Codice Civile art. 189 - Obbligazioni contratte separatamente dai coniugi (1).

Gustavo Danise
aggiornato da Francesco Bartolini

Obbligazioni contratte separatamente dai coniugi (1).

[I]. I beni della comunione [177], fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato, rispondono, quando i creditori non possono soddisfarsi sui beni personali, delle obbligazioni contratte, dopo il matrimonio, da uno dei coniugi per il compimento di atti eccedenti l'ordinaria amministrazione senza il necessario consenso dell'altro [180 2, 184].

[II]. I creditori particolari di uno dei coniugi, anche se il credito è sorto anteriormente al matrimonio [187], possono soddisfarsi in via sussidiaria [1944 2, 2268] sui beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato. Ad essi, se chirografari, sono preferiti i creditori della comunione [192 2].

(1) Articolo così sostituito dall'art. 68 l. 19 maggio 1975, n. 151. L'art. 55 della stessa legge, ha modificato l'intitolazione di questa Sezione e soppresso la suddivisione in paragrafi.

Inquadramento

Gli artt. 189 e 190 c.c. dettano norme centrali in materia di responsabilità per le obbligazioni personali dei coniugi. Secondo i principi generali, per le obbligazioni contratte da un coniuge personalmente per un interesse diverso da quello familiare, ovvero per quelle conseguite alla stipula di un atto di straordinaria amministrazione, anche nell'interesse della famiglia, ma senza il consenso dell'altro coniuge (art. 184 comma 1 c.c.), deve risponderne il coniuge obbligato coi suoi beni personali. Nel caso in cui questi non siano sufficienti, l'art. 189 attribuisce ai creditori il diritto di agire esecutivamente, in via sussidiaria, sui beni della comunione legale entro il limite della quota del coniuge obbligato. I due commi esprimono lo stesso principio.

Il principio di sussidiarietà della responsabilità della comunione legale: tesi dottrinali a confronto

