Regolamento - 18/12/2008 - n. 4 art. 25 - Sospensione del procedimento di riconoscimentoSospensione del procedimento di riconoscimento L’autorità giurisdizionale di uno Stato membro davanti alla quale è chiesto il riconoscimento di una decisione emessa in uno Stato membro non vincolato dal protocollo dell’Aia del 2007 sospende il procedimento se l’esecutività della decisione è sospesa nello Stato membro di origine per la presentazione di un ricorso. InquadramentoCome anticipato, le decisioni in materia alimentare adottate da Stati membri non vincolati dal protocollo dell'Aia pur essendo — in via generale — riconosciute automaticamente negli altri Stati membri, possono, in presenza di presupposti tassativamente elencati dal regolamento, non essere riconosciute all'esito di un procedimento instaurato su iniziativa di parte. Fermo il generale, assoluto divieto, per il giudice chiamato a pronunciarsi sull'esistenza (o inesistenza) di motivi ostativi al riconoscimento, di procedere ad un riesame nel merito della decisione adottata dal giudice dello Stato d'origine (divieto che, immanente agli strumenti di cooperazione giudiziaria in materia civile, risulta espressamente previsto all'articolo 36 del regolamento (CE) n. 4/2009 — non a caso contenuto nella sezione III del capo IV, dedicata alle «Disposizioni comuni»), i casi di mancato riconoscimento della decisione straniera sono elencati all'articolo 24 del regolamento. Il riferimento è alle ipotesi: — di contrarietà all'ordine pubblico (lettera a); — di domanda giudiziale o atto equivalente non notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da consentirgli di presentare le proprie difese, salvo il caso in cui, pur avendone avuto la possibilità, egli non abbia impugnato la decisione (lettera b); — di incompatibilità tra la decisione straniera ed una decisione emessa tra le stesse parti nello Stato membro in cui è richiesto il riconoscimento; — di incompatibilità con una decisione emessa precedentemente tra le stesse parti in un altro Stato membro o in un paese terzo in una controversia avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo, qualora tale decisione soddisfi le condizioni necessarie per essere riconosciuta nello Stato membro in cui è richiesto il riconoscimento. È appena il caso di segnalare che tali casi devono ritenersi eccezionali (con le ovvie conseguenze sotto il profilo dell'interpretazione della norma qui in esame) in quanto i motivi ostativi al riconoscimento delle decisioni straniere costituiscono una deroga alla piena attuazionedi quel riconoscimento reciproco delle decisioni verso il quale tende, in via prioritaria, il complessivo sistema di cooperazione giudiziaria in materia civile (art. 81, paragrafi 1 e 2, TFUE). Anche sotto questo profilo il regolamento (CE) n. 4/2009 ricalca la disciplina dettata dal regolamento (CE) n. 44/2001 il quale prevede, all'articolo 34, il mancato riconoscimento delle decisioni per le medesime ipotesi contemplate all'articolo 24 del regolamento (CE) n. 4/2009 e, all'articolo 35 (disposizione non ripresa dallo strumento di cooperazione giudiziaria qui in esame), prevede altresì la non riconoscibilità delle decisioni adottate in violazione dei titoli di giurisdizione contemplati alle sezioni 2, 3 e 6 del medesimo regolamento. La continuità storica tra i due regolamenti e la comunanza di obiettivi perseguiti renderanno pertanto utile, anche in questa sede, l'esame dell'elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale formatasi con riferimento alle corrispondenti norme del regolamento (CE) n. 44/2001. In proposito, con riferimento allo strumento di cooperazione giudiziaria da ultimo citato, si è osservato come, operando il riconoscimento de iure, l'eventuale giudizio di accertamento (exequatur) delle condizioni ostative, avrà natura dichiarativa (Salerno, 2003, 227). La contrarietà con l'ordine pubblicoIl primo motivo di mancato riconoscimento della decisione straniera contemplato dall'articolo 