Regolamento - 18/12/2008 - n. 4 art. 3 - Disposizioni generaliDisposizioni generali Sono competenti a pronunciarsi in materia di obbligazioni alimentari negli Stati membri: a) l’autorità giurisdizionale del luogo in cui il convenuto risiede abitualmente; o b) l’autorità giurisdizionale del luogo in cui il creditore risiede abitualmente; o c) l’autorità giurisdizionale competente secondo la legge del foro a conoscere di un’azione relativa allo stato delle persone qualora la domanda relativa a un’obbligazione alimentare sia accessoria a detta azione, salvo che tale competenza sia fondata unicamente sulla cittadinanza di una delle parti; o d) l’autorità giurisdizionale competente secondo la legge del foro a conoscere di un’azione relativa alla responsabilità genitoriale qualora la domanda relativa a un’obbligazione alimentare sia accessoria a detta azione, salvo che tale competenza sia fondata unicamente sulla cittadinanza di una delle parti. InquadramentoIl Capo II (artt. 3-14) del regolamento (CE) n. 4/2009 disciplina i titoli di giurisdizione in materia di obbligazioni alimentari. Le norme contenute in questo Capo sono indice della volontà del legislatore europeo di elaborare un sistema unitario ed esaustivo in materia digiurisdizione, sì da salvaguardare gli interessi dei creditori di alimenti (ai quali sono riconosciute ampie garanzie di accesso alla giustizia, anche mediante l'individuazione di fori particolarmente vicini al creditore), da estendere l'applicazione delle disposizioni qui in esame anche a casi caratterizzati da elementi di estraneità relativi a Stati terzi, da limitare (per quanto possibile) fenomeni di forum shopping mediante l'armonizzazione delle norme di conflitto e da escludere il rinvio alle disposizioni nazionali in materia di giurisdizione (Giacomelli, 2014, 69; Castellaneta — Leandro, 2009, 1067 ss.). È opportuno segnalare già in questa sede che nel prosieguo si utilizzeranno come sinonimi i termini (che, nell'ordinamento interno, hanno un significato ben diverso) «giurisdizione» e «competenza». Di competenza, in effetti, parlano i regolamenti adottati a livello europeo; ciò in quanto non tutti gli ordinamenti degli Stati membri conoscono un riparto interno della giurisdizione e perché il riferimento ad una distribuzione della mera competenza (e non della giurisdizione) meglio si attaglia all'idea di un unitario spazio giudiziario europeo. Secondo una tecnica comune anche ad altri strumenti di cooperazione giudiziaria in materia civile, il regolamento (CE) n. 4/2009 prevede un concorso cumulativo di titoli di giurisdizione che, si anticipa, dovranno essere valutati nell'ordine di seguito indicato. Ove il convenuto, comparendo, non eccepisca il difetto di giurisdizione del giudice adito, la competenza dovrà ritenersi radicata innanzi al giudice investito della domanda (art. 5). Nel caso di mancata comparizione del convenuto il giudice dovrà, invece, ai sensi dell'articolo 10, verificare d'ufficio la propria competenza senza peraltro che sia necessaria (ove si ritenga incompetente) l'indicazione del giudice ritenuto munito di giurisdizione. Nello svolgere una simile verifica, analogamente a quanto accade nel caso in cui il convenuto, comparendo, eccepisca il difetto di giurisdizione, il giudice dovrà, nell'ordine, valutare se la propria competenza sussista in base ad un accordo tra le parti (art. 4), ovvero, in mancanza, in base al titolo di competenza generale (art. 3), ovvero, in base alla competenza sussidiaria (art. 6) o, in mancanza, in base al criterio del c.d. «forum necessitatis» (art. 7). I fori del luogo di residenza abituale del convenuto e del luogo di residenza abituale del creditore.Le lettere a) e b) dell'art. 3 individuano quale giudice competente a conoscere delle controversie in materia di obbligazioni alimentari il giudice del luogo di residenza abituale del convenuto o (rispettivamente) del creditore. Rispetto all'art. 5.2 del regolamento (CE) n. 44/2001 la disposizione qui in esame non fa più riferimento al luogo in cui il creditore ha il domicilio o la residenza abituale, ma, secondo una tecnica normativa sempre più utilizzata in materia di diritto di famiglia (Castellaneta — Leandro, 2009, 1069, Pocar — Viarengo, 2009, 811-12, e, più in generale, Mellone), alla sola residenza abituale. Peraltro l'ambito di applicazione ratione personae del regolamento risulta ampliato rispetto alla previgente disciplina del 2001 poiché il legislatore del 2009 ha riguardo anche alla residenza abituale del debitore. Come osservato in dottrina (Castellaneta — Leandro, 2009, 1069), il riferimento alla residenza abituale e non più al domicilio trova fondamento nell'esigenza di radicare la giurisdizione alla luce di un collegamento stabile tra la fattispecie ed un determinato Stato, così limitando anche il pericolo di forum shopping (che potrebbe altrimenti concretizzarsi ove il mutamento del domicilio o della mera residenza anagrafica — non connotata da abitualità — fossero idonei ad individuare il giudice competente). Non v'è dubbio che i criteri generali individuati alle lettere a) e b) dell'art. 3 rispondono ad uno spiccato favor creditoris. Favor creditoris che si estrinseca in una disciplina non ugualitaria della competenza, stante l'attribuzione all'alimentando di titoli di giurisdizione non previsti in favore del debitore (Franzina, 2011, 481). Il creditore di alimenti potrà infatti scegliere di adire il giudice della propria residenza abituale, ovvero il giudice della residenza abituale del debitore (cioè il giudice che è meglio in grado di valutare l'effettiva consistenza del patrimonio dell'obbligato). Viceversa, il debitore che intenda chiedere la riduzione della prestazione posta a proprio carico (o, ancora prima, conseguire un accertamento in ordine all'inesistenza dei presupposti dell'obbligazione alimentare) potrà adire il solo giudice della residenza del convenuto-creditore. Il foro della residenza abituale del creditore testimonia inoltre la vocazione «tendenzialmente universale » (Giacomelli, 2014, 73, secondo il quale tale vocazione deriva dalla volontà del legislatore