Regolamento - 27/11/2003 - n. 2201 art. 11 - Ritorno del minore 1Ritorno del minore1 1. Quando una persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento adisce le autorità competenti di uno Stato membro affinché emanino un provvedimento in base alla convenzione dell'Aia del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori (in seguito "la convenzione dell'Aia del 1980") per ottenere il ritorno di un minore che è stato illecitamente trasferito o trattenuto in uno Stato membro diverso dallo Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o mancato ritorno, si applicano i paragrafi da 2 a 8. 2. Nell'applicare gli articoli 12 e 13 della convenzione dell'Aia del 1980, si assicurerà che il minore possa essere ascoltato durante il procedimento se ciò non appaia inopportuno in ragione della sua età o del suo grado di maturità. 3. Un'autorità giurisdizionale alla quale è stata presentata la domanda per il ritorno del minore di cui al paragrafo 1 procede al rapido trattamento della domanda stessa, utilizzando le procedure più rapide previste nella legislazione nazionale. Fatto salvo il primo comma l'autorità giurisdizionale, salvo nel caso in cui circostanze eccezionali non lo consentano, emana il provvedimento al più tardi sei settimane dopo aver ricevuto la domanda. 4. Un'autorità giurisdizionale non può rifiutare di ordinare il ritorno di un minore in base all'articolo 13, lettera b), della convenzione dell'Aia del 1980 qualora sia dimostrato che sono previste misure adeguate per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno. 5. Un'autorità giurisdizionale non può rifiutare di disporre il ritorno del minore se la persona che lo ha chiesto non ha avuto la possibilità di essere ascoltata. 6. Se un'autorità giurisdizionale ha emanato un provvedimento contro il ritorno di un minore in base all'articolo 13 della convenzione dell'Aia del 1980, l'autorità giurisdizionale deve immediatamente trasmettere direttamente ovvero tramite la sua autorità centrale una copia del provvedimento giudiziario contro il ritorno e dei pertinenti documenti, in particolare una trascrizione delle audizioni dinanzi al giudice, all'autorità giurisdizionale competente o all'autorità centrale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o mancato ritorno, come stabilito dalla legislazione nazionale. L'autorità giurisdizionale riceve tutti i documenti indicati entro un mese dall'emanazione del provvedimento contro il ritorno. 7. A meno che l'autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o mancato ritorno non sia già stato adita da una delle parti, l'autorità giurisdizionale o l'autorità centrale che riceve le informazioni di cui al paragrafo 6 deve informarne le parti e invitarle a presentare all'autorità giurisdizionale le proprie conclusioni, conformemente alla legislazione nazionale, entro tre mesi dalla data della notifica, affinché quest'ultima esamini la questione dell'affidamento del minore. Fatte salve le norme sulla competenza di cui al presente regolamento, in caso di mancato ricevimento delle conclusioni entro il termine stabilito, l'autorità giurisdizionale archivia il procedimento. 8. Nonostante l'emanazione di un provvedimento contro il ritorno in base all'articolo 13 della convenzione dell'Aia del 1980, una successiva decisione che prescrive il ritorno del minore emanata da un giudice competente ai sensi del presente regolamento è esecutiva conformemente alla sezione 4 del capo III, allo scopo di assicurare il ritorno del minore. [1] Articolo abrogato dall'articolo 104 del Regolamento del Consiglio del 25 giugno 2019, n. 1111, a decorrere dal 1° agosto 2022, fatto salvo quanto disposto dall'articolo 100, paragrafo 2, del medesimo Reg. 1111/2019. InquadramentoLa disposizione in commento disciplina, in primo luogo, il procedimento che deve essere seguito nell'ipotesi in cui a fronte del trasferimento illecito di un minore una persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento adisce le autorità competenti di uno Stato membro affinché emanino un provvedimento in base alla convenzione dell'Aia del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori per ottenere il ritorno di un minore che è stato illecitamente trasferito o trattenuto in uno Stato membro diverso dallo Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o mancato ritorno. Il procedimento, nel quale deve essere disposto l'ascolto del minore capace di discernimento e che deve svolgersi con celerità, può rientrare, nel nostro ordinamento, nel novero di quelli in camera di consiglio in materia familiare, alla medesima stregua di quello già disciplinato dalla Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 per l'analoga situazione. Infatti, anche in dottrina, si ritiene che il modello processuale di riferimento sia quello di cui alla legge n. 64 del 15 gennaio 1994, di ratifica ed esecuzione della Convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori e che, pertanto, il procedimento volto al rientro del minore trasferito illegittimamente all'estero sia modellato, almeno nel nostro sistema nazionale, sul