata uniformità possono tuttavia essere limitati in applicazione dell'articolo 13 del protocollo e, pertanto, del limite dell'ordine pubblico (Pesce, 2013, 217) sul quale ci si soffermerà a breve.

Ulteriore corollario della connotazione dell'obbligazione alimentare quale categoria autonoma di mantenimento va ricercata nella impossibilità di avvalersi di una decisione che condanna il debitore a pagare gli alimenti in base alla legge individuata dal protocollo per affermare l'esistenza di un rapporto di famiglia riconducibile a quello dell'art. 1.1 dello strumento elaborato in seno alla Conferenza dell'Aia (in questo senso è l'art. 1.2 del protocollo).

Quanto ai presupposti in presenza dei quali, ai fini del protocollo del 2007, una prestazione pecuniariapossa qualificarsi come alimentare, occorre esaminare, per un verso, la fonte dell'obbligo e, per altro verso, la natura della prestazione.

Con riferimento al primo profilo da ultimo evocato, non può non rilevarsi come nessuna previsione sia dettata quanto alla applicabilità del protocollo agli accordi relativiall'esistenza ed alla portata di un'obbligazione alimentare. La soluzione sembra poter essere tuttavia positiva, quanto meno ove tali accordi siano tesi a modificare o precisare un'obbligazione derivante da rapporti di famiglia; tanto considerato che, a differenza della convenzione del 1973, il protocollo permette (pur se con alcuni limiti sui quali ci si soffermerà a breve) di scegliere la legge applicabile alle obbligazioni alimentari (Bonomi, 2013, 18). Ferma l'applicabilità del protocollo a quegli accordi aventi ad oggetto la mera precisazione del contenuto o delle modalità di corresponsione di una prestazione alimentare comunque fondata sulla legge, la soluzione negativa è stata invece argomentata alla luce del tenore letterale dell'articolo 1 del protocollo il quale (analogamente alla corrispondente previsione del regolamento CE n. 4/2009) non lascerebbe dubbi quanto all'esclusione dall'ambito di applicazione del medesimo protocollo di tutte quelle obbligazioni che non siano, sotto il profilo genetico, ricollegate alla esistenza di un rapporto di natura familiare tra debitore e creditore (Pesce, 2013, 218). Nello stesso senso, del resto, si è osservato come anche nel corso dei negoziati della convenzione dell'Aia del 1973 la questione, volutamente, non era stata disciplinata a causa dell'impossibilità di trovare una posizione condivisa tra le varie delegazioni (Pesce, 2013, 218).

Quanto invece alla natura della prestazione alimentare rilevante ai fini del protocollo, non può non osservarsi come, nel sistema della Conferenza dell'Aia manchi un organo chiamato (come la Corte di giustizia) ad interpretare la disciplina pattizia con decisioni vincolanti per le autorità nazionali chiamate ad applicare la convenzione (o, per quanto qui più interessa, il protocollo). Tale circostanza non dovrebbe tuttavia escludere che la stessa Corte di giustizia sia, in futuro, chiamata a pronunciarsi sul protocollo (concorrendo quindi alla diffusione — quanto meno tra gli Stati membri — di un'interpretazione uniforme dello stesso) atteso che si tratta, in ogni caso, di una convenzione internazionale ratificata dall'Unione europea nonché di strumento comunitarizzato per effetto del rinvio contenuto all'articolo 15 del regolamento (CE) n. 4/2009 (Pesce, 2013, 219 ss. il quale osserva anche che, in una simile, prevedibile attività interpretativa, la corte di Lussemburgo non potrà — verosimilmente — operare in modo del tutto libero, dovendo invece considerare la natura internazionale dello strumento e la conseguente necessità di assicurarne un'interpretazione quanto più possibile uniforme).

Infine, analogamente al regolamento (CE) n. 4/2009, anche il protocollo ha carattere universale; esso, similmente a quanto previsto già dalla convenzione dell'Aia del 1973, sarà cioè applicabile anche ove comporti l'applicazione di una legge diversa da quella di uno Stato contraente.

Il criterio (apparantemente) generale di individuazione della legge applicabile

In modo conforme a quanto già previsto dalla convenzione dell'Aia del 2 ottobre 1973 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari e dalla convenzione dell'Aia del 24 ottobre 1956 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari verso i figli, anche il protocollo del 2007 individua (all'articolo 3) quale norma generale sulla legge applicabile, la legge dello Stato di residenza abituale del creditore, facendo tuttavia salve le contrarie disposizioni dello stesso protocollo.

Tale criterio, accettato all'unanimità durante i negoziati, è conforme allo scopo di tutela del creditore, atteso che la residenza abituale è il luogo nel quale si manifestano i bisogni della persona ed al quale, pertanto, è immediato riferirsi per stabilire l'esistenza e l'entità dell'obbligazione alimentare (Malatesta, 2009, 840). L'esistenza e l'entità dell'obbligazione alimentare non può infatti prescindere dalle concrete condizioni giuridiche e sociali nelle quali vive il creditore di alimenti. Il riferimento alla legge della residenza abituale garantisce inoltre la parità di trattamento tra i creditori che vivono nel medesimo Stato, senza che possano esservi trattamenti differenziati in ragione della diversa cittadinanza degli aventi diritto. Non da ultimo, atteso che titolo generale di giurisdizione è quello della residenza del creditore (si veda l'art. 3, lettera b) del regolamento (CE) n. 4/2009 e, precedentemente, l'art. 5.2 del regolamento n. 44/01), la regola generale accolta dal protocollo del 2007 consente, frequentemente, di applicare la legge dell'autorità adita, con chiari vantaggi sotto il profilo della semplicità e dell'efficienza; vantaggi particolarmente significativi in una materia, quale quella delle obbligazioni alimentari, nella quale gli importi che vengono in rilievo (e, conseguentemente, anche le risorse disponibili per la ricerca del diritto straniero) sono di regola modesti (Bonomi, 2013, 19).

Il protocollo non offre una definizione di «residenza abituale»; tale nozione non potrà che essere individuata alla luce dell'elaborazione giurisprudenziale formatasi con riferimento alla convenzione dell'Aia del 1973 (la quale, pure, fa riferimento alla «residenza abituale»), nonché alla luce delle decisioni rese dalla Corte di giustizia con riferimento all'analoga nozione contenuta nel regolamento (CE) n. 2201/2003 (Velletti, 2014, 53). Nel rinviare a quanto detto con riferimento all'art. 3 del regolamento (CE) n. 4/2009, in questa sede è appena il caso di ribadire che la residenza potrà considerarsi come abituale solo ove la stessa sia assistita da un carattere di stabilità, non, invece, ove vi sia una mera occasionalità.

I segnalati motivi alla base del criterio generale di individuazione della legge applicabile comportano (secondo quanto previsto dal secondo paragrafo dell'art. 3) che, in caso di cambiamento della residenza abituale del creditore, troverà applicazione (a partire dall'accertato momento del mutamento) la legge dello Stato della nuova residenza abituale. Resta inteso che la nuova residenza assumerà rilievo al fine del mutamento della legge applicabile solo dal momento in cui la stessa avrà assunto il carattere della abitualità.

Ferma la condivisibilità di una simile previsione, non può non convenirsi con quella dottrina che ha rilevato come il mutamento della legge applicabile a fronte del mutamento di residenza abituale presenta un duplice profilo di criticità. Per un verso, infatti, un simile cambiamento rischia di incentivare trasferimenti dei creditori funzionali all'applicazione di una disciplina più favorevole (Villata, 2011, 758); per altro verso, il mutamento della norma comporta un'evidente complicazione della decisione, atteso che il giudice investito della controversia (destinato a rimanere tale anche a fronte della nuova residenza, operando pur sempre il principio della perpetuatio jurisdictionis) dovrebbe applicare differenti discipline sostanziali: la legge del luogo della prima residenza abituale del creditore per la prima fase del giudizio e per gli arretrati e la legge della nuova residenza abituale per le prestazioni dovute successivamente al trasferimento e, in particolare, a partire dal momento in cui sia ravvisabile l'abitualità della nuova residenza (Velletti, 2014, 53 — 54; Bonomi, 2013, 19; Pesce, 2013, 236).

Tanto premesso, deve ribadirsi che, secondo quanto previsto dalla medesima norma qui in esame, l'art. 3 è destinato ad operare ove non vi siano contrastanti disposizioni dettate dal medesimo protocollo. In verità il numero e la rilevanza di simili, contrastanti norme è tale da ridimensionare notevolmente la portata applicativa dell'art. 3. Tale ultima disposizione si applicherà infatti, in concreto, solo quando creditori alimentari siano ascendenti, con esclusione di genitori, collaterali, affini, ovvero adulti non legati da vincoli di parentela (Velletti, 2014, 53; Villata, 2011, 760) o persone legate dalle varie forme di unioni legislativamente regolate (ove non equiparate ai matrimoni) di età superiore ai ventuno anni (Villata, 2011, 760) e sempre che non sia stato concluso un valido accordo sulla legge applicabile ai sensi degli articoli 7 e 8 del protocollo.

Sempre con riferimento al rapporto tra il criterio cui ha riguardo l'articolo 3 del protocollo e gli ulteriori criteri sussidiari si è osservato come, essendo la legge del luogo di residenza abituale del creditore criterio principale di determinazione della legge applicabile, lo stesso dovrà trovare applicazione ogni volta che consenta di individuare una legge che assicuri la prestazione alimentare in favore del creditore. Ove tale risultato sia realizzato, non dovrebbero poter trovare applicazione gli ulteriori criteri di collegamento i quali, in quanto sussidiari, sono destinati ad operare (limitatamente alle categorie di rapporti di volta in volta individuati) solo nel caso in cui il criterio principale non consenta di riconoscere il diritto alla prestazione alimentare. Tale regola deve trovare applicazione generalizzata fatta eccezione per i casi di deroga previsti all'articolo 5 quanto alle obbligazioni alimentari tra coniugi ed ex coniugi nonché per le eccezioni previste dagli articoli 6 e 13 del protocollo (Pesce, 2013, 235).

Corte giustizia, 12 maggio 2022, C-603/20, W.J. c. L.J. e J.J. ha ritenuto che l'articolo 3 del protocollo dell'Aia del 23 novembre 2007 deve essere interpretato nel senso che, “ai fini della determinazione della legge applicabile al credito alimentare di un figlio minorenne trasferito da uno dei suoi genitori nel territorio di uno Stato membro, la circostanza che un giudice di tale Stato membro abbia ordinato, nell'ambito di un procedimento distinto, il ritorno di tale minore nello Stato in cui risiedeva abitualmente con i genitori immediatamente prima del suo trasferimento, non è sufficiente a impedire che detto minore possa acquisire la residenza abituale nel territorio di tale Stato membro”.