europeo di ridurre al minimo gli spazi di applicazione delle norme interne in materia di giurisdizione) del regolamento in esame il quale, seguendo una scelta compiuta già con il regolamento (CE) n. 2201/2003 (si veda, in particolare, l'art. 3.1 lett. a)), è destinato a trovare applicazione anche nel caso in cui il convenuto abbia la residenza abituale in uno Stato terzo (in proposito si veda il considerando 15 del regolamento) ed anche ove entrambe le parti del giudizio non abbiano la cittadinanza di uno Stato membro (Castellaneta — Leandro, 2009, 1068-9). Ampia consapevolezza sussiste in giurisprudenza quanto alla c.d. «universalità» delle norme qui commentate. Il regolamento (CE) n. 4/2009 è stato ritenuto applicabile, nonostante la cittadinanza straniera delle parti del rapporto alimentare, da Trib. Parma 2 agosto 2018, in Riv. dir. int. priv. proc. (relativa all'assegno di mantenimento dovuto dal padre nigeriano abitualmente residente in Italia in favore della figlia minorenne convivente con la madre, pure nigeriana ed abitualmente residente in Italia), da Trib. Prato, 21 dicembre 2017, in Riv. dir. int. priv. proc., 2019, 878 ss. (relativo alla non riconoscibilità dell'efficacia in via incidentale delle statuizioni di una sentenza marocchina concernenti -tra l'altro- il mantenimento del figlio minore di una coppia marocchina, non sussistendo il requisito dell'art. 64, lett. a, l. n. 218/1995 come integrato dall'art. 3, regolamento CE n. 4/2009, atteso che la residenza abituale dei genitori si trovava sin dalla proposizione della domanda in Italia, che la competenza del giudice marocchino sulla domanda relativa allo status era fondata esclusivamente sulla cittadinanza delle parti e che il giudice marocchino era privo di giurisdizione rispetto all'azione relativa alla responsabilità genitoriale e, in ogni caso, tale azione si fonderebbe esclusivamente sulla cittadinanza dei genitori), da Trib. Belluno, 24 maggio 2016, in Pluris (relativo a domanda di modifica delle condizioni di divorzio tra cittadini albanesi), da Trib. Roma, 27 gennaio 2015, in Pluris (relativa a domanda di mantenimento proposta da cittadina peruviana residente in Italia nei confronti di connazionale non residente), e da Trib. Belluno, 13 febbraio 2014, inedito (relativa a parti entrambe tunisine). Tra le tante pronunce, ha ravvisato la giurisdizione italiana ai sensi dell'art. 3 del regolamento in esame Trib. Genova, 14 maggio 2018, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2020, 177 ss. con riferimento alla domanda di mantenimento proposta, nell'ambito di una domanda di accertamento della paternità della figlia minore, dalla madre di nazionalità russa e abitualmente residente in Russia unitamente alla figlia nei confronti di un cittadino italiano abitualmente residente in Italia. Tanto ai sensi dell'art. 3 del regolamento (in considerazione della localizzazione in Italia della residenza abituale del convenuto) ed atteso che tale domanda è accessoria rispetto all'azione relativa allo stato delle persone. Trib. Parma, 4 aprile 2018, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2020, 174, ha affermato esistente la giurisdizione italiana con riferimento alla domanda di mantenimento della figlia minore proposta da una cittadina italo-serba, abitualmente residente in Italia insieme alla figlia nei confronti del marito di nazionalità serba trasferitosi definitivamente in Germania già prima dello scioglimento del matrimonio. Tanto ai sensi dell'art. 3, regolamento (CE) n. 4/2009, considerato che la residenza della figlia minore si trova in Italia. Ancora, è stata ravvisata la giurisdizione italiana ai sensi dell'art. 3, lett. a) e b) del regolamento in esame da Trib. Belluno, 21 aprile 2016 (inedito) relativo ad una domanda ex art. 9 della l. 1 dicembre 1970, n. 898 proposta da una cittadina rumena residente in Italia nei confronti dell'ex coniuge, italiano e rumeno (pure residente in Italia) a seguito di sentenza di divorzio emessa dal giudice rumeno senza statuizioni sulle questioni economiche. Corte giustizia UE, 5 settembre 2019, C-468/18, R. c. P ., ha chiarito i rapporti tra gli artt. 3 lett. a) e d) e 5 del regolamento. In particolare, la decisione ha precisato che tali norme devono essere interpretate nel senso che, quando un giudice di uno Stato membro è investito di un ricorso contenente tre domande riguardanti, rispettivamente, il divorzio dei genitori di un figlio minore, la responsabilità genitoriale su tale minore e l'obbligazione alimentare nei confronti di quest'ultimo, il giudice che si pronuncia sul divorzio che si è dichiarato incompetente a statuire sulla domanda relativa alla responsabilità genitoriale dispone tuttavia di una competenza a statuire sulla domanda relativa all'obbligazione alimentare riguardante detto minore qualora esso sia anche il giudice del luogo in cui il convenuto risiede abitualmente o il giudice dinanzi al quale quest'ultimo è comparso, senza eccepirne l'incompetenza. Una tale conclusione è raggiunta considerando che i titoli di giurisdizione dell'art. 3 del regolamento sono alternativi e non gerarchicamente ordinati e sono tesi a privilegiare la scelta dell'attore (tendenzialmente il creditore di alimenti e, quindi, soggetto debole). Scelta particolarmente importante ove si consideri che il protocollo dell'Aia del 23 novembre 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari (dal regolamento Ce n. 4/2009 richiamato all'art. 15) consente al creditore di alimenti, de facto, di effettuare una scelta della legge applicabile alla sua domanda in materia di obbligazioni alimentari prevedendo che la legge del foro e non quella dello Stato di residenza abituale del creditore si applichi in via prioritaria quando quest'ultimo presenta la sua domanda dinanzi all'autorità competente del luogo in cui il convenuto risiede abitualmente. Un'interpretazione del regolamento (CE) n. 4/2009 secondo cui unicamente l'autorità giurisdizionale competente in materia di responsabilità genitoriale è competente a statuire su una domanda di obbligazione alimentare potrebbe quindi pregiudicare la facoltà del