rito camerale e sommario tipico della giurisdizione volontaria (Corbetta). La disposizione in esame stabilisce che trovano applicazione, per la decisione sul rientro del minore, gli artt. 12 e 13 della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori. L'onere di provare la sussistenza di una delle condizioni ostative al rientro previste da dette norme incombe sul soggetto che si oppone al ritorno (Cass. I, n. 19544/2003). La stessa norma in esame precisa, poi, che un'autorità giurisdizionale non può rifiutare di ordinare il ritorno di un minore in base all'art. 13, lett. b), della Convenzione de l'Aja del 1980 qualora sia dimostrato che sono previste misure adeguate per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno: tale previsione costituisce per le Autorità dello Stato di originaria residenza abituale del minore un vero e proprio obbligo di valutare la necessità di adottare misure cautelari al fine di ottenere la «restituzione senza pericolo», ossia il ritorno del minore presso la sua residenza abituale, con la garanzia di permanervi in una situazione protetta (Caamiña Dominguez, 63 ss.). Per altro verso, ai sensi del comma 2 dell'art. 13 della Convenzione dell'Aja del 1980, la domanda di rimpatrio può essere disattesa anche ove sia accertata l'opposizione del minore che abbia raggiunto un'età ed una maturità tali da rendere opportuna una considerazione della volontà (cfr. Cass. I, n. 403/2000). La norma in commento prevede, inoltre, che il provvedimento di diniego di ritorno del minore illecitamente sottratto deve essere nuovamente esaminato dall'autorità giurisdizionale competente del luogo della residenza abituale del minore prima del trasferimento illecito. Il procedimento di riesame, costituisce una valida alternativa all'impugnazione del provvedimento che non ha disposto il rientro del minore, pur non essendo preclusa in astratto la possibilità di detta impugnazione che contrasta, tuttavia, con le esigenze di peculiare celerità sottese al procedimento (Pesce, 1018). Procedimento per la decisione sul rientro del minoreTale procedimento in esame si caratterizza, in generale, per la previsione della necessità dell'ascolto del minore durante lo stesso, se ciò non appaia inopportuno in ragione della sua età o del suo grado di maturità. Inoltre, è previsto che l'autorità giurisdizionale adita con la domanda per il ritorno del minore proceda al rapido trattamento della stessa emanando la decisione, salvi casi eccezionali, entro sei settimane. In ordine all'ascolto del minore, si era evidenziato, in sede di legittimità, in una prima fase, con riguardo alla Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori, che nel procedimento per il mancato illecito rientro nella originaria residenza abituale l'audizione del minore non è imposta per legge, in ragione del carattere urgente e meramente ripristinatorio della situazione di tale procedura; anche in tale procedura, peraltro, l'audizione è opportuna, se possibile come specificamente previsto dall'art. 11, comma 2, Regolamento CE n. 2201/2003. Ne deriva, secondo detta impostazione interpretativa, anche nel procedimento in questione l'audizione del minore è in via generale necessaria, onde poter valutare, ai sensi dell'art. 13, comma 2, della Convenzione dell'Aja l'eventuale opposizione del minore al ritorno, salvo ragioni di inopportunità per età o grado di maturità e, a fortiori, di danno per quest'ultimo (Cass. I, n. 12293/2010). Diversamente, prevale nella giurisprudenza più recente della S.C. — anche in ragione del generale principio enunciato da Cass.S.U.,n. 22238/2009 — la diversa e più garantista impostazione interpretativa per la quale nel procedimento per la sottrazione internazionale di minore, l' ascolto di quest'ultimo (che può essere espletato anche da soggetti diversi dal giudice, secondo le modalità dal medesimo stabilite) costituisce adempimento necessario ai fini della legittimità del decreto di rimpatrio ai sensi dell'art. 315-bis c.c. e degli artt. 3 e 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 (ratificata con l. n. 77/2003), essendo finalizzato, ex art. 13, comma 2, della Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980, anche alla valutazione della sua eventuale opposizione al rimpatrio, salva la sussistenza di particolari ragioni (da indicarsi specificamente) che ne sconsiglino l'audizione, ove essa possa essere dannosa per il minore stesso, tenuto conto, altresì, del suo grado di maturità (Cass. I, n. 3319/2017). Pertanto, l'omessa audizione del minore nel procedimento per la sottrazione internazionale dello stesso costituisce lesione del diritto al contraddittorio, da far valere in sede d'impugnazione nei limiti e secondo le regole fissate dall'art. 161 c.p.c. (Cass. I, n. 7479/2014). Tuttavia resta ferma la possibilità dell'autorità giudiziaria di procedere all'ascolto diretto del minore come a quello indiretto, ossia attraverso un CTU che trasmette poi al giudice una relazione scritta ovvero mediante uno psicologo del servizio pubblico che trasmette una relazione conclusiva, in una scelta del