24 è la contrarietà della decisione all'ordine pubblico dello Stato richiesto. La dottrina si è a lungo interrogata sulla portata della clausola dell'ordine pubblico, distinguendo innanzitutto l'ordine pubblico c.d. «internazionale», costituente limite — eccezionale — all'applicazione del diritto straniero ed alla circolazione delle decisioni straniere, dall'ordine pubblico c.d. «interno», inteso quale limite all'autonomia privata derivante dalle norme imperative interne (per il dibattito sulla correttezza e sulla rilevanza di tale distinzione si rinvia a Feraci, 2012, 27 ss.). In linea generale, l'ordine pubblico (internazionale, ove si voglia continuare ad utilizzare un dato lessicale in massima parte superato) ricomprende i principi fondamentali che caratterizzano una comunità nazionale in un determinato momento storico; in quanto tale, esso vale a delineare una clausola generale che, senza dubbio, deve essere concretizzata dal giudice, chiamato a dare effettiva applicazione al limite in esame. L'articolo 24 fa riferimento all'ordine pubblico dello «Stato membro in cui è richiesto il riconoscimento». Nonostante il dato letterale, la nozione di ordine pubblico richiamata non è esclusivamente rimessa agli ordinamenti nazionali, ma presenta anche una connotazione europea. Il riferimento all'ordine pubblico nazionale ricomprende infatti anche limiti (alla circolazione delle decisioni — o del diritto — di un altro Stato) comunitari nella misura in cui gli strumenti di cooperazione giudiziaria si fondano sui principi di equivalenza delle giurisdizioni nazionali e di fiducia reciproca nella giustizia amministrata negli Stati membri dell'Unione (Feraci, 2012, 231). Del resto, a conferma degli effetti che il diritto dell'Unione produce negli ordinamenti degli Stati membri, si è anche osservato come vi sia ormai una nozione di ordine pubblico dell'Unione (non sempre nettamente distinguibile da quella di ordine pubblico dello Stato membro) che, lungi dallo svolgere la sola, tradizionale funzione negativa (di limite), assume sempre più anche una funzione propositiva. In particolare, nei confronti degli Stati membri, l'ordine pubblico dell'Unione europea svolgerebbe una funzione «sussidiaria», poiché imporrebbe indirettamente ai singoli Stati (attraverso il confronto con il contenuto dell'ordine pubblico dell'Unione, delle legge o delle decisioni dei giudici degli Stati membri) la tutela dei valori essenziali ed irrinunciabili dell'Unione; in definitiva, l'ordine pubblico dell'Unione imporrebbe agli Stati membri il rispetto di quegli imperativi uniformi che gli stessi non hanno osservato nell'elaborazione delle norme nazionali o nell'emanazione delle decisioni (Feraci, 2012, 342). La funzione propositiva dell'ordine pubblico pare particolarmente evidente con riferimento al rapporto tra ordine pubblico e diritto all'equo processo (riconosciuto anche all'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea ed all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo). Peraltro, il profilo in esame impone particolare cautela, poiché non tutte le limitazioni del diritto di difesa comportano ex se violazione del diritto fondamentale ad un equo processo. Il diritto di difesa può essere infatti sottoposto a restrizioni nella misura in cui le stesse siano funzionali alla realizzazione di interessi generali e non risultino sproporzionate e tali da realizzare una compressione inaccettabile delle garanzie difensive. La disposizione in esame precisa che il limite al riconoscimento della decisione adottata nello Stato d'origine è destinato ad operare solo ove la decisione sia « manifestamente » contraria all'ordine pubblico dello Stato richiesto e che, in ogni caso, le norme relative alla giurisdizione non attengono all'ordine pubblico (sotto tale profilo il regolamento in esame si distingue dal regolamento CE n. 44/2001 il quale prevedeva come possibile causa di mancato riconoscimento delle decisioni la violazione di