Trib. Belluno, 21 aprile 2016 (inedito), ha ritenuto applicabile la legge italiana con riferimento ad una domanda proposta ai sensi dell'art. 9 l. 1 dicembre 1970, n. 898 da una cittadina rumena residente in Italia nei confronti dell'ex coniuge, cittadino italiano e rumeno, a seguito di sentenza di divorzio emessa dal giudice rumeno senza statuizioni sulle questioni economiche. Al riguardo il giudice veneto ha fatto applicazione dell'articolo 3 del protocollo dell'Aia del 23 novembre 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari (norma richiamata dall'art. 15 del regolamento CE n. 4/2009), venendo in rilievo la legge dello Stato di residenza abituale del creditore ed escludendo che tale norma di conflitto fosse, nel caso concreto, derogata dall'articolo 5 del medesimo protocollo atteso che il resistente non si era opposto all'applicazione della legge italiana e che tale legge era altresì quella del luogo dell'ultima residenza abituale comune.

Hanno applicato la legge italiana sulla base dell'articolo 3 del protocollo dell'Aia del 2007 anche: : - Trib. Torino, 24 aprile 2023, n. 1287, in Dejure, relativamente ad una domanda di mantenimento della figlia minorenne di genitori rumeni residente in Italia; - Trib. Terni, 10 gennaio 2022, n. 26, in Dejure, relativamente alla domanda di mantenimento di figli di genitori pakistani residenti in Italia, una volta constatata la mancata opposizione del resistente ai sensi dell'art. 5 del medesimo protocollo; - Trib . Parma, 4 aprile 2018, in  Riv. dir.  int.  priv. proc., 2020, 174 relativamente ad una domanda di mantenimento della figlia minore proposta da una cittadina italo-serba, abitualmente residente in Italia insieme alla figlia nei confronti del marito di nazionalità serba trasferitosi definitivamente in Germania. Tanto atteso che la figlia minore ha la residenza abituale in Italia; - Trib . Alessandria, 11 dicembre 2017,  in  Riv. dir.  int.  priv. proc., 2019, 618  relativamente alla domanda di alimenti in favore di una minore residente in Italia, figlia di una cittadina italiana e di un cittadino marocchino trasferitosi in Francia in seguito alla separazione giudiziale;  — Trib. Treviso, 4 novembre 2015 (in Pluris), relativamente all'assegno di divorzio dovuto da un coniuge brasiliano nei confronti di coniuge connazionale entrambi residenti in Italia, nonché relativamente all'assegno di mantenimento nell'interesse del figlio; — Trib. Treviso, 4 novembre 2015, relativamente alle obbligazioni alimentari dovute a fronte di domanda di separazione personale proposta da una cittadina marocchina residente abitualmente in Italia nei confronti del marito, cittadino ghanese; Trib. Treviso, 5 giugno 2015 relativamente al mantenimento di figli di genitori dello Sri Lanka entrambi residenti abitualmente in Italia; — Trib. Treviso, 17 luglio 2014 relativo ad un giudizio di opposizione al decreto presidenziale emesso ai sensi dell'art. 148 c.c. in relazione al mantenimento di figlio minore nato dalla relazione tra un cittadino italiano ed una cittadina slovacca abitualmente residente in Italia; — Trib. Milano, 16 aprile 2014 (in ilcaso.it) che ha applicato la legge svizzera, con riferimento alla determinazione del mantenimento in favore del coniuge — creditore avente residenza abituale prevalente in Svizzera (previa valutazione della giurisdizione in ordine a tale domanda ai sensi dell'art. 3, lett. c del regolamento CE n. 4/2009 ed escludendo invece — in applicazione dell'art. 3, lett. d) del medesimo regolamento — la propria giurisdizione con riferimento alla domanda di mantenimento nell'interesse dei figli, ritenuta la competenza del giudice svizzero in ordine alla domanda in materia di responsabilità genitoriale).

I criteri di collegamento speciali per l'individuazione della legge applicabile alle obbligazioni alimentari dei genitori

Come detto, lo stesso art. 3 del protocollo prevede che la regola generale dettata con riferimento alla individuazione della legge applicabile non opera ove vi siano contrastanti disposizioni dettate dal medesimo protocollo.

La portata della regola generale già accolta dalla convenzione dell'Aia del 1973 è in tal modo attenuata; ciò al fine tanto di rafforzare la tutela di alcune categorie di creditori (minori e coniugi) che potrebbero essere pregiudicati dalla rigida applicazione della legge della residenza abituale, quanto di rendere il protocollo appetibile a quegli Stati (soprattutto di common law) i quali tradizionalmente disciplinano l'esistenza, la misura e l'esazione delle obbligazioni alimentari in base alla lex fori anche perché un ruolo importante nell'adozione di statuizioni in materia alimentare è attribuito ad autorità amministrative le quali operano sulla base della legge dello Stato di appartenenza (Castellaneta — Leandro, 2009, 1080). La disciplina del protocollo è quindi il portato di una soluzione « articolata e complessa» (Malatesta, 2009, 841) che si caratterizza per la specializzazione, cioè per la previsione di regole ritagliate in considerazione delle peculiarità di determinate categorie di creditori (Castellaneta — Leandro 1080).

In questo senso viene innanzitutto in rilievo l'art. 4 del protocollo il quale detta una serie di criteri di collegamento applicabili a cascata con riferimento alla individuazione della legge destinata a regolare le obbligazioni alimentari tra i soggetti indicati alle lettere da a) a c) del primo paragrafo dell'art. 4.

Ribadito che la disposizione da ultimo citata è destinata solo ad individuare la legge applicabile alle obbligazioni alimentari (sì che, eventuali limiti — ad esempio, di età — alla fruizione della prestazione alimentare deriveranno solo dalla legge nazionale in concreto applicabile), l'art. 4 del protocollo ha riguardo, sotto il profilo soggettivo, a due categorie di soggetti del rapporto obbligatorio. La norma fa infatti riferimento, innanzitutto, alle obbligazioni esistenti tra genitori e figli (art. 4.1, lettere a e c), prescindendo in modo assoluto dall'età, atteso che l'esistenza di un rapporto di filiazione è stato ritenuto di per sé idoneo a giustificare l'applicazione dei più favorevoli criteri accolti dalla disposizione in esame (fermo restando, si ribadisce, che eventuali limiti al diritto alla prestazione alimentare per i figli maggiorenni dovranno essere individuati sulla base delle norme nazionali applicabili sulla base delle disposizioni del protocollo).

L'art. 4.1 lettera b) ha invece riguardo alle obbligazioni di persone diverse dai genitori e dal coniuge nei confronti di persone minori degli anni ventuno. Si tratta, in sostanza di crediti alimentari (per i quali è applicabile anche l'articolo 6 del protocollo) derivanti da un rapporto di parentela in linea retta o collaterale o da un rapporto di affinità; il legame meno intenso (rispetto a quello della filiazione) tra gli obbligati giustifica la previsione di un limite d'età del creditore (il quale potrà beneficiare della più favorevole disciplina di individuazione della legge applicabile solo in quanto sia soggetto di età inferiore agli anni 21).

Ebbene, con riferimento alle obbligazioni alimentari così individuate sotto il profilo soggettivo, il paragrafo 2 dell'art. 4 prevede, nel caso in cui il creditore non possa ottenere gli alimenti sulla base della legge individuata ai sensi dell'art. 3, l'applicazione della legge del foro.

Ai fini dell'applicazione della legge del foro risulta quindi decisivo verificare quando il creditore non possa ottenere gli alimenti sulla base della legge dello Stato di residenza abituale.

Una simile ipotesi ricorre, senza dubbio, nel caso in cui la legge applicabile a titolo principale (id est, la legge dello Stato della residenza abituale) non preveda un'obbligazione alimentare derivante dalla relazione familiare tra le parti del rapporto obbligatorio; si pensi al caso in cui la legge dello Stato di residenza non contempli un'obbligazione alimentare del figlio nei confronti dei genitori o preveda un obbligo alimentare dei genitori verso i figli solo sino alla maggiore età di questi ultimi (Velletti, 2014, 55; Bonomi, 2013, 22). Maggiori perplessità sussistono invece per il caso in cui, sulla base della legge dello Stato di residenza abituale, gli alimenti non siano dovuti per ragioni economiche (sulla base cioè di un contemperamento tra i bisogni del creditore e le risorse del debitore). In proposito, pur osservando come, sotto il profilo teorico, sia difficile distinguere tale ipotesi da quelle esaminate subito prima (atteso che ricorre pur sempre un caso nel quale la concessione degli alimenti è negata per difetto di una condizione prevista dalla legge della residenza abituale), si è osservato come, secondo una maggioranza di delegazioni, il favor creditoris sotteso al criterio sussidiario contemplato dall'art. 4.2 del paragrafo non dovrebbe applicarsi in un simile caso (Bonomi, 2013, 22) o, comunque, come i dubbi oggettivamente esistenti non potranno che essere fugati dall'applicazione giurisprudenziale della norma (Velletti, 2014, 55).

Infine, la lex fori non potrà essere applicata sulla base dell'art. 4.2 ogni volta che l'applicazione della legge individuata in via principale (art. 3) comporti il riconoscimento di un credito di entità inferiore rispetto a quello derivante dall'applicazione della legge del foro (Velletti, 2014 56; Bonomi, 2013, 22; Castellaneta — Leandro, 2009, 1081).

È appena il caso di precisare che i creditori alimentari non rientranti nelle categorie contemplate all'articolo 4 saranno soggetti alla legge dello Stato della propria residenza abituale anche ove tale legge non riconosca loro alcun diritto alla prestazione di alimenti. Sotto questo profilo, con riferimento ai rapporti familiari connotati da una minore prossimità delle parti, il protocollo del 2007 adotta una scelta più rigorosa rispetto a quella (almeno formalmente) accolta dalla convenzione dell'Aia del 1973 (Pesce, 2013, 239).

Un'importante inversione dei criteri di collegamento posti all'art. 3 ed all'art. 4.2 è contenuta all'art. 4.3 del protocollo il quale prevede che la legge del foro si applica in via principale (con preferenza quindi rispetto ai criteri sin qui esaminati) se il creditore ha adito il giudice dello Stato della residenza abituale del debitore. Quale correttivo di tale criterio lo stesso art. 4.3 (nella seconda parte) prevede tuttavia che, in una simile ipotesi (giudizio instaurato nello Stato della residenza abituale del debitore), ove la lex fori non attribuisca al creditore il diritto agli alimenti, la legge dello Stato di residenza abituale del creditore ridiventa applicabile in via sussidiaria.