La ratio della norma mira a tutelare l'integrità del patrimonio in comunione dalle azioni esecutive dei creditori particolari del coniuge per le obbligazioni contratte per uno scopo estraneo ai bisogni della famiglia oppure dal compimento di atti di straordinaria amministrazione compiuti in violazione del principio di amministrazione congiunta sancito dall'art. 184 comma 1 c.c.; ma al contempo tutela anche i creditori particolari del coniuge obbligato, assegnando loro in via sussidiaria un altro patrimonio su cui soddisfarsi in caso di incapienza di quello principale del coniuge debitore. Si tratta dell'unica disposizione codicistica in materia di comunione legale ove compare il concetto «quota», che però assume un'accezione diversa rispetto a quella attribuitale in altri ambiti dell'ordinamento civilistico (come l'eredità o la comunione ordinaria), in quanto per insegnamento della sentenza Corte cost. n. 311/1988 già richiamata più volte dallo scrivente Autore nei commenti degli articoli precedenti) la comunione legale tra coniugi è una comunione «senza quote», espressione del principio di proprietà solidale dei coniugi sui beni acquisiti in costanza di matrimonio. Segnatamente, la quota nel contesto dell'art. 189 rappresenta la soglia economica entro la quale i creditori possono agire esecutivamente sulla comunione per la riscossione coattiva dei crediti maturati nei confronti di un solo coniuge. L'art. 189 esprime quindi il principio della sussidiarietà della responsabilità della comunione legale per le obbligazioni personali contratte da uno dei coniugi; sussidiarietà che è stata interpretata in diversi modi dalla dottrina tradizionale. Secondo una prima tesi, la sussidiarietà sancita dall'art. 189 equivale ad una «condizione di procedibilità» dell'azione esecutiva, in quanto subordina l'azione esecutiva dei creditori alla dimostrazione di aver infruttuosamente aggredito i beni personali del coniuge debitore (Gabrielli, 152; De Paola, 626; Malagù 1977, 118 ss.). Tale orientamento postula quindi la separazione tra beni personali e beni della comunione legale, mutuandola dalla disciplina giuridica sulle società di persone, ed in particolare dall'art. 2270, comma 2, c.c., che consente al creditore particolare del socio della società semplice di chiedere la liquidazione della quota del socio debitore, se gli altri beni del debitore sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti, e dall'art. 2304 c.c. che onera i creditori sociali di escutere preventivamente il patrimonio sociale, prima di agire esecutivamente nei confronti dei singoli soci. Siffatta impostazione è stata criticata, perché accolla sui creditori il gravoso onere probatorio di individuare e distinguere i beni personali del coniuge debitore da quelli che ricadono in comunione; operazione che risulta pressoché impossibile con riferimento ai beni mobili non registrati i cui trasferimenti sono privi di trascrizioni o altri mezzi di pubblicità (Bruscuglia, 349; Russo, 50). Per tale motivo, altra parte della dottrina, pur continuando a configurare la sussidiarietà dell'art. 189 c.c. come condizione di procedibilità dell'azione esecutiva, sostiene, nell'intento di mitigare il gravoso onere probatorio postulato dalla tesi precedente, che detta condizione sia soddisfatta con la semplice richiesta dei creditori al coniuge debitore di indicare i beni personali su cui possono agire in via prioritaria, secondo la disciplina della delegazione cumulativa di pagamento (art. 1268, comma 2, c.c.), che prevede che il creditore non può rivolgersi al delegante se prima non ha richiesto al delegato l'adempimento (c.d. beneficium ordinis). (Breccia, 818; Bianca, 652). Tale soluzione è criticata da chi fa notare che la disciplina della delegazione di pagamento non può applicarsi nel caso di specie, ove, a differenza della prima, il destinatario della richiesta coincide con il soggetto passivo dell'obbligazione, con la conseguenza che la preventiva richiesta dell'indicazione dei beni personali rischierebbe di permettere l'esecuzione forzata sui soli beni volontariamente indicati dallo stesso debitore (Bruscuglia, 350). La terza e prevalente tesi dottrinale interpreta la sussidiarietà in modo analogo al modello normativo dell'art. 2268 c.c. in materia di società di persone, sicché l'altro coniuge del debitore ha l'onere di indicare ai creditori procedenti altri beni personali del coniuge debitore su cui possono soddisfarsi prima di aggredire la comunione legale (c.d. beneficium excussionis) (Schlesinger, 434; Oppo, 112; Corsi, 162 ss.; Gionfrida-Daino, 64; Di Martino-Rovera, 231; Galasso, 429). Si dà atto di una quarta interpretazione secondo cui, essendo il coniuge debitore titolare tanto dei beni personali, su cui i suoi creditori particolari possono soddisfarsi in via prioritaria, quanto dei beni in comunione, aggredibili in via sussidiaria ai sensi dell'art. 189, la sussidiarietà assumerebbe un rilievo esclusivamente interno al patrimonio del coniuge, e configurerebbe una limitazione legale,ex art. 2740, comma 2, c.c., della responsabilità patrimoniale generica del debitore, determinando la postergazione esecutiva dei beni della comunione legale rispetto a quelli esclusivamente personali. Ed infatti, considerato che i creditori non possono sapere quali beni del patrimonio del debitore sono comuni e quali personali, i creditori avrebbero la possibilità di agire su tutti, dovendo poi il debitore eccepire in sede di opposizione all'esecuzione la natura comune dei beni che risultano aggrediti prioritariamente al fine di paralizzare la procedura. Siffatta corrente di pensiero assicurerebbe lo sgravio dell'onere probatorio dei creditori di individuazione dei beni personali del debitore da aggredire in via prioritaria, traslandolo sui coniugi durante il procedimento esecutivo (Bruscuglia, 351; Paladini, 605 ss.).

