Regolamento - 18/12/2008 - n. 4 art. 63 - Avviso alla persona interessata dalla raccolta delle informazioniAvviso alla persona interessata dalla raccolta delle informazioni 1. La persona interessata dalla raccolta delle informazioni è avvisata della comunicazione totale o parziale delle stesse conformemente alla legislazione nazionale dello Stato membro richiesto. 2. Se l’avviso rischia di pregiudicare il recupero effettivo del credito alimentare, esso può essere differito per un periodo di tempo non superiore a novanta giorni a decorrere dalla data in cui le informazioni sono state fornite all’autorità centrale richiesta. InquadramentoAllo scopo di garantire la realizzazione effettiva degli obiettivi perseguiti, il regolamento (CE) n. 4/2009 dedica un intero capo (il VII) alla cooperazione tra autorità centrali; capo che costituisce un'ulteriore novità rispetto alla previgente disciplina delle obbligazioni alimentari transnazionali atteso che il regolamento (CE) n. 44/2001 (e, prima, la convenzione di Bruxelles del 1968) nulla prevedeva in materia. Il numero delle norme dedicate a tale cooperazione (ben quindici articoli sui complessivi settantasei) e l'ampiezza delle funzioni demandate alle autorità amministrative testimoniano l'importanza che, nel complessivo disegno del legislatore comunitario, le autorità centrali assumono (in termini, Querzola, 2011, 163). Del resto, proprio la sempre più accentuata mobilità delle persone, unitamente alle difficoltà (giuridiche, materiali ed economiche) di realizzazione transnazionale dei crediti (specie ove — come di regola accade in materia alimentare — di non elevato importo) consentono di intuire agevolmente quanto essenziale sia il supporto che le strutture amministrative dei singoli Stati membri possono fornire per la tutela effettiva delle parti del rapporto obbligatorio alimentare (si parla volutamente di parti e non del solo creditore perché, come meglio si vedrà, le autorità centrali sono chiamate a svolgere la propria attività anche nell'interesse del debitore di alimenti). La consapevolezza della rilevanza di un simile supporto è alla base della complessiva disciplina in materia di cooperazione fra autorità centrali; disciplina che è pensata per accompagnare le parti del rapporto alimentare in ogni fase del procedimento sì da promuovere la semplificazione e l'efficacia del recupero del credito (Querzola, 2011, 165). Non a caso, il regolamento (CE) n. 4/2009 non è il primo strumento che disciplina la cooperazione amministrativa in materia di crediti alimentari. La comunità internazionale già si era occupata della materia con (solo per citare gli strumenti più frequentemente utilizzati) la convenzione di New York del 20 giugno 1956 sull'esazione delle prestazioni alimentari all'estero e con la convenzione dell'Aia del 23 novembre 2007 sull'esazione internazionale di prestazioni alimentari nei confronti di figli e altri membri della famiglia (destinata a sostituire la convenzione elaborata in seno alle Nazioni Unite nella misura in cui il suo ambito di applicazione nei rapporti tra gli Stati contraenti coincide con quello della convenzione di New York — così l'art. 49 della convenzione dell'Aia). La disciplina del regolamento (CE) n. 4/2009 è tuttavia (come si avrà modo di precisare a breve) espressione di un modello di cooperazione più ampio ed avanzato rispetto ai citati strumenti convenzionali (ciò è a dirsi soprattutto con riferimento alla convenzione di New York). Parimenti, più ampie sono le competenze attribuite alle autorità centrali dal regolamento qui in esame rispetto a quelle previste in favore delle autorità centrali istituite sulla base del regolamento (CE) n. 2201/2003 (si rinvia, in proposito, alla parte dell'opera relativa a tale ultimo regolamento). Per effetto della c.d. “Brexit”, ai sensi dell'art. 67.3 dell'accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall'Unione europea e dalla Comunità europea dell'energia atomica, nel Regno Unito, nonché negli Stati membri in situazioni che coinvolgano il Regno Unito il capo VII del regolamento (CE) n. 4/2009 si applica alle domande di riconoscimento o di esecuzione delle decisioni di cui all'art. 67.2, lett. c) del medesimo accordo e alle richieste ricevute dall'autorità centrale dello Stato richiesto prima della fine del periodo di transizione (fissato dall'art. 126 del medesimo accordo al 31 dicembre 2020). Le autorità centraliCon disposizione di carattere imperativo, l'articolo 49 del regolamento (CE) n. 4/2009 prevede l'obbligo, per gli Stati membri, di designare un'autorità centrale chiamata a svolgere le molteplici funzioni ad essa attribuite dal regolamento; obbligo da adempiere entro il 18 settembre 2010 (art. 71.1, lett. d) e, pertanto, ben prima dell'entrata in vigore dello strumento di cooperazione giudiziaria in esame. La natura imperativa dell'articolo 49 assume rilievo, in particolare, alla luce della giurisprudenza di Strasburgo che ha ritenuto violato l'articolo 6.1 della CEDU a fronte dell'inerzia e della negligenza delle autorità francesi nel dare assistenza, ai sensi della citata convenzione di New York del 1956, all'esecuzione in Francia di una decisione polacca pronunciata in favore di una creditrice di alimenti di cittadinanza polacca (Villata, 2014, 113). Il regolamento non offre una definizione di «autorità centrale». Tale circostanza è, per la verità, inevitabile ove si tengano presenti le differenze che, sotto il profilo tanto strutturale, quanto funzionale, caratterizzano le pubbliche amministrazioni degli Stati membri. La necessità di assicurare lo svolgimento effettivo delle molteplici attività individuate al capo VII del regolamento ha spinto gli Stati membri, molto spesso, ad accogliere una configurazioneelastica delle autorità centrali sotto il profilo sia della struttura, sia delle modalità di azione (Sangiovanni, 2014, 91). L'elasticità della struttura trova del resto corrispondenza anche nella scelta lessicale compiuta dal legislatore comunitario nell'individuazione delle competenze attribuite alle autorità centrali. Si è non a caso osservato che le norme del capo VII risultano formulate secondo modalità più elastiche rispetto a quanto (pure) accade per le ulteriori disposizioni del regolamento (Sangiovanni, 2014, 92). Ai sensi dell'articolo 49.2 gli Stati membri federali, gli Stati membri nei quali sono in vigore più sistemi giuridici o quelli che abbiano unità territoriali autonome, possono designare più di un'autorità centrale, precisando l'ambito territoriale o personale di competenza interna di ciascuna autorità. Peraltro, al fine di limitare i problemi (pur sempre destinati, almeno in parte, a rimanere) derivanti dalla pluralità di autorità eventualmente esistenti nell'ambito dell'unico Stato membro, lo stesso paragrafo 2 prevede che lo Stato il quale si avvalga della facoltà di designare più autorità centrali deve comunque designare l'autorità centrale alla quale può essere trasmessa ogni comunicazione ai fini dell'inoltro all'autorità competente (su base territoriale o personale) all'interno del medesimo Stato. Infine, in una prospettiva di semplificazione e di accelerazione delle attività strumentali alla realizzazione degli obiettivi del regolamento, si prevede (sempre per il caso dello Stato che abbia esercitato la facoltà indicata all'articolo 49.2) l'obbligo, per l'autorità centrale destinataria di una comunicazione rispetto alla quale la stessa non è competente, di trasmettere tale comunicazione all'autorità competente. Di tale facoltà si è avvalso il Regno Unito (che ha designato quattro diverse autorità centrali per i territori dell'Inghilterra, del Galles, della Scozia e dell'Irlanda del Nord e Gibilterra). Quanto alla Danimarca (alla quale, stante l'accordo del 12 giugno 2009 tra la Comunità europea ed il Regno di Danimarca concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, non si applica il capo VII del regolamento qui in esame), in base alla convenzione delle Nazioni Unite del 20 giugno 1956 sull'esazione delle prestazioni alimentari all'estero, la Commissione nazionale per i ricorsi — Sezione affari di famiglia (Ankestyrelsen, Familieretsafdelingen) è stata designata quale autorità centrale responsabile per le controversie internazionali in materia di alimenti. Tale Commissione nazionale ha autorizzato la sezione di SKAT per la Danimarca meridionale ad intervenire quale mediatore con riferimento alle domande di riconoscimento ed esecuzione all'estero di decisioni in materia di alimenti in base alla citata convenzione di New York. L'Italia, infine, ha designato quale autorità centrale ai sensi dell'articolo 49 l'Ufficio II delCapo del Dipartimento per la giustizia minorile del Ministero della giustizia, cioè lo stesso ufficio già designato quale autorità centrale ai sensi degli articoli 53 e seguenti del regolamento (CE) n. 2201/2003 ed ai sensi dell'articolo 4 della convenzione dell'Aia del 23 novembre 2007 sull'esazione internazionale di prestazioni alimentari nei confronti di figli e altri membri della famiglia. La competenza in materia di cooperazione amministrativa internazionale disciplinata dalla convenzione di New York del 1956 è invece attribuita al Ministero dell'interno, sebbene si sia indicato come verosimile il trasferimento di tali competenze al Dipartimento della giustizia minorile a fronte della ratifica, da parte dell'Unione europea, della convenzione dell'Aia del 2007 (Pesce, 2013, 377). Da ultimo, deve segnalarsi come, ai sensi dell'articolo 51.3, le funzioni specifiche (sulle quali v. infra) attribuite alle autorità centrali possono essere esercitate, nella misura consentita dalla legge del singolo Stato, da enti pubblici o altri organismi sottoposti al controllo delle autorità competenti di tale Stato membro. Corte EDU, 18 novembre 2010, ric. 7618/05, Romanczyk c. Francia, ha precisato che il diritto al giudice finirebbe con l'essere illusorio ove gli Stati contraenti permettessero che una decisione giudiziaria definitiva resti inefficace a detrimento di una parte. In effetti, prosegue la Corte, sarebbe inconcepibile ritenere che l'articolo 6.1 descriva in dettaglio le garanzie processuali (processo equo, pubblico e celere) senza tutelare la parte anche nella fase dell'attuazione della decisione. Ove questo articolo fosse inteso come limitato esclusivamente all'accesso alla giustizia ed allo svolgimento del processo, si rischierebbe