talune regole di competenza — pur non facendovi riferimento in termini di ordine pubblico). La necessità di una contrarietà «manifesta» conferma l'eccezionalità del limite dell'ordine pubblico. Eccezionalità che, per un verso, discende dalla necessità di evitare che un ampio impiego dell'ordine pubblico possa, surrettiziamente, comportare un aggiramento del divieto di riesame nel merito della decisione (Salerno, 2003, 247) e, per altro verso, è ben spiegabile alla luce dell'esistenza di valori comuni alla base dei singoli ordinamenti giuridici dell'Unione. Fermi i profili relativi alla violazione delle garanzie processuali, deve osservarsi come l'operatività dell'ordine pubblico con riferimento alla materia alimentare paia destinata ad essere assai limitata. Tanto considerato sia il principio espresso dall'articolo 22 del regolamento (CE) n. 4/2009, sia la natura patrimoniale dell'obbligazione alimentare. La giurisprudenza di legittimità ha, in passato, distinto l'ordine pubblico interno da quello internazionale. Secondo Cass. S.U., n. 189/1981, in particolare, l'ordine pubblico c.d. «interno» comprende il complesso dei principi fondamentali che, in un determinato momento storico, caratterizza la struttura etico-sociale della comunità nazionale; l'ordine pubblico c.d. «internazionale» comprende invece i principi di natura universale, comuni a molte nazioni di civiltà affine, volti a tutelare alcuni diritti fondamentali, sovente sanciti in dichiarazioni o convenzioni internazionali. Più recentemente la Suprema Corte ha precisato la nozione di ordine pubblico internazionale delineandola come il complesso dei principi fondamentali che connotano l'ordinamento interno in un determinato momento storico, fondato su esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo comuni ai diversi ordinamenti e desumibili, innanzi tutto, dai sistemi di tutela approntati a livello sovraordinato rispetto alla legislazione nazionale (Cass. III, n. 19405/13; Cass. lav., n. 1302/13, Cass. lav., n. 4040/06). La natura eccezionale del limite dell'ordine pubblico è stata ripetutamente affermata anche dalla Corte di giustizia. In tal senso, recentemente, Corte giustizia UE, 25 maggio 2016, C-559/14, Rūdolfs Meroni c. Recoletos Limited, ha osservato che la nozione di ordine pubblico enunciata all'articolo 34.1 del regolamento (CE) n. 44/2001 deve essere interpretata restrittivamente, in quanto vale ad individuare un ostacolo alla realizzazione di uno degli obiettivi fondamentali dello stesso regolamento. Ne discende che il limite dell'ordine pubblico deve applicarsi solo in casi eccezionali. La natura eccezionale dell'ordine pubblico è stata ribadita anche da Cass. III, ord. n. 9978/16 la quale ha, a tale fine, ripercorso le diverse disposizioni (artt. 34, regolamento CE n. 44/2001, 26 regolamento, CE n. 864/2007, 22 e 23, regolamento CE n. 2201/2003, e, appunto, art. 24, regolamento CE n. 4/2009) degli strumenti di cooperazione giudiziaria che prevedono come il riconoscimento (automatico) delle decisioni di altri Stati membri possa essere escluso solo in caso di «manifesta» contrarietà all'ordine pubblico. La citata sentenza Corte giustizia UE, 25 maggio 2016, C-559/14, Rūdolfs Meroni c. Recoletos Limited, si segnala anche perché precisa che, pur essendo i singoli Stati membri liberi di determinare, sulla base della riserva contenuta all'art. 34.1 del regolamento, le esigenze del proprio ordine pubblico conformemente alle rispettive concezioni nazionali, i confini dell'ordine pubblico rientrano nell'interpretazione del regolamento; ne discende che, pur non competendo alla Corte la definizione del contenuto dell'ordine pubblico di uno Stato membro, essa è tuttavia chiamata a controllare i limiti entro i quali il giudice di uno Stato membro può ricorrere a tale istituto per non riconoscere la decisione emessa dal giudice di altro Stato membro. Nel verificare tali limiti la Corte giunge quindi ad affermare che il ricorso all'ordine