creditore richiedente gli alimenti di scegliere non solo il giudice competente, ma, altresì, di conseguenza, la legge applicabile alla sua domanda. Del resto, prosegue la Corte, la affermazione della giurisdizione dello Stato ove risiede il convenuto può presentare rilevanti garanzie per il creditore in considerazione, tra l'altro, della facilità di esprimersi nella lingua del foro, dei costi eventualmente inferiori del procedimento, della conoscenza da parte del giudice adito delle capacità contributive del convenuto e dell'eventuale dispensa dall'exequatur. La Corte di giustizia UE, 17 settembre 2020, C-540/19, WV c. Landkreis Harburg dopo aver ribadito che l'art. 3 non contiene né un principio generale (quale la competenza dell'autorità giurisdizionale del domicilio del convenuto), né norme derogatorie, da interpretare restrittivamente, ma una pluralità di criteri, di pari rango e alternativi (come risulta dall'utilizzo della congiunzione coordinativa «o», dopo l'indicazione di ciascuno di essi), ha precisato che un ente pubblico che, mediante un'azione di regresso, intende recuperare somme versate in luogo di alimenti a un creditore di alimenti, nei cui diritti esso è surrogato nei confronti del debitore di alimenti, è legittimato ad avvalersi della competenza dell'autorità giurisdizionale del luogo in cui detto creditore risiede abitualmente, prevista dall'articolo 3, lett. b), del regolamento n. 4/2009. Una simile competenza, secondo la Corte, è conforme agli obiettivi perseguiti dal regolamento tra i quali figurano sia la prossimità tra il giudice competente ed il creditore di alimenti, sia l'obiettivo (cui fa riferimento anche il considerando 45) di facilitare il più possibile il recupero dei crediti alimentari internazionali. Né una simile competenza pregiudica l'obiettivo (pure perseguito dal regolamento) della buona amministrazione della giustizia. Infatti, premesso che tale obiettivo va inteso non soltanto dal punto di vista di un'ottimizzazione dell'organizzazione giudiziaria, ma anche in riferimento all'interesse delle parti che (senza distinzione tra attore o convenuto in giudizio) devono avere la possibilità di beneficiare, in particolare, di un accesso facilitato alla giustizia e di una prevedibilità delle norme sulla competenza, il trasferimento dei diritti del creditore di alimenti a favore di un ente pubblico non pregiudica né gli interessi del debitore di alimenti né la prevedibilità delle norme sulla competenza applicabili, in quanto il debitore deve aspettarsi, in ogni caso, di essere citato dinanzi al giudice del luogo in cui risiede abitualmente o dinanzi a quello del luogo di residenza abituale del creditore.In una delle poche sentenze pronunciate con specifico riferimento al regolamento (CE) n. 4/2009 (Corte giustizia CE, 18 dicembre 2014, procedimenti riuniti C-400/13 e C-408/13, Sophia Marie Nicole Sanders c. David Verhaegen e Barbara Huber c. Manfred Huber), la Corte di giustizia, premessa la necessità di interpretare l'art. 3, lett. b) di tale regolamento alla luce della finalità, del tenore letterale e del sistema all'interno del quale si colloca la norma, ha ritenuto che la stessa, nel porre un titolo di giurisdizione in deroga al principio generale (accolto già dalla convenzione di Bruxelles del 1968) per il quale la competenza va radicata in ragione del domicilio del convenuto, si giustifica con la volontà di assicurare una tutela particolare al creditore di alimenti che è considerato parte debole. Le regole di competenza previste dal regolamento (CE) n. 4/2009 sono quindi tese (così come già faceva l'art. 5 n. 2 della convenzione di Bruxelles) a garantire — anche in una prospettiva di facile accesso alla giustizia — la prossimità tra il creditore ed il giudice competente. Tanto detto, la Corte (chiamata a verificare se sia violato lo scopo dell'art. 3 lett. b) del regolamento per effetto di una norma nazionale — nella specie, tedesca — che prevede la concentrazione della competenza in materia di obbligazioni alimentari transfrontaliere a favore di un giudice di primo grado competente per il luogo in cui ha sede il giudice d'appello) osserva che le norme europee sui conflitti di giurisdizione non escludono che sia rimessa al legislatore nazionale l'individuazione del criterio di ripartizione interno degli affari tra i giudici del proprio ordinamento (id est, della competenza interna). Ciò nonostante, la normativa nazionale non può rimettere in discussione gli obiettivi del regolamento (CE) n. 4/2009 o pregiudicarne l'effetto utile (in concreto, la Corte ha escluso che una disciplina quale quella tedesca sottoposta al proprio vaglio possa pregiudicare l'effetto utile del regolamento CE n. 4/2009 ove la stessa contribuisca, anche mediante la specializzazione del giudice, a realizzare l'obiettivo di una corretta amministrazione della giustizia e tuteli l'interesse dei creditori di alimenti, favorendo anche il recupero effettivo del credito). Di recente, Corte giustizia UE, 17 settembre 2020, C-540/19, WV c. Landkreis Harburg dopo aver ribadito che l'art. 3 non contiene né un principio generale (quale la competenza dell'autorità giurisdizionale del domicilio del convenuto), né norme derogatorie, da interpretare restrittivamente, ma una pluralità di criteri, di pari rango e alternativi (come risulta dall'utilizzo della congiunzione coordinativa «o», dopo l'indicazione di ciascuno di essi), ha precisato che un ente pubblico che, mediante un'azione di regresso, intende recuperare somme versate in luogo di alimenti a un creditore di alimenti, nei cui diritti esso è surrogato nei confronti del debitore di alimenti, è legittimato ad avvalersi della competenza dell'autorità giurisdizionale del luogo in cui detto creditore risiede abitualmente, prevista dall'articolo 3, lett. b), del regolamento n. 4/2009. Una simile competenza, secondo la Corte, è conforme agli obiettivi perseguiti dal regolamento tra i quali figurano sia la prossimità tra il giudice competente ed il creditore di alimenti, sia l'obiettivo (cui fa riferimento anche il considerando 45) di facilitare il più possibile il recupero