infatti di realizzare situazioni incompatibili con il principio dello Stato di diritto che gli Stati contraenti si sono impegnati a rispettare ratificando la convenzione. L'esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale deve, dunque, essere considerata come parte del processo ai sensi dell'articolo 6 della convenzione (in termini, tra le altre, CorteEDU, 19 marzo 1997,Hornsby c Grecia). Con riferimento allo specifico caso concreto la Corte di Strasburgo ha inoltre affermato che gli Stati hanno l'obbligo positivo di realizzare un sistema che sia concretamente efficace e che assicuri l'esecuzione delle decisioni giudiziarie definitive tra i privati. La responsabilità degli Stati concernente l'esecuzione di un giudicato può, secondo la sentenza in esame, essere affermata se le autorità pubbliche competenti per le procedure di esecuzione mancano della diligenza richiesta o, ancora, impediscono l'esecuzione della decisione. Le competenze delle autorità centrali (cenni e rinvii)Le funzioni attribuite alle autorità centrali istituite ai sensi del regolamento (CE) n. 4/2009 sono assai ampie e trasversali. Tale ultimo carattere ben si comprende ove si consideri che le autorità sono chiamate ad operare tanto in una dimensione di cooperazione intesa in senso astratto, quanto in una dimensione di cooperazione relativa ad una specifica domanda proposta ai sensi dell'articolo 56. La distinzione appena tracciata corrisponde a quella (delineata dallo stesso regolamento) tra funzioni generali (articolo 50) e funzioni specifiche (articolo 51) delle autorità centrali. Ancora, a conferma della natura trasversale delle attribuzioni assegnate alle autorità centrali, deve rilevarsi come le competenze riconducibili alle funzioni specifiche possono spaziare tra attività preordinate all'instaurazione di un giudizio in materia di obbligazioni alimentari ed attività volte invece ad assicurare l'effettiva esecuzione di una decisione già pronunciata. In ogni caso, alle autorità centrali non sono rimesse attribuzioni che, secondo la legge del singolo Stato membro, sono attribuite in via esclusiva all'autorità giudiziaria (art. 51.4). Nel rinviare al prosieguo l'esame più approfondito delle singole attribuzioni, preme qui sottolineare come sia le funzioni generali, sia quelle specifiche, concorrano nel senso di attribuire alle autorità centrali un ruolo fondamentale nella eliminazione degli ostacoli alla realizzazione degli obiettivi del regolamento. Tanto è, con riferimento alle funzioni generali, espressamente previsto da ciascuna delle disposizioni dell'articolo 50. Altrettanto è peraltro desumibile (pur se in modo meno diretto) anche dalla disciplina delle funzioni specifiche. In particolare, come si avrà modo di precisare, l'autorità centrale è chiamata a svolgere l'attività di «assistenza» nell'interesse non del solo creditore, ma, anche, del debitore. Una simile (potenzialmente) duplice direzione dell'attività, vale a connotare l'operato dell'autorità centrale in termini di neutralità; neutralità che impone all'autorità di essere proiettata non solo al recupero del credito alimentare, ma, anche (in una prospettiva più ampia), alla eliminazione degli ostacoli derivanti dal carattere transfrontaliero della controversia, sì da migliorare la libera circolazione delle persone nello spazio giuridico europeo (Sangiovanni, 2014, 96). Le funzioni generali delle autorità centraliAlle funzioni generali, così definite in quanto relative alla sfera internazionale (Sangiovanni, 2014, 94), il regolamento (CE) n. 4/2009 dedica una sola norma. Si tratta di quell'articolo 50 che, disposizione di carattere inevitabilmente programmatico, prevede come le autorità centrali cooperino tra loro, anche con scambi di informazioni, e promuovano la cooperazione tra le autorità competenti del proprio Stato membro per la realizzazione degli obiettivi del regolamento (art. 50.1, lett. a), cerchino, nei limiti del possibile, soluzioni alle difficoltà che possono sorgere nell'applicazione del regolamento (art. 50.1, lett. b) ed adottino misure per agevolarne l'applicazione e rafforzare la cooperazione. La norma, che non trova corrispondenti nella convenzione di New York del 1956, richiama in modo immediato (anche sotto il profilo letterale) l'articolo 5 della convenzione dell'Aia del 2007. Risulta pertanto confermata una modalità di cooperazione che si svolge non nei soli rapporti esterni (cioè tra autorità centrali dei singoli Stati), ma, anche, nei rapporti tra autorità centrali di uno Stato ed altre autorità competenti (in primisautorità giudiziarie) del medesimo Stato membro; cooperazione che (avuto riguardo, quanto meno, a quella esterna) si svolge, innanzitutto, mediante l'organizzazione di incontri periodici (Sangiovanni, 2014, 94) secondo quanto previsto all'articolo 60 del regolamento. La disciplina regolamentare contiene in ogni caso alcuni elementi alla luce dei quali è possibile rinvenire un modello di cooperazione più avanzato rispetto a quello accoltodalla convenzione dell'Aia del 2007. Tanto è a dirsi, ad esempio, avuto riguardo alla possibilità che la cooperazione avvenga «anche con scambi di informazioni»; viene in tal modo istituzionalizzato un possibile flusso informativo che è destinato ad innalzare il livello di efficienza e celerità della cooperazione. L'aspirazione ad una cooperazione più avanzata è, ancor più nettamente, desumibile dal secondo paragrafo dell'articolo 50 (che non trova corrispondenza nell'articolo 5 della convenzione dell'Aia) il quale prevede l'adozione, da parte delle autorità centrali, di «misure destinate ad agevolare l'applicazione del regolamento e la cooperazione». È in questo modo introdotto a carico delle autorità centrali, un obbligo positivo che comprende tanto l'identificazione dei problemi — sostanziali e processuali — relativi all'applicazione del regolamento, quanto l'elaborazione di possibili soluzioni di tali problemi da proporre alle competenti istituzioni nazionali, quanto, infine, il superamento di eventuali difficoltà di comunicazione e/o collegamento tra le agenzie interne e/o le competenti autorità (Villata, 2014, 114). Grande rilievo pratico, in questa prospettiva, è destinata ad assumere la previsione (art. 50.2) secondo la quale, al fine dell'adempimento dei sopra descritti obblighi positivi, le autorità centrali si avvalgono della rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale (istituita con la decisione n. 2001/470/CE del Consiglio del 28 maggio 2001). In dottrina si è osservato come tale rete possa contribuire a realizzare un maggior grado di integrazione e collaborazione rispetto a quelle realizzate mediante i citati strumenti convenzionali (Pocar — Viarengo, 2009, 828). Non a caso, alla base della stessa istituzione della rete (che costituisce una misura a carattere non settoriale e con finalità non specifiche elaborata dalle istituzioni nell'ambito della cooperazione giudiziaria in materia civile — Franzina, 2008, 185) sta proprio la finalità di «migliorare, semplificare e accelerare l'effettiva cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri» (così la decisione istitutiva). Pur non essendo possibile, in questa sede, approfondire le caratteristiche della rete, non può non rilevarsi come, secondo quanto osservato in dottrina (Franzina, 2008, 187), la strategia elaborata per la realizzazione dei segnalati fini si fondi su due piani: quello dell'informazione (nei confronti tanto dei membri della rete, quanto del pubblico in generale) e quello del dialogo tra le autorità nazionali. Ciascuno di tali piani assume rilievo significativo con riferimento alle attività demandate alle autorità centrali dal regolamento (CE) n. 4/2009. Con riferimento al primo si è già accennato alla possibilità dello scambio di informazioni; possibilità che, ai sensi dell'art. 13 della decisione n. 2001/470/CE, è estesa a qualsiasi informazione ritenuta utile per il corretto funzionamento della rete. Il secondo dei segnalati piani è volto invece ad agevolare gli «opportuni contatti» (art. 4, n. 1 della decisione n. 2001/470/CE) tra i componenti la rete (e, quindi, anche tra le autorità centrali) al fine di delineare una stabile cornice di cooperazione tra le autorità nazionali e, in definitiva, di concorrere all'emersione di una cultura della cooperazione ed al consolidamento della reciproca fiducia tra le autorità coinvolte (Franzina, 2008, 190 — 191). Le funzioni specifiche: profili soggettivi e classificazioneSe le funzioni generali assegnate alle autorità centrali sono destinate ad agevolare il perseguimento degli obiettivi fissati dal legislatore europeo in una dimensione astratta, non v'è dubbio che la concreta, efficace e tempestiva attuazione dei diritti attribuiti alle parti del rapporto alimentare si realizza attraverso le funzioni specifiche demandate alle medesime autorità. In relazione a tali funzioni si è osservato (Villata, 2014, 112) che il regolamento delinea un rapporto trilaterale tra le autorità centrali dello Stato membro richiedente e dello Stato membro richiesto (le quali assumono il ruolo di «focal point» del meccanismo di cooperazione amministrativa) e la parte istante. Con riferimento alla parte istante si è già osservato che una simile qualità può essere rivestita oltre che (secondo quanto più frequentemente accade) dal creditore di alimenti, anche (sia pure con riferimento alle sole domande elencate all'articolo 56.2) dal debitore. Tale circostanza, come detto, è indice della neutralità dell'attività di assistenza svolta dalle autorità centrali e, in definitiva, conferma della funzione attribuita a tali soggetti pubblici di realizzazione oggettiva delle finalità del regolamento. Una simile funzione è, sotto un diverso profilo, rinvenibile anche ove si consideri che l'autorità centrale dello Stato richiesto riceverà le singole domande di cooperazione dall'autorità centrale dello Stato di residenza dell'istante (sia questi creditore o debitore). Il capo VII, in altri termini, non richiama la nozione di «residenza abituale» pur accolta negli altri capi del medesimo regolamento oltre che in altri strumenti di cooperazione giudiziaria in materia civile (si veda quanto in proposito detto in sede di esame dell'articolo 3), ma si limita a far riferimento alla meno rigorosa nozione di (mera) residenza. La ragione di una simile scelta è stata individuata (Pesce, 2013, 375) nella integrale