pubblico è conforme allo spirito del regolamento solo ove il riconoscimento o l'esecuzione della decisione emessa in un altro Stato contrasti « in modo inaccettabile» con l'ordinamento giuridico dello Stato membro richiesto, in quanto lesiva di un diritto fondamentale; in altri termini, è necessario rinvenire una «violazione manifesta» di una norma giuridica considerata essenziale nell'ordinamento dello Stato richiesto o di un diritto riconosciuto come fondamentale in tale ordinamento. Del resto, anche la giurisprudenza nazionale (tra le altre, Cass. lav., n. 10215/07) ha chiarito che l'ordine pubblico (nel caso concreto, oggetto di scrutinio era l'ordine pubblico contemplato dall'art. 16, comma 1, l. 31 maggio 1995, n. 218) deve essere garantito, in sede di controllo della legittimità dei provvedimenti giudiziari, con riferimento ai suoi effetti. L'ordine pubblico non si identifica con quello interno perché, altrimenti, le norme di conflitto sarebbero operanti solo ove conducano all'applicazione di disposizioni materiali aventi contenuto simile a quelle interne, cancellando le diversità esistenti tra i sistemi giuridici e rendendo sostanzialmente inutili le regole del diritto internazionale privato. Ancora, Cass. I, n. 5487/12, ha osservato come il diniego di esecutività della sentenza straniera in materia civile e commerciale ha, nel sistema delineato dal regolamento (CE) n. 44/2001, carattere di straordinarietà ed è limitato alle ipotesi di violazione dei soli principi fondamentali dell'ordinamento dello Stato richiesto. Conseguentemente, la parte che si oppone alla dichiarazione di esecutività deve addurre una contrarietà all'ordine pubblico interno derivante dall'applicazione di una norma o di una giurisprudenza consolidata dello Stato straniero, non dalla valutazione di merito della fattispecie decisa. In più occasioni la Corte di giustizia ha ritenuto applicabile la clausola dell'ordine pubblico prevista dall'art. 34.1 del regolamento (CE) n. 44/2001 per escludere la riconoscibilità di decisioni ottenute in altri Stati membri a fronte della violazione del diritto ad un equo processo il quale si ispira ai diritti fondamentali che fanno parte integrante dei principi generali del diritto comunitario; principi generali dei quali la Corte di giustizia garantisce l'osservanza ispirandosi alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri ed alle indicazioni rese dalla CEDU (Corte giustizia CE, 25 gennaio 2007, C-411/04, Salzgitter Mannesmann GmbH c. Commissione delle Comunità europee). Si è così precisato (Corte giustizia CE, 28 marzo 2000, C-7/98, Dieter Krombach c. André Bamberski) che, fermo l'obiettivo di semplificazione delle formalità necessarie ai fini del reciproco riconoscimento e della reciproca esecuzione delle decisioni giudiziarie che anima la convenzione di Bruxelles del 1968, il ricorso all'ordine pubblico deve ritenersi possibile nei casi eccezionali in cui le garanzie previste dall'ordinamento dello Stato d'origine e dalla stessa convenzione non sono bastate a preservare il convenuto da una violazione manifesta del suo diritto a difendersi avanti al giudice d'origine, così come sancito dalla CEDU (nel caso di specie, il giudice dello Stato d'origine, chiamato a decidere su una domanda di risarcimento del danno da reato, non aveva sentito la difesa dell'imputato — perseguito per un reato doloso — per la sola ragione della sua assenza in dibattimento). Analogamente, Corte giustizia CE, 14 dicembre 2006, C-283/05, ASML Netherlands BV c. Semiconductor Industry Services GmbH, premesso che l'obiettivo del regolamento (CE) n. 44/2001 è quello di garantire la libera circolazione delle decisioni emesse dagli Stati membri in materia civile e commerciale attraverso la semplificazione delle formalità di riconoscimento ed esecuzione, ha precisato (anche alla luce del considerando 18 del medesimo regolamento, secondo il quale il rispetto dei diritti di difesa esige che, avverso la dichiarazione di