Codice Civile art. 197 - Limiti al prelevamento nei riguardi dei terzi (1).

Gustavo Danise

Limiti al prelevamento nei riguardi dei terzi (1).

[I]. Il prelevamento autorizzato dagli articoli precedenti non può farsi, a pregiudizio dei terzi, qualora la proprietà individuale dei beni non risulti da atto avente data certa. È fatto salvo al coniuge o ai suoi eredi il diritto di regresso sui beni della comunione spettanti all'altro coniuge nonché sugli altri beni di lui [621, 622 c.p.c.].

(1) Articolo così sostituito dall'art. 76 l. 19 maggio 1975, n. 151. L'art. 55 della stessa legge, ha modificato l'intitolazione di questa Sezione e soppresso la suddivisione in paragrafi.

Inquadramento

L'art. 197 prevede che i coniugi non possono procedere ai prelievi di beni mobili consentiti negli articoli precedenti se non provano con data certo il diritto di proprietà sugli stessi. La norma mira ad evitare frodi dei coniugi nei confronti dei creditori della comunione legale; infatti, i coniugi potrebbero rappresentare che tutti i beni mobili rinvenuti nella disponibilità di uno dei due siano personali al fine di ridurre la capienza del patrimonio in comunione in danno dei creditori della comunione medesima, che potrebbero aggredire i beni personali dei coniugi solo nei limiti della metà del credito. Al fine di scongiurare questa situazione, la disposizione in commento pone un aggravio notevole dell'onere probatorio dei coniugi consentendo loro di dimostrare la proprietà individuale dei beni mobili, ai fini del loro prelevamento dalla comunione, solo con atto di acquisto avente data certa La norma si applica anche alle parti di un'unione civile ex art. 1 comma 13 l. n. 76/2016.

I limiti al prelevamento nei riguardi dei terzi

Per la disposizione in commento valgono considerazioni analoghe a quelle svolte per l'art. 196 c.c. Infatti, l'art. 197 riproduce il contenuto dell'abrogato art. 230 c.c. che trovava, all'epoca, il proprio referente sistematico nell'art. 622 c.p.c., disposizione che vietava alla moglie del debitore il diritto di proporre opposizione di terzo all'esecuzione forzata, promossa dal creditore sui beni mobili rinvenuti nella casa coniugale, tranne che per i beni dotali o per quelli che ella provasse, con atto di data certa, esserle appartenuti prima del matrimonio o esserle pervenuti per donazione o successione a causa di morte. Sennonché, nonostante tale ultima disposizione sia stata espunta dall'ordinamento giuridico ad opera della Corte Costituzionale, il legislatore della riforma del diritto di famiglia ha comunque riprodotto la previsione dell'art 230 c.c., ma riferendone il contenuto ad entrambi i coniugi. Parte della dottrina si esprime in maniera critica su tale scelta del legislatore della riforma del diritto di famiglia, perché l'art. 197 introduce un'illogica limitazione della libertà di prova dei diritti dei coniugi nei confronti dei terzi che presenta evidenti profili di illegittimità costituzionale (Schlesinger, 452; Mastropaolo-Pitter, 388; Finocchiaro A. e M., 1193). Altra parte della dottrina, al fine di giustificare la scelta del legislatore, ne offre un'interpretazione restrittiva, secondo cui l'ambito di applicazione dovrebbe essere limitato ai soli beni mobili indicati nell'art. 195 c.c., che appartenevano al coniuge prima del matrimonio e che sono a lui pervenuti per successione o donazione, lasciando, invece, libertà di prova (anche per testimoni) per gli altri beni personali (Corsi, 169; Santosuosso, 327). La seconda parte della norma attribuisce, poi, al coniuge proprietario (o ai suoi eredi), che sia riuscito a dimostrare la natura personale di un determinato bene mobile nei confronti dell'altro coniuge, ma non nei confronti del terzo, che su tale bene abbia soddisfatto coattivamente la propria pretesa, il «diritto di regresso» sui beni della comunione spettanti all'altro coniuge nonché sugli altri beni di lui.