giudicante di carattere discrezionale (Liuzzi, 886). La coessenziale esigenza di celerità del procedimento in esame implica, quanto alle norme processuali interne applicabili, che lo schema di riferimento sia quello duttile del procedimento in camera di consiglio di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c. Si ritiene, infatti, anche in dottrina, che il modello processuale di riferimento sia quello di cui alla legge n. 64/1994, di ratifica ed esecuzione della Convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori e che, pertanto, il procedimento volto al rientro del minore trasferito illegittimamente all'estero sia modellato, almeno nel nostro sistema nazionale, sul rito camerale e sommario tipico della giurisdizione volontaria (Corbetta). Analogamente, si è sottolineato, rispetto al procedimento, di volontaria giurisdizione, previsto dalla l. n. 64/1994 (che costituisce il diretto antecedente del procedimento in esame) inquadrabile nello schema generale dei procedimenti speciali in materia di famiglia e di stato delle persone, e quindi soggetto, per quanto in essa non previsto, alle disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio, e nel contempo caratterizzato dall'estrema urgenza di provvedere nell'interesse del minore, non sono normativamente previsti — per deposito di atti, citazione di testimoni, preavvisi alle parti, controdeduzioni — i termini e le modalità ordinariamente posti a garanzia del contraddittorio, essendo questo assicurato dalla fissazione dell'udienza in camera di consiglio e dalla comunicazione alle parti del relativo decreto (Cass. I, n. 12293/2010). Pertanto, tenuto conto di quanto previsto dall'art. 738 c.p.c. con riferimento al modello generale dei procedimenti in camera di consiglio, l'istruttoria ha carattere inquisitorio e si svolge con le modalità ritenute congrue dal giudice, entro i limiti consentiti dalla cognizione sommaria che caratterizza il procedimento. Invero, l'ultimo comma dell'art. 738 c.p.c., secondo cui «il giudice può assumere informazioni», implica che il giudice, senza che sia necessario il ricorso alle fonti di prova disciplinate dal codice di rito, risulta di fatto svincolato dalle iniziative istruttorie delle parti e procede con i più ampi poteri inquisitori, i quali si estrinsecano attraverso l'assunzione di informazioni che, espressamente consentita dalla menzionata disposizione, non resta subordinata all'istanza di parte. Inoltre, tale assunzione, essendo oggetto di una mera facoltà, non implica alcun obbligo per il giudice, sicché la mancata estensione dell'indagine non determina l'inosservanza delle norme disciplinanti il procedimento camerale e risulta incensurabile in Cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in ordine al mancato esercizio della predetta facoltà, soprattutto quando la decisione si fondi sopra elementi istruttori raccolti aliunde rispetto alle informazioni dell'art. 738 c.p.c. e dei quali il giudice, attraverso la motivazione, abbia dato esauriente conto (v., tra le altre, Cass. n. 14227/2004; Cass. n. 1947/1999). Tuttavia, resta fermo l'onere del ricorrente di allegare in modo specifico i fatti costitutivi della fattispecie invocata, che il giudice non può integrare d'ufficio (Cass. n. 19197/2015). Inoltre, mediante l'esercizio dei poteri istruttori officiosi il giudice non può supplire all'onere probatorio vertente in capo alle parti, né svolgere indagini di carattere esplorativo (Cass. n. 4412/2015). Più in generale, sulla questione, nella recente giurisprudenza di legittimità è stato chiarito che nel procedimento camerale, il giudice, al fine di garantire il contraddittorio, l'esercizio del diritto di difesa e l'effettività della tutela giurisdizionale, deve esercitare poteri ufficiosi anche mediante l'applicazione estensiva ed analogica delle disposizioni del processo di cognizione, sicché è tenuto a indicare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio richiedendo i necessari chiarimenti ex art. 183, comma 4, e, se del caso, assumendo sommarie informazioni da soggetti terzi ex art. 738, comma 3, sempreché tale modalità di acquisizione di elementi di giudizio non sia impiegata per supplire all'onere probatorio o con finalità meramente esplorative (Cass. n. 4412/2015). Rientra invece nel potere-dovere del giudice verificare l'attendibilità di tali allegazioni attraverso indagini di ufficio e, in particolare, acquisizioni di informazioni e documenti (v., di recente, Cass. n. 7333/2015). Sotto altro profilo, nei procedimenti camerali non operano le preclusioni istruttorie proprie del giudizio ordinario di cognizione, sicché documenti nuovi possono essere prodotti anche nel corso dell'udienza di comparizione delle parti (con onere della controparte di chiedere un eventuale termine o rinvio dell'udienza per contro dedurre: Cass. n. 20670/2005). Pertanto, è possibile decidere in base a documenti depositati tardivamente, a condizione che sui medesimi si sia instaurato pieno e completo contraddittorio (Cass. n. 5876/2012). I procedimenti in camera di consiglio sono decisi dal collegio: peraltro, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno da lungo tempo chiarito che il principio generale, secondo cui un giudice può essere delegato dal collegio alla raccolta di elementi probatori da sottoporre, successivamente, alla piena valutazione dell'organo collegiale, in difetto di esplicite norme contrarie trova applicazione anche nelle ipotesi di procedimento camerale applicato a diritti soggettivi per quelle ragioni di celerità e sommarietà delle indagini, cui tale particolare tipo di procedimento è ispirato, tenuto anche conto del fatto che la delega comunque non concerne l'ammissione delle prove, demandata al giudice collegiale, il quale soltanto può valutarne l'ammissibilità e la rilevanza, bensì la loro mera assunzione (Cass.S.U., n. 5629/1996). Sotto altro profilo, la S.C. ha chiarito che la disposizione di cui all'art. 38 c.p.c., nel testo di cui all'art. 4 l. n. 353/1990 ed ora nel nuovo testo modificato dalla l. n. 69/2009, applicabile ratione temporis, che ha introdotto una generale barriera temporale alla possibilità di rilevare tutti i tipi di incompetenza, fissandola nella prima udienza di trattazione, deve ritenersi applicabile non soltanto ai processi di cognizione ordinaria, ma anche ai processi di tipo camerale, qualora questi siano utilizzati dal legislatore per la tutela giurisdizionale di diritti (Cass. I, n. 5257/2012). In ogni caso nei procedimenti camerali è ammessa la proposizione, avverso la decisione, del regolamento di competenza ed essendo detta competenza inderogabile può essere esperito anche il regolamento di competenza d'ufficio. Sul punto è stato invero affermato che è ammissibile il regolamento di competenza, ad istanza di parte o d'ufficio, proposto avverso provvedimenti che non abbiano carattere definitivo e decisorio, quali devono ritenersi quelli emessi in sede di volontaria giurisdizione, anche ove pronuncino solo sulla competenza, attesa la necessità di garantire ai titolari dei diritti che ne chiedono il riconoscimento una risposta pronta e sicura del giudice di legittimità circa l'applicazione delle regole e dei criteri sulla competenza (Cass. n. 2259/2016). È poi consolidato il principio per il quale il potere riconosciuto al giudice dall'art. 738, comma 2, c.p.c. di assumere informazioni costituisce oggetto di una mera facoltà e non di un obbligo, sicché il suo mancato esercizio non determina l'inosservanza delle norme che disciplinano il procedimento camerale e risulta incensurabile in Cassazione (Cass. n. 24965/2011). Taluni mezzi istruttori si ritengono incompatibili con la peculiare celerità e duttilità di forme propria del procedimento in camera di consiglio. In dottrina, è stato osservato che il giudizio, nell'ambito di un procedimento camerale, si potrà fondare su mezzi di prova che di per sé non hanno alcuna efficacia probatoria ove una siffatta possibilità sia prevista dal legislatore (come avviene nel caso della disposizione della prova testimoniale senza previa formulazione di capitoli) e, più radicalmente, che la decisione finale potrà fondarsi anche su una semiplena probatio (Cecchella, 226). La Corte di Giustizia dell'Unione europea ha chiarito, sotto altro profilo, che l'ordine di ritorno del minore emesso da parte del giudice dello Stato della residenza abituale dello stesso prima del trasferimento illecito ai sensi del § 8 della disposizione in esame non presuppone una decisione definitiva sull'affidamento, poiché tale interpretazione non trova fondamento testuale nell'art. 11 del Regolamento (CGUE 1° luglio 2010, in causa C-211/10). Norme applicabili ai fini della decisione sulla domanda di rientroLa disposizione in esame — in armonia con il diciassettesimo considerando al Regolamento per il quale quando un minore, abitualmente residente in uno Stato membro dell'Unione europea, viene illecitamente trasferito in altro Stato membro, si applica la Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, integrata con le previsioni del Regolamento — stabilisce che trovano applicazione, per la decisione sul rientro del minore, gli artt. 12 e 13 della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori. Trova quindi applicazione, in primo luogo, l'art. 12 della richiamata Convenzione, per il quale il giudice dello Stato in cui il minore è stato illecitamente condotto ha l'obbligo di disporne l'immediato rientro nella residenza abituale, salvo si configurino le circostanze eccezionali, tassativamente previste dalla convenzione, che renderebbero il ritorno non più corrispondente all'interesse dello stesso. In particolare, si tratta del caso in cui la domanda di ritorno sia presentata dopo un anno dal trasferimento illecito, ove il minore si sia nel frattempo integrato nel nuovo ambiente nel quale si trova (art. 12, § 2), e delle tre ipotesi previste dal successivo art. 13 della medesima Convenzione, ossia: il genitore affidatario di fatto non esercitava il diritto di custodia al momento della sottrazione o aveva prestato il proprio consenso al trasferimento; il ritorno nella residenza abituale esporrebbe il minore al rischio di