Una pronuncia fondamentale in subiecta materia è rappresentata dalla sentenza, Cass. n. 6575/2013, in cui, la Suprema Corte, facendo proprio l'orientamento della dottrina prevalente, afferma che l'espropriazione, per debiti personali di un solo coniuge, di un bene (o di più beni) in comunione deve avere ad oggetto il bene nella sua interezza e non la metà di esso, fermo restando che il 50% del ricavato dalla vendita forzata del bene deve essere incamerato dal coniuge non esecutato al lordo delle spese della procedura. Tale principio di diritto è la conseguenza logico giuridica della qualificazione della comunione legale tra coniugi come una comunione senza quote, espressione della proprietà solidale dei coniugi sui beni che ne fanno parte, enunciata dalla Corte Costituzionale nella storica sentenza, Corte cost. n. 311/1988. La soluzione adottata nella sentenza, Cass. n. 6575/2013 è stata confermata in sentenza Cass. 11175/2015 e, da ultimo, in sentenza Cass. n. 6230/2016 della medesima autorità giudiziaria, ove, sulla base del suddetto principio di diritto, è stata confermata la pronuncia di merito gravata, che aveva rigettato l'opposizione di terzo a pignoramento immobiliare proposta ex art. 619 c.p.c. dalla moglie nell'ambito di una procedura esecutiva esperita da una Banca per un'obbligazione inadempiuta del marito, e fondata, giustappunto, sulla presunta illegittima estensione del pignoramento all'intero immobile e non alla quota di metà spettante al coniuge obbligato. Si può apprezzare la fondamentale importanza della sentenza, Cass. n. 6575/2013 dal fatto che, avendo preso posizione precisa sulla questione, ha risolto un contrasto sorto in giurisprudenza di merito, ove alle pronunce che già correttamente ammettevano la legittimità del pignoramento immobiliare eseguito sull'intero bene in comunione legale se ne contrapponevano altre che ritenevano corretto il pignoramento compiuto soltanto sulla quota di metà del bene di spettanza del coniuge obbligato, orientamento da considerarsi erroneo sia perché configura la contitolarità dei coniugi sui beni della comunione legale alla stessa stregua della contitolarità di beni in comunione ordinaria, mortificando i caratteri genetici e funzionali della comunione coniugale, sia perché non rispecchia il dato normativo dell'art. 189, ove il limite per l'esecuzione da parte dei creditori personali di un coniuge è rappresentato dal valore della quota spettante al coniuge obbligato sull'intera comunione e non su singoli beni. Oramai la giurisprudenza di merito si è uniformata al ditkat della Cassazione; in alcune pronunce è stato consentito al creditore che aveva inizialmente trascritto il pignoramento solo sulla quota di metà di un bene immobile, di integrare il pignoramento estendendolo all'intero bene, proprio in considerazione del nuovo trend giurisprudenziale inaugurato dalla pronuncia di in commento. (cfr. Trib. Enna ord., 4 maggio 2015; Trib. Massa ord., 17 maggio 2015; Trib. Campobasso, 17 maggio 2013; Trib. Cassino, 17 marzo 2014), sebbene sussiste ancora incertezza sul momento entro cui compiere tale integrazione, avendo i Tribunali citati, adottato soluzioni diverse (il momento utile per l'integrazione è stato fissato a volte nella data di segnalazione dell'esperto al giudice che la trascrizione è stata eseguita solo sul 50% del bene; oppure nella concessione del termine per l'introduzione del giudizio di divisione; o ancora nel momento antecedente alla celebrazione dell'udienza di cui all'art. 600 c.p.c.; o fino a quando non è stata disposta la divisione previa celebrazione della udienza ex art. 569 c.p.c.; o infine fino a quando non è stata ancora disposta la vendita o concesso il termine per l'introduzione del giudizio di divisione). In merito alla natura giuridica della sussidiarietà, si segnala la sentenza della Cass. n. 3471/2007 che accoglie la vecchia teoria della dottrina tradizionale che la configura come condizione di procedibilità dell'esecuzione ad opera dei terzi, assumendo che il creditore che, ai sensi dell'art. 189, voglia agire anche nei confronti del coniuge del suo debitore, deve dimostrare non solo che il convenuto è coniuge dello stipulante, ma anche che i beni della comunione non sono sufficienti ad estinguere l'obbligazione e che l'unico debitore principale, il coniuge stipulante, non abbia adempiuto l'obbligazione, assunta esclusivamente a suo carico. La Cassazione ha dunque avallato in questa pronuncia un orientamento criticato dalla dottrina, perché accusato di porre a carico del creditore procedente un onere probatorio troppo gravoso in ordine all'individuazione dei beni personali del coniuge debitore e di quelli in comunione legale. Quest'orientamento non esclude, tuttavia, la fondatezza e correttezza della tesi secondo cui la sussidiarietà nell'art. 189 si atteggia alla stessa stregua del beneficium excussionis previsto in materia di società di persone dall'art. 2268 c.c. Ove, infatti, i creditori abbiano proceduto infruttuosamente in via esecutiva sui beni che apparivano, alla luce delle circostanze di fatto o di diritto, beni personali del coniuge debitore, e successivamente intentino una seconda, sussidiaria, procedura esecutiva sui beni in comunione, spetterà all'altro coniuge, nell'opposizione a pignoramento, indicare che i beni aggrediti sono suoi personali e non in comunione, oppure che sussistono altri beni personali del coniuge obbligato da poter aggredire prima di procedere con l'esecuzione forzata del bene pignorato; soluzione questa espressa dalla stessa Corte di Cassazione, Cass. n. 7169/1997; Cass. n. 6662/1992, a Cass. S.U. , n. 718/1997. Da segnalare infine due pronunce della S.C. che hanno regolato casi che incidentalmente riguardano l'ambito di applicazione dell'art. 189: la Cass. n. 25865/2013 ove si evidenzia che i creditori particolari di uno dei coniugi che siano pignoranti o intervenuti nel processo esecutivo avente ad oggetto un bene formalmente intestato soltanto al coniuge esecutato, ed escluso dalla comunione legale, godono della tutela di cui all'art. 2915, comma 2, c.c., anche rispetto alla domanda di accertamento della comunione legale avanzata dal coniuge non acquirente. Pertanto l'eventuale sentenza di accoglimento di tale domanda non può pregiudicare i loro diritti, quando il pignoramento del bene che ne forma oggetto sia stato trascritto prima della trascrizione della domanda di accertamento della comunione legale; e la Cass. n. 5487/1999 che con riferimento all'obbligazione assunta separatamente da uno dei coniugi in regime di comunione legale, precisa che l'altro coniuge non assume la posizione di co-obbligato solidale ma rileva soltanto sotto il (diverso) profilo dell'invocabilità, da parte del terzo creditore, della garanzia dei beni della comunione ovvero del coniuge non stipulante ex art. 189, con la conseguenza che, adempiuta in toto l'obbligazione nei confronti del terzo creditore, il coniuge personalmente obbligatosi ha diritto alla restituzione, da parte dell'altro coniuge, della metà della somma versata.