Il criterio in esame assicura l'applicazione della legge dell'autorità adita (con tutti i vantaggi che, come detto al paragrafo precedente, ne discendono), salvaguardando tuttavia (in questo senso la seconda parte dell'articolo 4.3) il favor creditoris.

Senza dubbio, l'art. 4.3 attribuisce ai creditori rientranti nelle categorie contemplate all'articolo 4.1 la possibilità di scegliere il giudice da adire (quanto al regolamento CE n. 4/2009, si rinvia ai titoli generali di giurisdizione contemplati all'art. 3) sulla base di una preventiva valutazione delle conseguenze che dalla scelta del foro derivano sotto il profilo della legge applicabile. Ne discende che la coincidenza tra forum e ius deriva dalla volontà del creditore. In altri termini, il favor creditoris giunge sino a legittimare (e, per certi versi, favorire) una pratica di forum shopping (c.d. «virtuoso»), che, pure, è in linea di massima assai avversata in ambito europeo per l'incertezza giuridica e l'imprevedibilità del funzionamento dei titoli di giurisdizione che comporta (Castellaneta — Leandro, 2009, 1082).

A differenza di quanto previsto all'art. 3.2 per il caso di mutamento della residenza abituale del creditore, l'articolo 4 nulla prevede con riferimento all'ipotesi in cui, instaurato dal creditore il giudizio innanzi al giudice dello Stato della residenza abituale del debitore, lo stesso debitore muti la propria residenza abituale. Ferma restando, in applicazione del principio della perpetuatio jurisdictionis, la giurisdizione del giudice adito, sorge il problema di valutare se la legge da applicare all'obbligazione alimentare debba (a partire dal momento in cui sia accertato il trasferimento della residenza abituale da parte del debitore) restare pur sempre quella applicabile nel momento in cui è stato radicato il giudizio (e, pertanto, quella dello Stato dell'originaria residenza abituale) o debba, invece, mutare con applicazione della legge dello Stato della nuova residenza abituale. Se tale ultima soluzione potrebbe giustificarsi alla luce di esigenze di uniformità nelle regole destinate ad individuare la legge applicabile in funzione della residenza abituale (del creditore o del debitore), la prima soluzione è tuttavia, probabilmente, preferibile in quanto preclude al debitore di ottenere vantaggi (con corrispondenti pregiudizi per il creditore) a fronte di una propria (eventualmente) consapevole scelta.

Il forum shopping è invece escluso nel caso di giudizio promosso dal debitore (si pensi al debitore che agisca per l'accertamento negativo dell'obbligo o per la modifica dello stesso). In tale ipotesi, infatti, la domanda potrà essere proposta solo innanzi al giudice del luogo di residenza abituale del creditore con la conseguenza che sarà peraltro, anche in questo caso, realizzata la coincidenza tra forum e ius (Villata, 2011, 759).

Da ultimo, nella prospettiva di ulteriore tutela del creditore, l'art. 4.4 del protocollo prevede che ove, in applicazione delle leggi individuate sulla scorta dell'art. 3 o dei paragrafi 2 e 3 dell'art. 4, il creditore non possa ottenere alimenti dal debitore, troverà applicazione la legge dell'eventuale Stato di cittadinanza comune del creditore e del debitore. Criterio, quello da ultimo indicato, che ha suscitato critiche sia sotto il profilo di una pretesa discriminatorietà (trovando esso applicazione solo nel caso in cui il creditore ed il debitore hanno la stessa cittadinanza), sia in considerazione della equivocità dello stesso ogni volta che la cittadinanza comune è quella di uno Stato plurilegislativo.

Corte giustizia UE, 20 settembre 2018, C-214/17, Alexander Mölk c. Valentina Mölk, ha ritenuto che, ai sensi dell'articolo 4, par. 3, del protocollo dell'Aia (nel caso in cui l'assegno alimentare da pagare sia stato fissato con una decisione che ha acquistato forza di giudicato, su domanda del creditore e, in forza di tale art. 4, par. 3, secondo la legge del foro indicata in conformità a tale disposizione) la legge del foro non disciplina un'ulteriore domanda presentata dal debitore dinanzi ai giudici dello Stato in cui risiede abitualmente contro il creditore, al fine di veder ridotto tale assegno alimentare. A tale conclusione la Corte è giunta valutando non solo la formulazione letterale dell'art. 4.3 del protocollo, ma, anche, il contesto in cui la disposizione è inserita e gli obiettivi dalla stessa perseguiti. In particolare, quanto al contesto in cui la norma è inserita, la Corte ha osservato che l'art. 4.3 si inscrive in un sistema di norme di collegamento che prevede l'applicazione in via principale della legge dello Stato di residenza abituale del creditore (art. 3 del protocollo), ritenuta quella più strettamente collegata con la situazione del creditore e, pertanto, quella più adeguata a disciplinare i problemi concreti cui il creditore di alimenti può andare incontro. L'articolo 4 del protocollo dell'Aia contiene invece norme speciali a favore di taluni creditori, riguardanti in particolare gli obblighi dei genitori verso i figli, le quali si applicano in subordine. Pertanto, l'art. 4.2 prevede che la legge del foro si applichi qualora il creditore non possa ottenere alimenti in forza della legge designata in via principale conformemente all'art. 3 di tale protocollo. L'articolo 4.3, infine, capovolge i criteri di collegamento previsti all'art. 3 e all'art. 4.2 del medesimo protocollo, indicando, in primo luogo, la legge del foro allorché il creditore ha adito l'autorità competente dello Stato in cui il debitore ha la sua residenza abituale e, in secondo luogo, la legge dello Stato in cui il creditore ha la sua residenza abituale, se quest'ultimo non può ottenere gli alimenti dal debitore in forza della legge del foro. Il protocollo, prevedendo che la legge del foro in luogo della legge dello Stato della residenza abituale del creditore possa essere applicata per prima, conferisce a quest'ultimo la possibilità di scegliere indirettamente la prima di tali leggi, in quanto tale scelta deriva dalla proposizione da parte del creditore della sua domanda dinanzi all'autorità competente dello Stato in cui il debitore ha la residenza abituale. Tale possibilità persegue l'obiettivo di proteggere il creditore considerato come la parte più debole nei suoi rapporti con il debitore, permettendogli, di fatto, di effettuare una scelta della legge applicabile alla sua domanda. In tale contesto, qualora il procedimento in cui tale domanda si inscrive si sia concluso con una decisione che ha acquistato forza di giudicato, dall'art. 4, par. 3, del protocollo dell'Aia non deriva che occorra estendere gli effetti di tale scelta ad un nuovo procedimento proposto non dal creditore, bensì dal debitore. Inoltre, trattandosi di una deroga alla norma enunciata all'art. 3 del protocollo dell'Aia, occorre interpretare quest'ultima restrittivamente, senza spingersi oltre il caso di specie espressamente considerato.

Sempre Corte giustizia UE, 20 settembre 2018, C-214/17, Alexander Mölk c. Valentina Mölk ha inoltre precisato che l'articolo 4, paragrafo 3, del protocollo dell'Aia deve essere interpretato nel senso che l'autorità competente dello Stato di residenza abituale del debitore degli alimenti non deve considerarsi «adita», ai sensi di detto articolo, nel caso di comparizione in giudizio del creditore, accompagnata dalla deduzione di contestazioni nel merito, ai sensi dell'art. 5 del regolamento n. 4/2009, nell'ambito di un procedimento avviato dal debitore dinanzi alla medesima autorità.

 Corte giustizia UE, 7 giugno 2018, C-83/17, KP c. LO, ha affermato che l'art. 4.2 del Protocollo deve essere interpretato nel senso che: - la coincidenza tra lo Stato del foro e lo Stato di residenza abituale del creditore non osta all'applicazione di tale disposizione qualora la legge designata dalla norma sussidiaria di collegamento prevista da tale disposizione non coincida con la legge designata dalla norma principale di collegamento prevista dall'art. 3 del protocollo; - in una situazione in cui il creditore di alimenti, che ha cambiato la residenza abituale, presenti alle autorità giurisdizionali dello Stato della sua nuova residenza abituale una richiesta di alimenti nei confronti del debitore relativa a un periodo già trascorso in cui risiedeva in un altro Stato membro, la legge del foro, che è anche la legge dello Stato della sua nuova residenza abituale, può trovare applicazione se le autorità giurisdizionali dello Stato membro del foro erano competenti a conoscere delle controversie in materia di crediti alimentari riguardanti le parti di cui trattasi e riferite al suddetto periodo. Con la medesima decisione la Corte di Lussemburgo ha inoltre ritenuto che la locuzione «non possa ottenere alimenti», contenuta nell'art. 4, par. 2, del Protocollo dell'Aia deve essere interpretata nel senso che include anche la situazione in cui il creditore non possa ottenere alimenti ai sensi della legge dello Stato della sua precedente residenza abituale con la motivazione che non soddisfa determinati presupposti imposti da tale legge. La decisione è relativa al caso di una minore in origine residente in Germania e, successivamente, trasferitasi con la madre in Austria. La minore aveva proposto domanda di alimenti nei confronti del padre non solo per il periodo successivo a quello del trasferimento in Austria (per il quale, ai sensi dell'art. 3 del Protocollo, trova applicazione la legge austriaca), ma, anche, per i due anni nei quali aveva risieduto in Germania (per i quali, stante l'art. 3.2 del Protocollo, non può trovare applicazione la legge austriaca). Per tale ultimo periodo avrebbe dovuto trovare applicazione -ai sensi dell'art. 3 del Protocollo- la legge tedesca, la quale, tuttavia, a differenza della legge austriaca, subordina la possibilità di richiedere retroattivamente prestazioni alimentari a presupposti in concreto non ricorrenti. L'interpretazione estensiva dell'art. 4.2. accolta dalla Corte è esplicitamente tesa ad ovviare al rischio che il creditore non ottenga alimenti secondo la legge designata in via principale.

Trib. Genova, 14 maggio 2018(in Riv. dir. int. priv. e proc. 2020, 177 ss.), con riferimento alla domanda di mantenimento proposta, nell'interesse della figlia minore, dalla madre di nazionalità russa ed abitualmente residente in Russia con la figlia nei confronti del padre residente in Italia, ha ritenuto applicabile la legge italiana, ai sensi dell'art. 4 del protocollo dell'Aia richiamato dall'art. 15 del regolamento (CE) n. 4/09 quale lex fori, avendo il creditore alimentare adito l'autorità giurisdizionale italiana del luogo di residenza abituale del debitore.  Trib. Belluno, 12 novembre 2013 (in Riv. dir. int. priv. e proc., 2014, 973), con riferimento ad una domanda di mantenimento proposta, in favore della figlia minore, da una cittadina marocchina avente residenza abituale in Italia nei confronti del coniuge (pure cittadino marocchino residente abitualmente in Italia) ha ritenuto applicabile la legge italiana non solo ai sensi dell'art. 3 del protocollo dell'Aia del 2007 (essendo in Italia la residenza abituale del creditore), ma, anche, alla luce dell'art. 4.3 del medesimo protocollo, parimenti in Italia essendo la residenza abituale del debitore.