pericoli fisici o psichici o di trovarsi in una situazione intollerabile; il minore ha manifestato, nel corso del procedimento di rimpatrio, la propria opposizione al rientro nella residenza abituale (cfr. Pesce, 1016). In accordo con la giurisprudenza di legittimità, il rimpatrio del minore può essere disposto, ai sensi dell'art. 13 della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, purché vengano concretamente accertati dal tribunale per i minorenni l'effettivo esercizio, al momento del trasferimento, del diritto di affidamento da parte del richiedente, che prescinde da ogni rilievo in ordine al ripristino della situazione corrispondente all'affidamento legale, nonché l'insussistenza di una situazione intollerabile e di pericolo, non solo fisico ma anche psicologico, per il minore. (cfr. Cass. I, n. 16043/2015, la quale ha annullato il decreto del Tribunale per i Minorenni con il quale veniva disposto il rimpatrio della figlia di un'italiana e di un cittadino statunitense affetto da alcolismo, tratto in arrestato e più volte ricoverato in centri di riabilitazione). In particolare, si è precisato, che, in tema di sottrazione internazionale di minori, il rimpatrio del minore può essere disposto, ai sensi dell'art. 13 della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, purché ricorra l'indispensabile presupposto dell'effettivo esercizio, in modo non episodico ma continuo, del diritto di affidamento da parte del richiedente al momento del trasferimento del minore, sicché il giudice è tenuto ad accertare la sussistenza di tale presupposto puntualmente ed in concreto, non essendo sufficiente una valutazione solo in astratto, sulla base del regime legale di esercizio della responsabilità genitoriale (Cass. I, n. 6139/2015). In sostanza, nell'ipotesi di violazione del diritto di visita del genitore non affidatario del minore, la Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980 sugli effetti civili della sottrazione internazionale di minori, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge n. 64 del 1994, non prevede l'obbligo di ritorno immediato del minore nello Stato di residenza abituale, esito riservato alla diversa ipotesi di violazione del diritto di affidamento, ma affida all'autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto di valutare la sussistenza degli elementi ostativi al rimpatrio previsti dall'art. 13 della citata Convenzione (Cass. I, n. 23315/2021). Dunque, l'Autorità giudiziaria od amministrativa dello Stato estero richiesto di rimpatriare il minore, illecitamente colà trasferito, non è tenuta ad ordinare il ritorno del minore qualora sussista la situazione intollerabile di cui all'art. 13 § 1 lett. b) della convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980, situazione che può essere determinata anche da rapporti, fra i genitori, connotati da un conflitto irrimediabile, oggettivamente apprezzabile e giuridicamente controllabile, poiché un conflitto siffatto è concretamente idoneo ad incidere in modo estremamente negativo sul benessere psicofisico del minore, che è puntualmente tutelato anche dal regolamento (Ce) n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003 (Cass. I, n. 16549/2010, in Dir. fam. 2012, n. 1, 83, con nota di Salzano). In sede applicativa si è osservato, a riguardo, che le situazioni ostative, anche nel caso di minori neonati o di età tenerissima, non devono ridursi a meri disagi temporanei od a transitorie reazioni emotive, ma consistere in oggettivi rischi di pericolo psicofisico, poiché, diversamente opinando, si dovrebbe sempre negare il rimpatrio degli infanti condotti arbitrariamente altrove dalla madre, in ragione dell'ovvio rapporto che sussiste in questi casi tra la genitrice ed il piccolo nato (Trib. min. Milano 30 aprile 2010, in Dir. fam. 2011, n. 1, 220, con nota di Salzano). La pronuncia appare conforme al più generale orientamento affermato all'interno della giurisprudenza di legittimità per il quale, in tema di sottrazione internazionale del minore, il giudice, cui sia stato richiesto di emettere un provvedimento di rientro nello Stato di residenza del minore illecitamente sottratto, nell'accertare se sussista il fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo rientro, a pericoli psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile (ai sensi dell'art. 13, comma 1, lett. b, della Convenzione de L'Aja 25 ottobre 1980, resa esecutiva con la legge di autorizzazione alla ratifica 15 gennaio 1994, n. 64), deve attenersi ad un criterio di rigorosa interpretazione della portata della condizione ostativa al rientro, sicché egli non può dar peso al mero trauma psicologico o alla semplice sofferenza morale per il distacco dal genitore autore della sottrazione abusiva, a meno che tali inconvenienti non raggiungano il grado — richiesto dalla citata norma convenzionale — del pericolo psichico o della effettiva intollerabilità da parte del minore (Cass. n. 6081/2006). Al contempo, tuttavia, al fine di escludere ai sensi della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 la sussistenza delle condizioni