L'art. 230 c.c. abrogato recitava «Il prelevamento autorizzato dagli articoli precedenti non può farsi, a pregiudizio dei terzi, in mancanza di descrizione o di altro titolo di proprietà avente data certa. È tuttavia salvo alla moglie o ai suoi eredi il diritto di regresso sulla porzione che della comunione spetta al marito e anche sugli altri beni di lui»; la disposizione era ricollegabile all'art. 622 c.p.c. che in materia di opposizione a precetto stabiliva che «l'opposizione non può essere proposta dalla moglie convivente col debitore, relativamente ai beni mobili pignorati nella casa di lui, tranne che per i beni dotali o per i beni che essa provi, con atto di data certa, esserle appartenuti prima del matrimonio o esserle pervenuti per donazione o successione a causa di morte». Tale disposizione è stata espunta dall'ordinamento per effetto della pronuncia Corte cost. n. 143/1967 che ne ha dichiarato la illegittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. La Corte delle leggi, dopo aver premesso che la norma in commento riecheggia una situazione non più rispondente all'attuale posizione economica e sociale della donna nella famiglia e fuori di essa, appare irragionevole nella misura in cui nell'esecuzione forzata ordinaria, prevede restrizioni nella tutela del diritto di proprietà soltanto alla moglie, che potrebbe acquisire una propria posizione professionale e quindi acquistare beni con danaro proprio; perché obbliga la moglie a provare con atto di data certa l'appartenenza dei beni acquistati prima del matrimonio, mentre al marito la giurisprudenza ordinaria suole applicare l'art. 621 c.p.c. che consente maggiore libertà di prova. La Corte evidenzia che la norma indagata vulnera il principio di eguaglianza perché pone una diversità di tutela in ragione di una situazione dipendente dal sesso; precisa altresì che la norma è finalizzata ad evitare frodi in danno dei creditori, ma precisa che queste frodi possono avverarsi in danno dei creditori del marito così come in danno dei creditori della moglie; una diversa valutazione presupporrebbe uno stato di soggezione della moglie al marito, non più corrispondente alla posizione raggiunta dalla moglie nella famiglia, sulla base di una mutata coscienza sociale. È notorio che numerose altre disposizioni codicistiche dedicate alla famiglia sono state espunte dalla Corte Costituzionale perché presupponevano una irragionevole ed anacronistica disparità di trattamento tra marito e moglie; motivo che ha indotto il legislatore ad un ripensamento profondo del ruolo della donna nel matrimonio, espresso nella legge di riforma del diritto di famiglia l. n. 151/1975. Nell'ambito dell'innovativo sistema normativo dedicato al matrimonio, al rapporto coniugale ed al regime patrimoniale dei coniugi, il legislatore, ai fini che interessano il commento dell'art. 197, ha deciso di riprodurvi la norma «antifrode» contenuta nell'abrogato art. 229 c.c. parificando però le posizioni di marito e moglie, così da recepire l'insegnamento della Corte Costituzionale. In fase applicativa della disposizione in commento, si segnala la sentenza della Cass. n. 7372/2003 che ne ha offerto la seguente interpretazione sull'ambito di applicazione: la fattispecie concreta riguardava un'esecuzione forzata su beni mobili del marito, in uso alla moglie, con cui era coniugato in regime di comunione legale dei beni; esecuzione cui la moglie aveva proposto opposizione adducendo che i suddetti beni mobili fossero di sua proprietà esclusiva. I giudici di appello consideravano che i beni pignorati non potevano ritenersi essere stati acquistati dai coniugi in regime di comunione legale, per cui, essendo essi nell'esclusiva detenzione della moglie dopo l'avvenuta separazione, era a carico dei creditori la prova che i medesimi fossero stati acquistati in costanza di matrimonio e risultassero, perciò, in comunione. Avverso tale pronuncia proponevano ricorso per Cassazione i creditori pignoranti del marito, deducendo la violazione delle norme di cui agli artt. 186,195 e 197 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., censurando la impugnata decisione nella parte in cui il giudice di merito ha ritenuto che, data la posteriorità del titolo esecutivo rispetto alla separazione dei coniugi, era a carico dei creditori procedenti la dimostrazione che i beni oggetto del pignoramento appartenevano alla comunione. Assumono sul punto, che pure essendo la moglie soggetto