Trib. Vicenza, 22 maggio 2023, n. 935 (in Dejure) ha ritenuto applicabile l'art. 4 del Protocollo (e, quindi, la legge italiana) con riferimento all'azione proposta dalla madre (cittadina polacca) per il pagamento della metà delle spese sostenute per il mantenimento della figlia (con la stessa abitualmente residente in Polonia) per il periodo compreso tra il 2012 (data a partire dalla quale il padre -cittadino italiano- aveva manifestato disinteresse totale nei confronti della figlia) e la proposizione della domanda. Premesso che il Protocollo dell'Aja del 23  Novembre 2007 prevede (art. 3), in caso di mancanza di specifica designazione ad opera delle parti (artt. 7 e 8) il criterio di collegamento generale della legge dello Stato di residenza abituale del creditore (rispondente alla ratio di accertare l'an ed il quantum dell'obbligazione in base alla legge del luogo in cui il creditore deve soddisfare le proprie esigenze di vita), il Tribunale ha infatti osservato che è comunque consentito al creditore di derogare a tale criterio agendo in giudizio nel foro di residenza abituale del convenuto. In tal caso, ai sensi dell'art. 4 del Protocollo, “è prevista l'applicabilità della lex fori (che normalmente permette di realizzare la pretesa creditoria in tempi più rapidi e con costi inferiori) in luogo della legge prevista dall'art. 3 del Protocollo medesimo e viene quindi rimessa alla volontà del creditore la possibilità di realizzare la coincidenza tra forum e ius. Considerato che l'attrice, cittadina polacca, ha agito in giudizio nel foro di residenza abituale del debitore, la disciplina sostanziale applicabile alla domanda economica de qua è quella italiana ai sensi dell'art. 4 comma 3 del Protocollo dell'Aja del 23.11.2007”.

La legge applicabile alle obbligazioni alimentari tra coniugi, ex coniugi o alle persone il cui matrimonio sia stato annullato

Anche l'art. 5 del protocollo costituisce espressione di quella specializzazione della disciplina dettata dal protocollo del 2007 alla quale si è fatto riferimento al paragrafo precedente.

Con una previsione destinata a trovare applicazione solo nel caso in cui le parti non si siano preventivamente accordate sulla legge applicabile (artt. 7 e 8 del protocollo), l'art. 5 prevede che per le obbligazioni alimentari tra coniugi, ex coniugi o persone il cui matrimonio sia stato annullato, il criterio fissato all'art. 3 non si applica ove una delle parti vi si opponga e la legge di un altro Stato, in particolare quello dell'ultima residenza abituale comune, presenti un collegamento più stretto con il matrimonio. In tale caso si applicherà infatti la legge dello Stato che presenti un collegamento più stretto con il matrimonio.

Sotto il profilo soggettivo deve rilevarsi come, nonostante le proposte di alcune delegazioni, la norma in esame non fa riferimento ad istituti assimilabili al matrimonio (si pensi, ad esempio, alle unioni civili) dai quali, pure, discendono possibili effetti sotto il profilo delle obbligazioni alimentari. Nonostante tale silenzio, la sessione diplomatica ha ammesso che gli Stati i quali riconoscono tali istituti possono (si tratta quindi di una soluzione facoltativa e non vincolante per gli Stati che simili istituti non conoscono) assoggettarli all'art. 5 del protocollo, assimilandoli al matrimonio.

L'applicazione della legge dello Stato più strettamente collegato con il matrimonio è la conseguenza di una tecnica complessa incentrata su un'espressa manifestazione di volontà di una parte; tale criterio ha quindi carattere facoltativo e sussidiario rispetto al criterio generale della residenza abituale del creditore (Castellaneta — Leandro, 2009, 1082).

L'opposizione necessaria perché sia applicabile l'articolo 5 deve essere formalizzata nel rispetto delle regole (ivi comprese eventuali preclusioni) poste dalla legge del foro adito (Velletti, 2014, 56; Malatesta, 2009, 844) e può essere formulata anche in un procedimento che costituisca uno strumento alternativo di risoluzione delle controversie come la mediazione (Bonomi, 2013, 25). Se, di regola, tale opposizione sarà formalizzata dal debitore, non può escludersi che la stessa sia formulata anche dal creditore (ove questi ritenga di poter conseguire maggiori benefici dall'applicazione di una legge diversa da quella della propria residenza abituale). La norma trova del resto il proprio fondamento nella volontà di impedire fenomeni di forum shopping c.d. « non virtuosi ». L'opposizione è destinata infatti ad impedire che l'unilaterale trasferimento di residenza abituale di uno dei coniugi (o ex coniugi), interrompendo la continuità tra la disciplina degli alimenti e la vita matrimoniale, incida sulla legge applicabile all'obbligazione alimentare, esponendo l'altra parte a rischi inattesi (Velletti, 2014, 56-57; Castellaneta — Leandro, 2009, 1083; Malatesta, 2009, 843).

Così esplicitata la ratio della disposizione, non può non rilevarsi come la norma (sicuramente innovativa nella misura in cui subordina all'opposizione di parte l'operatività della tecnica ispirata al principio del collegamento più stretto — Bonomi, 2013, 25; Malatesta, 2009, 844) appare alquanto indeterminata nella parte in cui fa riferimento alla legge di uno Stato che « presenti un collegamento più stretto con il matrimonio» (e, pertanto, ad un elemento che riguarda entrambi i coniugi o ex coniugi). Del resto, l'adozione di una formula tanto flessibile è stata conseguenza della difficoltà di porre una norma di collegamento rigida (Bonomi, 2013, 25).

Lo stesso articolo 5, al fine di orientare l'interprete nell'individuazione dello Stato avente il collegamento più stretto con il matrimonio, si preoccupa di indicare un criterio-guida (Malatesta, 2009, 844) facendo riferimento all'ultima residenza abituale comune. Tale criterio costituisce tuttavia un'esemplificazione, poiché è possibile che leggi di altri Stati presentino un collegamento più stretto con il matrimonio; si pensi, ad esempio, alla legge dello Stato nel quale si è prevalentemente svolta la vita matrimoniale (Velletti, 2014, 56) o, almeno in teoria, allo Stato della comune cittadinanza dei coniugi, a quello della celebrazione del matrimonio o a quello della separazione o del divorzio (Bonomi, 2013, 26). La stessa parte interessata all'applicazione dell'art. 5 potrà inoltre offrire elementi che consentano al giudice di verificare quale sia lo Stato più strettamente collegato con il matrimonio. Tutti gli elementi acquisiti dovranno essere soppesati dal giudice il quale dovrà valutare se gli stessi consentano di individuare uno Stato avente un collegamento con il matrimonio più stretto rispetto allo Stato di attuale residenza abituale del creditore (Bonomi, 2013, 26).

Ulteriore profilo problematico della disposizione in esame va ricercato nel fatto che la stessa pone un criterio di collegamento differente rispetto a quelli (art. 4) preposti alla individuazione della legge applicabile alle obbligazioni alimentari dei genitori verso i figli, con la conseguenza che nel caso di controversie aventi ad oggetto obblighi alimentari nei confronti tanto dei figli, quanto del coniuge, potranno essere applicate leggi differenti (Velletti, 2014, 56) con gli intuibili problemi in termini, tra l'altro, di rapidità del giudizio e di (mancato) contenimento dei costi dello stesso.

Trib. Terni, 10 gennaio 2022, n. 26, in Dejure, con riferimento alla domanda di mantenimento dei figli di genitori pakistani residenti in Italia ha ritenuto che “per individuare i criteri di collegamento per la determinazione delle legge applicabile alle obbligazioni alimentari nei confronti dell'ex coniuge, occorre riferirsi all'art. 5 del Protocollo dell'Aja 2007, nel quale è richiamato il principio generale di cui all'art. 3 del citato Protocollo (applicazione della legge del luogo di residenza abituale del creditore alimentare) a meno che una delle parti vi si opponga e la legge di un altro Stato, e in particolare quello dell'ultima residenza abituale comune dei coniugi, presenti un collegamento più stretto con il matrimonio. Nel caso di specie applicando il criterio generale di cui all'art. 3, la legge applicabile è quella italiana, in quanto la ricorrente, creditrice alimentare risiede in Italia e il debitore alimentare, odierno resistente, non ha formulato alcuna opposizione ai sensi del richiamato art. 5 del Protocollo dell'Aja, all'applicazione di tale legge”.

Norma speciale in materia di difesa

L'articolo 6 del protocollo attribuisce al debitore di obbligazioni alimentari diverse da quelle derivanti da un rapporto di filiazione nei confronti di un minore e da quelle di cui all'articolo 5 la facoltà di opporre al creditore l'assenza di una propria obbligazione alimentare sulla base della legge del proprio Stato di residenza abituale ovvero della legge dello Stato di cittadinanza comune delle parti.

A differenza dell'articolo 5, l'articolo 6 del protocollo non pone un criterio di collegamento ulteriore rispetto a quelli degli articoli 3 e 4, ma si limita a prevedere un «vero e proprio mezzo di difesa» (Pesce, 2013, 248) destinato a paralizzare l'applicazione dei criteri di collegamento previsti dal protocollo. Paralisi che appare rilevante specie ove tesa a sottrarre il debitore da possibili abusi perpetrabili dal creditore mediante lo sposamento della propria residenza abituale ai sensi dell'articolo 3.2 del protocollo (Pesce, 2013, 248).

L'ambito di applicazione della norma, individuato in base ad una definizione di tipo negativo, è più ampio rispetto a quello della corrispondente disposizione della convenzione dell'Aia del 1973 (la quale, all'art. 7, fa riferimento alle sole obbligazioni alimentari tra collaterali o affini); tanto in considerazione dei contrasti emersi a livello internazionale quanto alla opportunità di riconoscere crediti alimentari in favore di persone legate da rapporti di famiglia quali quelli rilevanti ai fini dell'applicazione dell'art. 6 (Bonomi, 2013, 27).

Il mezzo di difesa apprestato dalla disposizione qui in esame (espressione di un favor debitoris) potrà essere invocato con riferimento ad obbligazioni alimentari derivanti dalla legge applicabile ai sensi degli articoli 3 e 4 del protocollo. Proprio con riferimento a tale ultima norma si è osservato che l'applicazione concorrente del sistema a cascata previsto dall'art. 4 e dalla norma di difesa dell'art. 6 oltre a risultare assai complicata, è poco coerente, atteso che il protocollo tende allo stesso tempo, per un verso, a favorire il creditore con collegamenti sussidiari e, per altro verso, a proteggere il debitore con collegamenti cumulativi (Bonomi, 2013, 28, il quale osserva anche che tale — per certi versi, insoddisfacente — disciplina è frutto di un'evidente soluzione di compromesso).

