Regolamento - 18/12/2008 - n. 4 art. 43 - Recupero non prioritario dei costi

Giuseppe Fiengo

Recupero non prioritario dei costi

Il recupero dei costi derivanti dall’applicazione del presente regolamento non è prioritario rispetto al recupero di crediti alimentari.

Inquadramento

La sezione 3 del Capo IV del regolamento detta alcune disposizioni destinate a trovare applicazione generalizzata con riferimento alla disciplina del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di obbligazioni alimentari in uno Stato membro diverso rispetto a quello nel quale la decisione è stata emessa. Si tratta di norme che assumono tale importanza nella prospettiva del legislatore europeo da non risultare suscettibili di differente applicazione in funzione dell'adesione o della mancata adesione da parte dello Stato membro d'origine al protocollo dell'Aia del 2007.

Come osservato in dottrina, tali disposizioni sono accomunate da un intento di accelerazione della procedura di esecuzione della decisione (Querzola, 2011, 159).

In una prospettiva di favor verso la piena realizzazione del credito alimentare si spiega inoltre l'articolo 43 il quale prevede che il recupero dei costi derivanti dall'applicazione del regolamento (CE) n. 4/2009 non è prioritario rispetto al recupero dei crediti alimentari.

L'esecutività provvisoria e l'invocazione di una decisione riconosciuta

Con disposizione chiaramente ispirata al favor verso una rapida realizzazione coattiva del credito alimentare, l'art. 39 del regolamento consente al giudice dello Stato d'origine di dichiarare la decisione provvisoriamente esecutiva anche se la propria legislazione non prevede l'esecutività di diritto.

Si è osservato, sulla scorta del considerando 22, che attraverso l'esecuzione provvisoria il legislatore tende a scoraggiare la proposizione di ricorsi meramente dilatori (Querzola, 2011, 159). Ancora, si è rilevato come la disposizione in esame costituisca «manifestazione eclatante ed evidente» dell'effetto di attrazione che il diritto dell'Unione esercita ormai da tempo verso i diritti nazionali (Pesce, 2013, 306; Querzola, 2011, 159).

La norma è assolutamente muta quanto ai presupposti in presenza dei quali il giudice dello Stato d'origine può disporre la provvisoria esecutività.

Premesso che la pronuncia pare sottintendere pur sempre un'istanza di parte (nel senso dell'introduzione di una esecutività provvisoria di diritto, tuttavia, Corrao, 2011, 139, contra, condivisibilmente, Pesce, 2013, 307), la genericità della disposizione non dovrebbe per la verità comportare particolari problemi in Italia, atteso che l'ordinamento interno attribuisce immediata efficacia esecutiva ai provvedimenti che pongono obblighi alimentari (nell'autonoma accezione del regolamento qui in esame).

Così, l'art. 189 disp. att. c.p.c. espressamente prevede che l'ordinanza presidenziale o l'ordinanza del giudice istruttore con la quale sono resi i provvedimenti di cui all'art. 708 c.p.c. costituiscono titolo esecutivo. A tale norma rinvia anche, in materia di divorzio, l'articolo 4, comma 8, l. 1 dicembre 1970, n. 898. Ancora, l'esecuzione provvisoria può essere concessa al decreto ingiuntivo (si pensi, ad esempio, a quella giurisprudenza che richiede l'emissione del decreto ingiuntivo per il pagamento delle spese di mantenimento straordinario dei figli nella misura pur fissata anticipatamente — e, tuttavia, da precisare in relazione al caso concreto — in sede di separazione o divorzio). Infine, con riferimento agli alimenti (nell'accezione propria dell'ordinamento nazionale), la possibilità di disporre, con ordinanza, il pagamento di un assegno in via provvisoria è espressamente contemplata dall'articolo 446 c.c.

In ogni caso, quanto agli altri ordinamenti, in assenza di parametri di riferimento e di una previsione di diritto dell'esecutività, la provvisoria esecutività non potrà che essere concessa alla luce della particolare urgenza nella fruizione della prestazione alimentare (oltre che, eventualmente, del pericolo che il debitore possa, mediante atti dispositivi, sottrarsi all'adempimento).

L'articolo 40 (al quale si rinvia) contiene l'elencazione dei documenti che devono essere presentati ove si desideri invocare in «un altro Stato membro una decisione riconosciuta ai sensi dell'articolo 17, paragrafo 1 o riconosciuta a norma della sezione 2».