ostative al rientro del minore nello Stato dove abitualmente risiede ed in particolare al fine di ritenere non sussistente il fondato rischio per il minore di essere esposto a pericoli fisici o psichici o, comunque di trovarsi in una situazione intollerabile, non sono sufficienti le valutazioni (ancorché approfondite) compiute dalle autorità competenti dello Stato di residenza del minore, ma sono necessari ulteriori accertamenti (da svolgere anche mediante indagine tecnica) da parte del giudice italiano, tanto più necessarie alla luce del fermo rifiuto del minore espresso univocamente in sede di audizione, ancorché a una età (nella specie dieci anni e mezzo) nella quale ancora non si presume la capacità di discernimento e ancorché il minore stesso pur affermando di avere paura del padre affidatario non sia stato in grado di spiegarne le ragioni e avendo lo stesso dimostrato, in occasione di incontri protetti una buona relazione con il padre stesso, improntata a confidenzialità e alla esclusione di segni di disagio (Cass. I, n. 18848/2016). In sostanza la nozione di rischio enucleata dalla giurisprudenza di legittimità richiede un consistente livello di gravità dei pericoli prospettati, non essendo sufficiente il profilarsi di meri inconvenienti quali conseguenze del rimpatrio (Corbetta). Sotto un distinto profilo, la S.C. ha chiarito che, ai fini dell'accertamento delle condizioni ostative all'emanazione dell'ordine di ritorno, ai sensi dell'art. 13 della Convenzione de L'Aja 25 ottobre 1980, l'inopportunità, discrezionalmente ponderata dal giudice di merito, di assumere ulteriori informazioni e disporre consulenza tecnica d'ufficio, è incensurabile in sede di ricorso per Cassazione (Cass. I, n. 16753/2007, che ha escluso l'obbligo per il tribunale per i minorenni di informazioni all'autorità competente dello Stato di residenza del minore, con riguardo alla sua situazione sociale, essendo egli tenuto esclusivamente a considerare adeguatamente le eventuali informazioni fornite dall'autorità predetta). L'onere di provare la sussistenza della condizione ostativa al rientro incombe sul soggetto che si oppone al ritorno (Cass. I, n. 19544/2003). La c.d. restituzione senza pericolo Tuttavia, la stessa norma in esame precisa che un'autorità giurisdizionale non può rifiutare di ordinare il ritorno di un minore in base all'art. 13, lett. b), della Convenzione de l'Aja del 1980 qualora sia dimostrato che sono previste misure adeguate per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno. In dottrina si è osservato che tale previsione costituisce per le Autorità dello Stato di originaria residenza abituale del minore un vero e proprio obbligo di valutare la necessità di adottare misure cautelari al fine di ottenere la «restituzione senza pericolo», ossia il ritorno del minore presso la sua residenza abituale, con la garanzia di permanervi in una situazione protetta (CaamiñaDominguez, 63 ss.). Per alcuni le misure adeguate cui fa riferimento la disposizione in esame devono essere concrete, effettivamente applicate e finalizzate alla protezione giuridica, materiale e psicologica del minore, sicché non è di per sé sufficiente che l'ordinamento giuridico dello Stato di residenza abituale preveda la possibilità di adottare, in astratto, provvedimenti di protezione (De La Rosa Cortina, 201). Peraltro, si è evidenziato, in una differente prospettiva interpretativa, che, se le Autorità dello Stato nel quale il minore è stato illegittimamente condotto adducessero, a fondamento del diniego di rimpatrio, la mancata dimostrazione circa l'effettiva adozione di misure protettive, prima del rientro del minore, da parte dell'Autorità dello Stato di residenza abituale, ciò finirebbe per svalutare il principio di fiducia reciproca che deve sussistere tra le autorità degli Stati Membri dell'Unione Europea. La negazione del ritorno per tale motivo, invero, equivarrebbe a sfiducia nella capacità e prontezza delle autorità giurisdizionali dello Stato di origine di applicare prontamente le misure di tutela e, quindi, nell'intero sistema di protezione (Jiménez-Blanco, 141 ss.). Con riguardo al nostro ordinamento nazionale, l'art. 333 c.c. attribuisce al Tribunale per i minorenni ampi poteri discrezionali nella scelta delle misure protettive «più convenienti», quindi anche atipiche, per la tutela dei minori al momento del rientro nello Stato di residenza abituale (cfr. Salerno, 2012, 105). Proprio in considerazione del disposto dell'art. 333 c.c. nella prassi applicativa vengono assunti diversi provvedimenti convenienti in alcune situazioni critiche. Ad esempio, si è ritenuto che quando l'elevata conflittualità tra genitori impedisce una corretta gestione del ruolo genitoriale, pregiudicando le scelte mediche, scolastiche ed extrascolastiche dei figli, si impone la sospensione della responsabilità genitoriale e conseguente nomina di un tutore a cui attribuire l'esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale per tutte le questioni straordinarie e di particolare rilevanza (Trib. Roma I, 27 ottobre 2016, n. 27805, in