dei crediti alimentari internazionali. Né una simile competenza pregiudica l'obiettivo (pure perseguito dal regolamento) della buona amministrazione della giustizia. Infatti, premesso che tale obiettivo va inteso non soltanto dal punto di vista di un'ottimizzazione dell'organizzazione giudiziaria, ma anche in riferimento all'interesse delle parti che (senza distinzione tra attore o convenuto in giudizio) devono avere la possibilità di beneficiare, in particolare, di un accesso facilitato alla giustizia e di una prevedibilità delle norme sulla competenza, il trasferimento dei diritti del creditore di alimenti a favore di un ente pubblico non pregiudica né gli interessi del debitore di alimenti né la prevedibilità delle norme sulla competenza applicabili, in quanto il debitore deve aspettarsi, in ogni caso, di essere citato dinanzi al giudice del luogo in cui risiede abitualmente o dinanzi a quello del luogo di residenza abituale del creditore. Corte giustizia, 1 agosto 2022, C-501/20, MPA c. LCDNMT ha affermato che l'articolo 3, lettere a) e b), del regolamento (CE) n. 4/2009 (così come l'articolo 3, par. 1, lett. a del regolamento CE n. 2201/2003) deve essere interpretato nel senso che, ai fini della determinazione della residenza abituale, non è idonea a costituire un elemento determinante la qualità di agenti contrattuali dell'Unione europea dei genitori, con sede di servizio in una delegazione di quest'ultima presso uno Stato terzo e rispetto ai quali si afferma che godono dello status diplomatico in detto Stato terzo. Trib. Vicenza, 22 maggio 2023, n. 935 (in Dejure) dopo aver ritenuto la domanda tesa alla quantificazione dell'assegno di mantenimento in favore della figlia (abitualmente residente in Polonia) attratta dalla domanda sulla responsabilità genitoriale (con conseguente giurisdizione del giudice polacco, essendo il giudice investito della domanda sulla responsabilità genitoriale “nella posizione migliore per valutare in concreto gli interessi in gioco legati alla domanda relativa ad una obbligazione alimentare in favore di un minore e per fissare l'importo di tale obbligazione destinata a contribuire alle spese di mantenimento e di educazione del minore, modulandolo in base al tipo di affidamento stabilito - condiviso o esclusivo - al diritto di visita, alla durata di detto diritto ed agli altri elementi di natura fattuale relativi all'esercizio della responsabilità genitoriale sottoposti al suo esame”), ha invece affermato la propria giurisdizione quanto alla domanda tesa al pagamento della metà delle spese sostenute dalla madre per il mantenimento della figlia per il periodo compreso tra il 2012 (data a partire dalla quale il padre aveva manifestato disinteresse totale nei confronti della figlia) e la proposizione della domanda. Tanto perché una simile domanda, da qualificare come azione di regresso, non presenta (a differenza della domanda tesa alla determinazione della modalità futura di contribuzione al mantenimento) un rapporto di accessorietà con quella relativa alla responsabilità genitoriale atteso che “non si tratta invero di determinare il mantenimento futuro della minore, calibrandolo sulla base delle sue necessità, della capacità contributiva dei due genitori e dei tempi di permanenza della bambina presso ciascuno di essi, ma di applicare i principi in tema di regresso tra condebitori solidali, riconoscendo all'avente diritto, che abbia provato quanto corrisposto in luogo dell'altro debitore per il mantenimento della figlia, di ottenere un rimborso non eccedente tale quota”.
La nozione di residenza abitualeNon v'è dubbio che il profilo più delicato dei criteri di giurisdizione posti alle lettere a) e b) dell'art. 3 sia relativo alla individuazione della nozione di «residenza abituale». Nozione che, lungi dall'essere impiegata dal solo regolamento (CE) n. 4/2009, è in verità alla base del funzionamento di numerose norme di conflitto comunitarie relative tanto alla giurisdizione, quanto alla legge applicabile (Mellone, 2010, 685). Il regolamento qui in esame non offre una nozione di residenza abituale, né individua elementi che, sia pur a livello esemplificativo, consentano di delimitarne la portata. Una simile scelta (per certi versi inevitabile, ove si voglia preservare della residenza abituale la natura di criterio flessibile e facilmente adattabile al caso concreto) è stata in dottrina (Castellaneta-Leandro, 2009, 1069) criticata in quanto, rimettendo all'apprezzamento del giudice la valutazione dei presupposti per l'applicazione di un così importante titolo di giurisdizione, comporta il rischio di un'applicazione non uniforme delle norme europee, specie ove si consideri la sempre maggiore mobilità delle persone. Peraltro la stessa dottrina da ultimo citata ha in ogni caso rilevato come il rischio di non uniforme applicazione delle norme in esame sia destinato ad essere ridimensionato grazie all'interpretazione autonoma della nozione di residenza abituale resa dalla Corte di giustizia (sul punto, v. anche Viarengo, 2007, 343). Tanto detto, esclusa la possibilità di applicare in materia di obbligazioni alimentari le definizioni di residenza abituale contenute nei regolamenti (CE) nn. 593/2008 e 864/2007 (Pocar-Viarengo, 2009, 812), in dottrina si è osservato che, anche con riferimento al regolamento (CE) n. 4/2009, la residenza abituale deve essere individuata alla luce di due elementi: uno materiale (o oggettivo) ed uno soggettivo. L'elemento materiale è l'elemento che caratterizza in modo preminente la nozione di residenza abituale; esso vale infatti a disvelare il legame fisico esistente tra un soggetto ed un determinato territorio. Tale elemento deve, a sua volta, essere apprezzato alla luce di due distinti profili: uno quantitativo e l'altro qualitativo. Il primo consiste nella durata temporale della permanenza di un soggetto in un determinato Stato; il secondo (che costituisce un correttivo del profilo quantitativo) vale invece ad escludere l'abitualità della residenza per i soggiorni che, pur protratti a lungo, non sono in ogni caso idonei (in considerazione dei motivi personali o