esecutività di una decisione, il convenuto possa proporre ricorso nel rispetto del principio del contraddittorio, ove ritenga esistente uno dei motivi di non esecuzione) che un simile obiettivo non può tuttavia esser raggiunto indebolendo, in qualsiasi modo, i diritti della difesa. I diritti fondamentali, infatti, fanno parte integrante dei principi generali del diritto dei quali la Corte garantisce l'osservanza ispirandosi alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri ed alle indicazioni fornite dai trattati internazionali concernenti la tutela dei diritti dell'uomo ai quali gli Stati membri hanno cooperato o aderito; tra di essi la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali riveste un particolare significato. Ne discende, alla luce dell'articolo 6 della CEDU come interpretata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, che i diritti della difesa (i quali derivano dal diritto ad un processo equo sancito dall'art. 6 della medesima convenzione) presuppongono una tutela concreta ed effettiva, idonea a garantire l'esercizio effettivo dei diritti del convenuto. Nello stesso senso, ancora, Corte giustizia CE, 2 aprile 2009, C-394/07, Marco Gambazzi c. DaimlerChrysler Canada Inc., CIBC Mellon Trust Company, ha ribadito come l'esercizio dei diritti di difesa ha un'importanza eminente nella prospettiva dello svolgimento di un processo equo e figura tra i diritti fondamentali che risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e dai trattati internazionali in materia di tutela dei diritti dell'uomo, tra i quali particolare significato riveste la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. A conferma della portata non assoluta dei diritti fondamentali, la decisione da ultimo citata ribadisce altresì l'orientamento secondo il quale se è vero che tali diritti (e, tra essi, anche il diritto della difesa) non costituiscono prerogative assolute, potendo invece essere soggetti a limitazioni, le eventuali restrizioni che possono riguardarli devono tuttavia rispondere effettivamente ad obiettivi di interesse generale e non costituire, rispetto allo scopo perseguito, una violazione manifesta e smisurata degli stessi. Corte giustizia UE, 6 settembre 2012, C-619/10, Trade Agency Ltd c. Seramico Investments Ltd, ha chiarito che il diritto all'equo processo, risultante dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, è stato riaffermato all'articolo 47.2 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea con previsione che corrisponde, come emerge dalle spiegazioni relative a tale disposizione (le quali, conformemente all'art. 6, n. 1, terzo comma TUE e all'art. 52, n. 7, della Carta, devono essere prese in considerazione per l'interpretazione di quest'ultima), all'articolo 6 paragrafo 1 della CEDU. Anche la Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato che l'articolo 6 della CEDU tutela il diritto fondamentale al riconoscimento ed all'esecuzione delle decisioni che siano divenute definitive ed obbligatorie per le parti (tra le altre, Corte EDU, 24 maggio 2007, Paudicio c. Italia, ricorso n. 77606/01 e, con specifico riferimento all'esecuzione di decisione straniera, Corte EDU, ,23 maggio 2016, Avotiņš c. Lettonia, ricorso n. 17502/07, Corte EDU, 20 luglio 2001, Pellegrini c. Italia, ricorso n. 30882/96). Essendo tuttavia anche il diritto fondamentale al riconoscimento delle decisioni suscettibile di bilanciamento con altri obiettivi di interesse generale, la Corte di Strasburgo ha ritenuto possibile che gli Stati contraenti, avvalendosi del margine di apprezzamento loro riservato, richiedano, quale condizione per la dichiarazione di esecutività, una procedura di exequatur, nell'ambito della quale gli organi dello Stato richiesto sono chiamati a verificare il rispetto delle garanzie dell'equo processo nello Stato d'origine (Corte EDU, 20 luglio 2001, Pellegrini c. Italia, ricorso n. 30882/96). Anche la Suprema Corte italiana è stata chiamata a verificare