trasposizione — quanto al profilo qui in esame — della convenzione dell'Aia del 2007 e, in particolare, dell'articolo 9 di tale convenzione il quale prevede che la residenza esclude la semplice presenza, secondo una precisazione che risulta anche dal considerando 32 del regolamento (CE) n. 4/2009. Salvo interpretare il riferimento alla «residenza» in modo equivalente alla nozione di «residenza abituale» (operazione ermeneutica che, in verità, deve ritenersi preclusa oltre che sulla base della lettera della norma, anche alla luce del citato considerando 32 del regolamento), l'effetto della scelta lessicale compiuta all'articolo 55 è quello di ampliare la categoria delle possibili parti istanti (e, pertanto, l'ambito di attività delle autorità centrali). La nozione di residenza dovrà infatti essere intesa in modo meno severo di quanto accade per la residenza abituale (Villata, 2014, 112), sì da ricomprendere (salvo il caso della mera presenza) anche la residenza anagrafica o il domicilio i quali esprimono criteri di collegamento con uno Stato meno intensi della residenza abituale in quanto fondati su legami di natura esclusivamente giuridica (Castellaneta-Leandro, 2009, 1104). A fronte di una valutazione complessivamente positiva della scelta compiuta — quanto al profilo qui in esame — dal regolamento, non si è comunque mancato di rilevare che il riferimento ad una nozione meno rigorosa di quella di residenza abituale rischia di pregiudicare l'efficace e tempestivo recupero del credito alimentare in considerazione della frequente, notevole mobilità delle persone sul territorio dell'Unione e, per converso, dei tempi di definizione della procedura esecutiva (Sangiovanni, 2014, 96). Tanto detto in ordine ai profili soggettivi della cooperazione, deve rilevarsi come le molteplici e trasversali attività di assistenza che possono essere svolte dalle autorità centrali sono suscettibili di una pluralità di classificazioni. Il regolamento pone una classificazione fondata su un criterio soggettivo (l'articolo 56 distingue infatti le domande proponibili dal creditore e quelle proponibili dal debitore). Di seguito, al fine di una trattazione unitaria delle domande proponibili (articolo 56) e delle misure appropriate che possono essere adottate dalle autorità centrali (articolo 51.2), l'attività di assistenza delle autorità centrali sarà classificata sotto il profilo oggettivo. Si approfondiranno quindi le attività istruttorie, quelle strumentali all'instaurazione di un'iniziativa processuale (di cognizione o di esecuzione), quelle di rappresentanza ed assistenza tecnica e quelle di mediazione. L'attività istruttoriaLe autorità centrali sono tenute a trasmettere e ricevere le domande di cooperazione formulate dagli istanti (art. 51.1, lett. a). È innanzitutto con riferimento all'attività indicata, per finalità classificatoria, come istruttoria che si percepisce come, effettivamente, l'attività delle autorità centrali sia stata concepita come destinata ad accompagnare le parti del rapporto alimentare in ogni fase del procedimento, sì da promuovere la semplificazione e l'efficacia del recupero del credito (Querzola, 2011, 165). Il regolamento attribuisce un ruolo e, soprattutto, facoltà diverse alle autorità dello Stato alle quali l'istanza è formulata ed alle autorità dello Stato che ricevono la trasmissione dell'istanza. Le prime sono chiamate ad assistere il creditore o il debitore di alimenti che intendano avvalersi della cooperazione tra autorità centrali nella compilazione dell'istanza. Premesso che, anche nell'ambito della cooperazione disciplinata al capo VII del regolamento (CE) n. 4/2009 il legislatore comunitario ha riproposto, come fondamentale strumento di comunicazione, quello degli allegati al regolamento (si tratta, in particolare, degli allegati VI e VII, i quali, pur con tutti i limiti della standardizzazione, indubbiamente semplificano il dialogo tra autorità che spesso operano avvalendosi di lingue e tradizioni giuridiche distinte), deve rilevarsi come il principale ruolo attribuito, con riferimento all'attività qui in esame, all'autorità dello Stato di residenza dell'istante vada ricercato nella verifica della completezza e correttezza della domanda. Il contenuto della domanda è oggetto di disciplina all'articolo 57 del regolamento, il quale, nel riproporre la previsione già contenuta all'articolo 11 della convenzione dell'Aia del 2007, distingue un contenuto necessario ed un contenuto solo eventuale. Quanto al primo, l'articolo 57.2 prevede come tutte le domande debbano contenere «almeno» l'indicazione della natura della domanda, il nome, la data di nascita ed il recapito, comprensivo dell'indirizzo dell'istante (in una prospettiva di protezione dell'istante l'articolo 57.3 prevede tuttavia che, in caso di violenze familiari, l'indirizzo personale può essere sostituito da altro indirizzo se la legge dello Stato destinatario dell'istanza non richiede, ai fini dell'avvio del procedimento, l'indicazione dell'indirizzo personale). Quanto invece al contenuto eventuale, l'articolo 57.4 dispone che, «ove opportuno», la domanda comprende anche, se conosciuti, elementi relativi alla situazione finanziaria del creditore e del debitore (compresi i dati — assai rilevanti nel caso in cui debba instaurarsi un procedimento esecutivo — relativi al nome ed indirizzo del datore di lavoro del debitore e della natura ed ubicazione dei beni dell'obbligato) ed ogni ulteriore informazione utile al fine della localizzazione del debitore. L'autorità centrale alla quale è chiesto l'inoltro della domanda di cooperazione può rifiutare la trasmissione della stessa solo ove la domanda non sia completa. Va invece escluso che tale autorità possa svolgere un sindacato in ordine alla buona fede dell'istante. Un simile sindacato, previsto dall'articolo 4 della convenzione di New York del 1956 (il quale sancisce l'obbligo, per l'autorità speditrice, di trasmettere la domanda all'istituzione intermediaria dello Stato del debitore, «salvo che consideri la domanda temeraria») non è stato infatti riproposto prima ancora che dal regolamento (CE) n. 4/2009, già nel testo della convenzione dell'Aia del 2007, nonostante la formulazione di una proposta in tal senso in sede di negoziato (Villata, 2011, 118). Un potere di rifiuto di trattazione della domanda è invece attribuito all'autorità centrale richiesta. Tale potere, tuttavia, deve ritenersi assolutamente eccezionale; non a caso, l'articolo 58.8 ne subordina l'esercizio al solo caso di manifesta inosservanza delle prescrizioni del regolamento, prevedendo altresì che del rifiuto (e dei motivi a fondamento dello stesso) l'autorità richiesta dia comunicazione immediata all'autorità richiedente attraverso il modulo contenuto all'allegato IX. Il carattere «manifesto» sta ad indicare la necessità che l'inosservanza risulti prima facie dalla documentazione ricevuta, fermo il divieto, anche per l'autorità richiesta, di effettuare un controllo relativo al merito della domanda (Villata, 2014, 118). Lo stesso articolo 58, al paragrafo 9, precisa inoltre che il rifiuto di trattazione della domanda da parte dell'autorità richiesta non può derivare dalla sola necessità di acquisire documenti o informazioni supplementari. Ove una simile necessità effettivamente ricorra, tali documenti o informazioni supplementari dovranno essere richiesti, all'autorità che ha inoltrato la domanda, dall'autorità destinataria della richiesta di cooperazione. Solo ove i documenti o le informazioni supplementari non siano fornite entro novanta giorni (o entro il termine più lungo indicato dall'autorità richiesta), il trattamento della domanda potrà essere rifiutato, salva la riproponibilità dell'istanza. L'ipotesi di richiesta di integrazione dei documenti o delle informazioni deve ritenersi più frequente di quanto non si immagini. Nonostante la standardizzazione delle modalità di comunicazione tra le autorità centrali, infatti, è stato rilevato — con riferimento alla situazione italiana — che l'autorità centrale ha incontrato numerose e reiterate criticità in ordine, tra l'altro, alla conformità tra l'estratto della decisione (allegati I e II) e la decisione emessa dall'autorità giudiziaria o tra l'estratto della decisione e la domanda di cooperazione (Sangiovanni, 2014, 98 ss.). Ancora, difficoltà sono state incontrate a fronte della richiesta di cooperazione sulla base di decisioni non integranti in modo immediato i requisiti del titolo esecutivo ai sensi dell'articolo 474 c.p.c. o riportanti in modo errato gli estremi identificativi di una della parti. Con specifico riferimento a tali ultime ipotesi, peraltro, a fronte del mancato seguito alla richiesta di correzione dell'errore materiale formulata dall'autorità centrale italiana per il tramite di quella richiedente, l'autorità italiana ha ritenuto di dover interpretare in modo estremamente rigoroso i presupposti per il rifiuto della trattazione della domanda e, esclusa in concreto la ricorrenza di tali presupposti, ha comunque dato seguito alla richiesta di cooperazione, riservando al giudice dell'esecuzione (o al giudice chiamato a pronunciarsi sulla domanda di exequatur) il rilievo di eventuali (a dire il vero, probabili) criticità (Sangiovanni, 2014, 108-109). Segue. Il rapporto tra autorità richiedente e autorità richiesta nell'ambito dell'attività istruttoriaLa trasmissione di una domanda di cooperazione dall'autorità richiedente di uno Stato membro all'autorità richiesta di altro Stato membro determina, come si è già osservato, l'instaurazione di un rapporto trilaterale tra le autorità interessate e l'istante. Rapporto che è oggetto di una succinta disciplina tesa ad assicurare la celerità, la semplicità, l'efficacia e l'economicità della cooperazione. Quanto, in particolare, al rapporto istante — autorità richiesta della trasmissione della domanda di cooperazione, fermo il profilo (già esaminato) del contenuto della domanda (articolo 57), il regolamento (CE) n. 4/2009 si preoccupa di precisare come, in linea generale, l'attività di cooperazione non comporti oneri economici a carico dell'istante. Tali oneri sono sostenuti dall'autorità centrale (art. 54.1), la quale non può addebitarli all'istante salvo si tratti di spese eccezionali derivanti dalla richiesta di una misura specifica (misura che, come si dirà, è disciplinata all'articolo 53); eccezionali, per espressa previsione (articolo 