professionali della permanenza) ad identificare un legame genuino tra il soggetto e lo Stato (Mellone, 2010, 694). Accanto all'elemento materiale è necessario rinvenire anche l'elemento soggettivo, ossia l'intenzione del soggetto di fissare la propria residenza in un determinato Stato con voluto carattere di stabilità. Solo in parte questo elemento (che, rispetto a quello oggettivo, ha una minore capacità di delimitazione della nozione di residenza abituale) coincide con il profilo qualitativo dell'elemento materiale. Infatti, come osservato in dottrina (Mellone, 2010, 695), la residenza abituale non è determinabile esclusivamente alla luce del tipo di permanenza effettuata (motivata, ad esempio, da ragioni di piacere, di studio o di lavoro), ma, anche, alla luce della più generale intenzione di fissare, in proiezione futura, il centro dei propri interessi in un determinato Stato; intenzione che, beninteso, deve pur sempre potersi desumere da elementi fattuali. La portata correttiva dell'elemento soggettivo ben si comprende ove si consideri che lo stesso può portare a ravvisare una residenza abituale anche a fronte di una permanenza in un certo luogo protratta per un tempo tale da non consentire, di per sé, di riscontrare l'elemento oggettivo (Mellone, 2010, 695). In dottrina non si è mancato peraltro di osservare come l'elemento soggettivo, pur rispondente all'esigenza di radicare la controversia nello Stato ove effettivamente si svolge la vita del creditore — o del debitore — può, tuttavia, comportare un pregiudizio al favor creditoris (Giacomelli, 2014, 77). Senza dubbio, la nozione fattuale di residenza abituale dovrà essere apprezzata dal giudice sulla base di una valutazione sostanziale (Giacomelli, 2014, 77, che esclude la possibilità di attribuire rilievo alla mera residenza anagrafica) incentrata sulla integrazione della persona in un determinato ambiente sociale e familiare. Valutazione destinata inevitabilmente ad essere ancorata ad indici differenti a seconda che debba accertarsi la residenza abituale di un neonato, di un minore in età scolare o di un ex coniuge adulto (Villata, 2011, 747). Ancora, alla valutazione sostanziale dovrà affiancarsi una valutazione funzionale la quale, secondo quanto ripetutamente affermato dalla Corte di giustizia, tenga cioè conto dello scopo perseguito dal legislatore europeo mediante la norma che disciplina la competenza. Sotto questo profilo si è osservato (e la questione ha diretto rilevo anche in materia alimentare, stante la previsione dell'art. 3, lett. d) del regolamento CE n. 4/2009) che la nozione di residenza abituale è suscettibile di assumere contorni differenti a seconda che si abbia riguardo alla residenza dei coniugi o del minore. Infatti, l'evidente favor libertatis che caratterizza le norme in materia di competenza relative alla separazione, al divorzio ed all'annullamento del matrimonio, giustifica un'interpretazione estensiva della nozione di residenza abituale; interpretazione che consente un ampio ed efficace funzionamento dei titoli (ben sette) di giurisdizione posti dal regolamento CE n. 2201/2003. Non necessariamente altrettanto può invece dirsi con riferimento alle regole di competenza per le domande in materia di responsabilità genitoriale. Per esse, infatti, la nozione di residenza abituale dovrà necessariamente esser valutata tenendo in considerazione l'interesse del minore. La Corte di giustizia ha interpretato la nozione di residenza abituale in modo differente a seconda dello strumento normativo nel quale la stessa è adoperata. Secondo una tecnica ermeneutica consolidata, il giudice di Lussemburgo ha infatti dosato gli elementi costitutivi (i sopra descritti elementi oggettivo e soggettivo) della residenza abituale sì da modellare una nozione di residenza funzionale alle esigenze ed agli obiettivi del singolo atto normativo di volta in volta scrutinato. Tale circostanza esclude la possibilità di trasporre in via automatica la giurisprudenza sulla nozione di residenza abituale elaborata in relazione ad un determinato settore ad un distinto settore del diritto dell'Unione (Corte giustizia CE, 2 aprile 2009, C-523/07, Korkein hallinto-oikeus c. Finlandia); è tuttavia anche vero che il giudice del Lussemburgo, chiamato ad esaminare la questione soprattutto (quanto ai rapporti familiari) con riferimento alla previsione dell'art. 8.1 del regolamento (CE) n. 2201/2003, ha elaborato una nozione autonoma di residenza abituale in materia familiare la quale risulta applicabile anche con riferimento al regolamento (CE) n. 4/2009. In una prospettiva funzionale, il giudice di Lussemburgo ha osservato che la nozione di residenza abituale del minore deve essere determinata avendo riguardo all'interesse superiore del minore e, in particolare, al criterio di vicinanza. Tale nozione corrisponde al luogo che denota una certa integrazione del minore in un determinato ambiente sociale e familiare (Corte giustizia UE 15 febbraio 2017, C-499/15 W, V c. X; Corte giustizia UE, 22 dicembre 2010, C-497/10, Barbara Mercredi c. Richard Chaffe). In numerose occasioni la Corte di giustizia ha osservato che la residenza abituale deve essere individuata avendo riguardo alle peculiari circostanze di fatto che caratterizzano il singolo caso, dovendo valorizzarsi, oltre alla presenza fisica della persona nello Stato membro, anche altri fattori idonei a dimostrare che tale presenza non è solo temporanea od occasionale e che la residenza è indice di una certa integrazione in un determinato ambiente sociale e familiare (Corte giustizia UE, 22 dicembre 2010, C-497/10, Barbara Mercredi c. Richard Chaffe;Corte giustizia CE, 2 aprile 2009, C-523/07, Korkein hallinto-oikeus c. Finlandia). Viene in questo modo confermata l'importanza di quell'elemento soggettivo cui ha fatto riferimento anche la sopra citata dottrina; non a caso, nella sentenza 22 dicembre 2010, C-497/10, la Corte ha affermato il rilievo, al fine dell'accertamento della residenza abituale, della volontà dell'interessato di individuare — in modo stabile — un determinato luogo quale centro permanente o abituale dei propri