la portata dell'ordine pubblico c.d. «processuale» quale limite al riconoscimento di decisioni straniere. In particolare, Cass. VI, ord. n. 1239/17, ha escluso la violazione dell'ordine pubblico in caso di decisione straniera resa in assenza di espressa motivazione sul rigetto di un'istanza istruttoria. La violazione dell'ordine pubblico processuale — afferma la Corte — è infatti ravvisabile solo in casi eccezionali di violazione dei principi fondamentali dello Stato richiesto; violazione da escludersi con riferimento al caso concreto atteso che, anzi, esiste un consolidato orientamento di legittimità in base al quale l'implicita esclusione della rilevanza del mezzo istruttorio del quale la parte ha chiesto l'ammissione può desumersi dalla stessa ratio decidendi in base alla quale è stata risolta, nel merito, la controversia. Di recente, Cass. I, ord. n. 5327/2021, ha, con riferimento al riconoscimento dell'efficacia della sentenza di un tribunale di altro Stato membro (nella specie, Polonia) destinata a circolare nel regime del regolamento CE 44/01, ritenuto che integra una violazione dell'ordine pubblico processuale la decisione del giudice straniero che, in tema di accertamento della paternità naturale, dopo avere dapprima disposto d'ufficio la cd. prova del DNA, abbia poi immotivatamente revocato il provvedimento di ammissione di tale mezzo istruttorio pur in presenza della dichiarata disponibilità all'esame da parte del preteso padre e dopo aver disposto con rogatoria che l'incidente istruttorio venisse eseguito in Italia. Cass. I, n. 13412/2019 ha ritenuto che nelle controversie in materia matrimoniale, di responsabilità genitoriale o di obbligazioni alimentari, qualora l'autorità giurisdizionale di uno Stato membro successivamente adita abbia adottato una decisione poi divenuta definitiva, ancorché in violazione delle norme sulla litispendenza eurounitaria di cui all'art. 27 del Regolamento 44/2001/CE (concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale) e all'art. 19 del Regolamento 2201/2003/CE (relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale), tale violazione - secondo quanto affermato da Corte di Giustizia U.E. nella sentenza del 16 gennaio 2019, C-386/17 - non consente all'autorità giurisdizionale nazionale, pur preventivamente adita, di negare, per questo solo motivo, il riconoscimento dell'efficacia alla decisione straniera, il cui giudicato si faccia valere incidentalmente nel processo preventivamente instaurato, trattandosi di norma processuale inerente la giurisdizione, esclusa dal parametro della manifesta contrarietà ad ordine pubblico. Il vizio della notifica o comunicazione della domandaLa lettera b) dell'articolo 24 esclude (sempre a fronte di una domanda di parte) la riconoscibilità della decisione straniera nel caso in cui la domanda giudiziale od un atto equivalente non siano stati notificati o comunicati al convenuto contumace in tempo utile ed in modo tale da consentirgli di svolgere le proprie difese, salvo che lo stesso convenuto, pur avendone avuto la possibilità, non abbia impugnato la decisione. La norma richiama in modo diretto la previsione dell'articolo 19.1 lettera a) del regolamento (CE) n. 4/2009 relativa all'esecuzione di decisioni emesse in Stati vincolati dal protocollo sulla legge applicabile. Tuttavia, lo stesso motivo che deve, con riferimento alle decisioni emesse da Stati vincolati dal protocollo (avverso il riconoscimento delle quali, come detto, non è possibile alcuna opposizione), farsi valere, ai sensi dell'art. 19, avanti all'autorità dello Stato d'origine, deve invece, con riferimento alle decisioni emesse da Stati non vincolati dal protocollo sulla legge applicabile, esser dedotto innanzi al giudice dello Stato richiesto. Non può non rilevarsi come appaia ardua la distinzione tra le ipotesi contemplate alle letterea) eb) dell'articolo 24 in esame. Alla luce di quanto sopra osservato, infatti, il diritto di difesa (espressione del più