52.2 seconda parte) non possono peraltro considerarsi le spese necessarie per la localizzazione del debitore. Resta inoltre esclusa la possibilità di recuperare le spese per i servizi indicati all'articolo 54.2 in difetto di preventivo consenso del richiedente il servizio (articolo 54.3). Anche con riferimento al profilo in esame, il regolamento (CE) n. 4/2009 pone norme che, nel richiamare in modo immediato la disciplina già contenuta nella convenzione dell'Aia del 2007 (si veda, in particolare, l'articolo 8 di tale convenzione), risultano ispirate a maggior favor per il richiedente la cooperazione rispetto a quelle contenute nella convenzione di New York. Tale ultimo strumento, infatti, all'articolo 9, si limita a prevedere (in favore dei soli creditori che, come detto, sono gli unici soggetti fruitori del regime convenzionale) la possibilità di fruizione del trattamento e delle esenzioni concesse ai creditori risiedenti nello Stato in cui è proposta l'azione o del quale sono cittadini e ad escludere la possibilità di imporre ai creditori stranieri o non residenti l'obbligo di prestare cauzione judicatum solvi o di effettuare alcun pagamento. Con disposizione innovativa rispetto ai testi convenzionali che, come si è visto, costituiscono i precedenti storici più vicini del regolamento qui in esame e che è destinata ad avere efficacia tanto con riferimento al rapporto istante —autorità ricevente la domanda, quanto con riferimento al rapporto tra autorità richiedente ed autorità richiesta, l'articolo 59 prevede l'impiego della lingua ufficiale dello Stato richiesto o, ove tale Stato abbia più lingue ufficiali, della lingua ufficiale o di una delle lingue ufficiali del luogo in cui ha sede l'autorità centrale interessata dalla richiesta di cooperazione o, infine, di un'altra lingua ufficiale delle istituzioni dell'Unione europea che lo Stato membro richiesto abbia dichiarato di poter accettare, salva l'ipotesi di dispensa dalla traduzione concessa dall'autorità centrale di tale Stato membro. Sempre con riferimento al rapporto tra autorità richiedente ed autorità richiesta, fermo quanto già detto al paragrafo precedente in ordine alla possibilità di rifiutare la richiesta di cooperazione e, precedentemente, di richiedere documenti ed informazioni suppletive, deve segnalarsi come il regolamento (CE) n. 4/2009 si preoccupi di assicurare la semplicità e tempestività del rapporto. In questo senso si giustifica la complessiva disciplina dell'articolo 58 che prevede l'impiego (nelle reciproche comunicazioni) dei più rapidi ed efficienti mezzi di comunicazione a propria disposizione (paragrafo 7) e pone alcuni termini (in ogni caso non perentori) da rispettare per l'adempimento di specifici obblighi. A tale ultimo riguardo, in particolare, il paragrafo 3 dell'articolo 58 prevede l'obbligo, per l'autorità centrale richiesta, di accusare (mediante il modulo dell'allegato VIII) ricevuta della ricezione della domanda entro trenta giorni dalla ricezione medesima. Nello stesso termine l'autorità richiesta informa quella richiedente delle prime misure già adottate o di quelle che saranno adottate per la trattazione della domanda e comunica altresì all'autorità centrale richiedente il nome e gli estremi della persona o del servizio responsabile del procedimento relativo alla specifica domanda di cooperazione. Entro sessanta giorni dalla data dell'accusa di ricezione della domanda è previsto l'adempimento di un ulteriore obbligo di comunicazione in ordine allo stato della domanda. Anche le disposizioni dell'articolo 58 da ultimo citate non trovano un precedente nella convenzione di New York del 1956 (la quale, per la verità, non si preoccupa espressamente di assicurare la tempestività della cooperazione) e costituiscono invece una sostanziale riproduzione delle previsioni della convenzione dell'Aia del 2007. Tale convenzione, infatti, prevede (art. 12) a carico dell'autorità richiesta obblighi analoghi a quelli risultanti dall'articolo 58 del regolamento qui in esame pur se scadenzati secondo tempi più lunghi. Ed infatti l'obbligo di accusare ricevuta della ricezione della domanda e di informare l'autorità centrale richiedente deve essere adempiuto entro sei settimane dalla ricezione della domanda, mentre l'ulteriore obbligo informativo in ordine allo stato della domanda deve essere adempiuto nel termine di tre mesi dalla data di ricezione. Tanto il regolamento, quanto la convenzione dell'Aia prevedono che le autorità centrali trattino una causa tanto rapidamente quanto consentito da un esame adeguato del suo contenuto (art. 58.6 e, rispettivamente, art. 12.6) e che le autorità centrali utilizzino i più rapidi ed efficienti mezzi di comunicazione a loro disposizione (art. 58.7 e, rispettivamente, 12.7). La convenzione dell'Aia contiene inoltre un'ulteriore disposizione (art. 13) che preclude al convenuto la possibilità di contestare le domande presentate tramite le autorità centrali degli Stati contraenti ed i documenti o le informazioni allegate per il solo motivo del supporto o dei mezzi di comunicazione impiegati dalle autorità centrali. Le attività strumentali all'instaurazione di un'iniziativa processuale: in particolare, da parte del creditoreUna delle funzioni più significative attribuite alle autorità centrali è quella relativa all'assistenza dell'istante in attività strumentali all'instaurazione di un giudizio di cognizione o di esecuzione. La disciplina di riferimento è posta all'articolo 56 del regolamento il quale distingue le domande che possono essere proposte dal creditore di alimenti (paragrafo 1) e quelle proponibili dal debitore (paragrafo 2). La formulazione dell'articolo 56 è particolarmente ampia e tale da ricomprendere tutte le possibili iniziative giudiziarie per le quali il regolamento qui in esame detta una disciplina relativamente alla giurisdizione o all'efficacia delle sentenze (Castellaneta — Leandro, 2009, 1104). Premesso che, come di recente chiarito anche dalla Corte di giustizia (v. infra), la proposizione di simili domande per il tramite dell'autorità centrale dello Stato di residenza del creditore è espressione di una facoltà della parte e non di un obbligo, deve rilevarsi che la possibile assistenza dell'autorità centrale risulta assai ampia con riferimento alle domande proponibili da parte del creditore. Il legislatore comunitario fornisce un'elencazione di tali domande che segue un ordine inverso rispetto alla sequenza processuale ordinaria. L'articolo 56.1, in altri termini, fa riferimento dapprima alle domande tese a conseguire l'esecuzione di una decisione in materia di alimenti già emessa (lettere a e b) e, solo successivamente, alle domande tese al conseguimento di una pronuncia in materia di obbligazioni alimentari che dovrà successivamente essere eseguita (lettere c, d, e ed f). Tale ordine costituisce conferma ulteriore del rilievo che l'esecuzione delle decisioni assume nel complessivo quadro della disciplina dettata dal regolamento qui in esame e, probabilmente, si giustifica anche alla luce della previsione del tipo di assistenza più frequentemente richiesto. Seguendo l'ordine adottato dal legislatore comunitario, deve quindi rilevarsi come il creditore di alimenti possa chiedere l'assistenza dell'autorità centrale del proprio Stato di residenza tanto per il riconoscimento o il riconoscimento e la dichiarazione di esecutività di una decisione (così la lettera a che, evidentemente, fa riferimento al caso di decisione emessa da uno Stato membro vincolato dal protocollo dell'Aia del 2007 sulla legge applicabile e, rispettivamente, alla decisione emessa da uno Stato membro non vincolato da tale protocollo) quanto per l'esecuzione di una decisione emessa o riconosciuta nello Stato membro richiesto (così la lettera b che fa riferimento sia al caso in cui si intenda instaurare un procedimento esecutivo sulla base di un titolo giudiziale emesso dal giudice dello Stato richiesto, sia al caso in cui l'esecuzione debba essere intrapresa sulla base di un titolo giudiziale emesso da un giudice di uno Stato diverso da quello richiesto dell'esecuzione e che sia stato tuttavia in tale ultimo Stato riconosciuto). Ancora, con riferimento alle iniziative giudiziali tese alla formazione di un titolo esecutivo, il creditore potrà chiedere l'assistenza dell'autorità centrale innanzitutto per l'emanazione di una decisione nello Stato membro richiesto ove già non ve ne sia una, compresa, «se necessario», una decisione che accerti la filiazione (lettera c). Tale disposizione, che presuppone che lo Stato richiesto sia munito di giurisdizione secondo le norme del capo II del regolamento, è indice ulteriore dell'ampiezza delle facoltà di assistenza attribuite alle autorità centrali. Tanto è a dirsi, in particolare, con riferimento alla previsione relativa alla possibilità di richiedere l'accertamento del rapporto di filiazione che costituisce il presupposto dell'obbligazione alimentare; una simile facoltà, è stato osservato, può essere esercitata tanto nel caso (verosimilmente più frequente) in cui l'accertamento non è stato reso nell'ordinamento richiesto, quanto nell'ipotesi in cui non sia possibile provvedere al riconoscimento e/o alla dichiarazione di esecutività della decisione straniera che tale accertamento abbia reso (Pesce, 2013, 382). Non si è mancato peraltro di precisare come l'efficacia di un simile accertamento dipenderà dalle norme ratione materiae applicabili con riferimento alla competenza giurisdizionale ed al riconoscimento ed all'esecuzione delle decisioni straniere (Villata, 2014, 116). L'assistenza potrà esser richiesta, ai sensi della lettera d), con riferimento all'emanazione ex novo di una decisione nello Stato membro richiesto ove non siano possibili il riconoscimento e la dichiarazione di esecutività di una decisione emessa in altro Stato membro (ipotesi da ritenersi eccezionale, attesi i rigorosi limiti che, come si è visto, sono posti quanto alla possibilità di non riconoscere una decisione di altro Stato membro). In proposito si è osservato come la norma non imponga quale condizione di procedibilità l'effettiva, previa proposizione di un'istanza di riconoscimento che sia stata rigettata; si è invece sostenuto che il giudice richiesto dell'emanazione di una nuova decisione debba svolgere una simile valutazione (relativa alla possibilità di mancato riconoscimento) in via preliminare (Villata, 