Nonostante quanto pure potrebbe risultare dalla lettera della norma, in dottrina (Pesce, 2013, 308 — 309) si è escluso che la disposizione faccia riferimento alla possibilità per il creditore, di avvalersi di un primo riconoscimento conseguito in uno Stato richiesto anche in un successivo Stato nel quale intenda procedere in via esecutiva; tanto perché l'istituto dell'exequatur sur exequatur è prevalentemente ritenuto inammissibile a livello internazionale. La disposizione, piuttosto, pur se con una formulazione poco felice, farebbe riferimento all'«altro Stato membro» semplicemente come allo Stato diverso da quello d'origine. In particolare, essa sarebbe destinata ad operare nel caso in cui una decisione (riconosciuta, a seconda dei casi, ai sensi dell'art. 17.1 o 23) sia invocata in uno Stato membro diverso da quello d'origine per un motivo diverso dall'esecuzione forzata (capo IV, sezione 1) o dal riconoscimento e dalla sua dichiarazione di esecutività (capo IV, sezione 2). Tanto potrebbe accadere, ad esempio, nel caso in cui (fermi i limiti dell'art. 8) si intenda chiedere una modifica della decisione per effetto di un mutamento delle circostanze di fatto (Pesce, 2013, 309).

La disciplina del procedimento di esecuzione.

L'articolo 41 prevede che, fatte salve le disposizioni del regolamento (il riferimento deve intendersi come relativo alle norme che disciplinano le procedure destinate ad assicurare la circolazione delle decisioni tra Stati membri), il procedimento di esecuzione delle decisioni emesse in un altro Stato membro è disciplinato dalla legge dello Stato membro dell'esecuzione.

Viene così ribadito il principio fondamentale per il quale, essendo tipicamente proiezione della sovranità statale, la realizzazione coattiva dei diritti deve avvenire secondo le modalità previste dalla legge dello Stato dell'esecuzione. Peraltro deve rilevarsi come, in sede di lavori preparatori, fosse stata proposta l'emanazione di due norme destinate ad attenuare la portata di tale principio al fine di introdurre alcune modalità uniformi di esecuzione forzata delle decisioni in materia di obbligazioni alimentari. Si era proposto, in particolare, per un verso di introdurre un ordine di prelievo mensile delle retribuzioni o delle somme depositate presso istituti di credito destinato ad essere eseguito in modo uniforme nei territori di tutti gli Stati membri e, per altro verso, di introdurre un sequestro temporaneo del conto bancario del debitore anche presso un istituto estero (Queirolo — Schiano Di Pepe, 2014, 436-7). Le opposizioni di alcune delegazioni hanno tuttavia spinto verso la conferma del tradizionale principio di territorialità in materia di esecuzione.

Si è osservato (Pesce, 2013, 311-312) che, nonostante il generale rinvio al diritto interno quanto alle concrete modalità dell'esecuzione della decisione, lo stesso art. 41 pone due regole potenzialmente in contrasto con gli ordinamenti dei singoli Stati membri. Il riferimento è, per un verso, alla necessità (derivante dai caratteri dello spazio giudiziario europeo) di assicurare alle decisioni straniere il medesimo trattamento riservato alle decisioni interne e, per altro verso, alla mancata necessità (nella prospettiva di riduzione dei costi e degli adempimenti per la realizzazione coattiva del credito alimentare) di eleggere domicilio nello Stato dell'esecuzione pure nel caso in cui la legge di tale Stato imponga, in generale, un simile obbligo.

La disposizione dell'articolo 41 del regolamento (CE) n. 4/2009 comporta, tra l'altro, che, ferma la possibilità di opposizione alla circolazione della decisione solo ed esclusivamente secondo le modalità indicate dal regolamento, ulteriori motivi tesi a precludere la realizzazione coattiva del credito potranno e dovranno farsi valere secondo gli ordinari strumenti processuali previsti nell'ordinamento richiesto dell'esecuzione.

In ogni caso, come anche di recente chiarito dalla Corte di giustizia, il rinvio alla legge dello Stato dell'esecuzione deve essere interpretato alla luce dell'inciso per il quale la decisione straniera deve trovare attuazione nello Stato membro dell'esecuzione «alle stesse condizioni» delle decisioni emesse nello Stato membro dell'esecuzione e, comunque, facendo sempre salvo l'effetto utile della disciplina europea.