Il limite della quota.

L'espressione «... fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato ...» contenuta in entrambi i commi dell'art. 189 quale limite dell'esecuzione sui beni della comunione imposto ai creditori particolari di un coniuge, ha dato adito a diverse interpretazioni. Un primo orientamento sostiene che tale limite riguarderebbe ogni singolo bene della comunione legale, con la conseguenza che il creditore dovrebbe esperire il procedimento dell'espropriazione di beni indivisi (artt. 599 ss. c.p.c.), analogamente a ciò che si verifica in ipotesi di comunione ordinaria, al fine di ottenere dalla vendita forzata del bene il valore corrispondente alla quota del cinquanta per cento, di cui sarebbe titolare il coniuge debitore. Tale opzione appare agli autori che la sostengono l'unica in grado di assicurare l'equo contemperamento tra le ragioni del creditore e l'interesse patrimoniale del coniuge non debitore a non veder pregiudicate le sue pretese su ciascun cespite oggetto della comunione, dalle scelte assunte dall'altro coniuge (Schlesinger, 435 ss.; Malagù, 67 ss.; Mastropaolo-Pitter, 271 ss.). Una seconda tesi ritiene che il creditore possa agire esecutivamente sul bene in comunione per l'intero, ma per conseguirne una somma non eccedente la quota della metà del ricavato dalla vendita forzata, che è di spettanza del coniuge debitore (Oppo, 111;Finocchiaro A. e M., 1984, 1113). Un ultimo orientamento afferma che il valore della quota del coniuge obbligato deve essere calcolato non con riferimento al singolo cespite, bensì all'intera massa della comunione legale, in modo che l'azione esecutiva del creditore particolare, pur svolgendosi su ciascun bene per l'intero, non gravi complessivamente per un ammontare di valore superiore alla metà dell'intero patrimonio comune (Corsi, 165 ss.; Gabrielli, 156 ss.; Cian-Villani, 372 ss.; Barbiera, 114; Acone, 9; Stanzione, 1091 ss.; Gionfrida Daino, 62; De Falco, 120; De Paola, 633; Bruscuglia, 357 ss.; Arrigo, 569; Parente, 824). Tale ultima opzione ermeneutica, sostenuta dalla dottrina prevalente, si lascia preferire alle altre due sia perché più aderente al dato letterale, che estende la responsabilità della comunione legale fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato, senza porre alcun riferimento ai singoli beni che la compongono, sia perché più coerente con la concezione della comunione legale in termini di «proprietà solidale», nella quale la «quota» non costituisce elemento strutturale della contitolarità tra coniugi, come affermato nella nota sentenza dalla Corte cost. n. 311/1988 più volte richiamata. È stato obiettato che l'applicazione del suddetto criterio, in virtù del quale il creditore del coniuge obbligato può agire in esecuzione su tutta la massa patrimoniale in comunione legale, potrebbe cagionare involontariamente il superamento del limite della quota di metà del coniuge debitore in caso di contemporanee procedure esecutive intentate da più debitori; ma si tratta di un problema facilmente superabile; l'altro coniuge, infatti, potrebbe richiedere durante una delle procedure esecutive la stima del valore complessivo della comunione legale, così da determinarne la quota su cui l'esecutante può soddisfarsi, ed allegare tale consulenza estimatoria nelle altre procedure esecutive che si stanno svolgendo contestualmente (A. e M. Finocchiaro A. e M., 1111). Nell'ipotesi di esecuzione eseguite, stavolta, in tempi diversi, il valore della quota del coniuge obbligato dovrà essere calcolato sulla base della consistenza del patrimonio comune nel momento di attivazione del procedimento esecutivo, tenendo conto, quindi, della riduzione della sua entità determinata dalle precedenti esecuzioni (Arrigo, 570; De Paola, 633; Mastropaolo-Pitter, 269).