interessi. Ancora, il giudice di Lussemburgo si è mostrato consapevole del particolare rilievo che l'età del minore può assumere con riferimento agli indici idonei a disvelare la residenza abituale dello stesso. Così, con riferimento al caso di una neonata, soggiornante solo da pochi giorni in uno Stato membro — diverso da quello di residenza abituale — ha ritenuto che il giudice nazionale debba valutare, per un verso, la durata, la regolarità, le condizioni e le ragioni del soggiorno nel territorio di tale Stato membro, nonché del trasferimento della madre in tale Stato e, per altro verso, considerata l'età della minore, l'origine geografica e familiare della madre e i rapporti familiari e sociali che la genitrice e la minore intrattengono in quello Stato membro. Coerente con i criteri elaborati dalla Corte di giustizia risulta la giurisprudenza di legittimità italiana secondo la quale l'accertamento della residenza abituale, lungi dal poter essere fondato su un mero calcolo aritmetico del vissuto in un determinato luogo o sul dato meramente formale della residenza anagrafica, presuppone la verifica (riservata all'apprezzamento del giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità ove congruamente e logicamente motivata) della stabile individuazione di un luogo quale permanente ed abituale centro degli interessi della persona (Cass. S.U., n. 19664/2014; Cass.S.U., n. 1984/2012; Cass.S.U., ord., n. 3680/2010). Nello stesso senso la giurisprudenza di merito. Tra le altre, Trib. Milano, 24 marzo 2014;, Trib. Belluno, 13 febbraio 2014, inedito; Trib. Palmi, 28 gennaio2013, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2014, nonché Trib. Milano, 16 aprile 2014, in Riv. dir. int. priv. e proc. 2015, che, richiamando anche il parere n. 1/03 della Corte di giustizia del 7 febbraio 2006, osserva come, in caso di residenza frammentata nello spazio, è necessario, ai fini della giurisdizione, valutare quale sia la residenza abituale c.d. «prevalente» sulla base dell'uso combinato di legami quantitativi e qualitativi con un determinato paese. Di recente, ribadisce il collegamento tra residenza abituale del minore e superiore e preminente interesse di quest'ultimo, Cass. S.U., n. 24608/2019 secondo la quale in tema di giurisdizione sulle domande inerenti la responsabilità genitoriale su figli minori non residenti abitualmente in Italia, formulate nel giudizio di separazione o di divorzio introdotto dinanzi al giudice italiano, il criterio determinativo cogente della residenza abituale del minore, previsto dagli artt. 8, par. 1, del Regolamento CE n. 2201 del 2003 e 3 del Regolamento CE n. 4 del 2009, trova fondamento nel superiore e preminente interesse di quest'ultimo a che i provvedimenti che lo riguardano siano adottati dal giudice più vicino al luogo della sua residenza effettiva, nonché nell'esigenza di realizzare la concentrazione di tutte le azioni giudiziarie ad esso relative; tale criterio può essere derogato, sempre che ciò sia conforme all'interesse del minore ai sensi dell'art.12 del citato Regolamento CE n. 2201 del 2003, soltanto ove alla data in cui il giudice è stato adìto con la domanda di separazione o al momento della formazione del contraddittorio, sia intervenuta una esplicita ed univoca accettazione della giurisdizione da parte di entrambi i coniugi anche sulla materia della responsabilità genitoriale, non essendo sufficiente la mera proposizione di difese o di domande riconvenzionali, la quale non integra una piena e inequivoca accettazione della giurisdizione ma esprime unicamente la legittima esplicazione del diritto di difesa. I fori del giudice competenteUlteriori titoli generali di competenza (concorrenti ed alternativi rispetto a quelli sopra esaminati) sono, dall'art. 3, individuati nel foro del giudice competente a conoscere di un'azione relativa allo stato delle persone (lett. c ) o in quello del giudice competente a conoscere di un'azione relativa alla responsabilità genitoriale (lett. d), ove la domanda relativa alle obbligazioni alimentari sia accessoria rispetto a quelle in materia di stato e responsabilità genitoriale e sempre che la competenza per queste ultime materie non sia fondata sulla sola cittadinanza di una delle parti. La lettera c) riproduce integralmente (con riferimento al titolo di giurisdizione qui in esame) la previsione dell'art. 5.2 del regolamento (CE) n. 44/2001, mentre la lettera d) non trova un'esplicito precedente nel regolamento da ultimo citato. La portata innovativa di tale ultima lettera è stata peraltro ridimensionata da quella dottrina secondo la quale la disposizione in esame si limiterebbe in realtà a chiarire un principio già desumibile alla luce del considerando 11 del regolamento (CE) n. 2201/2003 (Giacomelli, 2014, 72; Pocar-Viarengo, 2009, 813). La ratio delle lettere c) e d) va ricercata nel rispetto del principio di concentrazione della competenza giurisdizionale (Giacomelli, 2014, 74) e, in definitiva, di economia processuale, nonché nella volontà di prevenire possibili conflitti tra giudicati e contrasti nell'esecuzione delle decisioni (Castellaneta-Leandro, 2009, 1068). In applicazione del titolo di giurisdizione regolato all'art. 3, lett. c) del regolamento (CE) n. 4/2009 il Trib. Vercelli, 7 marzo 2017, inedito, ha escluso la giurisdizione italiana con riferimento ad una domanda di mantenimento proposta (nell'ambito di un giudizio di separazione) da una cittadina rumena abitualmente risiedente in Italia nei confronti di un connazionale, pure abitualmente risiedente in Italia. Tanto considerato che il marito aveva preventivamente radicato giudizio di divorzio (nel quale la moglie era rimasta contumace) in Romania, sì che (ai sensi dell'art. 3, lett. c) competente con riferimento alla domanda di mantenimento deve ritenersi il giudice rumeno. La decisione, condivisibile nella parte in cui ritiene che, in caso di contemporanea pendenza di due distinti giudizi in materia di stato delle persone, competente a pronunciarsi ai sensi dell'art. 3, lett. c), reg. (CE) n. 4/2009 è il giudice per primo adito ai sensi del regolamento (CE) n. 