Sarà quindi possibile far valere, mediante lo strumento dell'opposizione all'esecuzione disciplinato nel singolo ordinamento (in Italia, art. 615 c.p.c.) l'eventuale impignorabilità dei beni, così come sarà possibile per il terzo proporre l'opposizione tesa a far valere propri diritti sui beni pignorati (in Italia, art. 619 c.p.c.). A tale ultimo riguardo si è tuttavia ritenuto che l'esigenza di salvaguardare l'effetto utile della disciplina posta dal regolamento (CE) n. 4/2009 esclude che l'opposizione di terzo possa interferire con la sfera di efficacia dell'exequatur sì che ai terzi sarebbe attribuito il diritto di contestare la validità del titolo esecutivo nei propri confronti, ma non, anche, di contestare l'efficacia della decisione in sé (Salerno, 2003, 291).

Corte giustizia CE, 29 aprile 1999, C-267/97, Eric Coursier c. Fortis Bank e Martine Bellami, in Coursier ha confermato che la convenzione di Bruxelles si limita a disciplinare il procedimento di exequatur per i titoli esecutivi stranieri e non si occupa dell'esecuzione propriamente detta la quale resta soggetta al diritto nazionale del giudice adito. In termini, tra le altre, Corte giustizia CE,4 febbraio 1988, C-145/86, Horst Ludwig Martin Hoffmann c. Adelheid Krieg. Che l'esecuzione forzata sia del resto espressione imprescindibile della sovranità statale è principio da tempo affermato anche dalla Suprema Corte italiana. Così, Cass. S.U., n. 5827/1981, ha affermato che funzione del processo esecutivo è l'attuazione concreta di un diritto certo spettante ad un soggetto mediante l'incidenza dell'attività degli organi competenti nella realtà concreta al fine di adeguarla alla situazione consacrata nel titolo esecutivo; incidenza dell'attività esecutiva che opera in un determinato aspetto della realtà fenomenica quale esercizio della sovranità dello Stato.

La Corte giustizia UE, 9 febbraio 2017, C-283/16,M.S. c. P.S., ha, con specifico riferimento all'ordinamento del Regno Unito (nel quale la decisione in materia alimentare emessa in uno Stato membro può — secondo un orientamento giurisprudenziale — essere eseguita solo mediante l'intervento dell'autorità centrale istituita ai sensi dell'articolo 49 del regolamento (CE), n. 4/2009 e non, anche, a fronte di un'iniziativa diretta del creditore avanti all'autorità competente), ribadito il principio generale per il quale il giudice nazionale deve garantire la piena efficacia delle norme dell'Unione nell'ordinamento interno. In particolare, secondo la Corte, l'efficacia del diritto previsto all'articolo 41.1 del regolamento (CE) n. 4/2009 impone agli Stati membri, ove necessario, di modificare le norme processuali e, comunque, al giudice nazionale, di applicare l'articolo 41.1, disapplicando, all'occorrenza, le disposizioni contrarie dell'ordinamento nazionale.

Di recente Corte giustizia UE, 4 giugno 2020, C-41/19, FX c. GZ, ha ritenuto che dall'art. 41.1 deriva, implicitamente ed inevitabilmente, che un'azione che presenti una stretta connessione con il procedimento di esecuzione di una decisione emessa da un giudice dello Stato membro d'origine e che ha accertato un credito alimentare, come l'opposizione all'esecuzione di cui al procedimento principale (mediante la quale il debitore intendeva far valere il pagamento quasi integrale del debito -direttamente o indirettamente tramite un ente pubblico che aveva successivamente agito in regresso nei propri confronti), rientra, al pari della domanda di esecuzione di tale decisione stessa, nella competenza dei giudici dello Stato membro dell'esecuzione. Sarebbe infatti contrario agli obiettivi di semplicità e di rapidità della realizzazione del credito alimentare perseguiti dal regolamento n. 4/2009 che, una volta adìto da un creditore di alimenti ai fini dell'esecuzione di una decisione dichiarata esecutiva nello Stato membro dell'esecuzione, il giudice competente di quest'ultimo debba in ogni caso dichiarare di non essere competente a pronunciarsi su un'opposizione all'esecuzione, a favore del giudice dello Stato membro d'origine, in quanto quest'ultimo, quale giudice dello Stato membro di residenza del creditore, si trova, ai sensi dell'articolo 3, lettera b), del regolamento n. 4/2009, nella situazione più idonea a tutelare il creditore. Ai sensi dell'art. 41.1, pertanto, spetta al giudice dello Stato d'esecuzione pronunciarsi sulla ricevibilità e sul merito degli elementi probatori addotti dal debitore degli alimenti per corroborare la sua affermazione secondo cui egli ha in larga parte soddisfatto il suo debito.