ampio diritto all'equo processo) deve annoverarsi tra quei principi fondamentali che, comuni alle tradizioni costituzionali dei singoli Stati membri ed alla base dello stesso ordinamento giuridico dell'Unione europea, rientrano nell'ordine pubblico (pur essendo, come visto, a determinate condizioni comprimibili). Del resto l'ipotesi contemplata alla lettera b) integra una violazione tanto intensa del diritto di difesa da ritenere arduo escluderne la riconduzione alla generale clausola dell'ordine pubblico (una riconduzione delle due ipotesi alla categoria dell'ordine pubblico processuale è prospettata da D'Alessandro, 2007, 174). Pare pertanto che la distinzione conservi una certa quale attualità nella sola misura in cui si ritenga che il legislatore abbia, per l'ipotesi contemplata alla lettera b), specificamente individuato quali sono le formalità da rispettare perché il contraddittorio possa ritenersi correttamente instaurato (D'Alessandro, 2007, 174) e, pertanto, abbia tipizzato un'ipotesi di manifesta contrarietà all'ordine pubblico. Tanto detto, in dottrina (Salerno, 2003, 240-241) si è rilevato come la Corte di giustizia non abbia elaborato una nozione autonoma di contumacia, attribuendo tuttavia rilievo decisivo alla notificazione della domanda (quale momento che consente al destinatario della stessa di svolgere le proprie difese), ed abbia escluso il rispetto del diritto di difesa nel caso in cui il procedimento si sia svolto nel contraddittorio con un avvocato al quale il convenuto non aveva mai conferito mandato. Analogamente all'art. 34 n. 2 del regolamento (CE) n. 44/2001, anche il regolamento (CE) n. 4/2009, all'art. 24, lett. b), limita il controllo del giudice dello Stato richiesto alla sola congruità dei tempi di notifica e di impugnazione, non, anche (come invece faceva, l'art. 27, n. 2 della convenzione di Bruxelles del 1968), alla regolarità dell'originaria notifica. La differenza appare di non poco conto, atteso che, per effetto della crescente, reciproca fiducia alla base dello spazio giudiziario europeo, risultano ormai irrimediabilmente assorbite nella valutazione del giudice d'origine eventuali irregolarità formali sanate nell'ordinamento d'origine (Salerno, 2003, 242). Peraltro, ferma la mancanza (tanto nel regolamento CE n. 4/2009, quanto nel regolamento CE n. 44/2001) di parametri alla stregua dei quali valutare la congruità del termine a comparire rispetto alla possibilità di esercitare in modo effettivo il diritto di difesa, si è ritenuto che il giudice dovrà inevitabilmente apprezzare le circostanze del caso concreto, avendo riguardo, ad esempio, a possibili difficoltà del destinatario nel comprendere la lingua dell'atto o all'obiettiva complessità della res litigiosa (Salerno, 2003, 244) Ancora, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia (v. infra), deve precisarsi come, all'ipotesi (espressamente contemplata) della mancata notifica o comunicazione della domanda giudiziale al convenuto contumace vada equiparata quella della mancata notificazione o comunicazione della decisione contumaciale; anche tale notifica o comunicazione, infatti, costituisce strumento fondamentale di tutela effettiva (innanzi al giudice dello Stato d'origine) del diritto di difesa del convenuto contumace. Corte giustizia CE, 14 dicembre 2006, C-283/05, ASML Netherlands BV c. Semiconductor Industry Services GmbH, ha esaminato il rinvio pregiudiziale relativo all'interpretazione dell'art. 34, n. 2 del regolamento (CE) n. 44/2001 nella parte in cui lo stesso individua quale preclusione al riconoscimento della decisione straniera la mancata notifica o comunicazione della domanda al convenuto contumace, salva la «possibilità», per questi, di impugnare la decisione. Il giudice nazionale, in particolare, chiedeva se tale «possibilità» di impugnazione fosse necessariamente conseguenza di una regolare notifica o comunicazione della sentenza al convenuto contumace o se fosse sufficiente che il