Codice Civile art. 181 - Rifiuto di consenso (1).

Gustavo Danise
aggiornato da Francesco Bartolini

Rifiuto di consenso (1).

[I]. Se uno dei coniugi rifiuta il consenso per la stipulazione di un atto di straordinaria amministrazione o per gli altri atti per cui il consenso è richiesto, l'altro coniuge può rivolgersi al giudice [38 2 att.] per ottenere l'autorizzazione nel caso in cui la stipulazione dell'atto è necessaria nell'interesse della famiglia o dell'azienda che a norma della lettera d) dell'articolo 177 fa parte della comunione.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 60 l. 19 maggio 1975, n. 151. L'art. 55 della stessa legge, ha modificato l'intitolazione di questa Sezione e soppresso la suddivisione in paragrafi.

Inquadramento

L'art. 181  predispone un rimedio  per risolvere il disaccordo dei coniugi sul compimento di un atto di straordinaria amministrazione. La norma prevede la possibilità di ricorrere al giudice affinchè autorizzi l'atto in luogo del coniuge dissenziente, se l'atto persegue gli interessi superiori della famiglia e dell'azienda familiare. Le norme codicistiche sulla comunione legale si applicano anche alle unioni civili se non disposto diversamente dai costituenti con convenzione matrimoniale come sancito dall'art. 1 comma 13 l. n. 76/2016.