La norma in esame opera secondo modalità parzialmente differenti a seconda che gli obbligati non abbiano, ovvero abbiano una comune cittadinanza. Nel primo caso, a fronte della pretesa creditoria vantata sulla base della legge individuata ai sensi dell'art. 3 o dell'art. 4, il debitore potrà limitarsi ad eccepire l'inesistenza di un proprio obbligo alla luce della sola legge della propria residenza abituale. Nel caso in cui invece i soggetti del rapporto obbligatorio abbiano una comune cittadinanza, il debitore potrà sottrarsi all'esecuzione della prestazione solo ove dimostri l'inesistenza di una propria obbligazione tanto alla luce della legge dello Stato della propria residenza abituale, quanto alla luce della legge dello Stato di comune cittadinanza. Tale previsione è tesa ad evitare (sia pure per il solo caso in cui entrambe le parti del rapporto obbligatorio abbiano la medesima cittadinanza) che la facoltà contemplata all'articolo 6 possa essere esercitata abusivamente da parte del debitore. Tanto accadrebbe, ad esempio, nel caso in cui il debitore, per sottrarsi agli obblighi sullo stesso gravanti, spostasse la propria residenza in uno Stato nel quale dalla relazione familiare con il preteso creditore non derivasse alcuna obbligazione alimentare (Pesce, 2013, 247).

Da ultimo, deve rilevarsi come, facendo l'art. 6 riferimento all'«assenza» di obbligazioni alimentari, la norma di difesa potrà essere invocata dal debitore solo ove la stessa porti all'applicazione di una legge nazionale che escluda del tutto l'esistenza di una propria obbligazione alimentare, non anche allorquando la legge dello Stato di residenza abituale del debitore o la legge dello Stato della comune cittadinanza porti semplicemente all'applicazione di un'obbligazione alimentare di entità minore rispetto a quella derivante dalla legge individuata ai sensi degli artt. 3 e 4.

L'accordo sulla legge applicabile

L'aspetto più innovativo (anche rispetto alle convenzioni dell'Aia del 1973 e del 1956) della disciplina del protocollo del 2007 sta sicuramente nel rilievo attribuito alla volontà delle parti quanto all'individuazione della legge applicabile.

Se una prima manifestazione del criterio dell'optio legis è ravvisabile nell'esaminata facoltà, per il creditore, di determinare unilateralmente la legge applicabile al credito alimentare adendo il giudice dello Stato di residenza abituale del debitore (Villata, 2011, 761), non v'è dubbio che gli articoli 7 ed 8 costituiscono la massima espressione del rilievo assegnato all'autonomia privata nella materia disciplinata dal protocollo.

Sotto questo profilo il regolamento (CE) n. 4/2009 (nella misura in cui pone il rinvio formale al protocollo del 2007) costituisce conferma della sempre più diffusa tendenza, da parte del diritto internazionale privato, a valorizzare l'autonomia privata; tendenza che si manifesta anche in settori tradizionalmente sottratti alla libera disponibilità delle parti come il diritto di famiglia e quello delle successioni (Pesce, 2013, 224; Vassalli di Dachenhausen, 2012, 362).

Peraltro il rilievo che il regolamento qui in esame attribuisce alla volontà delle parti nella individuazione della legge applicabile emerge in modo chiaro sotto un duplice profilo. Per un verso, infatti, esso ha esercitato un'importante influenza sul regime di scelta della legge applicabile quale delineato all'art. 5 del regolamento (UE) 1259/2010 relativo all'attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio ed alla separazione personale (Vassalli di Dachenhausen, 2012, 368-9). Per altro verso, la volontà delle parti dovrebbe consentire di assicurare una maggiore certezza nella individuazione della legge applicabile, superando così le complessità ed incertezze derivanti dall'applicazione dei criteri di individuazione della legge applicabile disciplinati agli articoli 3, 4, 5 e 6 del protocollo (Velletti, 2014, 57; Vassalli di Dachenhausen, 2012, 368)

Alla scelta della legge applicabile il protocollo riserva due norme che disciplinano, l'una (art. 7) la scelta della legge applicabile con riferimento ad un procedimento specifico e l'altra la scelta compiuta in un qualsiasi momento (art. 8).

Entrambe tali disposizioni sono volte a tutelare le parti (specie il creditore, parte debole per antonomasia) da possibili abusi. Peraltro, secondo quanto risulta dalla disciplina del protocollo, il rischio di abusi è maggiore in caso di scelta precedente al contenzioso (Bonomi, 2013, 29).

La scelta della legge applicabile ai fini di un procedimento specifico

L'articolo 7 del protocollo disciplina la forma più semplice di accordo sulla legge applicabile (anche detto optio iuris o professio iuris): l'accordo teso ad individuare la legge applicabile ai fini di un procedimento definito.

La norma prevede che, in deroga ai criteri posti agli articoli 3, 4, 5 e 6 del medesimo protocollo, il creditore ed il debitore di alimenti possono, con riferimento esclusivo ad uno specifico procedimento in un dato Stato, designare espressamente quale legge applicabile all'obbligazione alimentare la legge dello Stato del giudice adito.

La ratio della norma va ricercata nell'assunto secondo il quale il creditore di alimenti, essendo in procinto di instaurare (o avendo già instaurato — sul punto si veda quanto a breve di dirà) un giudizio avente ad oggetto l'obbligazione alimentare, avrà attentamente valutato gli effetti dell'applicazione della legge del foro (Velletti, 2014, 58); nel senso che il legame funzionale con uno specifico procedimento dovrebbe indurre le parti (specialmente il creditore) a particolare ponderatezza nella scelta della legge applicabile, se non al ricorso all'assistenza di un difensore (si veda anche Villata, 2011, 762). Non a caso, come si vedrà, la disciplina dell'art. 7 appare improntata a minor rigore rispetto a quella della disposizione successiva.

L'articolo 7 è destinato ad assumere rilievo soprattutto con riferimento alle obbligazioni alimentari tra persone adulte e, in particolare, tra coniugi o ex coniugi. In tali ipotesi, infatti, l'optio iuris consentirà di realizzare quella coincidenza traforumeius che, come detto, oltre a rispondere alle istanze manifestate in sede di negoziazione dagli Stati membri della Conferenza appartenenti ai sistemi di common law, assicura molti vantaggi in termini di definizione certa, rapida ed economicamente non onerosa del procedimento.

La norma può peraltro trovare applicazione anche con riferimento ad obbligazioni alimentari nei confronti di minori. Si è infatti ritenuto di poter compensare i rischi derivanti dall'esercizio dell'autonomia privata anche con riferimento a tali obbligazioni con i segnalati vantaggi derivanti dall'applicazione della lex fori. Del resto, avuto anche riguardo alla regola posta all'articolo 4.3, le conseguenze della scelta della legge applicabile nei confronti dei figli (e, più in generale, dei minori degli anni ventuno) sono destinate a rimanere limitate (Bonomi, 2013, 29). Infatti, come detto, ai sensi dell'articolo 4.3. gli obblighi alimentari relativi ai rapporti tra genitori e figli sono regolati dalla legge del foro nel caso in cui il creditore abbia adito la competente autorità dello Stato di residenza abituale del debitore; nel caso in cui, invece, sia stata adita la competente autorità dello Stato della residenza abituale del creditore sarà pur sempre (questa volta in base al criterio posto all'articolo 3) ravvisabile la coincidenza tra forum e ius (Pesce, 2013, 232).

La professio iuris regolata all'articolo 7 può avere ad oggetto solo uno specifico procedimento e può essere esercitata prima (peraltro il protocollo non si preoccupa di fissare un tempo massimo — rispetto alla proposizione della domanda — entro il quale l'optio legis deve essere esercitata) o nel corso di tale specifico procedimento. Tanto discende dal paragrafo 2 dell'articolo 7 il quale detta i requisiti formali di una scelta della legge applicabile «anteriore» all'avvio del procedimento, lasciando così intendere che una scelta effettuata a procedimento già iniziato sia valida in re ipsa in quanto — verosimilmente — compiuta con la forma (prevista dalla lex fori) di un atto processuale (Castellaneta — Leandro, 2009, 1084).

La specificità del procedimento in relazione al quale — solo — può avere effetti la professio iuris qui in esame comporta che l'accordo non potrà operare con riferimento alla legge applicabile alla domanda di modifica della decisione adottata sulla base della medesima professio. La legge applicabile al procedimento di modifica dovrà infatti essere individuata alla luce di collegamenti obiettivi (Bonomi, 2013, 30; Villata, 2011, 763).

Ancora, la ratio della norma (unitamente al riferimento allo specifico procedimento) inducono a ritenere che non possa assumere rilievo ai fini dell'art. 7 un accordo con il quale, genericamente, le parti si limitino a scegliere la legge del foro adito, senza che risulti quale sia tale foro (Velletti, 2014, 58); tale accordo infatti non consentirebbe di individuare preventivamente la legge applicabile e, quindi, non consentirebbe quella scelta consapevole che, come detto, è alla base della disposizione (Bonomi, 2013, 30).

Da ultimo, l'articolo in esame, al paragrafo 2, prevede (limitatamente al caso di scelta della legge anteriore all'instaurazione del procedimento) che l'accordo debba essere redatto in forma scritta o registrato su un supporto il contenuto sia accessibile per ulteriore consultazione e deve essere sottoscritto da entrambe le parti.

Il requisito formale si giustifica sia nella prospettiva di semplificazione della prova del contenuto della volontà delle parti, sia al fine di richiamare l'attenzione dei contraenti in ordine agli effetti destinati a derivare dalla professio iuris (Bonomi, 2013, 30). Peraltro, la disposizione in esame pone requisiti di forma minimi i quali ben potranno essere integrati dalle leggi dei singoli Stati (Bonomi, 2013, 30).

La designazione della legge applicabile

Più ampia è la portata dell'accordo che può essere concluso ai sensi dell'art. 8 del protocollo, frutto di una lunga elaborazione e, per taluni profili, di un non semplice compromesso dell'ultimo minuto (Malatesta, 2009, 845).

Il primo paragrafo di tale articolo attribuisce alle parti un'assai ampia facoltà di scelta della legge applicabile in deroga ai criteri oggettivi individuati agli articoli 3, 4, 5 e 6 del medesimo protocollo.