Ilfamiliarista 23 novembre 2016). L'opposizione del minore al rientro Sotto altro e concorrente profilo, occorre considerare che, ai sensi del comma 2 dell'art. 13 della Convenzione dell'Aja del 1980 la domanda di rimpatrio può essere disattesa, anche ove sia accertata l'opposizione del minore che abbia raggiunto un'età ed una maturità tali da rendere opportuna una considerazione della volontà (Cass. I, n. 403/2000). Con riguardo all'opposizione espressa dal minore al rientro nel luogo di residenza abituale dove si trovava prima del trasferimento illecito, la S.C. ha chiarito che, ai fini dell'accertamento di tale ultima autonoma situazione, la norma impone l'ascolto del minore e, ove questi sia capace di discernimento e dalle risposte date risulti una chiara determinazione di volontà ostativa al rientro, il tribunale per i minorenni non può opporre una valutazione alternativa della relazione con il genitore con il quale il predetto minore dovrebbe vivere in esito al rientro, salvo procedere ad un approfondimento istruttorio autonomo (ad esempio, a mezzo consulenza tecnica d'ufficio e/o modelli di ascolto del minore più adeguati) in caso di permanenza del dubbio (Cass. I, n. 18846/2016). In sostanza, la volontà contraria manifestata in ordine al proprio rientro da un minorenne che abbia un'età e una maturità tali, secondo l'apprezzamento del giudice del merito, da giustificare il rispetto della sua opinione, può costituire, ai sensi dell'art. 13, comma 2, della Convenzione dell'Aja, ipotesi, distintamente valutabile, ostativa all'accoglimento della domanda di rimpatrio (Cass. I, n. 10817/2016). Tuttavia, non è sufficiente per l'opposizione del minore al rientro che lo stesso sia capace di discernimento essendo altresì necessario che abbia un'età ed una maturità tali da giustificare la rilevanza tributata all'opposizione medesima (Cass. I, n. 6081/2006). La prognosi negativa sull'età è assorbente rispetto a quella della maturità (Cass. I, n. 16753/2007). Riesame del provvedimento di diniego del ritorno del minore da parte dell'autorità giurisdizionaleLa disposizione in commento prevede che se un'autorità giurisdizionale ha emanato un provvedimento contro il ritorno di un minore in base all'art. 13 della convenzione dell'Aia del 1980, l'autorità giurisdizionale deve immediatamente trasmettere direttamente ovvero tramite la sua autorità centrale una copia del provvedimento giudiziario contro il ritorno e dei pertinenti documenti, in particolare una trascrizione delle audizioni dinanzi al giudice, all'autorità giurisdizionale competente o all'autorità centrale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o mancato ritorno, come stabilito dalla legislazione nazionale. L'autorità giurisdizionale riceve tutti i documenti indicati entro un mese dall'emanazione del provvedimento contro il ritorno. A meno che l'autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o mancato ritorno non sia già stato adita da una delle parti, l'autorità giurisdizionale o l'autorità centrale che riceve le informazioni di cui al § 6 deve informarne le parti e invitarle a presentare all'autorità giurisdizionale le proprie conclusioni, conformemente alla legislazione nazionale, entro tre mesi dalla data della notifica, affinché quest'ultima esamini la questione dell'affidamento del minore. Si precisa, poi, che nonostante l'emanazione di un provvedimento contro il ritorno in base all'art. 13 della convenzione dell'Aia del 1980, una successiva decisione che prescrive il ritorno del minore emanata da un giudice competente ai sensi del presente regolamento è esecutiva conformemente alla sezione 4 del capo III, allo scopo di assicurare il ritorno del minore. In sostanza, il provvedimento di diniego di ritorno del minore illecitamente sottratto viene nuovamente esaminato dall'autorità giurisdizionale competente del luogo della residenza abituale del minore prima del trasferimento illecito. Come è stato evidenziato anche in sede applicativa, infatti, il duplice esame della domanda di rientro offre maggiori garanzie di fondatezza in ragione delle diverse caratteristiche dei due giudici chiamati ad intervenire sulla questione, dei quali uno è più adeguato a tenere conto delle attuali circostanze nelle quali il minore vive a seguito del trasferimento, mentre l'altro è più idoneo a valutare le circostanze nelle quali il minore ha vissuto prima del trasferimento illecito e nelle quali vivrà nell'ipotesi di ritorno nella propria residenza abituale (Trib. min. Bologna7 maggio 2009, in Fam. e dir. 2010, 38, con nota di De Marzo). Il procedimento di riesame costituisce una valida alternativa all'impugnazione del provvedimento che non ha disposto il rientro del minore, pur non essendo preclusa in astratto la possibilità di detta impugnazione che contrasta, tuttavia, con le esigenze di peculiare celerità sottese al procedimento (Pesce, 1018). Ne deriva che il provvedimento di rigetto della domanda di ritorno ha valenza meramente provvisoria (Salzano, 2011, 228). Nel nostro sistema processuale la decisione assunta ai sensi della disposizione in esame