L'autorizzazione giudiziale al compimento dell'atto rifiutato

La disposizione in commento va correlata all'art. 180 comma 2 c.c. di cui mira ad assicurare la proficua applicabilità. Infatti, la norma prevede un procedimento di risoluzione di un conflitto tra i coniugi circa il compimento di un atto di straordinaria amministrazione, per il quale è richiesto dall'art. 180 cpv c.c. il consenso e la partecipazione di entrambi. Sotto questo profilo, la norma mira a perseguire la concreta realizzazione degli interessi superiori della famiglia e dell'azienda familiare, che rischierebbero di essere compromessi dai capricci o dall'inesperienza di un coniuge che rifiuti il compimento di un atto vantaggioso per il nucleo familiare. Altra finalità è quella di preservare un coniuge dai ricatti dell'altro, ove pretenda altri vantaggi per prestare il consenso al compimento dell'atto (Bruscuglia, 265). La risoluzione del conflitto avviene mediante autorizzazione del giudice, adito dal coniuge interessato, al compimento dell'atto pur senza il consenso dell'altro coniuge. L'art. 181 costituisce, quindi, una delle norme che prevedono l'intervento giudiziale per superare il dissidio familiare (le altre sono contenute negli artt. 145,155 e 316 c.c.). Il dato che accomuna tali disposizioni è la necessità di preservare un interesse superiore alle parti. (Roppo). L'intervento giudiziale rientra nell'ambito della volontaria giurisdizione, per cui il procedimento si instaura con ricorso avanti al tribunale del luogo in cui è stabilita la residenza familiare o in cui uno dei coniugi ha il proprio domicilio. Il Tribunale decide, in camera di consiglio (art. 737 ss. c.p.c.), con decreto, sentito il pubblico ministero e l'altro coniuge in sede di sommarie informazioni (art. 738, ult. comma, c.p.c.). Il provvedimento è reclamabile, entro dieci giorni dalla comunicazione, avanti alla Corte d'Appello (Attardi, 25 ss.; Santarcangelo, 5). Quanto ai presupposti per il ricorso al giudice, parte della dottrina, sposando un'interpretazione meramente letterale e restrittiva della norma, sostiene che l'intervento giudiziale sia attivabile solo per il compimento di un atto «necessario» a preservare l'interesse della famiglia o dell'azienda in comunione legale (Schlesinger, 184; Gabrielli, I rapporti patrimoniali, 1981, 144; Cartoni Moscatelli, 597 ss.; De Paola, 552; Galasso, 327). Altri autori propendono per una lettura estensiva della disposizione che tende ad ammettere il ricorso al giudice anche in caso di rifiuto di un coniuge al compimento di un atto non propriamente necessario ed imprescindibile, ma certamente «utile» ad assicurare il consolidamento o l'incremento del patrimonio familiare o aziendale (Finocchiaro A. e M., 533; Ziccardi, 113; Santosuosso, 222-223). Altro problema interpretativo che ha diviso la dottrina attiene all'individuazione del momento in cui è possibile richiedere l'intervento del giudice. Sul punto si contendono il campo due orientamenti contrapposti: secondo il primo, l'autorizzazione del giudice deve essere preventiva e preordinata al compimento dell'atto; i fautori della seconda impostazione ammettono che l'autorizzazione del giudice possa intervenire anche successivamente alla stipula dell'atto da parte del coniuge interessato. I fautori di questa seconda impostazione osservano che l'autorizzazione del giudice si risolve di fatto in un giudizio di convenienza e meritevolezza dell'atto proposto dal coniuge interessato, che pertanto può intervenire anche successivamente al compimento dell'atto medesimo, sanandone il vizio genetico costituito dalla mancata partecipazione del coniuge dissenziente richiesta dall'art. 180 c.c. Infatti, a differenza dell'autorizzazione al compimento di un atto di straordinaria amministrazione per minori, inabilitati ed interdetti, che deve essere necessariamente preventiva perché posta a tutela del patrimonio di un incapace, l'autorizzazione richiesta dall'art. 181 mira a tutelare l'interesse del coniuge ricorrente a poter disporre nell'interesse della famiglia o dell'azienda superando la ritrosia o i ricatti dell'altro coniuge. In questa prospettiva si è anche sostenuto che in caso di proposizione della domanda di annullamento dell'atto di straordinaria amministrazione compiuto da un solo coniuge azionata dal coniuge pretermesso ai sensi dell'art. 184 c.c., l'altro coniuge può presentare il ricorso ex art. 181 innanzi al giudice per sanare l'atto dal vizio genetico di legittimazione a disporre che lo rende annullabile (Gabrielli, Le autorizzazioni giudiziali nella disciplina dei rapporti patrimoniali, 38 ss.; Gabrielli-Cubeddu, 126-128). I sostenitori della contrapposta tesi evidenziano che la disposizione in questione non mira a tutelare uno dei due coniugi, ma risponde all'esigenza di coniugare gli interessi della famiglia e dell'azienda con le regole codicistiche sull'amministrazione della comunione legale; pertanto, se si accoglie la prospettazione dell'opposta corrente di pensiero si consentirebbe al coniuge che ha stipulato l'atto da solo, di attendere di essere convenuto in giudizio, per eccepire soltanto allora l'utilità dell'atto nell'interesse della famiglia o dell'azienda, con la conseguenza di trasformare un requisito formale di validità dell'atto stesso in un presupposto sostanziale di mero fatto (Giusti, 154, Bruscuglia, 268; Anelli, 315). Lo scrivente non esita ad accordare preferenza alla prima delle tesi in commento: trasformare un'autorizzazione preventiva al compimento di un atto in una convalida ex post di un atto già stipulato costituisce un'operazione di chirurgia ermeneutica che si sostanza in un'abrogazione della disposizione in commento, perché il significato letterale e la finalità del legislatore ne verrebbero significativamente alterati, oltre a mettere a repentaglio i principi ispiratori dell'amministrazione della comunione legale, poiché ciascun coniuge tenderebbe a compiere atti di straordinaria amministrazione con disinvoltura, senza cercare il consenso dell'altro coniuge, confidando di poter bypassare le ristrette maglie dell'art. 180 c.c. mediante l'autorizzazione postuma del giudice. Ne consegue che il ricorso ex art. 181 volto ad ottenere l'autorizzazione al compimento di un atto in realtà già stipulato dovrebbe essere definito dal Tribunale in rito con una pronuncia di inammissibilità per carenza dei presupposti della norma ovvero «con un non luogo a provvedere» appunto perché non vi è nulla da autorizzare essendo stato l'atto già stipulato dal coniuge ricorrente. Che la corretta interpretazione della norma debba rivolgersi a considerare, pertanto, l'autorizzazione giudiziale necessariamente come preventiva e rivolta a rimuovere l'ostacolo costituito dal dissenso dell'altro coniuge in merito al compimento di un atto vantaggioso per la famiglia o l'azienda familiare è fuori di dubbio; tuttavia, la tesi che si sta criticando ha indubbiamente il vantaggio di assicurare la tutela immediata degli interessi superiori della famiglia e dell'azienda, che potrebbero essere pregiudicati dai tempi lunghi della giustizia civile. Infatti, ben potrebbe accadere che si presenti un'occasione imperdibile ed impareggiabile che necessita di essere concretizzata in tempi brevissimi (ad es. l'acquisto di un immobile ad un prezzo basso da concludere entro un termine brevissimo previa l'alienazione dell'immobile, minacciata dal venditore, ad altro potenziale acquirente), e che un coniuge lo proponga all'altro ottenendone risposta negativa senza un apparente valido motivo; il coniuge interessato rischierebbe di veder sfumato l'affare a causa dei tempi tecnici necessari ad ottenere l'autorizzazione giudiziale preventiva ex art. 181, tenuto conto dei tempi di presentazione del ricorso, di notifica del decreto di fissazione d'udienza di comparizione alla controparte ed al PM (se il giudice non emette il provvedimento inaudita altera parte), di svolgimento dell'istruttoria processuale e di emissione del decreto autorizzatorio a scioglimento della riserva. Tenuto conto di questi aspetti, lo scrivente propone la seguente chiave di lettura, allo scopo di coniugare le esigenze di rapidità perseguite dalla tesi in commento con il contenuto letterale e teleologico della disposizione: il coniuge interessato al compimento dell'atto di straordinaria amministrazione, in caso di dissenso dell'altro coniuge, deve sempre adire il giudice con ricorso ai sensi dell'art. 181 per ottenerne l'autorizzazione preventiva; solo se subentri la necessità di stipulare l'atto nelle more del procedimento, il ricorrente potrà provvedervi rappresentando al giudice le motivazioni che l'hanno indotto a stipulare l'atto prima del conseguimento dell'autorizzazione giudiziale.