L'ampiezza dell'optio legis è valutabile quanto meno sotto tre profili: i) quello temporale; ii) quello soggettivo e iii) quello della legge che può essere scelta.

Con riferimento al profilo temporale deve rilevarsi come la scelta possa essere esercitata in qualsiasi momento e senza far riferimento ad uno specifico procedimento. Se è vero che, come osservato, anche l'art. 7 del protocollo — destinato a trovare applicazione esclusivamente ove la professio iuris sia manifestata con riferimento ad uno specifico procedimento — non individua un tempo massimo che deve intercorrere tra l'accordo e la proposizione della specifica domanda, lo stesso fa intrinsecamente riferimento ad un accordo destinato a regolare un procedimento che — in quanto specificamente determinato — dovrà essere instaurato in un breve tempo; un simile (pur non specifico) limite temporale non sussiste invece con riferimento all'articolo 8.

Ancora, sempre sotto il profilo temporale, non essendo l'optio legis qui in esame destinata a produrre effetti con esclusivo riferimento ad uno specifico procedimento, l'accordo concluso ai sensi dell'articolo 8 del protocollo avrà efficacia sino all'eventuale revoca o modifica convenzionale; salvo revoca o modifica, pertanto, esso (a differenza di quanto si è detto con riferimento all'accordo concluso ai sensi dell'articolo 7) regolerà anche l'eventuale procedimento di modifica (nell'an o anche solo nel quantum) della portata di una precedente decisione.

Quanto al profilo soggettivo, il protocollo (art. 8.3) prevede la possibilità di concludere l'accordo in esame con riferimento alle obbligazioni alimentari tra persone adulte con la sola eccezione delle persone adulte che, per effetto di un'alterazione o insufficienza delle facoltà personali, non sono in grado di curare autonomamente i propri interessi (c.d. «adulti vulnerabili», nell'accezione accolta dalla convenzione dell'Aia del 13 gennaio 2000 sulla protezione internazionale degli adulti). Troppo elevata, pertanto, è stata la percezione del rischio di possibili abusi derivanti dalla conclusione di un accordo ai sensi dell'art. 8 con riferimento alle prestazioni alimentari spettanti a tali persone. Nella stessa prospettiva si giustifica la preclusione quanto alla conclusione dell'accordo in esame con riferimento alle obbligazioni alimentari spettanti a minori. La conclusione di un simile accordo per il tramite dei genitori (i quali — di regola — sono anche i debitori dell'obbligazione alimentare) ha infatti indotto a ritenere esistente un troppo elevato rischio di conflitto di interessi (Bonomi, 2013, 31).

L'ampiezza della scelta contemplata all'articolo 8 è peraltro apprezzabile in misura massima ove si abbia riguardo alle leggi che possono essere individuate dalle parti. Sotto questo profilo si è osservato che il protocollo attribuisce una facoltà di scelta della legge a carattere apparentemente trasversale e generale (Castellaneta — Leandro, 2009, 1085). Facoltà di scelta che viene incentivata in quanto idonea ad assicurare stabilità e prevedibilità alla legge destinata a regolare nel tempo l'obbligazione alimentare.

Ebbene, le parti potranno scegliere: a) la legge dello Stato di cui una delle parti ha la cittadinanza al momento della designazione; b) la legge dello Stato di residenza abituale di una delle parti al momento della designazione; c) la legge designata dalle parti come applicabile al loro regime patrimoniale o quella effettivamente applicata al medesimo; d) la legge designata dalle parti come applicabile al loro divorzio o separazione personale o quella effettivamente applicabile ai medesimi.

Quanto alla legge suba) è, alla luce della lettera della norma, agevole rilevare come a differenza dell'articolo 4.4 (il quale, nel porre una norma sussidiaria chiaramente ispirata al favor creditoris, prevede l'applicabilità della legge dell'eventuale Stato di cittadinanza «comune» del creditore e del debitore) l'articolo 8 fa riferimento alla legge dello Stato di cittadinanza di una sola delle parti al momento della designazione.

La cittadinanza deve essere individuata con riferimento a quella della parte al momento della professio iuris (non a caso, la norma fa riferimento alla cittadinanza «al momento della designazione»); ne discende che una cittadinanza nuova (rispetto a quella del momento dell'accordo) non dovrebbe assumere rilievo quanto alla legge applicabile (che resterà pur sempre quella della cittadinanza esistente al momento dell'optio legis).

Nessuna esplicita previsione è dettata per il caso in cui le parti del rapporto obbligatorio abbiano più cittadinanze. In questa ipotesi si è ritenuto che la scelta possa indifferentemente ricadere sull'una o sull'altra delle leggi di cittadinanza, atteso che l'individuazione della cittadinanza più stretta (o di quella effettiva) rischierebbe di creare incertezze quanto alla legge prescelta, con possibile indebolimento dell'autonomia privata (Bonomi, 2013, 31).

Non sussistono particolari problemi con riferimento alla facoltà di scelta della legge dello Stato di residenza abituale di una delle parti.

Anche tale facoltà va esercitata con riferimento alla residenza abituale della parte «al momento della designazione» con la conseguente irrilevanza — sotto il profilo della legge applicabile — di eventuali mutamenti di residenza. La disposizione partecipa pertanto della medesima logica di quella relativa alla applicazione della legge dello Stato di cittadinanza di una delle parti al momento della designazione. Peraltro, nel caso disciplinato dalla lettera b) dell'articolo 8 è ancora più evidente (stante il più frequente mutamento di residenza abituale rispetto al mutamento della cittadinanza) l'importanza della disposizione nella prospettiva di garanzia della stabilità delle norme destinate a disciplinare il rapporto alimentare.

Le lettere c) e d) dell'articolo 8 sono infine destinate a trovare applicazione limitatamente alle obbligazioni alimentari tra coniugi o ex coniugi.

L'introduzione delle facoltà di scelta qui in esame è stata oggetto di ampia discussione.

In senso critico si è osservato che le stesse creano un sistema assai complesso e non necessario alla luce dell'ampiezza della possibile professio iuris contemplata alle lettere a) e b) del medesimo articolo 8. La scelta effettuata sulla base delle lettere c) e d) dipende infatti dalle norme nazionali di conflitto in materia di regimi patrimoniali, divorzio e separazione personale (sì che l'interprete — e, prima ancora, le parti — è tenuto a muoversi all'interno di un quadro normativo estremamente frammentato). Ancora, ove le parti, nell'individuare la legge applicabile all'obbligazione alimentare, abbiano fatto riferimento alla legge designata come applicabile al loro regime patrimoniale, alla separazione o al divorzio, la validità dell'optio legis relativa agli alimenti è subordinata alla validità della scelta della legge in ordine al regime patrimoniale dei coniugi, alla separazione o al divorzio. Atteso che la validità della scelta di tali ultime leggi è disciplinata integralmente dal diritto internazionale privato dei singoli Stati (salvo che per gli Stati che partecipano all'attuazione della cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale — regolamento UE n. 1259/2010 — e per quegli Stati che parteciperanno alla cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi — regolamento UE n. 1103/2016, destinato ad entrare in vigore, in linea generale, solo a partire dal 29 gennaio 2019), ove la legge nazionale non preveda la possibilità di un accordo sulla legge applicabile al regime patrimoniale, alla separazione o al divorzio, sarà inevitabilmente invalida la scelta compiuta in ordine alla legge applicabile all'obbligazione alimentare (Bonomi, 2013, 32; Malatesta, 2009, 845).

Malgrado gli inconvenienti pur prospettati in sede di lavori preparatori, la sessione diplomatica ha deciso di introdurre le lettere c) e d) in considerazione dei vantaggi derivanti dalla coincidenza della disciplina relativa ad elementi tra loro strettamente collegati (Bonomi, 2013, 32; Malatesta, 2009, 845). Ed infatti, come è stato osservato (Bonomi, 2013, 32), in alcuni ordinamenti la determinazione delle conseguenze patrimoniali può venire in rilievo quale condizione per il conseguimento del divorzio (si pensi, ad esempio, alle procedure fondate sul consenso dei coniugi); ancora, specie nei sistemi di common law, per un verso, non è netta la distinzione tra scioglimento del regime patrimoniale e obbligazioni alimentari e, per altro verso, la disciplina di qualsiasi effetto patrimoniale del divorzio spetta al giudice.

Le parti possono infine scegliere la legge «effettivamente applicata» al loro regime patrimoniale o al divorzio o alla separazione personale. Il riferimento è al caso in cui sia già stato adito un giudice (con una domanda di separazione o divorzio) e questi (non importa se nel corso di un procedimento già definito o ancora pendente) abbia già individuato la legge applicabile (al regime patrimoniale e/o al divorzio e/o alla separazione). In tale ipotesi le parti possono scegliere di sottoporre anche l'obbligazione alimentare a quella stessa legge, con intuibili vantaggi sotto il profilo della certezza e della rapidità della decisione. Con riferimento a tale optio iuris si è osservato che anche sotto questo profilo le previsioni delle lettere c) e d) dell'art. 8 rischiano di produrre difficoltà ed incertezza per i coniugi atteso che non è necessariamente semplice comprendere quale legge sia stata applicata dal giudice previamente adito, specie quando non siano state esplicitate in modo chiaro le premesse alla base della pronuncia della separazione o del divorzio (Castellaneta — Leandro, 2009, 1085; Malatesta, 2009, 845).

Da ultimo, l'art. 8 paragrafo 2 prevede un requisito di forma per l'accordo in esame. La professio iuris deve infatti essere conclusa per iscritto (o deve essere registrata su un supporto il cui contenuto sia accessibile per ulteriore consultazione) e deve essere sottoscritta da entrambe le parti.

In modo analogo a quanto previsto all'art. 7.2 per l'accordo relativo alla legge applicabile ad uno specifico procedimento non ancora instaurato, l'art. 8 prevede un requisito di forma destinato tanto a facilitare la prova della volontà delle parti, quanto a richiamare l'attenzione delle stesse (in primis del creditore) sull'importanza e sugli effetti della scelta.

Alla luce di quanto sin qui osservato emerge come sia, almeno in teoria, piuttosto netta la distinzione tra l'accordo disciplinato all'articolo 7 e quello regolato dall'art. 8 del protocollo. Le due norme sono infatti caratterizzate da una parziale differenza sotto il profilo soggettivo e sotto quello temporale (essendo l'accordo dell'art. 7, tra l'altro, destinato ad avere efficacia con riferimento solo ad uno specifico procedimento).

Possono tuttavia darsi casi nei quali la distinzione tra tali accordi non è così netta (Bonomi, 2013, 30).