L'interpretazione sostenuta dalla dottrina prevalente, ed assolutamente preferibile, secondo cui il limite per l'esecuzione da parte dei creditori personali di un coniuge è rappresentato dal valore della quota spettante al coniuge obbligato sull'intera massa patrimoniale  e non sulla metà di ogni singolo bene è stata caldeggiata in giurisprudenza di merito da Trib. Reggio Emilia, ord. 13 novembre 2007; Trib. Bari, ord. 21 marzo 2007 e dalla Cass. S.U n. 7640/1998. Si confronti la giurisprudenza del paragrafo precedente, ove si segnala che alcuni Tribunali ritenevano corretto il pignoramento pro quota di metà sui beni immobili della comunione legale, fino all'emanazione della sentenza, Cass. n. 6575/2013 che ha oramai chiarito che il pignoramento debba investire i beni della comunione legale nella loro interezza (recentemente in tal senso si è espressa ancora la Cass. n. 1647/2023 e n. 506/2021, secondo cui la natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l'espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà o per una quota; ne consegue l'inapplicabilità della disciplina sull'espropriazione dei beni indivisi e, quindi, dell'art. 599 c.p.c.). Proprio in funzione di tale principio, ,el caso di espropriazione di un bene in comunione legale per crediti personali di un solo coniuge, la trascrizione del pignoramento va eseguita anche nei confronti del coniuge non debitore, in quanto anch'egli soggetto passivo dell'espropriazione, considerato che nella struttura di fattispecie a formazione progressiva del pignoramento immobiliare la formalità pubblicitaria ha la funzione di completare il pignoramento e di renderlo opponibile ai terzi, dovendosi dar conto della natura di cespite in comunione legale nel quadro "D" della nota di trascrizione (in tal senso Cass. n. 9536/2023). La natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l'espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà o per una quota; ne consegue l'inapplicabilità della disciplina sull'espropriazione dei beni indivisi e, quindi, dell'art. 599 c.p.c. , norma che impone al creditore di dare avviso dell'esecuzione forzata ai comproprietari (Cass. III, ord. n. 1647/2023). Per il debito di uno dei coniugi legittimamente è sottoposto ad esecuzione, nella sua interezza, il bene ricadente nella comunione legale con l'altro coniuge, non potendosi, pertanto, riconoscere a quest'ultimo il diritto di caducare gli atti della procedura né di ottenere la separazione di parti o quote del bene staggito, salva la corresponsione, in sede di distribuzione, della metà del ricavato lordo della vendita, dovuta in dipendenza dello scioglimento, limitatamente a quel bene, della comunione senza quote (Cass. III, ord. n. 150/2023). Nella disciplina del diritto di famiglia, in relazione alle obbligazioni contratte da uno solo dei coniugi nell'interesse della famiglia, il creditore che, ai sensi dell'art. 189 c.c., voglia agire anche nei confronti del coniuge dello stipulante, deve dimostrare non solo che il convenuto è coniuge dello stipulante, ma anche che i beni della comunione non sono sufficienti ad estinguere l'obbligazione e che l'unico debitore principale, il coniuge stipulante, non abbia adempiuto l'obbligazione, assunta esclusivamente a suo carico (Cass. II, ord. n. 31856/2024; conf. Cass. n. 3471/2007). In tema di espropriazione forzata di un bene in comunione legale promossa dal creditore particolare di uno dei coniugi, la notifica dell'atto di pignoramento al coniuge non debitore ha natura di mera denuntiatio (equiparabile, quanto agli effetti, all'avviso ex art. 599 c.p.c.) dell'avvenuta sottoposizione a vincolo del bene in contitolarità; qualora, tuttavia, detto atto sia in concreto strutturato come un pignoramento (rechi cioè l'ingiunzione ad astenersi, gli avvisi e gli avvertimenti previsti dall'art. 492 c.p.c.), il coniuge non debitore assume le vesti di esecutato, sicché è legittimo l'intervento nella procedura di suoi creditori personali e il concorso di questi nella distribuzione della quota del ricavato di spettanza di tale coniuge (Cass. III, n. 1181/2025).