Segue. L'espropriazione di crediti in Italia (cenni)

Con riferimento all'ordinamento italiano deve segnalarsi come i crediti alimentari trovino prevalentemente realizzazione coattiva attraverso l'espropriazione di crediti (artt. 543 ss. c.p.c.). La mancata necessità di liquidazione dei beni pignorati e la — di regola — non elevata entità delle somme spettanti al creditore rendono infatti particolarmente appetibile (anche e soprattutto con riferimento al profilo della celerità della realizzazione del diritto) il pignoramento di somme delle quali un terzo è debitore del debitore di alimenti.

Pur non potendo in questa sede esaminarsi in modo approfondito la disciplina di tale forma di espropriazione è opportuno (anche nella prospettiva dei rimedi oppositivi spettanti al debitore e, più in generale, dei limiti alla realizzazione del diritto di credito) osservare come, nel caso in cui siano pignorate somme dovute al debitore a titolo di retribuzione o pensione, la disciplina di riferimento è posta all'art. 545 c.p.c., il quale tenta di contemperare le esigenze del creditore e quelle del debitore (considerato che, per questi, la retribuzione o il trattamento pensionistico hanno, pure, una funzione lato sensu alimentare).

In verità, l'art. 545 c.p.c. disciplina la pignorabilità della retribuzione derivante da rapporto di lavoro privato; la regolamentazione della pignorabilità della retribuzione da lavoro pubblico è invece, almeno in linea generale, dettata dal D.d.r. n. 150/1980. In ogni caso, le originarie differenze esistenti tra tali disposizioni sono state sostanzialmente superate per effetto di diversi interventi della Corte costituzionale succedutisi negli anni ottanta dello scorso secolo.

In considerazione delle esigenze di vita del debitore, l'art. 545, comma 4, c.p.c. prevede come le retribuzioni possano essere pignorate nella sola misura di un quinto, elevabile sino alla metà (art. 545, comma 5, c.p.c.) in caso di simultaneo concorso delle cause indicate ai commi precedenti.

Ancora, per i trattamenti pensionistici, l'art. 545, comma 7, c.p.c. pone un regime di impignorabilità assoluta con riferimento alle somme corrispondenti alla misura massima mensile dell'assegno sociale aumentato della metà e, per la parte residua, un regime di pignorabilità relativa corrispondente al limite di pignorabilità previsto per le retribuzioni ai sensi dei commi 3, 4 e 5 dell'art. 545 c.p.c. e delle leggi speciali.

Nella sua attuale formulazione (derivante dalla novella recata dal d. l. 27 giugno 2015, n. 83 convertito dalla l. 6 agosto 2015, n. 132) la norma si segnala per aver superato dubbi emersi circa l'entità della quota non pignorabile di pensione. La giurisprudenza costituzionale (v. infra) aveva infatti ritenuto legittima la previsione di un limite di impignorabilità assoluta della pensione nella misura corrispondente a quella necessaria a preservare i «mezzi adeguati» alle esigenze di vita; nessun criterio era tuttavia fornito dal legislatore al fine di quantificare i mezzi adeguati. Il recente intervento legislativo ha, finalmente, colmato la lacuna esistente.

Da ultimo, quanto alle disposizioni tese a salvaguardare la posizione del debitore, deve rilevarsi come, al fine di evitare il possibile aggiramento dei limiti di pignorabilità delle retribuzioni e pensioni mediante pignoramento «a valle» delle somme depositate su conto corrente intestato al debitore (per effetto della confusione si riteneva infatti che, non potendo più distinguersi le somme accreditate a titolo di stipendio o pensione da quelle depositate ad altro titolo, potessero essere pignorati senza limiti gli importi depositati sul conto corrente), il d. l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con l. 6 agosto 2015, n. 132, ha introdotto nel corpo dell'articolo 545 c.p.c. il comma 8. Ai sensi di tale ultima disposizione, in caso di pignoramento di somme depositate su conto corrente, le somme eventualmente accreditate sul conto a titolo di stipendio, salario o altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di assegni di quiescenza, possono essere pignorate solo per la misura eccedente il triplo dell'assegno sociale quando l'accredito è anteriore al pignoramento; in caso di accredito contestuale o successivo al pignoramento, le medesime somme possono invece essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma nonché dalle speciali previsioni di legge.