2014, 116). Infine, l'assistenza dell'autorità centrale potrà essere prestata per la modifica di una decisione emessa nello Stato membro richiesto (lettera e) o (lettera f) per la modifica di una decisione già emessa in uno Stato diverso dallo Stato membro richiesto (sempre che, secondo le regole dettate al capo II del regolamento — e, in particolare, all'articolo 8- lo Stato membro richiesto abbia giurisdizione in ordine alla domanda di modifica). Con disposizioni applicabili anche ai casi di assistenza dell'autorità centrale richiesta da parte del debitore, l'articolo 56 si preoccupa inoltre di precisare che, per le domande proposte ai sensi del medesimo articolo, l'autorità centrale richiesta provvede — direttamente o per il tramite di autorità pubbliche o di altri organismi e persone — a fornire tanto l'assistenza legale per adire la competente autorità (anche giurisdizionale), quanto la rappresentanza in sede di giudizio (paragrafo 3). Ai sensi dell'articolo da ultimo citato, le domande elencate all'art. 56 sono soggette (anche con riferimento ai profili relativi alla competenza interna) alla lex fori la quale potrà individuare specifiche condizioni e procedure per la relativa proposizione, ferma restando la garanzia della proponibilità delle stesse secondo modalità che assicurino l'effettività della tutela (Villata, 2014, 117). Di recente, Corte giustiziaUE, 9 febbraio 2017, C-283/16,M. S. c P. S. ha affermato che, secondo quanto risulta dal combinato disposto degli articoli 51 e 56, nonché dei considerando 31 e 32 del regolamento (CE) n. 4/2009, la possibilità di presentare una domanda di assistenza alle autorità centrali, costituisce un diritto e non un obbligo. Tale domanda è, quindi, espressione di una mera facoltà rimessa al creditore. Ne deriva che il regolamento (CE) n. 4/2009 contempla due modalità alternative di ricorso ai giudici competenti: una diretta e da esercitare in conformità alle disposizioni contenute nel capo IV del regolamento, l'altra indiretta da esercitare per il tramite dell'autorità centrale dello Stato membro di residenza. Segue. E da parte del debitoreA differenza della convenzione di New York del 1956 ed analogamente alla convenzione dell'Aia del 2007 (si veda, in particolare, l'articolo 10.2 di tale convenzione), il regolamento (CE) n. 4/2009 attribuisce alle autorità centrali una funzione di assistenza anche in favore del debitore. Sebbene la citata decisione Corte giustiziaUE, 9 febbraio 2017, C-283/16,M. S. c. P. S. sia relativa al caso di assistenza richiesta dal creditore di alimenti, non v'è dubbio che anche con riferimento alla posizione del debitore sussista una mera facoltà (e non un obbligo) di avvalersi dell'assistenza delle autorità centrali. Anche per il debitore risulta pertanto prevista la possibilità di intraprendere direttamente, innanzi alle competenti autorità dello Stato richiesto, le iniziative giurisdizionali ritenute idonee alla tutela dei propri diritti. La norma di riferimento è l'articolo 56.2 il quale prevede un'assistenza delle autorità centrali per la proposizione di una serie di domande meno ampia rispetto a quelle proponibili dal creditore e tendenzialmente limitata al conseguimento di pronunzie destinate a limitare (in tutto o in parte) la decisione adottata in favore del creditore. Anche con riferimento alle iniziative del debitore il regolamento conferma l'ordine di elencazione già accolto in relazione alle domande proponibili dal creditore; ordine che, come detto, assegna priorità alle iniziative relative alla fase dell'esecuzione delle decisioni. In particolare, il regolamento attribuisce al debitore la facoltà di proporre, nello Stato richiesto, domande tese al riconoscimento di una decisione che comporti la sospensione o la limitazione dell'esecuzione di una decisione precedentemente adottata (art. 56.2, lettera a), ovvero domande tese alla modifica di una decisione emessa nello Stato richiesto (art. 56.2, lettera b), o, infine, domande tese alla modifica di una decisione emessa in uno Stato (non necessariamente membro, secondo quanto risulta anche dalla formulazione letterale della norma) diverso dallo Stato membro richiesto (art. 56.2, lettera c). Con riferimento alle domande di modifica di precedenti decisioni proposte dal debitore, si è osservato che è destinato ad assumere rilievo il limite all'azione posto dall'articolo 8 del regolamento (CE) n. 4/2009; in particolare, la facoltà prevista dalla citata lettera c) dell'articolo 56.2 dovrebbe ritenersi non esercitabile ove il creditore avesse al momento della decisione e continui ad avere la propria residenza abituale all'interno dello Stato terzo diverso da quello richiesto (Pesce, 2013, 383). È stato altresì rilevato come non sia prevista la possibilità, per la parte nei confronti della quale è stata proposta una domanda di pagamento di alimenti che sia stata rigettata, di avvalersi della cooperazione tra autorità centrali per far riconoscere in un altro Stato membro la decisione che esclude la propria qualità di debitore di alimenti (anche al fine di evitare che il preteso creditore proponga una simile domanda). In ogni caso, si è osservato che una tale decisione non deve — evidentemente — essere oggetto di alcuna misura di esecuzione forzata e che nessun procedimento è necessario al fine di conseguirne l'efficacia in uno Stato membro diverso da quello d'origine, stante il riconoscimento automatico delle decisioni previsto dal regolamento (CE) n. 4/2009 (Pesce, 2013, 383). L'attività investigativaAccanto all'attività di assistenza descritta ai due paragrafi che precedono, riveste ruolo fondamentale nelle attribuzioni delle autorità centrali l'attività di ricerca di informazioni destinata ad assicurare l'efficace ed effettiva attuazione dei diritti riconosciuti dal regolamento alle parti del rapporto obbligatorio alimentare; attività che può essere indicata anche, in senso ampio, come «investigativa». La norma di riferimento è l'articolo 51.2 che, in funzione strumentale rispetto a tutte le domande proponibili dal creditore e dal debitore di alimenti avvalendosi della cooperazione amministrativa disciplinata dal regolamento (CE) n. 4/2009, prevede come le autorità centrali adottino «tutte le misure appropriate» per contribuire a localizzare il debitore o il creditore (lettera b) e per aiutare ad ottenere informazioni pertinenti riguardanti il reddito e, ove necessario, altre circostanze finanziarie del debitore o del creditore, compresa la localizzazione dei beni (lettera c). L'ampiezza e la natura delle competenze è tale da ricomprendere anche funzioni che, negli ordinamenti interni, possono essere attribuite alle autorità giudiziarie (Castellaneta — Leandro, 2009, 1105). Non a caso, l'articolo 61.1, espressamente derogando alla pur generale previsione (contenuta all'articolo 51.4) secondo la quale gli articoli 51 e 53 non impongono all'autorità centrale l'obbligo di esercitare attribuzioni proprie — secondo l'ordinamento interno — delle autorità giudiziarie, dispone che l'autorità centrale richiesta adotti tutti i mezzi appropriati e ragionevoli al fine di conseguire le informazioni utili per l'emanazione, la modifica, il riconoscimento, l'attestazione di esecutività o l'esecuzione di una decisione (Sangiovanni, 2014, 103). Per l'ordinamento italiano, la norma di riferimento è l'art. 7 della l. 7 luglio 2016, n. 122 il quale attribuisce all'autorità centrale la facoltà di avvalersi dell'assistenza degli organi della pubblica amministrazione e di tutti gli enti istituzionalmente tenuti al perseguimento dei medesimi fini assegnati anche all'autorità centrale. Per esplicita previsione, l'autorità centrale può accedere, tramite tali organi ed enti, alle informazioni contenute nelle banche dati che tali soggetti utilizzino nell'esercizio delle proprie funzioni, ferma la disciplina di accesso ai dati ed alle informazioni conservati negli archivi automatizzati del Centro elaborazione dati istituito presso il Ministero dell'interno prevista dall'art. 9, l. 1 aprile 1981, n. 121. Quanto appena detto consente di rilevare l'ampiezza degli strumenti dei quali l'autorità centrale italiana può avvalersi nell'esercizio dei propri poteri «investigativi». Peraltro, fermo restando che l'effettivo impiego di tali strumenti è, verosimilmente, destinato a concretizzarsi solo a fronte dell'instaurazione (eventualmente anche tramite l'elaborazione di appositi protocolli) di adeguate forme di coordinamento tra i soggetti indicati all'art. 7, l. 7 luglio 2016, n. 122, è in questa sede necessario verificare se il potere di ricerca di informazioni attribuito all'autorità centrale sia sottoposto ad alcuni limiti derivanti dalla disciplina nazionale. Il riferimento è, quanto all'ordinamento italiano, innanzitutto, ai poteri esercitabili dall'autorità giudiziaria — nei procedimenti di separazione e divorzio — in ordine all'accertamento dei redditi delle parti (Sangiovanni, 2014, 103) ai sensi degli articoli 337ter, ultimo comma, c.c. (limitatamente al mantenimento dovuto per i figli) e 5, comma 9, della legge 1 dicembre 1970, n. 898. In dottrina si è osservato che l'utilizzo dell'indicativo «dispone» è indice di un vero e proprio dovere del giudice di disporre indagini di polizia tributaria ogni volta che ne sussistano i presupposti. In questo senso, il riferimento (anche, come si dirà, da parte della giurisprudenza di legittimità) ad un potere discrezionale rischia di essere fuorviante, poiché induce a ritenere esistente una discrezionalità diversa da quella che ordinariamente caratterizza l'esercizio della funzione giurisdizionale: discrezionalità che è fondata sulla (mera) valutazione della ricorrenza o meno dei presupposti normativi per l'esercizio del potere (De Marzo, 2012, 238). Lo stesso autore ritiene inoltre che le norme da ultimo citate attribuiscono al giudice un autonomo potere di accertamento che non è riconducibile ad altre disposizioni normative aventi differenti finalità (si pensi, ad esempio, ai presupposti previsti, quanto ai poteri di verifica fiscale, dagli articoli 32, comma 1, n. 7 del d.P.R. 16 ottobre 1973, n. 600 e 51, comma 2, n. 7 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) e che è fondato su una disciplina speciale la quale contiene un generale riferimento ad accertamenti di redditi e beni nella prospettiva dell'adeguata condizione economica delle parti, senza porre limite alle fonti di