L'esecuzione sui beni della comunione

Ci si è chiesti se il titolo esecutivo già posseduto dai creditori particolari nei confronti del coniuge debitore, e su cui hanno attivato infruttuosamente la procedura esecutiva sui suoi beni personali, sia sufficiente ai fini dell'esperimento della procedura esecutiva sussidiaria sui beni della comunione, oppure se debbano procurarsene uno nuovo nei confronti anche dell'altro coniuge, che ne è contitolare. La dottrina unanime caldeggia la prima delle due soluzioni proposte, tant'è che si parla di «efficacia automatica» del titolo esecutivo anche nei confronti del coniuge non debitore, che deriverebbe ope legis dal disposto dell'art. 189 in commento (Cappiello, 588; Tommaseo, 195 ss.). Poiché la responsabilità patrimoniale generica del coniuge debitore comprende, ai sensi dell'art. 2740 c.c., anche i beni della comunione legale, sebbene nei limiti della «quota», conseguentemente, il titolo esecutivo nei suoi confronti assume valenza per effetto del suo «oggettivo» ambito di efficacia e consente l'esecuzione forzata sui beni della comunione legale. Al riguardo si afferma che la posizione giuridica del coniuge non debitore si qualifica come una «responsabilità senza debito» per obbligazioni assunte dall'altro coniuge, di cui subisce l'esecuzione pur non essendogli riferibili soggettivamente (Gionfrida Daino, 69); e si esclude, altresì, la sua assunzione di una posizione di garante legale delle obbligazioni contratte dall'altro per esigenze personali o in violazione delle regole di amministrazione dei beni comuni (Luiso, 1984, 353; Mastropaolo-Pitter, 271; Minneci, 372). Ciononostante l'altro coniuge indubbiamente patisce l'esecuzione dei beni della comunione, essendone proprietario solidalmente. Merita credito la tesi della responsabilità senza debito, perché illustra icasticamente il pregiudizio subìto dal coniuge non debitore per effetto dell'esecuzione ultra partes operata dai creditori particolari del coniuge obbligato sulla base di un titolo esecutivo posseduto solo nei confronti di quest'ultimo (in tal senso Luiso, op. loc. ult. cit.). Si potrebbe obiettare che l'altro coniuge non subisce alcun pregiudizio patrimoniale, dal momento che l'esecuzione sussidiaria sui beni della comunione non va ad intaccare il valore della sua quota di metà della comunione; ma tale obiezione non coglie nel segno, perché il coniuge non debitore subisce, eccome, pregiudizio. Si pensi all'ipotesi in cui la comunione legale è composta da un solo bene immobile, oltre alla casa coniugale, che il creditore particolare del coniuge provvede a pignorare. Sebbene il creditore potrà incamerare la metà del prezzo liquidato a seguito della vendita forzata, mentre l'altra metà sarà devoluta al coniuge non debitore, occorre considerare il pregiudizio patrimoniale che quest'ultimo subisce dalla svalutazione del bene, se viene alienato ad un prezzo non corrispondente al suo valore di mercato, oppure dalla mancata percezione di proventi futuri, laddove l'immobile fosse stato ceduto in locazione a terzi; e non va trascurato che il coniuge non debitore potrebbe subire anche un pregiudizio morale per la cessione di un bene cui era legato affettivamente. Dall'accoglimento della tesi secondo cui l'esecuzione sussidiaria ex art. 189 c.c. si riferisce all'intera massa patrimoniale in comunione legale, fino al limite del valore della quota del coniuge obbligato, si ricava, secondo parte della dottrina, che il creditore pignorante non deve attivare il procedimento di espropriazione di beni indivisi ex artt. 599-601 c.p.c., né quello di espropriazione contro il terzo proprietario (artt. 602-604 c.p.c.), posto che il debitore esecutato è proprietario dei beni aggrediti solidalmente all'altro coniuge; ma deve agire sul singolo cespite in comunione nelle stesse forme e con le stesse modalità con cui agirebbe se l'esecuzione si svolgesse su beni appartenenti esclusivamente al coniuge debitore. Il procedimento esecutivo esperibile deve ritenersi, in definitiva, quello di espropriazione ordinaria contro il debitore, a nulla rilevando, sul piano processuale, che il soggetto debitore non coincida col coniuge formalmente titolare in modo esclusivo del diritto oggetto di esecuzione (Luiso, 190). Tuttavia, alla luce delle considerazioni svolte nei paragrafi precedenti, il coniuge non debitore, al pari di qualunque altro soggetto che pretenda di vantare diritti sul bene pignorato, ha la facoltà di proporre opposizione di terzo all'esecuzione, eccependo che il bene pignorato non fa parte della comunione legale, ma appartiene, al contrario, al suo patrimonio personale; può proporre altresì opposizione all'esecuzione eccependo l'esistenza di beni personali del coniuge debitore su cui il creditore pignorante deve soddisfarsi prima di proseguire con la vendita forzata dell'immobile in comunione pignorato (cfr. supra).