L'ultimo comma dell'art. 545 c.p.c. precisa che il pignoramento di retribuzioni e pensioni eseguito oltre i limiti previsti dal medesimo articolo è inefficace per la parte in cui colpisce la quota degli emolumenti assolutamente impignorabili; la norma precisa anche (ma ad una simile conclusione già era giunta una parte della giurisprudenza) che l'inefficacia relativa è rilevabile d'ufficio. Ciò significa che il debitore non dovrà (pur potendo comunque esercitare una simile facoltà) far valere il superamento del limite di pignorabilità mediante un'opposizione proposta ai sensi dell'articolo 615, comma 2, c.p.c.

Infine, con disposizione ispirata al favor creditoris, la particolare esigenza di protezione connessa alla natura del credito alimentare che si intende realizzare nelle forme dell'espropriazione disciplinata a partire dall'art. 543 c.p.c. giustifica la previsione secondo la quale, previa autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da questi delegato, le somme spettanti a titolo di stipendio, salario o altre indennità relative al rapporto di lavoro possono, ove il procedente agisca per veder realizzato un credito alimentare, essere pignorate nella misura autorizzata dal presidente o dal giudice da questi delegato; in tale ipotesi è quindi prevista la possibilità di superare i limiti generali alla pignorabilità delle retribuzioni fissati dall'art. 545 c.p.c.

Come in più occasioni affermato dalla Corte costituzionale, i limiti di pignorabilità di retribuzioni e pensioni posti dall'art. 545 c.p.c. trovano giustificazione nell'esigenza, costituzionalmente rilevante, di salvaguardare i bisogni essenziali del lavoratore (tra le altre, Corte cost. ord. n. 302/1998).

In più occasioni la Consulta ha inoltre ribadito che il limite di pignorabilità delle retribuzioni è determinato dal legislatore (nell'esercizio della sua insindacabile discrezionalità) in modo fisso, indipendentemente dall'entità della retribuzione percepita dal debitore. La Corte ha, in particolare, osservato come, nella parte che qui interessa, l'art. 545 c.p.c. è teso a contemperare l'interesse del creditore con quello del debitore. Non potendo il primo essere sacrificato in modo totale, quali che siano le condizioni economiche del secondo, il legislatore ha quindi fissato una percentuale che è uguale per tutti i lavoratori. Peraltro, in considerazione del fatto che la privazione di una parte della retribuzione è un sacrificio potenzialmente assai gravoso per il lavoratore scarsamente retribuito, il legislatore ha previsto la limitata pignorabilità della retribuzione; limitata pignorabilità che, del resto, è rispettosa del principio di eguaglianza, poiché chi ha una retribuzione più bassa è colpito dal pignoramento in misura proporzionalmente minore (Corte cost. n. 20/1968).

Sempre la Corte costituzionale, questa volta con la sentenza n. 506/2002, ha ritenuto che l'articolo 38 della Costituzione (che attribuisce ai pensionati il diritto a godere di «mezzi adeguati alle loro esigenze di vita») non è tale da comportare, quale ineludibile corollario, l'impignorabilità della pensione; tale norma, piuttosto, giustifica l'impignorabilità assoluta di quella sola parte della pensione che, appunto, assicura al pensionato quei mezzi adeguati alle esigenze di vita che la Costituzione, sulla base di un criterio di solidarietà sociale, impone gli siano garantiti; criterio di solidarietà sociale che sancisce, per un verso, un dovere dello Stato, e, per altro verso, impone (nei soli limiti funzionali allo scopo) un sacrificio a tutti i consociati (e, in particolare, ai creditori). Con la medesima decisione la Consulta ha ritenuto ragionevole il differente regime — sotto il profilo della pignorabilità — esistente tra pensioni e retribuzioni. Con riferimento alle prime, sole, infatti l'articolo 38 della Costituzione pone una regola che è espressione di un principio di solidarietà sociale; principio che, quindi, ha come destinatari (nei limiti di ragionevolezza) tutti i consociati e, pertanto, anche i creditori del pensionato. L'articolo 36 della Costituzione, invece, indica i parametri ai quali (con riferimento all'esclusivo rapporto datore-prestatore di lavoro) deve conformarsi l'entità della retribuzione, ma non pone alcun vincolo destinato ad operare nei confronti di terzi estranei al rapporto, salvo quello, frutto di un razionale «contemperamento dell'interesse del creditore con quello del debitore che percepisca uno stipendio» (così, Corte cost. n. 20/1968) del limite del quinto della retribuzione quale possibile oggetto di pignoramento.