tali accertamenti. Ne discende che la disciplina relativa a tali accertamenti è espressione di una preminente valutazione di esigenze di trasparenza rispetto a quelle di tutela della riservatezza (De Marzo, 2012, 239). Ferma l'ampiezza che, alla luce del segnalato orientamento dottrinario, deve ritenersi caratterizzare il potere del giudice di disporre accertamenti di polizia tributaria, occorre verificare se simili poteri di accertamento siano dall'autorità centrale utilizzabili solo ove risultino integrati i presupposti indicati dal legislatore quanto all'esercizio degli analoghi poteri giudiziali (in particolare, l'articolo 337-ter c.c. fa riferimento ad una non sufficiente documentazione delle informazioni di carattere economico fornita dai genitori, mentre l'articolo 5, comma 9, legge 1 dicembre 1970 n. 898 fa riferimento al caso in cui sorgano «contestazioni» in ordine ai redditi delle parti quali documentati in giudizio). La (preferibile) soluzione negativa appare argomentabile ove si consideri che il citato articolo 61 del regolamento consente alle autorità centrali di acquisire le informazioni contemplate dalla medesima disposizione mediante tutti i mezzi appropriati e ragionevoli. Il riferimento al carattere appropriato dei mezzi e l'esigenza di salvaguardare la tutela effettiva dei diritti delle parti del rapporto obbligatorio alimentare consente quindi di superare i limiti vigenti, nell'ordinamento nazionale, quanto all'accertamento di polizia tributaria. Del resto (e tanto apparirà in modo particolarmente evidente in sede di esame dell'articolo 53), le attribuzioni assegnate alle autorità centrali sono esercitabili anche in funzione dell'instaurazione di un giudizio non ancora pendente (sì che, con riferimento a simili ipotesi, non sarebbero mai riscontrabili i presupposti previsti dall'ordinamento interno per l'esercizio dei poteri «investigativi» in esame). Quanto alle ulteriori misure adottabili dalle autorità centrali, il riferimento è, ancora, ai poteri (art. 492 c.p.c.) attribuiti all'ufficiale giudiziario nella ricerca dei beni da pignorare nell'espropriazione mobiliare c.d. «diretta» per il caso in cui i beni indicati dal debitore siano insufficienti al fine della realizzazione del credito alimentare (Sangiovanni, 2014, 103). Ancora, di particolare rilievo, nella prospettiva di effettivo conseguimento delle informazioni relative alla situazione patrimoniale del debitore, può risultare il ricorso allo strumento disciplinato all'articolo 492-bisc.p.c.; articolo al quale fa esplicito riferimento il già citato art. 7, l. 7 luglio 2016, n. 122 il quale, al secondo comma, dispone che le informazioni sulla situazione economica e patrimoniale dei soggetti interessati di cui al comma 1 sono trasmesse all'ufficiale giudiziario previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria competente ai sensi (appunto) dell'art. 492-bis c.p.c. Tale norma, introdotta dal decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni nella legge 10 novembre 2014, n. 162, è tesa a ridurre la tradizionale alea che, inevitabilmente, caratterizza(va) l'espropriazione mobiliare diretta e l'espropriazione presso terzi; alea derivante dal fatto che il creditore, molto spesso, era costretto a richiedere il pignoramento senza previa conoscenza dei beni effettivamente aggredibili. L'art. 492bis c.p.c. prevede infatti che il creditore possa richiedere al presidente del tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede (la competenza per la richiesta può quindi non coincidere con quella prevista, per l'esecuzione, ai sensi dell'art. 26 c.p.c.) l'autorizzazione alla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare. Concessa (previa verifica del diritto a procedere ad esecuzione forzata) l'autorizzazione, l'ufficiale giudiziario accede telematicamente alle banche dati al fine di individuare cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, verbalizza le risultanze delle banche dati e provvede al pignoramento delle cose che si trovano in luoghi appartenenti al debitore compresi nel territorio di propria competenza ovvero, ove le cose non si trovano in luoghi per i quali è competente, rilascia copia autentica del verbale al creditore il quale, nei successivi quindici giorni (a pena d'inefficacia) richiede il pignoramento all'ufficiale giudiziario competente. In dottrina (Fanticini — Ghiacci, 2015, 135 ss.) si è sostenuto che il ricorso ex art. 492-bis c.p.c. introduce un procedimento di volontaria giurisdizione teso a conseguire l'autorizzazione presidenziale alla ricerca dei beni del debitore tramite le banche dati e che, solo all'esito della ricerca, il creditore può chiedere il pignoramento dei beni. In senso contrario si è tuttavia osservato che anche alla luce del decreto legge, 27 giugno 2015, n. 83, convertito nella legge 6 agosto 2015, n. 132, il ricorso ex art. 492-bis c.p.c. già contiene una domanda esecutiva. Tanto deriverebbe, tra l'altro, dal fatto che l'art. 492-bis c.p.c. richiede, salvo il pericolo nel ritardo, il decorso del termine di cui all'art. 482 c.p.c., che il creditore (salvi i casi dei commi 3, 6 e 7) non deve formulare richiesta di pignoramento successivamente all'autorizzazione presidenziale (art. 492-bis, co. 2, penultimo periodo), che, nei casi di cui all'art. 492-bis, comma 6 e 7 c.p.c., l'inerzia del creditore nella scelta dei beni da aggredire comporta l'inefficacia della richiesta di pignoramento (art. 155ter, co. 2, c.p.c.) e, da ultimo, che il ricorso deve contenere «ai fini dell'articolo 547» l'indirizzo di posta elettronica certificata del ricorrente (Soldi, 2016, 482 ss). La natura (di volontaria giurisdizione o già esecutiva) del procedimento ex art. 492-bis c.p.c. non ha rilievo solo teorico, ma, anche, pratico. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di liquidare le spese per tale procedimento da parte del presidente del tribunale al quale sia proposto il ricorso; possibilità che dovrebbe ammettersi ove si aderisca alla natura di volontaria giurisdizione del procedimento in esame e dovrebbe invece escludersi ove si ritenga che il ricorso proposto ai sensi dell'articolo 492-bis c.p.c. sia (già) domanda esecutiva (in tale ultima ipotesi le spese per tale procedimento dovrebbero essere liquidate dal giudice dell'esecuzione e dovrebbero ritenersi assistite dal privilegio oggetto di disciplina all'articolo 2755 c.c.). Problemi ulteriori, non del tutto superati dalla legge 6 agosto 2015, n. 132 (e rispetto ai quali, come a breve si dirà, sono emersi orientamenti giurisprudenziali non omogenei), derivano dalla mancata adozione delle norme secondarie regolanti l'accesso diretto alle banche dati da parte dell'ufficiale giudiziario. L'ampiezza della formulazione letterale delle norme che vengono in rilievo con riferimento al potere investigativo qui in esame (espressione di quella elasticità che, come detto, caratterizza tutte le disposizioni in materia di cooperazione amministrativa) è, nel complesso, positivamente valutabile in quanto consente di acquisire il più ampio numero di informazioni strumentali alla tutela effettiva dei diritti delle parti del rapporto obbligatorio. In dottrina qualche perplessità è stata tuttavia manifestata quanto al riferimento alle informazioni relative all'«indirizzo» del debitore o del creditore (art. 61.2, lettera a). Molto spesso, infatti, avuto riguardo anche alla natura transnazionale del rapporto, le informazioni riguardano persone con elevata mobilità, sì che la conoscenza del mero indirizzo rischia di esser poco significativa nella prospettiva della instaurazione di un giudizio di accertamento dell'esistenza o dell'entità dell'obbligazione alimentare ovvero della instaurazione di una procedura esecutiva; al fine di evitare la raccolta di informazioni destinate, sovente, a risultare ben presto non più attuali, si è auspicato (ma la lettera della norma lascia, a ben vedere, pochi spazi ad una simile interpretazione) che il riferimento all'indirizzo sia in realtà inteso come relativo alla residenza abituale o, quanto meno, alla residenza anagrafica (Sangiovanni, 2014, 102). Secondo una costante giurisprudenza di legittimità, l'esercizio del potere giudiziale di disporre, ai sensi dell'articolo 5, co. 9, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, d'ufficio o su istanza di parte, indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria è una deroga alle regole generali sull'onere della prova. Tale potere discrezionale non può, tuttavia, sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma, solo, consente l'acquisizione (mediante uno strumento che non è nella disponibilità delle parti) di informazioni integrative degli elementi istruttori (pur incompleti e non completabili attraverso gli ordinari mezzi di prova) già forniti. Non essendo tale potere esercitabile per finalità meramente esplorative, la relativa istanza e la contestazione di parte in ordine ai fatti incidenti sul reddito del coniuge devono fondarsi su fatti specifici e circostanziati (tra le altre, Cass. VI, n. 23263/2016; Cass. I, n. 2098/2011). La Cass. I, n. 14336/2013 ha ritenuto che il giudice investito di una domanda di divorzio il quale ritenga aliunde acquisita la prova dell'inesistenza dei presupposti per il riconoscimento dell'assegno di divorzio può direttamente rigettare la relativa domanda pur non avendo disposto d'ufficio accertamenti di polizia tributaria, atteso che l'esercizio del potere officioso di disporre indagini sui redditi ed i patrimoni dei coniugi, nonché sull'effettivo tenore di vita degli stessi, rientra nella discrezionalità giudiziale, purchè tale potere sia correlabile, anche implicitamente, ad una valutazione di superfluità dell'iniziativa e di sufficienza degli elementi istruttori acquisiti. Con riferimento all'articolo 492-bisc.p.c. hanno ritenuto inammissibili i ricorsi ex art. 492-bis c.p.c. proposti prima dell'emanazione dei decreti attuativi di cui all'art. 155-quater disp. att. c.p.c., dovendo tali decreti ritenersi presupposto della ricerca dei beni pignorabili ai sensi dell'art. 492-bis c.p.c., tra gli altri, Trib. Novara, 21 gennaio 2015 e Trib. Modena, 30 gennaio 2015. Secondo invece Trib. Mantova, 3 febbraio 2015, ai sensi dell'art. 155-quinquies disp. att. c.p.c. quando non sono funzionanti le strutture tecnologiche necessarie per l'accesso alle banche dati da parte dell'ufficiale giudiziario, il creditore, previa