convenuto contumace avesse avuto conoscenza della sentenza nella fase del procedimento di esecuzione nello Stato richiesto. La Corte (premesso che la lettera dell'art. 34, n. 2, facendo riferimento alla notifica o comunicazione della domanda e non, anche, alla notifica o comunicazione della sentenza contumaciale, non consente — ove autonomamente considerata — di risolvere la questione), ha osservato come la possibilità di proporre un ricorso efficace presuppone che il ricorrente possa prendere cognizione della decisione contumaciale, sì da poterla utilmente contestare. Ne discende che solo la notifica o la comunicazione della sentenza (e non anche la conoscenza della stessa acquisita a fronte della dichiarazione di esecutività nello Stato richiesto) consentono al convenuto contumace di impugnare la decisione secondo modalità conformi all'effettivo contenuto del diritto di difesa. Né potrebbe, sulla base dell'articolo 34 n. 2, porsi a carico del convenuto l'onere di attivarsi oltre la misura dell'ordinaria diligenza ad esempio informandosi — nello Stato richiesto — del contenuto di una decisione adottata in un altro Stato membro. Corte EDU, 23 maggio 2016, Avotiņš c. Lettonia, ricorso n. 17502/07, ha inoltre precisato che la valutazione in ordine all'onere della prova circa la possibilità di impugnare la decisione emessa nello Stato d'origine deve essere compiuta nel corso di un procedimento in contraddittorio concluso con una decisione motivata. L'inconciliabilità con altre decisioni (rinvio)Anche l'articolo 24 del regolamento (CE) n. 4/2009, alle lettere c) e d) contiene un meccanismo destinato ad assicurare, sia pur in via residuale rispetto all'istituto della litispendenza, l'armonia delle decisioni nello spazio giudiziario europeo. Avuto riguardo all'identità della lettera delle norme si rinvia a quanto già osservato nel commentare l'articolo 21. In questa sede si rileva semplicemente come, stante il diverso regime di esecuzione delineato dal regolamento, i motivi che, con riferimento alle decisioni degli Stati membri vincolati dal protocollo sulla legge applicabile, possono comportare il diniego dell'esecuzione, sono alla base, ove la decisione sia adottata da uno Stato membro non vincolato dal protocollo del 2007, del possibile mancato riconoscimento della decisione (mancato riconoscimento che, come detto, discende da un'iniziativa della parte nei confronti della quale si intende eseguire la decisione). La sospensione del procedimento di riconoscimentoCon previsione analoga a quella contenuta nell'ultima parte dell'articolo 21.3 (con riferimento alle decisioni emesse da Stati vincolati dal protocollo dell'Aia del 2007), l'articolo 25 del regolamento (CE) n. 4/2009 prevede la sospensione (obbligatoria) del procedimento di riconoscimento nel caso in cui l'esecutività della decisione sia sospesa nello Stato membro d'origine. La previsione dell'art. 25 si giustifica in un'ottica di economia processuale, non essendovi interesse attuale a conseguire una pronuncia sul riconoscimento con riferimento ad una decisione la cui esecutività è stata sospesa. La sospensione del titolo esecutivo sarà disposta sulla base delle regole processuali interne dello Stato d'origine. BibliografiaBiagioni, L'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e l'ordine pubblico processuale nel sistema della Convenzione di Bruxelles, in Riv. dir. internaz. 2001, 723 ss.; Castellaneta - Leandro, Il regolamento CE n. 4/2009 relativo alle obbligazioni alimentari, in Nuove leggi civ. comm., 2009, 1051 ss.; D'Alessandro, Il riconoscimento delle sentenze straniere, Torino, 2007; Feraci, L'ordine pubblico nel diritto dell'Unione europea, Milano, 2012; Salerno, Giurisdizione ed efficacia delle decisioni straniere nel regolamento (CE) n. 44/2001 (La revisione della Convenzione di Bruxelles del 1968), Padova, 2003; Villata, Obblighi alimentari e rapporti di famiglia secondo il regolamento n. 4/2009, in Riv. dir. internaz. 3, 2011, 731 ss. |