non è definitiva, in quanto ricorribile perCassazione. A riguardo, invero, la S.C. ha chiarito che, in tema di sottrazione internazionale del minore, il giudizio del Tribunale dei minorenni che, in qualità di giudice «naturale» del minore in quanto giudice della residenza abituale del medesimo, ai sensi dell'art. 11 reg. Ce 27 novembre 2003 n. 2201, si pronunci sul provvedimento di diniego di ritorno emesso dal giudice dello Stato in cui il minore è stato illecitamente trasferito, si configura come un procedimento di riesame completo ed esaustivo del provvedimento impugnato, non appellabile e direttamente ricorribile per Cassazione, attesa l'analogia tra il procedimento sommariamente descritto nell'art. 11 reg. Ce 2201 del 2003 e quello regolato dall'art. 7 della legge n. 64 del 1994 con la quale è stata data esecuzione alla Conv. dell'Aja del 25 ottobre 1980 (Cass. n. 16549/2010; Cass. n. 6319/2011). Sul piano processuale, può quindi trovare applicazione, anche per questa fase sostanzialmente di riesame, il principio secondo cui nel procedimento, di volontaria giurisdizione, previsto dalla l. 15 gennaio 1994, n. 64 inquadrabile nello schema generale dei procedimenti speciali in materia di famiglia e di stato delle persone, e quindi soggetto, per quanto in essa non previsto, alle disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio, e nel contempo caratterizzato dall'estrema urgenza di provvedere nell'interesse del minore contraddittorio è assicurato dalla fissazione dell'udienza in camera di consiglio e che la persona presso la quale si trova il minore e quella che ha presentato la richiesta siano informate dell'udienza e siano poste in grado i parteciparvi (Cass. n. 5465/2004). Al contempo, nella medesima pronuncia la S.C. ha chiarito che il giudice della residenza abituale del minore illecitamente trasferito da uno dei genitori all'estero non è tenuto ad esaminare la questione dell'affidamento del minore nel senso della nozione prevista dall'art. 2, n. 9, del Regolamento, che nel rendere un'autonoma definizione di diritto di affidamento prevede che lo stesso include i diritti e i doveri concernenti la cura della persona del minore, in particolare il diritto di intervenire nella decisione riguardo il suo ruolo di residenza. Invero, ritiene la Corte di Cassazione che. nell'ambito della disciplina della sottrazione internazionale di minori, il diritto di affidamento deve essere inteso nel senso più circoscritto di diritto di partecipare alla decisione sul luogo di residenza del minore, in quanto è la violazione di questo specifico diritto del genitore affidatario che determina la natura illecita del trasferimento, mentre gli altri aspetti non dovrebbero essere valutati nel procedimento di mero riesame del provvedimento contro il ritorno del minore emesso dallo Stato nel quale lo stesso si trova dopo il trasferimento illecito (Cass. n. 16549/2010). Pertanto, il giudizio sulla domanda di rimpatrio non investe il merito della controversia relativa alla migliore sistemazione possibile del minore, cosicché tale domanda può essere respinta, nel superiore interesse dello stesso, solo in presenza di una delle circostanze ostative indicate dagli artt. 12, 13 e 20 della predetta convenzione (Cass. I, n. 20365/2011). In sostanza, l'oggetto del giudizio in esame è esclusivamente il riscontro dell'effettiva sussistenza delle condizioni ostative al rientro previste dall'art. 13 della Convenzione e ravvisate dal giudice che per primo ha esaminato la domanda di ritorno (Pesce, 1017). Il riferimento all'analogo procedimento previsto dall'art. 7 della legge n. 64 del 1994 dovrebbe far ritenere, quanto ai termini per la proposizione del ricorso per Cassazione contro detto provvedimento, applicabile l'orientamento già affermato dalla S.C. con riferimento a detta legge nel senso che il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. avverso i decreti del tribunale dei minorenni in tema di illecita sottrazione internazionale di minore (adottati ai sensi della l. n. 64/1994) aventi contenuto decisorio e carattere definitivo decorre — in difetto di ragioni, connesse alla particolarità del procedimento o alla qualità degli interessi sottesi, che giustifichino la deroga all'enunciato principio — solo a seguito della notificazione ad istanza di parte, mentre è irrilevante, al predetto fine, che i ricordati provvedimenti siano pronunziati in udienza o, se pronunziati fuori udienza, siano stati comunicati dal cancelliere, con la conseguenza che, in assenza di tale notifica, è legittima l'applicazione del più lungo termine di cui all'art. 327 c.p.c. (Cass. I, n. 746/1999). In una prospettiva di riforma, tuttavia, non si può trascurare che, nella proposta di nuova regolamentazione della materia depositata dalla Commissione europea in data 30 giugno 2016 (v. anche Commento all'art. 1), tra le novità che sarebbero introdotte vi è quella di prevedere un solo grado di appello contro la decisione che riconosca o neghi il rientro del minore nell'ipotesi di illecita sottrazione. 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