autorizzazione ex art. 492-bis c.p.c., può ottenere dai gestori delle banche dati di cui agli artt. 492-bis c.p.c. e 155-quater disp. att. c.p.c. le informazioni nelle stesse contenute. Atteso infatti che la regolamentazione ex art. 155-quater c.p.c. non può che riferirsi all'accesso dei soli ufficiali giudiziari e che nessun decreto attuativo occorre per la richiesta svolta dal creditore (il quale non accede in via diretta alle banche dati, essendo le interrogazioni fatte dal gestore), deve (secondo il provvedimento da ultimo citato) autorizzarsi il creditore a richiedere le informazioni ai gestori delle banche dati una volta accertata la mancata possibilità per gli ufficiali giudiziari di effettuare l'accesso telematico. Ancora, Trib. Padova, 14 ottobre 2015, Trib.Palermo, 3 novembre 2015 e Trib. Milano, 28 settembre 2015, hanno ritenuto che il creditore debba essere autorizzato a richiedere direttamente ai gestori delle banche dati le informazioni rilevanti per l'individuazione delle cose e crediti da sottoporre ad autorizzazione; ciò considerato che non risulta, allo stato, pubblicato nel portale dei servizi telematici del Ministero della Giustizia alcun elenco di banche dati ai sensi dell'art. 155-quater, co. 1, ultima parte disp. att. c.p.c., che sussistono, di conseguenza, i presupposti di cui all'art. 155-quinques disp. att. c.p.c. e, infine, che, nel testo attualmente vigente, gli artt. 155-quater, comma 1 e 155-quinquies, comma 2 non fanno più riferimento ai decreti ministeriali e dirigenziali prima previsti. I limiti all'accesso alle informazioni da parte delle autorità centraliNella maggior parte dei casi l'autorità centrale non ha la disponibilità diretta delle informazioni rilevanti ai sensi dell'articolo 51.2 lettere b) e c), ma tali informazioni può acquisire ai sensi dell'articolo 61. In particolare, la disciplina dettata agli articoli 61 — 63 del regolamento risulta complessivamente tesa a contemperare l'interesse alla rapidità ed efficacia dell'operato delle autorità centrali con la tutela della riservatezza dei soggetti (prevalentemente, il debitore) i cui dati personali sono oggetto di trattamento (Pesce, 2013, 387). L'articolo 61 pone una distinzione a seconda che le informazioni debbano essere acquisite per il tramite di soggetti pubblici (l'articolo 61 fa, più precisamente, riferimento ad «autorità pubbliche o amministrazioni» che, nell'esercizio delle funzioni istituzionali, detengono le informazioni rilevanti) o privati («qualsiasi altra persona giuridica»). Con riferimento alla prima categoria di soggetti, è prevista la facoltà per gli Stati membri, di designare le autorità pubbliche o le pubbliche amministrazioni in grado di fornire alle autorità centrali le informazioni elencate all'articolo 61.2 (quanto all'Italia si veda la generica disposizione dell'art. 7, co. 1, l. 7 luglio 2016, 122). Quanto alla seconda categoria di soggetti, il regolamento prevede un obbligo di collaborazione di portata non inferiore a quello gravante sulle autorità pubbliche (Castellaneta — Leandro, 2009, 1105), pur se condizionato al fatto che la persona giuridica sia autorizzata — secondo le norme dello Stato richiesto — a rilasciare le informazioni. Sotto il profilo oggettivo, in ottemperanza alla disciplina (di origine europea) in materia di riservatezza, il regolamento (CE) n. 4/2009 si preoccupa di limitare le informazioni che possono essere oggetto di acquisizione per il tramite della cooperazione amministrativa. Lungi dal prevedere un generalizzato potere di acquisizione, infatti, il regolamento dispone che possano essere acquisite (solo) informazioni adeguate, pertinenti e non eccessive. Viene in questo modo precisato, ove ve ne fosse la necessità, che i poteri «investigativi» sono esercitabili nella stretta misura in cui gli stessi siano funzionali all'effettiva realizzazione degli obiettivi perseguiti dal regolamento in materia di obbligazioni alimentari. L'articolo 61.2 compie inoltre uno sforzo ulteriore nel senso di delimitare la nozione di informazioni acquisibili dalle autorità centrali e precisa che le informazioni adeguate, pertinenti e non eccessive sono quelle relative all'indirizzo del debitore e del creditore (lettera a), al reddito del debitore (lettera b), agli estremi del datore di lavoro del debitore e/o del o dei conti bancari del debitore (lettera c) ed ai beni del debitore (lettera d). Peraltro, lo stesso legislatore europeo, sempre al fine di salvaguardare la riservatezza dei soggetti coinvolti dall'esercizio del potere attribuito alle autorità centrali, è consapevole della mancata necessità di comunicare tutti i dati sopra elencati con riferimento ad ogni iniziativa che la parte istante voglia intraprendere. Ove si intenda conseguire una mera modifica di una precedente decisione sarà così possibile acquisire informazioni limitatamente all'indirizzo del debitore o del creditore; in caso di riconoscimento, dichiarazione di esecutività o di esecuzione delle decisioni l'autorità potrà invece accedere alle informazioni indicate alle lettere a) e b) dell'articolo 61.2, oltre che (nel caso in cui le ulteriori informazioni non siano idonee ad assicurare concreta esecuzione alla domanda) alle informazioni indicate alle lettere c) e d) (Castellaneta — Leandro, 2009, 1106). L'articolo 62 disciplina la trasmissione e le modalità di utilizzo delle informazioni acquisite dall'autorità centrale. La norma prevede, innanzitutto, che tali informazioni possono essere trasmesse (all'interno del medesimo Stato membro dell'autorità centrale che le ha acquisite) alle autorità giurisdizionali competenti, nonché alle autorità competenti quanto alla notifica e comunicazione di atti ed alle autorità competenti all'esecuzione della decisione. Non si è mancato di rilevare come la previsione di una comunicazione delle informazioni alle autorità competenti «incaricate dell'esecuzione di una decisione» presupponga che sia già pendente una procedura esecutiva; tale circostanza, tuttavia, poco si concilia con la possibile, limitata affidabilità delle informazioni. Tali informazioni, infatti, avuto riguardo alla prevedibile lunghezza della procedura espropriativa, rischiano di non essere più attuali al momento della trasmissione all'autorità giudiziaria competente. In simili ipotesi si pone il problema relativo alla possibilità che l'autorità giudiziaria si rivolga nuovamente all'autorità centrale per il conseguimento di informazioni aggiornate ai sensi dell'articolo 61 (Sangiovanni, 2014, 105); problema al quale pare debba darsi risposta negativa, atteso il mancato conferimento di simili poteri d'ufficio al giudice dell'esecuzione italiano (ferma la possibilità che un aggiornamento delle informazioni sia richiesto dalla medesima, originaria parte istante). L'esigenza di tutela della riservatezza è alla base anche dell'utilizzo delle informazioni da parte delle autorità giurisdizionali alle quali le medesime informazioni siano trasmesse dall'autorità centrale. In particolare, anche alla luce del principio diproporzionalità del trattamento dei dati, si giustifica la previsione secondo la quale le autorità (anche giurisdizionali) che abbiano ricevuto le informazioni in applicazione dell'articolo 61 (informazioni delle quali deve comunque essere assicurata la riservatezza in conformità alla legislazione nazionale) possono farne uso al solo scopo di facilitare il recupero dei crediti alimentari; tali informazioni, inoltre, possono essere conservate non oltre il periodo necessario avuto riguardo ai fini per i quali sono state trasmesse. Da ultimo, la tutela della persona interessata dalla raccolta delle informazioni giustifica la previsione secondo la quale tale persona deve comunque essere avvisata della comunicazione delle informazioni secondo le norme dello Stato membro richiesto (art. 63.1). Una simile tutela non è, tuttavia, assicurata immediatamente in modo assoluto. Ove infatti l'immediata comunicazione possa pregiudicare l'effettiva realizzazione del credito alimentare tornano ad essere preminenti le ragioni di tutela del creditore; in questo senso si giustifica il secondo paragrafo dell'articolo 63 ai sensi del quale l'avviso della comunicazione può essere differito per un periodo non eccedente i novanta giorni dalla data in cui le informazioni sono state fornite all'autorità centrale richiesta. Il termine di novanta giorni, evidentemente, deve ritenersi tale da consentire, nella prospettiva di un legislatore comunitario forse troppo ottimista, il compimento di atti idonei ad apporre un vincolo di indisponibilità sui beni del debitore (in Italia, quindi, a procedere alla notifica di un atto di pignoramento). Si è peraltro osservato che il regolamento (segnatamente, l'articolo 63) non individua il soggetto obbligato all'avviso nei confronti della persona interessata dalla raccolta delle informazioni. L'applicabilità della legislazione nazionale e, per quanto riguarda l'Italia, del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196, dovrebbe consentire (alla luce dell'articolo 13 di tale decreto) di ritenere che l'obbligo sia posto a carico del solo responsabile del trattamento dei dati e che tale non possa considerarsi l'autorità centrale la quale non detiene i dati, ma si limita a richiederli ai competenti soggetti (Sangiovanni, 2014, 104). Le attività di rappresentanza ed assistenza tecnica e quelle di mediazione.Accanto alle attività di assistenza nella proposizione di una delle domande elencate all'articolo 56 ed a quella investigativa (che, senza dubbio, costituiscono le attività nelle quali le autorità centrali sono maggiormente impegnate), il regolamento (CE) n. 4/2009 individua ulteriori, possibili attività riconducibili al sistema della cooperazione amministrativa. Tanto è a dirsi, in particolare, in ordine alle attività di rappresentanza ed assistenza tecnica ed a quelle di mediazione. Con riferimento alla prima, ai sensi dell'articolo 51.2, lettera i), l'autorità centrale può essere chiamata a svolgere attività di assistenza legale e di rappresentanza in giudizio della parte istante, ove la propria struttura consenta di poter agire per conto del ricorrente nei procedimenti innanzi ad un'autorità giudiziaria o ad autorità di altra natura. Si tratta di una funzione che trova un precedente nell'articolo 7, lettera f) della convenzione dell'Aia del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori la quale, al