Si pensi all'ipotesi di una professio iuris compiuta in pendenza di un procedimento (o poco prima della sua instaurazione) da persone adulte che non siano persone «vulnerabili» (in tale ultima ipotesi, infatti, analogamente al caso di scelta relativa alle obbligazioni alimentari in favore di un minore, potrà essere concluso un accordo solo ai sensi dell'articolo 7). Come dimostra l'esempio da ultimo fatto, la qualificazione di una pattuizione sulla legge applicabile quale accordo concluso ai sensi dell'articolo 7 dell'articolo 8 non ha, necessariamente, un rilievo solo teorico, avuto anche riguardo alla diversa efficacia temporale dell'accordo ed al fatto che l'articolo 7 consente una scelta della legge assai più limitata rispetto all'articolo 8 che, come detto, può — sovente — portare all'applicazione di una legge diversa rispetto a quella del foro (Pesce, 2013, 232).

Ebbene, se non vi sono dubbi per il caso in cui le parti abbiano scelto una legge diversa rispetto a quella del foro (poiché l'accordo dovrà ritenersi concluso ai sensi dell'articolo 8), maggiori difficoltà sussistono nel caso in cui sia stata individuata quale legge applicabile all'obbligazione alimentare la legge del giudice adito. Nel caso in cui la legge del foro non corrisponda a una di quelle indicate all'art. 8.1, dovrà ritenersi che l'accordo sia stato concluso ai sensi dell'art. 7; ove infatti si ritenesse un simile accordo concluso ai sensi dell'art. 8 lo stesso sarebbe nullo ed una simile interpretazione risulterebbe in contrasto con il principio di conservazione dell'accordo. Nel caso in cui, invece, la legge del foro coincida con una di quelle indicate all'articolo 8.1 del protocollo, la distinzione dovrà essere delineata avendo riguardo all'effettiva volontà delle parti (Bonomi, 2013, 30).

Limiti alla designazione della legge applicabile

Nonostante la segnalata ampiezza della facoltà di scelta della legge applicabile, l'articolo 8 del protocollo pone delle disposizioni destinate a tutelare il creditore di alimenti-soggetto debole.

In questo senso deve essere intesa, innanzi tutto, la previsione del paragrafo 4 secondo la quale, nonostante la designazione di legge effettuata ai sensi del paragrafo 1, la possibilità per il creditore di rinunciare al proprio diritto agli alimenti deve essere verificata sulla base della legge dello Stato nel quale il creditore risiede abitualmente al momento dell'optio iuris.

La norma è tesa ad evitare che, scegliendo una legge poco protettrice, il creditore possa esser condotto a rinunciare ad un credito che pure gli spetterebbe in base alla legge applicabile in assenza di scelta (Bonomi, 2013, 33). Si è ritenuto che il limite qui in esame trovi applicazione tanto nel caso in cui il creditore rinunci agli alimenti avvalendosi di una facoltà attribuita dalla legge scelta, quanto nel caso in cui la scelta della legge comporti un'implicita rinuncia perché la stessa non attribuisce al creditore, nel caso concreto, il diritto agli alimenti (Bonomi, 2013, 34; Castellaneta — Leandro, 2009, 1086).

Secondo la proposta originaria di tale disposizione la stessa non dovrebbe peraltro trovare applicazione nel caso in cui, per effetto della legge scelta, al creditore sia attribuita una somma forfettariamente quantificata e destinata a coprire le future esigenze di vita (Bonomi, 2013, 33); una simile attribuzione non può infatti essere equiparata ad una rinuncia.

Il limite che, anche sotto il profilo dommatico, assume maggior rilievo è peraltro quello previsto dal paragrafo 5 dell'articolo 8.

Con una vera e propria «acrobazia linguistica» (Malatesta, 2009, 846) tale disposizione prevede come, salvo che le parti fossero, al momento della designazione, pienamente informate e consapevoli delle conseguenze della designazione, la legge scelta dalle parti non si applica nel caso in cui l'applicazione della stessa determini conseguenze «manifestamente inique o irragionevoli» per una delle parti.

Tale clausola di salvaguardia trova il proprio fondamento in esigenze di giustizia sostanziale e risponde alla possibilità (prevista in molti ordinamenti nazionali) per il giudice di modificare o disattendere le determinazioni convenzionali sugli alimenti che producano effetti iniqui o irragionevoli (Bonomi, 2013, 34). Il testo dell'articolo 8.5 induce peraltro ad escludere che il giudice possa modificare il contenuto dell'accordo attenuando gli effetti negativi che, per il creditore, discendano dall'applicazione della legge prescelta. In presenza di una legge che determini conseguenze manifestamente inique o irragionevoli il giudice potrà semplicemente non valutare l'accordo pur formalizzato con la conseguenza che la legge applicabile dovrà essere individuata alla luce dei criteri oggettivi previsti agli articoli 3, 4 e 5 del protocollo.

Si è osservato che l'estrema genericità della formulazione letterale della disposizione e la possibilità di sua applicazione d'ufficio impongono al giudice una particolare prudenza nell'applicazione di tale norma (Velletti, 2014, 59). La stessa autrice osserva come, nel rapporto esplicativo, si indichi quale possibile caso di applicazione dell'art. 8.5 il fatto che la legge scelta presenti, al momento della lite, un collegamento debole con le parti o sia stata individuata molto prima dell'instaurazione del giudizio ed il relativo contenuto sia medio tempore mutato.

Resta in ogni caso il fatto che l'unico limite (pure esso indicato con una formulazione assai generica) fissato all'esercizio del qui esaminato potere giudiziale di disapplicazione dell'accordo sta nel fatto che le parti fossero, al momento della designazione, informate e consapevoli della conseguenza della professio iuris. Il riferimento all'informazione ed alla consapevolezza impone di ritenere che l'esercizio del potere giudiziale in esame sarà precluso esclusivamente nel caso in cui non solo le parti abbiano avuto tutte le informazioni necessarie in ordine agli effetti della scelta, ma, anche, siano state effettivamente in grado di comprenderle (Bonomi, 2013, 34).

Fermo restando che l'indagine sulla mancanza di informazione e consapevolezza delle parti pare complicata dal requisito della forma scritta ad substantiam previsto per l'accordo (Velletti, 2014, 59), deve ritenersi che il ricorso, prima della conclusione dell'accordo, ad una consulenza legale sia idoneo a limitare il rischio di applicazione dell'art. 8.5 del protocollo (Bonomi, 2013, 34).

Da ultimo è appena il caso di rilevare come il potere giudiziale in esame è esercitabile ove le conseguenze manifestamente inique o irragionevoli si manifestino «per una delle parti»; non è pertanto, in astratto, esclusa la possibilità di un intervento riequilibratore a tutela anche del debitore.

Ambito della legge applicabile

In modo ampio e sostanzialmente conforme alla convenzione dell'Aia del 1973 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari, l'articolo 11, con elencazione non esaustiva, precisa il contenuto delle questioni destinate ad essere regolate sulla base della legge individuata ai sensi degli articoli 3, 4, 5, 7 o 8 del protocollo.

La disposizione precisa che la legge individuata sulla base delle norme da ultimo citate stabilisce, «tra l'altro»: a) l'esistenza e la portata dei diritti del creditore, nonché i soggetti nei confronti dei quali tali diritti possono essere esercitati; b) la misura in cui il creditore può richiedere gli alimenti retroattivamente; c) la base di calcolo dell'importo degli alimenti e l'indicizzazione; d) il soggetto autorizzato a promuovere un'azione per ottenere gli alimenti (con esclusione tuttavia delle questioni relative alla capacità processuale ed alla rappresentanza in giudizio che sono disciplinate dalla legge del foro); e) i termini di prescrizione e decadenza; f) la portata dell'obbligazione del debitore nel caso in cui un ente pubblico chieda il rimborso delle prestazioni erogate al creditore in luogo degli alimenti.

Con riferimento alla contenuto indicato alla lettera a) viene in definitiva demandata alla legge applicabile sulla base del protocollo del 2007 anche l'individuazione (pur se solo ai fini dell'accertamento dell'obbligo alimentare) del rapporto personale per effetto del quale insorge l'obbligazione. Peraltro il giudice dovrebbe poter prescindere, con riferimento al profilo in esame, dalla legge applicabile ogni volta che lo status rilevante ai fini dell'obbligazione alimentare sia già stato accertato con decisione passata in giudicato resa dal giudice dello stesso Stato competente a conoscere della controversia in materia alimentare o da una decisione resa da un giudice di un diverso Stato ove suscettibile di riconoscimento nello Stato del foro (Villata, 2011, 766).

La lettera d) demanda, «tra l'altro», alla legge applicabile in base al protocollo dell'Aia l'individuazione del soggetto legittimato a far valere il credito alimentare. Così, ad esempio, nel non infrequente caso in cui il creditore sia un minore, alla luce della legge individuata in base al protocollo dovrà verificarsi quali soggetti siano legittimati ad agire in nome e per conto del minore. Ancora, la legge applicabile in base al protocollo potrà attribuire la legittimazione attiva anche ad un ente pubblico che chieda il rimborso della prestazione erogata in favore del creditore in luogo degli alimenti dovuti dal debitore. Il diritto dell'ente pubblico di chiedere il rimborso (a titolo di surroga nella posizione del creditore o, a seconda degli ordinamenti, in base ad una cessione ex lege del credito) sarà infatti regolato dalla legge applicabile all'ente ai sensi dell'articolo 10 del protocollo (Villata, 2011, 766).

Con riferimento alla lettera e), deve precisarsi che la stessa testimonia come il protocollo abbia attribuito agli istituti della prescrizione e della decadenza una portata sostanziale e non processuale. Con riferimento all'esecuzione della decisione in uno Stato (vincolato dal protocollo dell'Aia del 2007 sulla legge applicabile) diverso da quello d'origine l'articolo 21.2 del regolamento (CE) n. 4/2009 prevede inoltre che, su istanza del debitore, l'autorità competente dello Stato dell'esecuzione neghi, totalmente o solo in parte, l'esecuzione della decisione dell'autorità giurisdizionale dello Stato d'origine se il diritto di ottenere l'esecuzione è prescritto sulla base della legge dello Stato membro d'origine o della legge dello Stato membro dell'esecuzione ove tale ultima legge preveda un termine di prescrizione più lungo.

Quanto alla misura degli alimenti deve invece rilevarsi come, ai sensi dell'art. 14, anche ove la legge concretamente applicabile disponga diversamente, l'entità della prestazione alimentare dovrà essere determinata avendo riguardo alle esigenze del creditore ed alle risorse del debitore e valutando altresì qualsiasi compensazione concessa al creditore in luogo dell'adempimento dell'obbligazione alimentare mediante prestazioni periodiche.

