Regolamento - 27/11/2003 - n. 2201 art. 17 - Verifica della competenza 1

Rosaria Giordano

Verifica della competenza1

L'autorità giurisdizionale di uno Stato membro, investita di una controversia per la quale il presente regolamento non prevede la sua competenza e per la quale, in base al presente regolamento, è competente un'autorità giurisdizionale di un altro Stato membro, dichiara d'ufficio la propria incompetenza.

[1] Articolo abrogato dall'articolo 104 del Regolamento del Consiglio del 25 giugno 2019, n. 1111, a decorrere dal 1° agosto 2022, fatto salvo quanto disposto dall'articolo 100, paragrafo 2, del medesimo Reg. 1111/2019.

Inquadramento

La norma in esame prevede che il giudice investito di una causa per la quale è privo di competenza in base al Regolamento deve dichiarare d'ufficio la propria incompetenza o, rectius, carenza di giurisdizione in favore del giudice di un altro Stato membro (cfr., tra le altre, Cass. I, n. 19004/2014).

Tale dichiarazione, a differenza di quanto previsto dagli artt. 19 — 20 della Convenzione di Bruxelles, prescinde dalla circostanza che il convenuto si sia regolarmente costituito e non abbia eccepito l'incompetenza (Baratta, 2004, 164; Bonomi, 320).

Il momento nel quale il giudice deve effettuare la verifica è rimesso alle legislazioni nazionali.

Nel nostro ordinamento, la disposizione di riferimento è l'art. 37 c.p.c. che consente di rilevare d'ufficio il difetto di giurisdizione in ogni stato e grado del processo, purché non si formi giudicato implicito sul punto.

Declinatoria di carenza di giurisdizione

Il giudice investito di una causa per la quale è privo di competenza in base al Regolamento deve dichiarare d'ufficio la propria incompetenza o, rectius, carenza di giurisdizione in favore del giudice di un altro Stato membro (cfr., tra le altre, Cass. I, n. 19004/2014, la quale ha evidenziato che, qualora il giudice ordinario abbia, in primo grado, dichiarato la propria «incompetenza» in favore del giudice straniero, la relativa sentenza non è impugnabile con il regolamento di competenza, né con il ricorso straordinario per cassazione, trattandosi di una decisione sulla «competenza internazionale» che attiene non alla ripartizione interna della competenza tra i giudici dell'ordinamento italiano, ma ad una questione di giurisdizione tra i giudici di diversi Stati).

Si è evidenziato che la disposizione in esame fonda, più in generale, l'obbligo del giudice nazionale di applicare d'ufficio il Regolamento (Pataut, in nota a Cass. fr. 25 febbraio 2005, cit., 519).

Tale dichiarazione, a differenza di quanto previsto dagli artt. 19 — 20 della Convenzione di Bruxelles, prescinde dalla circostanza che il convenuto si sia regolarmente costituito e non abbia eccepito l'incompetenza (Baratta, 2004, 164; Bonomi, 320).

La norma appare fondata sulla reciproca fiducia poiché la verifica della competenza è di fatto affidata esclusivamente al giudice adito, senza prevedere alcun controllo successivo da parte di autorità giurisdizionali di un altro Stato membro (Baratta, 2004, 164).

Il momento nel quale il giudice deve effettuare la verifica è rimesso alle legislazioni nazionali. Nell'ordinamento italiano, essendo la sussistenza della giurisdizione la prima condizione dell'azione, un tale controllo dovrebbe avvenire, preferibilmente, in limine litis ma, in conformità all'art. 37 c.p.c., può avvenire in ogni stato e grado del processo. Tuttavia, ormai da alcuni anni, siffatta regola è stata intesa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel senso, più attenuato, per il quale l'interpretazione dell'art. 37 c.p.c., secondo cui il difetto di giurisdizione «è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo», deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo («asse portante della nuova lettura della norma»), della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell'affievolirsi dell'idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. All'esito della nuova interpretazione della predetta disposizione, volta a delinearne l'ambito applicativo in senso restrittivo e residuale, ne consegue che: 1) il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 38 c.p.c. (non oltre la prima udienza di trattazione), fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; 2) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; 3) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità; 4) il giudice può rilevare anche d'ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito. In particolare, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l'affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l'unico tema dibattuto sia stato quello relativo all'ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l'evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere il merito «per saltum», non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito (Cass.S.U., n. 24883/2008, in Giust. civ. 2009, I, 1, 47, con nota di Nappi).

Bibliografia

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