Regolamento - 27/11/2003 - n. 2201 art. 26 - Divieto di riesame del merito 1Divieto di riesame del merito1 In nessun caso la decisione può formare oggetto di un riesame del merito. [1] Articolo abrogato dall'articolo 104 del Regolamento del Consiglio del 25 giugno 2019, n. 1111, a decorrere dal 1° agosto 2022, fatto salvo quanto disposto dall'articolo 100, paragrafo 2, del medesimo Reg. 1111/2019. InquadramentoLa norma in esame chiarisce che la decisione riconoscenda non può mai costituire oggetto di riesame nel merito, in conformità con quanto già previsto nello spazio giudiziario europeo dall'art. 29 della Convenzione di Bruxelles del 1968 sul riconoscimento e l'esecuzione in materia civile e commerciale. Tale disposizione è coerente con la tradizionale ricostruzione dell'oggetto giudizio di delibazione delle sentenze straniere, cui è omologo quello afferente il diniego di riconoscimento automatico per la ricorrenza di circostanze ostative. Invero, il giudizio di delibazione delle sentenze straniere è diretto non già ad una nuova statuizione sul rapporto sostanziale dedotto dinanzi al giudice straniero (salve le ipotesi eccezionali di riesame nel merito), bensì alla verifica dell'idoneità della relativa pronuncia a spiegare efficacia nell'ordinamento interno (Cass. I, n. 1301/1999). Divieto di riesame nel meritoLa norma in esame chiarisce che la decisione riconoscenda non può mai costituire oggetto di riesame nel merito, in conformità con quanto già previsto nello spazio giudiziario europeo dall'art. 29 della Convenzione di Bruxelles del 1968 sul riconoscimento e l'esecuzione in materia civile e commerciale. La previsione si correla alla è tradizionale ricostruzione dell'oggetto giudizio di delibazione delle sentenze straniere, cui è omologo quello afferente il diniego di riconoscimento automatico per la ricorrenza di circostanze ostative. A riguardo si è ad esempio affermato, nella non risalente giurisprudenza di legittimità, che nel giudizio di delibazione della sentenza emessa dal giudice ecclesiastico, al giudice italiano non è consentito il riesame nel merito (Cass. I, n. 24967/2013, la quale ha ritenuto che, pertanto, va cassata la decisione della corte d'appello, che abbia rigettato la domanda di exequatur della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio per incapacità di assunzione degli obblighi matrimoniali da parte di un coniuge fornendo una nuova e diversa interpretazione delle risultanze processuali). Invero, il giudizio di delibazione delle sentenze straniere è diretto non già ad una nuova statuizione sul rapporto sostanziale dedotto dinanzi al giudice straniero (salve le ipotesi eccezionali di riesame nel merito), bensì alla verifica dell'idoneità della relativa pronuncia a spiegare efficacia nell'ordinamento interno: a tal fine, il giudice della delibazione deve, prima di procedere all'accertamento dei requisiti necessari al riconoscimento previsti dalla norma generale o da specifiche Convenzioni, verificare (così come in ogni altro processo) l'esistenza dei presupposti processuali e delle condizioni dell'azione sancite dal nostro ordinamento, e, pertanto, l'esistenza della legittimazione attiva e passiva delle parti, dovendosi, all'uopo, considerare attivamente e passivamente legittimati al giudizio di delibazione le sole stesse parti (ovvero i loro eredi o aventi causa, nei giudizi di natura patrimoniale) del giudizio svoltosi all'estero e conclusosi con il provvedimento delibando (Cass. I, n. 1301/1999). In senso analogo, la S.C. con riguardo al sistema, ormai abrogato di cui agli artt. 797 e ss. c.p.c., ha affermato che il giudice della delibazione non ha il potere di controllare la validità e la valenza probatoria degli elementi acquisiti al processo, secondo la legge locale, dal giudice straniero, con la conseguenza che, per accertare la contrarietà, o meno, all'ordine pubblico italiano di una pronunzia straniera di divorzio, basata sulla frattura irreversibile del consesso coniugale derivante dalla concorde volontà dei coniugi, il giudice italiano deve limitarsi al mero esame della causa del divorzio — quale affermata dal giudice straniero o da questi presupposta secondo il rito applicato —, senza poter ritenere indispensabile, all'indicato fine, l'esame di un documento probatorio, anche quando il documento rappresenti l'unica fonte probatoria ammessa dall'ordinamento straniero per dimostrare la sussistenza della ragione del divorzio (Cass. I, n. 3502/1994, in Giur. it. 1995, I, 886, con nota di Vitiello). BibliografiaAncel-Muir Watt, La désunion europénne: le Règlement dit «Bruxelles II», in Revue critique 2001, 403; Baratta, Scioglimento e invalidità del matrimonio nel diritto internazionale privato, Milano 2004; Biagioni, Il nuovo regolamento comunitario sulla giurisdizione e sull'efficacia delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità dei genitori, in Riv. dir.internaz. 2004, 991; Biavati, Il riconoscimento e il controllo delle decisioni europee in materia familiare, Riv. trim. dir. proc. civ. 2003, 1241; Bonomi, Il regolamento comunitario sulla competenza e sul riconoscimento in materia matrimoniale e di potestà dei genitori, in Riv. dir.internaz. 2001, 298; Bruneau, La reconnaissance et l'exécution des décisions rendues dans l'Union européenne, in La Semaine Juridique 2001, 803; Gademet Tallon, Le Règlement n. 1347/2000 du Conseil du 29 mai 2000: «Compétence, reconnaissance et exécution des décisions en matière matrinomiale et en matière de responsabilité parentale des enfants communs», in Journ. Dr. int. 2001, 381. |