2201/2003, sembra tuttavia non considerare che la giurisdizione italiana sulla domanda di mantenimento poteva trovare fondamento nelle lettere a) e b) dell'art. 3 del regolamento (CE) n. 4/2009, posta l'alternatività dei titoli di giurisdizione individuati da tale articolo e considerata la contumacia della moglie nel giudizio in Romania. La giurisdizione italiana in materia di obbligo di mantenimento nei confronti del coniuge alla luce del criterio fissato dall'art. 3, lett. c) è stata affermata anche, tra le altre, da Trib. Milano, 16 aprile 2014, in Riv. dir. int. priv. proc., 2015. In applicazione dell'art. 3, lett. d) la giurisprudenza di merito ha ritenuto che il giudice competente, in base al regolamento (CE) n. 2201/2003, a conoscere della domanda in materia di responsabilità genitoriale è competente anche a conoscere della domanda (accessoria rispetto alla prima) relativa agli alimenti. In questo senso, tra le altre, Trib. Torino, 24 aprile 2023, n. 1287, in Dejure, Trib. Siena, 13 maggio 2022, n. 424, in Dejure, Trib. Torino, 8 febbraio 2022, n. 468, in Dejure, Trib. Vercelli, 26 maggio 2016, inedito, Trib. Padova, 6 febbraio 2015, inedito. La questione più delicata posta dalle norme qui in esame attiene al rapporto tra i titoli di giurisdizione regolati alle lettere c ) e d ) dell'art. 3. Con riferimento ai rapporti tra artt. 3, lettere a) e d) ed art. 5 del regolamento, v. Corte giustizia UE, 5 settembre 2019, C-468/18, R. c. P. (v. supra, sub art. 3, paragrafo 2). Corte giustizia UE, 3 ottobre 2019, C-759/18, OF c. PG , ha precisato che l'articolo 12, par. 1, lett. b), del regolamento (CE) n. 2201/2003 deve essere interpretato nel senso che, quando un giudice dello Stato membro di cittadinanza comune dei coniugi, adito dal ricorrente, è competente a pronunciarsi in materia di divorzio ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, lettera b), del medesimo regolamento, la condizione relativa all'accettazione della competenza, prevista da tale art. 12, par. 1, lett. b), non può essere considerata soddisfatta qualora il procedimento non abbia ad oggetto la responsabilità genitoriale e il convenuto non sia comparso. In siffatta situazione, il giudice adito, competente a statuire sul divorzio dei coniugi, non è competente, ai sensi di tale art. 12, par. 1, lett. b), e dell'art. 3, lett. d), del regolamento (CE) n. 4/2009, a pronunciarsi su questioni vertenti, rispettivamente, sulla responsabilità genitoriale e sull'obbligazione alimentare nei confronti del minore interessato. Con l'ordinanza del 7 aprile 2014, n. 8049 le Sezioni Unite della Suprema Corte, hanno proposto rinvio pregiudiziale chiedendo alla Corte di giustizia se la domanda di mantenimento dei figli proposta nell'ambito di un giudizio di separazione personale dei coniugi, in quanto accessoria a detta azione, possa essere decisa sia dal giudice del giudizio di separazione che da quello davanti al quale è pendente il giudizio in materia di responsabilità genitoriale, sulla base del criterio della prevenzione, ovvero debba necessariamente essere delibata da quest'ultimo, risultando alternativi (nel senso che l'uno necessariamente esclude l'altro) i due distinti criteri indicati nelle lettere c) e d) dell'art. 3 regolamento (CE) n. 4/2009 e dovendo quindi ritenersi prioritaria l'accessorietà della domanda di mantenimento alla domanda di affidamento rispetto all'accessorietà della domanda di mantenimento dei figli a quella di separazione o divorzio. Nel pronunciarsi su tale questione, la Corte di giustizia, con la sentenza 16 luglio 2015, C-184/14, A c. B, ha affermato che, ai sensi dell'art. 3, lett. c) e d) del regolamento CE n. 4/09, qualora un giudice di uno Stato membro sia investito di un'azione relativa alla separazione o allo scioglimento del matrimonio tra i genitori di un figlio minore ed un giudice di altro Stato membro sia chiamato a decidere su una domanda in materia di responsabilità genitoriale relativa a tale figlio, la domanda relativa all'obbligazione alimentare nei confronti di quello stesso figlio è accessoria esclusivamente all'azione relativa alla responsabilità genitoriale ai sensi dell'art. 3, lett. d ) di tale regolamento. Tale soluzione risponde ad un'interpretazione delle regole di competenza conforme al superiore interesse del minore (che deve ritenersi preminente anche ai sensi dell'art. 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea); il giudice competente a conoscere delle azioni relative alla responsabilità genitoriale è infatti nella posizione migliore per valutare in concreto gli interessi sottesi alla domanda avente ad oggetto un'obbligazione alimentare in favore di un minore e per determinare l'entità di tale obbligazione, in considerazione del tipo di affidamento — condiviso o esclusivo — adottato, del diritto di visita (e della relativa durata) e degli ulteriori elementi fattuali relativi all'esercizio della responsabilità genitoriale. Né, come osservato da Trib. Milano, 16 aprile 2014, in ilcaso.it, l'interesse del minore può ritenersi salvaguardato da una decisione che, sulla base del carattere di alternatività tra i criteri posti alle lettere c) e d) dell'art. 3 del regolamento (CE) n. 4/2009, finisca con il frazionare la decisione sulla responsabilità genitoriale (fondata sulla regola prevista dal regolamento CE n. 2201/2003) e la decisione relativa ai soli obblighi alimentari per i minori (attratta, in base al criterio della prevenzione, dal giudice della separazione). L'orientamento accolto dalla sopra citata decisione della Corte di giustizia (già prefigurato da Trib. Milano, 16 aprile 2014, in ilcaso.it e da Trib. Milano, 16 novembre 2012, inedito) è stato successivamente fatto proprio anche Cass. S.U., n. 2276/2016. Nello stesso senso, già Cass. S.U., ordinanza, n. 30646/2011, secondo la quale, la giurisdizione sulle domande relative all'affidamento dei figli ed al loro mantenimento, anche se proposte congiuntamente a quella di separazione giudiziale, appartiene al giudice del luogo in cui il minore risiede abitualmente, a norma dell'art. 8 del Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003. Tale