Secondo Cass. III, n. 6548/2011, l'impignorabilità parziale dei trattamenti pensionistici è destinata a tutelare l'interesse pubblicistico a garantire al pensionato i mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita (art. 38 Cost.); tale finalità è ancora più marcata a seguito dell'entrata in vigore della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea che, all'articolo 34, terzo comma, garantisce il diritto all'assitenza sociale al fine di assicurare un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti. Il pignoramento della pensione eseguito oltre i limiti consentiti è, quindi, radicalmente nullo per violazione di norme imperative e tale nullità è rilevabile d'ufficio. In termini, già Cass. III, n. 5761/1999, la quale ha osservato che il regime di impignorabilità normativamente stabilito con riferimento allo stipendio, al salario ed alla pensione trova fondamento nell'interesse pubblico e che il superamento della soglia di pignorabilità può essere rilevato anche d'ufficio dal giudice, atteso che ripugna la possibilità che una persona sia privata di beni a lei attribuiti per la propria esistenza a fronte del valore mercantile che i medesimi beni hanno per il creditore pignorante.

Da ultimo, secondo Cass. lav., n. 15374/2007, il limite di impignorabilità della retribuzione non opera con riferimento all'esecuzione promossa dal creditore per contributo al mantenimento della prole (avendo questo funzione alimentare) ove vi sia l'autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da questi delegato; autorizzazione che autorevole dottrina configura quale condizione di efficacia dell'elemento quantitativo del pignoramento.

Il divieto di riesame nel merito

Il divieto di riesame nel merito (che trova il proprio fondamento nel complessivo sistema di libera circolazione delle decisioni elaborato nel contesto dell'Unione sulla base dell'art. 81 TFUE) costituisce principio affermato in via generalizzata dagli strumenti di cooperazione giudiziaria.

Esso costituisce il portato di una generale equivalenza delle giurisdizioni nazionali che è fondata oltre che sul riparto di competenza effettuato a monte dal regolamento, anche e soprattutto sul comune patrimonio giuridico che in modo sempre crescente accomuna gli Stati dell'Unione (Salerno, 2003, 233). La rilevanza di tale comune patrimonio giuridico è peraltro tale da aver progressivamente indotto a restringere la portata della clausola generale dell'ordine pubblico (come visto, il regolamento CE n. 4/2009 fa riferimento ad una «manifesta» contrarietà all'ordine pubblico) al fine di evitare che l'utilizzo della stessa possa, surrettiziamente, comportare un aggiramento del divieto posto (anche) all'art. 42 del regolamento in materia di obbligazioni alimentari (Salerno, 2003, 247).

Sebbene il divieto di riesame del merito abbia quale destinatario l'autorità giudiziaria (o, più specificamente, l'autorità competente a dare esecuzione alla decisione emessa in altro Stato membro) deve anticiparsi sin d'ora che (secondo quanto sarà a breve precisato in modo più ampio) l'autorità centrale italiana ha, proprio alla luce del divieto di riesame nel merito della decisione (divieto ritenuto quindi espressione di un principio immanente all'intero regolamento) dato seguito ad istanze di cooperazione amministrativa nel recupero del credito fondate su decisioni non univocamente riconducibili alla categoria del titolo esecutivo quale contemplata, nell'ordinamento interno, all'articolo 474 c.p.c. (Sangiovanni, 2014, 108-109).

Bibliografia

Corrao, Il diritto internazionale privato e processuale europeo in materia di obbligazioni alimentari, in Cuadernos de Derecho Transnacional, 2011, 3; Pesce, Le obbligazioni alimentari tra diritto internazionale e diritto dell'Unione europea, Roma, 2013; Queirolo - Schiano Di Pepe, Lezioni di diritto dell'Unione europea e relazioni familari, Torino, 2014; Querzola, Il regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari, in Taruffo, Varano (a cura di), Manuale di diritto processuale civile europeo, Torino, 2011; Sangiovanni, La cooperazione tra Autorità Centrali, analisi di alcuni casi pratici, in Sangiovanni (a cura di), Obbligazioni alimentari nelle controversie familiari transfrontaliere, Roma, 2014.

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