Parte della dottrina, come visto, sostiene la inapplicabilità della procedura di espropriazione di beni indivisi ex art 599 ss. c.p.c. ai pignoramenti di immobiliari in comunione legale, che trova il suo campo applicativo privilegiato nei confronti dei comproprietari di immobili in comunione ordinaria, la cui contitolarità per quote è inconciliabile con la contitolarità senza quote e con la natura di proprietà solidale che caratterizzano la comunione legale dei coniugi. Tale assunto non è stato recepito dalla giurisprudenza di legittimità, la quale, diversamente, non solo ammette, ma reputa imprescindibile, pena l'invalidazione dell'intera procedura da far valere con l'opposizione agli atti esecutivi, l'applicazione di tale procedimento al fine di far conoscere al coniuge non debitore l'esistenza del pignoramento, sì da consentirgli di proporre le eccezioni di cui agli artt. 187 e 189 c.c. Questo orientamento è stato affermato con forza dalle S.U. della Cassazione in sentenza, Cass. S.U., n. 6662/1992 confermato nelle sentenze pronunce, Cass. n. 7169/1997 e Cass. n. 718/1999 e più recentemente Cass. n. 6575/2013, Cass. n. 11175/2015 e, da ultimo, in sentenza Cass. n. 6230/2016, ove gli Ermellini elencano ed illustrano il ventaglio dei rimedi processuali esperibili dal coniuge non debitore per resistere all'esecuzione sui beni della comunione attivata, in via sussidiaria, dai creditori particolari dell'altro coniuge. Ferma restando la necessità della notifica nei suoi confronti del pignoramento immobiliare ai sensi dell'art. 599 c.p.c., il coniuge non obbligato può proporre opposizione di terzo, non per escludere la sua quota di metà del bene in natura, dal momento che la comunione legale è senza quota e determina la proprietà solidale dei coniugi su tutti i beni che ne fanno parte, ma per eccepire la estraneità del bene pignorato alla comunione oppure la presenza di ulteriori beni personali del coniuge debitore utilmente aggredibili per il soddisfacimento del credito (il rimedio dell’opposizione all’esecuzione è postulato anche in Cass. n. 22210/2021); può proporre altresì opposizione agli atti esecutivi, per fare valere le nullità di quelli, fra questi, che comportino la violazione o la limitazione del suo diritto alla metà del controvalore del bene, come pure quelli che incidano sulla pienezza di quest'ultimo, se relativi alle operazioni di vendita o assegnazione; non può invece proporre opposizione del terzo proprietario ex artt. 602 ss. c.p.c., come sostenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalente (in tal senso anche Cass. n. 6575/2013; Cass. n. 19689/2014; Cass. n. 16273/2014), ostandovi la configurazione della comunione legale come «senza quote» e, quindi, l'impossibilità di ricostruire il coniuge non debitore come proprietario esclusivo di una parte, anche solo ideale, del bene da aggredire esecutivamente. Tale principio è stato confermato recentemente dalla Cass. n. 150/2023 secondo cui, per il debito di uno dei coniugi, è legittimamente sottoposto ad esecuzione, nella sua interezza, il bene ricadente nella comunione legale con l'altro coniuge, non potendosi, pertanto, riconoscere a quest'ultimo il diritto di caducare gli atti della procedura né di ottenere la separazione di parti o quote del bene staggito, salva la corresponsione, in sede di distribuzione, della metà del ricavato lordo della vendita, dovuta in dipendenza dello scioglimento, limitatamente a quel bene, della comunione senza quote. Il riserbo mostrato dalla dottrina circa l'applicazione dell'art. 599 c.p.c. può considerarsi in astratto condivisibile, dal momento che il procedimento di espropriazione di beni indivisi è fisiologicamente destinato ad applicarsi ai pignoramenti di immobili in comunione ordinaria, da cui la comunione legale si distingue nettamente per finalità e struttura, ma è, de iure condito, l'unica opzione ermeneutica possibile per non frustrare il diritto di difesa del coniuge non obbligato, che potrebbe in teoria non venire a conoscenza dell'esistenza del pignoramento sul bene in comunione e quindi non sarebbe messo in condizione di esercitare le prerogative difensive analiticamente elencate nelle sentenze richiamate.