terzo rispetto alla sentenza di condanna emessa a carico del solo marito, ciò non escludeva che i beni appartenenti in regime di comunione legale ai due coniugi potessero essere assoggettati ad espropriazione forzata, ai sensi dell'art. 186, lett. c), del codice civile, per un debito contratto separatamente da uno dei due coniugi nell'interesse della famiglia. In base a detta premessa i ricorrenti precisavano che sarebbe infondata sul piano giuridico l'affermazione del giudice di merito secondo cui, data la formazione successiva del titolo esecutivo rispetto alla separazione personale dei coniugi, dovrebbe, in tal caso, applicarsi la regola ordinaria in tema di onere della prova, piuttosto che la disciplina di cui agli articoli 195 e 197 c.c., secondo la quale si presume che i beni mobili esistenti nella casa coniugale al momento della separazione facciano parte della comunione e si prevede che il prelevamento autorizzato dei beni mobili, che il coniuge ha diritto di prendere per sé in quanto di sua esclusiva proprietà, non può farsi in pregiudizio dei terzi qualora la proprietà individuale non risulti da atto avente data certa. Aggiungevano ancora, i ricorrenti, che dalle norme degli articoli 195 e 197 c.c. emergerebbe sia il principio per il quale i beni mobili appartenenti ai coniugi, in regime di comunione dei beni, si presumono, in mancanza di prova contraria, come appartenenti alla comunione; sia il principio secondo cui nei confronti dei terzi, tra essi compresi anche i creditori di uno dei due coniugi, la prova della proprietà esclusiva, che il coniuge interessato volesse dare, può derivare solo da atto di data certa. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso non condividendo la interpretazione delle norme di cui agli artt. 195 e 197 c.c. prospettata dai ricorrenti, per le seguenti motivazioni: una volta intervenuta la separazione personale dei coniugi in regime patrimoniale di comunione dei beni, non sussiste, a vantaggio dei terzi, una generale presunzione di comunione relativa ai beni, che sono nella esclusiva disponibilità di uno solo di essi, il quale non sia in grado di dimostrarne, con atto avente data certa, la proprietà individuale. A tal fine occorre distinguere la presunzione di comproprietà prevista dall'art. 195 c.c., la quale riflette i rapporti tra i coniugi, dalla presunzione posta dall'art. 197 stesso codice, la quale riguarda la posizione dei terzi a non vedere pregiudicata la possibilità di avvalersi degli effetti della presunzione medesima dall'avvenuto scioglimento della comunione, rimesso alla esclusiva volontà dei coniugi ed attuato con il prelevamento da ciascuno effettuato. Tra i coniugi la presunzione stabilita dall'art. 195 c.c., la quale può essere vinta da qualsiasi prova contraria, opera sino a quando non sia intervenuto un accordo o un provvedimento giudiziale di divisione o un accertamento che nessun bene in comune da dividere più sussista; diversamente, nei rapporti coi terzi, secondo la ipotesi prevista dall'art. 197 c.c., il limite temporale di applicabilità della presunzione di comproprietà dei beni non può continuare in modo indifferenziato ad essere riferita a tutti i beni nella esclusiva disponibilità del coniuge che li possiede per il solo fatto che lo stesso non sia in grado di dimostrarne la proprietà esclusiva con atto di data certa. Occorre, invece, che il terzo, che voglia avvalersi della presunzione di proprietà comune dei beni mobili non registrati prelevati da uno dei coniugi a seguito di separazione personale e divisione del patrimonio, dimostri anche che il bene in contestazione fu acquistato in un momento anteriore allo scioglimento della comunione stessa. La dimostrazione del suddetto antecedente acquisto costituisce onere specifico cui il terzo deve adempiere per potersi avvalere della presunzione ex art. 197.

Bibliografia

Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, I, Milano, 1979; Finocchiaro A. e M., Diritto di famiglia, vol. I, Milano, 1984; Mastropaolo-Pitter, Commento agli artt. 191-197, in Cian-Oppo-Trabucchi (a cura di, Commentario al diritto italiano della famiglia, III, 388 ss.; Santosuosso, Delle persone e della famiglia, in Comm. cod. civ., I, 1, Torino, 1983, 327 ss.; Schlesinger, Della comunione legale, in Carraro-Oppo-Trabucchi (a cura di), Commentario alla riforma del diritto di famiglia, I, 1, Padova, 1977, 451 ss.

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