La disposizione in commento ha avuto scarsa applicazione; non si rinvengono molte pronunce che la riguardano. Le poche che si riscontrano nelle banche dati offrono chiarimenti sui presupposti fattuali e giuridici in presenza dei quali è attivabile il ricorso giudiziale ex art. 181. Si segnala ad es. la sentenza della Cass.n. 9513/1991 in cui gli Ermellini hanno precisato che l'autorizzazione giudiziale ex art. 181 è richiesta per il compimento di atti di straordinaria amministrazione o per la stipula di contratti per la concessione o per l'acquisto di diritti reali di godimento, e non è invocabile dal coniuge che, sostituendosi all'altro nell'azione nascente da un contratto preliminare, intenda conseguire ex art. 2932 c.c. una sentenza sostitutiva del contratto definitivo non concluso. Sempre in merito ai presupposti costitutivi dell'istituto, si ricorda la sentenza della Cass.n. 5201/1987 in cui si è statuito che in caso di gestione in comunione di un'azienda agricola, in virtù di un contratto agrario stipulato da uno solo dei coniugi, il diritto di prelazione agraria e quello sussidiario di riscatto non competono ad entrambi, ma solo a quello dei due che ha stipulato il contratto, salva la possibilità per l'altro di ricorrere al giudice a norma dell'art. 181 per ottenere l'autorizzazione al compimento dell'atto (accettazione della proposta contrattuale o esercizio del riscatto) non voluto dal primo e ritenuto necessario nell'interesse della famiglia o dell'azienda comune. In giurisprudenza di merito, si segnala una pronuncia in cui si ammette l'autorizzazione giudiziale ex art. 181, nelle more del giudizio di separazione personale tra i coniugi, per consentire l'alienazione di un bene con il cui ricavato provvedere all'estinzione di debiti altrimenti idonei a compromettere, mediante azioni esecutive, la consistenza del patrimonio familiare e l'adempimento degli obblighi di mantenimento (decr. Trib. Piacenza, 16 ottobre 1997).

Bibliografia

Anelli, L'amministrazione della comunione legale, in Tratt. Zatti, III, Milano, 2002, 315 ss.; Attardi, Profili processuali della comunione legale dei beni, in Riv. dir. civ. 1978, I, 25 ss.; Bruscuglia, Amministrazione dei beni della comunione legale, in Tratt. Bessone, Il diritto di famiglia, IV, 2, Torino, 1999; Cartoni Moscatelli, Il rifiuto di consenso, in La comunione legale, a cura di Bianca C.M., I, Milano, 597 ss.; De Paola, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, II, Milano, 1995; Finocchiaro A. e M., Riforma del diritto di famiglia, I, Milano, 1975; Gabrielli, I rapporti patrimoniali tra coniugi, Trieste, 1981; Gabrielli, Le autorizzazioni giudiziali nella disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi, in Riv. dir. civ. 1981, I, 38 ss.; Gabrielli-Cubeddu, Il regime patrimoniale dei coniugi, Milano, 1997, 126-128; Galasso, Del regime patrimoniale della famiglia, Art. 181, in Comm. S.B., Bologna-Roma, 2003, 327 ss.; Giusti, L'amministrazione dei beni della comunione legale, Milano, 1989; Roppo, Il giudice nel conflitto coniugale. La famiglia tra autonomia e interventi pubblici, Bologna, 1980; Santarcangelo, La volontaria giurisdizione, Regime patrimoniale della famiglia, IV, Milano, 1989; Santosuosso, Delle persone e della famiglia, in Comm. cod. civ., I, 1, Torino, 1983, 222 ss.; Schlesinger, in Comm. Cian-Oppo-Trabucchi, III, Padova, 1992, 184 ss.; Ziccardi, I beni personali del coniuge, in Il nuovo diritto di famiglia, Atti del Convegno organizzato dal sindacato Avvocati e Procuratori di Milano e Lombardia, Milano, 1976, 113 ss.

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