pari della disposizione regolamentare qui in esame, è destinata a trovare un'applicazione differenziata a seconda che le autorità dei singoli stati contraenti possano o meno, in base alle norme di diritto interno, avviare esse stesse un'azione giudiziaria (Villata, 2014, 114). Ove, in base alle norme del proprio ordinamento, possa agire per conto dell'istante, l'autorità centrale può richiedere il rilascio di una procura. Analoga facoltà è prevista anche nel caso in cui l'autorità centrale sia chiamata semplicemente a designare, per conto dell'istante, un rappresentante nell'ambito di una procedura innanzi all'autorità giudiziaria o ad altra autorità. Con riferimento all'ordinamento italiano, essendo l'autorità centrale sprovvista di un ufficio legale interno che possa rappresentare direttamente la parte in giudizio, è stata avviata una collaborazione con i consigli degli Ordini degli avvocati i quali, su richiesta dell'autorità centrale, ammettono l'istante al patrocinio a spese dello Stato ove ne sussistano i presupposti (Sangiovanni, 2014, 101). Tale collaborazione, peraltro, pone, in taluni casi, problemi con riferimento alla garanzia dell'effettiva tutela giurisdizionale assicurata alla parte non abbiente. In proposito si rinvia a quanto già detto in sede di esame della disciplina posta dal regolamento in materia di accesso alla giustizia. Disciplina con riferimento alla quale, pure, come si è visto, assume un ruolo importante l'attività svolta dalle autorità centrali. Lo stretto collegamento esistente tra accesso alla giustizia e cooperazione tra autorità centrali è stato del resto sottolineato da quella dottrina che ha osservato come il tema della cooperazione tra autorità centrali si pone, per un certo verso, quale «naturale pendant», sotto il profilo dell'assistenza informativa, dell'assistenza che, in termini economici, è apprestata mediante le norme del capo V del regolamento (Querzola, 2011, 165). Ancora, ai sensi dell'articolo 51.2, lettera d) le autorità centrali sono chiamate ad incoraggiare le composizioni amichevoli tra le parti allo scopo di assicurare il pagamento volontario degli alimenti, «se opportuno» anche attraverso gli strumenti della mediazione, della conciliazione o di istituti a questi ultimi assimilabili. In proposito si è rilevato come una simile funzione sia destinata ad essere esercitata in un numero limitato di casi, atteso che un eventuale accordo avente ad oggetto l'adempimento solo parziale dell'obbligazione alimentare dovrebbe ritenersi in contrasto con l'interesse (tutelato dal regolamento) al recupero integrale del credito (Sangiovanni, 2014, 105). L'indisponibilità del credito alimentare è alla base dell'assai ridotta attività di mediazione svolta dall'autorità centrale italiana. Esclusa la possibilità di concludere transazioni che comportino una parziale riduzione delle somme accertate come spettanti al creditore, in taluni casi, l'attività dell'autorità centrale ha favorito la conclusione di accordi di rateizzazione del debito. Assai frequente è, invece, da parte dell'autorità centrale (previa verifica dei documenti attestanti l'esistenza del credito), la spedizione al debitore di un invito ad adempiere la prestazione dovuta con indicazione delle modalità di adempimento e con l'invito a fornire l'eventuale documentazione dalla quale risulti il pagamento (anche solo parziale) delle somme per le quali il creditore ha formulato una domanda di cooperazione amministrativa. Con il medesimo invito l'autorità centrale preannuncia, per il caso di mancato riscontro entro trenta giorni dalla ricezione, il compimento delle attività prodromiche all'instaurazione di un procedimento espropriativo e la richiesta di informazioni sui redditi e sul patrimonio del debitore. La richiesta di misure specificheAnalogamente a quanto previsto dalla convenzione dell'Aia del 2007 (art. 7), anche il regolamento (CE) n. 4/2009 prevede la possibilità di richiedere alle autorità centrali talune misure specifiche prima della proposizione di una domanda. La richiesta di adozione di una misura specifica è, quindi, prodromica e funzionale alla successiva presentazione di una domanda di cooperazione da parte del creditore o del debitore di alimenti; tale richiesta, in altri termini, è tesa a consentire all'istante di valutarel'opportunità di presentare una successiva domanda di cooperazione ai sensi dell'articolo 56 (Sangiovanni, 2014, 106). La norma di riferimento è l'articolo 53 il quale attribuisce alle autorità centrali la possibilità di formulare (mediante l'allegato V) ad altra autorità centrale una richiesta motivata tesa all'adozione di misure specifiche relative alla localizzazione del debitore o del creditore, alla acquisizione di informazioni relative al reddito e, ove necessario, alla localizzazione dei beni del debitore, all'ottenimento di prove documentali rilevanti ai fini della statuizione circa l'an e/o il quantum dell'obbligazione alimentare, all'assistenza nell'accertamento della filiazione (ove tale accertamento sia presupposto dell'obbligazione alimentare), all'avvio o agevolazione dell'avvio di un procedimento teso all'emanazione di un provvedimento provvisorio di carattere territoriale destinato a salvaguardare il buon fine di una domanda di alimenti già proposta o, infine, all'agevolazione della notificazione o comunicazione di atti. Il regolamento si preoccupa di graduare le informazioni conseguibili a fronte di una richiesta di misura specifica in funzione della titolarità o meno, da parte del creditore, di un titolo esecutivo; tanto anche alla luce della necessità di preservare la riservatezza del debitore. Infatti, se nessun titolo esecutivo è necessario ove si tenda — ai sensi dell'art. 53- a conseguire informazioni relative alla localizzazione del creditore o del debitore (del resto, simili informazioni sono, frequentemente, strumentali proprio all'instaurazione di un procedimento di cognizione), le informazioni relative al reddito del debitore, agli estremi del datore di lavoro e/o dei conti bancari del debitore, nonché dei beni del debitore, possono essere rese solo a fronte della presentazione, da parte del creditore, di una decisione, transazione giudiziaria o di un atto pubblico che siano suscettibili di esser portati in esecuzione. Nel caso in cui le informazioni siano state conseguite dall'autorità centrale richiesta ai sensi dell'articolo 61 sono previste ulteriori limitazioni alla trasmissione delle stesse. Di regola è prevista infatti la sola comunicazione dell'indirizzo del potenziale convenuto nello Stato membro richiesto; ove tuttavia siano richiesti il riconoscimento, la dichiarazione di esecutività o l'esecuzione di una decisione, la comunicazione riguarderà anche l'esistenza di un reddito o di beni del debitore nello Stato richiesto. Da ultimo, con disposizione che trova un precedente — ancora una volta — nella convenzione dell'Aia del 2007, è prevista la possibilità di formulare una richiesta di misure specifiche con riferimento ad una causa con un elemento di estraneità relativa al recupero di crediti alimentari pendente nello Stato membro richiedente. Si è rilevato, all'esito di una prima applicazione della norma in esame, che l'articolo 53 è stato sovente utilizzato secondo modalità non conformi allo scopo della norma. Così, pur avendo ricevuto informazioni relative alla mancanza di reddito e di patrimonio del debitore, l'istante ha, sovente, comunque formulato una domanda di cooperazione ai sensi dell'articolo 56 (Sangiovanni, 2014, 106). Del resto, una simile prassi è, almeno in parte, imputabile anche allo stesso legislatore comunitario il quale non ha valutato le possibili risposte che l'autorità richiesta deve fornire ove siano acquisite informazioni dalle quali risultino redditi del debitore tanto modesti da escludere la possibilità di una successiva realizzazione coattiva del credito. In questa prospettiva si è auspicato che, in sede di prassi condivise, si addivenga all'elaborazione di limiti di reddito al di sotto dei quali l'autorità centrale richiesta debba trasmettere una risposta negativa; tanto al fine di evitare l'instaurazione di procedure destinate a concludersi senza una realizzazione del diritto di credito (Sangiovanni, 2014, 107). Si è in questa prospettiva fatto riferimento, ad esempio, al reddito minimo in presenza del quale è possibile fruire del diritto a prestazioni assistenziali di protezione sociale (Sangiovanni, 2014, 107). Ancora, potrebbe farsi riferimento al reddito in presenza del quale è possibile accedere al patrocinio a spese dello Stato; reddito che, una recente giurisprudenza (Trib. Milano,.22 maggio 2017), ha individuato quale parametro (non esclusivo) in presenza del quale riconoscere l'assegno di divorzio a fronte dell'indirizzo giurisprudenziale introdotto da Cass. I, n. 11504/2017. BibliografiaCastellaneta - Leandro, Il regolamento CE n. 4/2009 relativo alle obbligazioni alimentari, in Nuove leggi civ. comm., 2009, 1051 ss.; De Marzo, Le indagini patrimoniali nei processi di separazione e divorzio, in Foro it. 2012, I. 238 ss.; Fanticini - Ghiacci, L'esecuzione civile: formulario commentato, Torino, 2015; Franzina, Il ruolo della rete giudiziaria europea nell'applicazione e nello sviluppo degli strumenti di cooperazione giudiziaria in materia civile, in Boschiero - Bertoli (a cura di), Verso un «ordine comunitario» del processo civile. Atti del Convegno Internazionale della Società Italiana di diritto internazionale (Como, 23 novembre 2007), Napoli, 2008, 185 ss.; Pesce, Le obbligazioni alimentari tra diritto internazionale e diritto dell'Unione europea, Roma, 2013; Queirolo - Schiano Di Pepe, Lezioni di diritto dell'Unione europea e relazioni familari, Torino, 2014; Querzola, Il regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari, in Taruffo, Varano (a cura di), Manuale di diritto processuale civile europeo, Torino, 2011; Sangiovanni, La cooperazione tra Autorità Centrali, analisi di alcuni casi pratici, in Sangiovanni (a cura di), Obbligazioni alimentari nelle controversie familiari transfrontaliere, Roma, 2014; Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, Padova, 2016; Villata Considerazioni in merito alla disciplina della cooperazione tra autorità centrali secondo il regolamento (CE) n. 4/2009, in Sangiovanni (a cura di), Obbligazioni alimentari nelle controversie familiari transfrontaliere, Roma, 2014. |