criterio, informato all'interesse superiore del minore e, segnatamente, al criterio della vicinanza, riveste una tale pregnanza, da condurre ad escludere che il consenso del genitore alla proroga della giurisdizione quanto alle domande concernenti i minori — pur ammessa dall'art. 12 del citato regolamento, in presenza del consenso di entrambi i coniugi — sia ravvisabile dalla mancata contestazione della giurisdizione da parte di un coniuge con riguardo alla domanda di separazione. In termini, Trib. Vercelli, decreto 26 maggio 2016, (inedito) relativamente ad un procedimento proposto ai sensi dell'art. 9, l. 1 dicembre 1970, n. 898. Sul punto, più di recente, v. Cass. S.U. 24608/19 secondo cui, con riferimento alla giurisdizione sulle domande inerenti la responsabilità genitoriale su figli minori non residenti abitualmente in Italia, formulate nel giudizio di separazione o di divorzio introdotto dinanzi al giudice italiano, il criterio determinativo cogente della residenza abituale del minore, previsto dagli artt. 8.1, del regolamento (CE) n. 2201/03 e 3 del regolamento (CE) n. 4/09, trova fondamento nel superiore e preminente interesse di quest'ultimo a che i provvedimenti che lo riguardano siano adottati dal giudice più vicino al luogo della sua residenza effettiva, nonché nell'esigenza di realizzare la concentrazione di tutte le azioni giudiziarie ad esso relative; tale criterio può essere derogato, sempre che ciò sia conforme all'interesse del minore ai sensi dell'art.12 del regolamento (CE) n. 2201/03, soltanto ove alla data in cui il giudice è stato adìto con la domanda di separazione o al momento della formazione del contraddittorio, sia intervenuta un'esplicita ed univoca accettazione della giurisdizione da parte di entrambi i coniugi anche sulla materia della responsabilità genitoriale, non essendo sufficiente la mera proposizione di difese o di domande riconvenzionali, la quale non integra una piena e inequivoca accettazione della giurisdizione, ma esprime unicamente la legittima esplicazione del diritto di difesa. V. anche Cass. S.U. n. 30657/18 secondo cui qualora nel giudizio di divorzio introdotto innanzi al giudice italiano siano avanzate domande inerenti la responsabilità genitoriale (nella specie, con riferimento al diritto di visita) ed il mantenimento di figli minori non residenti abitualmente in Italia, ma in altro stato membro dell'Unione Europea (nella specie, la Germania), la giurisdizione su tali domande spetta, rispettivamente ai sensi degli artt. 8.1, del regolamento (CE) n. 2201/03 e 3 del regolamento (CE) n. 4/09, al giudice dello Stato di residenza abituale dei minori al momento della loro proposizione, dovendosi salvaguardare l'interesse superiore e preminente dei medesimi a che i provvedimenti che li riguardano siano adottati dal giudice più vicino al luogo di residenza effettiva degli stessi, nonché realizzare la tendenziale concentrazione di tutte le azioni che li riguardano, attesa la natura accessoria della domanda relativa al mantenimento rispetto a quella sulla responsabilità genitoriale. Ancora, Cass. S. U. n. 27091/17 ha ritenuto che, ai sensi dell'art. 3 lett. c e d del regolamento (CE) n. 4/2009, non sussiste la giurisdizione italiana sulle domande di natura alimentare volte a regolare gli obblighi futuri dell'intimato nei confronti della ex moglie e dei figli (nel caso concreto, l'obbligo di versare la retta scolastica fino alla maggiore eta` dei figli), operando in proposito la regola inderogabile di determinazione della giurisdizione fondata sulla vis attractiva dell'azione sul vincolo e di quella sulla responsabilità genitoriale – di competenza del giudice della residenza abituale dei minori (nel caso di specie, Londra) – rispetto alle domande aventi ad oggetto crediti alimentari dei figli minori. I fori alternativi di cui all'art. 3 lett. a e b del medesimo regolamento possono trovare applicazione solo escludendo il vincolo di accessorietà tra la domanda relativa alla responsabilità genitoriale e quella riguardante gli obblighi alimentari paterni verso i figli minori, alla luce del solo parametro regolamentare. La giurisdizione sulla domanda proposta ai sensi degli artt. 709ter c.p.c. e 2059 c.c. in conseguenza dell'inadempimento da parte del padre degli obblighi di mantenimento dei minori e del coniuge non può essere individuata ai sensi del regolamento (CE) n. 4/09 poiché la natura alimentare dell'obbligazione non adempiuta non incide sulla qualificazione giuridica della domanda la quale trova fondamento sull'accertamento di un fatto illecito. La giurisdizione in relazione ad un simile fatto illecito deve, invece, essere fondata sul regolamento (UE) n. 1215/12 o, con riferimento al caso concreto, ratione temporis, ai sensi del regolamento (CE) n. 44/01. BibliografiaBariatti, Qualificazione e interpretazione nel diritto internazionale privato comunitario: prime riflessioni, in Riv. dir. inter. priv. e proc. 2006; Castellaneta - Leandro, Il regolamento CE n. 4/2009 relativo alle obbligazioni alimentari, in Nuove leggi civ. comm., 2009, 1051 ss.; Giacomelli, La competenza giurisdizionale nelle controversie in materia di obbligazioni alimentari, in Sangiovanni (a cura di), Obbligazioni alimentari nelle controversie familiari transfrontaliere, Roma, 2014; Franzina, Le obbligazioni alimentari, in Graziosi (a cura di), I processi di separazione e divorzio, 2011; Marino, Metodi di diritto internazionale privato e tutela del contraente debole nel diritto comunitario, Milano, 2010; Mellone, La nozione di residenza abituale e la sua interpretazione nelle norme di conflitto comunitarie, in Riv. dir. int. priv. e proc. 2010, 685 ss.; Pocar - Viarengo, Il regolamento (CE) n. 4/2009 in materia di obbligazioni alimentari, in Riv. dir. int. priv. e proc. 2009, 805 ss.; Viarengo, Le obbligazioni alimentari nel diritto internazionale privato comunitario, in Bariatti (a cura di), La famiglia nel diritto internazionale privato comunitario, Milano, 2007; Villata, Obblighi alimentari e rapporti di famiglia secondo il regolamento n. 4/2009, in Riv. dir. internaz. 3, 2011, 731 ss. |