La postergazione dei creditori chirografari rispetto ai creditori della comunione

L'ultima parte del comma 2 dell'art. 189 prevede che ai creditori particolari dei coniugi, se chirografari, sono preferiti quelli della comunione legale. Mentre parte della dottrina critica la disposizione perché introduce un'ulteriore ed ingiustificata disparità di trattamento tra i creditori (Gabrielli, 157), un altro autore la giustifica, asserendo che, in vista di un potenziale conflitto tra creditori della comunione e creditori particolari di un coniuge, che agiscono simultaneamente sui beni comuni, il legislatore ha inteso porre una graduazione delle esecuzioni fondata sulla riferibilità del patrimonio aggredito alla causa del credito (Bruscuglia, 363). Quest'impostazione appare convincente per le seguenti considerazioni: secondo i principi generali in materia di regime patrimoniale dei coniugi, la comunione legale è responsabile per le obbligazioni contratte congiuntamente dai coniugi e per quelle contratte anche singolarmente ma nell'interesse della famiglia (art. 186 c.c.), mentre per le obbligazioni contratte da un solo coniuge prima del matrimonio, o in un momento successivo, ma per un interesse estranei ai bisogni della famiglia, o in violazione delle norme sull'amministrazione congiunta, ne risponde il coniuge che le contrae con i suoi beni personali; fatta questa premessa, eccezionalmente il legislatore consente (art. 189 c.c.) ai creditori particolari del coniuge di aggredire in via sussidiaria anche i beni della comunione, nei limiti della quota del coniuge debitore, per consentirne la soddisfazione del credito, ove il patrimonio personale del coniuge obbligato sia risultato insufficiente; ma la proponibilità di quest'azione esecutiva, in via sussidiaria, non può andare a detrimento dei creditori che hanno il diritto di agire sui medesimi beni, in via prioritaria, essendo il patrimonio in comunione responsabile funzionalmente proprio per le obbligazioni contratte nell'interesse della famiglia. È coerente, pertanto, con il sistema normativo della famiglia che l'eventuale conflitto che possa sorgere tra creditori particolari di un coniuge e creditori della comunione nell'ipotesi di procedure esecutive esperite simultaneamente sui beni della comunione legale, la posizione dei primi debba recedere di fronte a quella dei secondi. Si è argutamente osservato che il legislatore ha introdotto un «privilegio in senso tecnico» in favore dei creditori delle obbligazioni che rientrano nel campo di applicazione dell'art. 186 c.c. (Trevisan, 395 ss.; Gabrielli, 157); altri autori qualificano la postergazione dei creditori personali del coniuge come invece una «generica causa di prelazione», poiché la preferenza accordata ai creditori della comunione legale si ispira al differente criterio di collegamento tra credito e massa patrimoniale comune (Mastropaolo-Pitter, 278; Di Martino, 237; Galasso, 443); opinione non condivisibile perché contrasta coi dati normativi, prevedendo l'art. 2741, comma 2, c.c. che le sole cause legittime di prelazione sono costituite dall'ipoteca, dal pegno e dai privilegi.

Bibliografia

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