Viene così introdotto uno strumento di natura materiale in astratto idoneo a correggere gli esiti dell'applicazione della legge individuata sulla base dei criteri del protocollo tenendo in considerazione proprio i parametri previsti dall'articolo 14 (Villata, 2011, 766; Castellaneta — Leandro, 2009, 1087). Lo strumento in esame pone un limite all'applicazione della lex causae che potrebbe operare anche attraverso la clausola generale dell'ordine pubblico (sulla quale v. infra). La volontà di delineare un rapporto alimentare giusto ed equilibrato alla luce delle concrete condizioni economiche delle parti ha tuttavia indotto il gruppo di lavoro che ha elaborato il protocollo ad individuare in modo autonomo il limite qui in esame così da evitarne l'operatività in funzione del variabile atteggiarsi della clausola dell'ordine pubblico (Castellaneta — Leandro, 2009, 1087-1088).

Da ultimo, deve osservarsi come la disposizione qui in esame, peraltro, non comporti necessariamente una valutazione autonoma dell'entità del credito alimentare da parte del giudice competente; una simile valutazione in particolare non sarà dovuta per l'ipotesi in cui la lex causae preveda già la quantificazione della prestazione alimentare sulla base dei parametri indicati all'articolo 14 del protocollo (Villata, 2011, 766-767).

In particolare, l'inciso relativo alla compensazione concessa al creditore tende ad evitare che, conseguita una liquidazione forfettaria delle somme spettanti a titolo di alimenti (secondo una soluzione che è favorita in molti ordinamenti, in quanto assicura una definizione complessiva dei rapporti tra le parti), il creditore possa poi, avvalendosi dell'applicabilità di una legge che non riconosce un simile meccanismo di compensazione, avanzare pretese ulteriori non compatibili con l'originaria regolamentazione dei rapporti tra le parti (Bonomi, 2013, 38).

Il rinvio alla legge di volta in volta ritenuta applicabile sulla base dei criteri posti dal protocollo non è destinato ad operare anche con riferimento alle norme di conflitto nazionali (art. 12).

Infine l'articolo 13, sulla scia di un principio generale ormai consolidato nell'ambito delle convenzioni di diritto internazionale privato (Pesce, 2013, 249), dispone che l'applicazione della legge individuata sulla base dei criteri posti dal protocollo può essere esclusa (sulla base di un potere che — a differenza di quanto accade per l'istituto disciplinato all'articolo 6 del protocollo — è esercitabile anche d'ufficio) solo ove la stessa produca effetti «manifestamente» contrari all'ordine pubblico del foro.

Risulta in questo modo affermato, anche con riferimento all'individuazione della legge applicabile alle obbligazioni alimentari, un limite, quello dell'ordine pubblico, che opera quale limite all'introduzione nell'ordinamento interno di norme (o decisioni) straniere che risultino in contrasto con principi fondamentali — e, quindi, irrinunciabili — del foro. Limite che, peraltro, secondo quanto in via immediata risulta anche dalla lettera dell'articolo 13 (che, non a caso, fa riferimento alla produzione di effetti «manifestamente» contrari all'ordine pubblico), potrà operare solo in casi eccezionali ed a fronte di una valutazionein concreto (Pesce, 2013, 249), avendo cioè riguardo agli effetti che, con riferimento al singolo caso, l'applicazione della legge straniera individuata sulla base del protocollo produce e non, invece, all'astratta incompatibilità tra la legge applicabile ed i principi irrinunciabili dello Stato del foro.

Considerato che (con riferimento alla materia qui esaminata) l'applicazione della legge straniera è destinata a produrre effetti di natura patrimoniale (come detto, infatti, le norme del protocollo — analogamente a quelle del regolamento CE n. 4/2009 —non comportano il riconoscimento nell'ordinamento nazionale di rapporti familiari dai quali pure l'obbligazione può discendere), l'ordine pubblico non potrà essere invocato ove il rapporto di famiglia dal quale deriva la pretesa alimentare si scontri, in quanto tale, con l'ordine pubblico dello Stato del foro. Sarà invece necessario che risulti in contrasto con i principi fondamentali dello Stato del foro il fatto di obbligare una persona a pagare gli alimenti ad un'altra in base ad un rapporto non riconosciuto nello Stato del foro (Velletti, 2014, 60; Bonomi, 2013, 37; Pesce, 2013, 253 ss.). Si è osservato che la distinzione non è anodina, atteso che in taluni ordinamenti si ammette che determinati effetti discendano anche da rapporti di famiglia che, di per sé considerati, sono in contrasto con l'ordine pubblico del foro. Così, ad esempio, in Francia ed in Germania, pur non essendo riconosciuta la poligamia, si ammette che dal rapporto poligamico possano discendere effetti (in termini di obbligazioni alimentari) a carico del marito nei confronti delle mogli (Bonomi, 2013, 37; Pesce, 2013, 255).

Il carattere relativo e funzionale della nozione di ordine pubblico internazionale ha indotto alcuni autori a delimitare la portata di questa — senza dubbio, sfuggente — categoria in senso negativo (Pesce, 2013, 250). Si è così esclusa l'invocabilità dell'ordine pubblico (quale limite all'applicazione della legge individuata sulla base del protocollo dell'Aia) nel caso in cui la legge straniera comporti l'attribuzione al creditore di una prestazione inferiore rispetto a quella derivante dall'applicazione della lex fori o, ancora, nel caso in cui la legge straniera richiamata comporti l'adozione di scelte differenti rispetto a quelle che il giudice dello Stato del foro dovrebbe compiere in base alla propria legge nazionale (Pesce, 2013, 250). Ferma la segnalata non invocabilità dell'ordine pubblico ove la legge applicabile in base al protocollo comporti il riconoscimento del diritto ad una prestazione di importo inferiore rispetto a quella spettante in base alla legge del foro, si è invece manifestata un'apertura verso l'applicabilità dell'articolo 13 del protocollo nel caso in cui la legge richiamata comporti una quantificazione tanto ridotta del credito alimentare da non assicurare al creditore il minimo necessario per la propria sopravvivenza. Una simile ipotesi, si è detto (Pesce, 2013, 251), può ricorrere più frequentemente di quanto non si creda atteso che la portata universale del protocollo consente di richiamare anche le leggi di Stati non contraenti e che esistono sistemi giuridici (ad esempio, quelli di matrice confessionale islamica) che pongono a carico del marito prestazioni alimentari nei confronti delle mogli assai limitate nel tempo e svincolate dalle circostanze del caso concreto. Lo stesso autore da ultimo citato, ancora, ha ipotizzato l'invocabilità dell'ordine pubblico nel caso in cui la legge applicabile discrimini (quanto al riconoscimento del diritto agli alimenti) i figli per ragioni legate al sesso o al concepimento degli stessi al di fuori del matrimonio.

Da ultimo deve osservarsi come il protocollo non detti alcuna disposizione tesa ad individuare quale norma sia applicabile nel caso in cui la legge individuata sulla base del medesimo protocollo non possa essere applicata nello Stato del foro in quanto in contrasto con l'ordine pubblico.

In dottrina (Pesce, 2013, 257 ss.) si è osservato come diverse possano essere le conseguenze del contrasto della legge richiamata con l'ordine pubblico a seconda del rapporto familiare dal quale discende l'obbligazione alimentare in concreto rilevante.

Nel caso in cui venga in rilievo una relazione familiare esclusa dall'ambito di applicazione degli articoli 4 e 5 (è il caso, ad esempio, degli obblighi tra collaterali), infatti, deve fisiologicamente trovare applicazione il criterio generale dell'articolo 3 del protocollo. L'eventuale contrarietà all'ordine pubblico della legge dello Stato di residenza abituale del creditore, lungi dal poter implicare esclusione dell'obbligo alimentare, può condurre alla sola applicazione della legge dello Stato del foro (rispetto alla quale, per definizione, non vi sono problemi di ordine pubblico).

Più complesso è, invece, il caso in cui risulti in contrasto con l'ordine pubblico la legge applicabile con riferimento ad un'obbligazione alimentare che trova fondamento in una relazione familiare alla quale risultano applicabili gli articoli 4 e 5 del protocollo. In questa ipotesi, si è osservato (Pesce, 2013, 258), occorre chiedersi se il limite dell'ordine pubblico possa essere equiparato al caso in cui il diritto straniero non consenta di stabilire l'obbligo alimentare (secondo quanto previsto all'articolo 4.2 e 4.4 del protocollo) o se, a seconda dei casi, esso consenta di applicare il criterio generale anche ove ricorrano i presupposti per l'applicazione dell'articolo 5. Esigenze di rispetto di quel favor creditoris che permea l'intero protocollo dovrebbero portare ad affermare pur sempre applicabile il criterio generale (Pesce, 2013, 258). Analogamente, ove la legge dello Stato di residenza abituale del creditore risulti in contrasto con l'ordine pubblico dello Stato del foro, dovrebbe trovare applicazione, come per le categorie familiari per le quali non si applicano gli articoli 4 e 5, la legge dello Stato del foro (Pesce, 2013, 258-9).

Fanno espresso riferimento all'art. 14 del protocollo del 2007 quale parametro per la determinazione dell'importo della prestazione alimentare Trib. Belluno, 21 aprile 2016(inedito) e Trib. Belluno, 12 novembre 2013 (in Riv. dir. int. priv. e proc., 2014, 973).

Bibliografia

Bonomi, Protocollo del 23 novembre 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari. Testo adottato dalla ventunesima sessione. Relazione esplicativa, Ufficio permanente della Conferenza dell'Aia, 2013; Castellaneta - Leandro, Il regolamento CE n. 4/2009 relativo alle obbligazioni alimentari, in Nuove leggi civ. comm., 2009, 1051 ss.; De Cesari, Le nuove convenzioni dell'Aia in materia di obbligazioni alimentari, in Riv. dir. int. priv. e proc. 1983; Giacomelli, La competenza giurisdizionale nelle controversie in materia di obbligazioni alimentari, in Sangiovanni (a cura di), Obbligazioni alimentari nelle controversie familiari transfrontaliere, Roma, 2014; Malatesta, La convenzione e il protocollo dell'Aia del 2007 in materia di alimenti, in Riv. dir. int. priv. e proc. 2009; Pesce, Le obbligazioni alimentari tra diritto internazionale e diritto dell'Unione europea, Roma, 2013; Vassalli di Dachenhausen, Qualche considerazione sull'autonomia delle parti nel regolamento comunitario 4/2009 in materia di obbligazioni alimentari, in Dir. comm. Int. 2012; Velletti, La legge applicabile alle obbligazioni alimentari, in Sangiovanni (a cura di), Obbligazioni alimentari nelle controversie familiari transfrontaliere, Roma, 2014; Villata, Obblighi alimentari e rapporti di famiglia secondo il regolamento n. 4/2009, in Riv. dir. internaz. 3, 2011, 731 ss.

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