La potestà di annullamento in autotutela si fonda sul principio costituzionale di buon andamento ex art. 97 Cost., il quale ultimo impegna la pubblica amministrazione ad adottare atti il più possibile rispondenti ai fini che, per legge, essa deve conseguire.
Inquadramento e norme di riferimento
La potestà di annullamento in autotutela si fonda, in primis, sul principio costituzionale di buon andamento ex art. 97 Cost., il quale ultimo impegna la pubblica amministrazione ad adottare atti il più possibile rispondenti ai fini che, per legge, essa deve conseguire (in termini, Cons. Stato, sez. IV, 10 giugno 2014, n. 2940; Cons. Stato, sez. V, n. 4864/2010; TAR Lazio, Roma, sez. II, 12 settembre 2019, n. 1090; TAR Sicilia, Catania, sez. III, 22 marzo 2017, n. 603).
Già in costanza del previgente codice (il d.lgs. n. 50 del 2016), così come – ancor prima – del d.lgs. n. 163 del 2006, alla Stazione Appaltante, in via generale, era pacificamente riconosciuta (quantomeno, prima che questa fosse addivenuta a contrattazione), la possibilità di annullare gli atti di gara, ivi compresa l'aggiudicazione (Cfr. TAR Lombardia, Brescia, 29 novembre 2016, n. 1634). Si discuteva, invece, rispetto alla possibilità della stessa S.A. di agire in autotutela (e quindi, per quanto qui interessa, di annullare i provvedimenti di gara viziati) nei casi in cui il contratto fosse stato già stipulato.
Il d.lgs. 36 del 2023 recepisce alcuni orientamenti giurisprudenziali consolidatisi sul tema, affermando, in numerose previsioni, un generale potere di autotutela della S.A. In particolare:
l'articolo 5, comma 3 esplicitamente riconosce l'ipotesi della “aggiudicazione annullata (…) in autotutela”;
secondo quanto disposto dall'art. 17, comma 10, la pendenza di un contenzioso sulla procedura di gara non priva la S.A. del potere di autotutela sugli stessi (e sugli altri) atti della procedura (l'affermazione era già presente in alcune pronunce giurisprudenziali, tra cui TAR Lazio, Roma, 30 giugno 2017, n. 7518);
l'articolo 18, comma 2 prevede che la stipulazione del contratto abbia luogo divenuta efficace l'aggiudicazione e “fatto salvo l'esercizio di poteri di autotutela”;
ai sensi dell'articolo 68, comma 16, l'inosservanza del divieto di associazione in partecipazione comporta “l'esclusione dei concorrenti riuniti in raggruppamento o consorzio ordinario di concorrenti, nonché l'annullamento dell'aggiudicazione o la risoluzione del contratto”;
secondo quanto stabilito dall'articolo 93, comma 6, “in caso di rinnovo del procedimento di gara per effetto dell'annullamento dell'aggiudicazione o dell'esclusione di taluno dei concorrenti, è riconvocata la medesima commissione, tranne quando l'annullamento sia derivato da un vizio nella composizione della commissione”.
Particolarmente ampio appare il potere di autotutela consegnato dalla normativa sopracitata alla S.A., nel caso in cui si riscontrino profili di illegittimità riferiti agli atti di gara. Si afferma che “[a]nche in relazione ai procedimenti ad evidenza pubblica per l'affidamento di lavori, servizi e forniture, l'amministrazione conserva il potere di ritirare in autotutela il bando, le singole operazioni di gara o lo stesso provvedimento di aggiudicazione, ancorché definitivo, in presenza di vizi dell'intera procedura, ovvero a fronte di motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della gara” (Cons. Stato, sez. V, 16 maggio 2024, n. 4349).
Da ultimo, il d.lgs. 31 dicembre 2024, n. 209 – c.d. “correttivo” – ha confermato tale impostazione, introducendo il nuovo comma 3-bis dell'art. 99, ai sensi del quale la S.A. che accerti l'assenza dei requisiti in capo all'aggiudicatario recede dal contratto, “ferma l'applicabilità delle disposizioni vigenti in tema di esclusione, revoca o annullamento dell'aggiudicazione”.
Pertanto, ai sensi della normativa vigente, qualora non sia ancora pervenuta alla stipula del contratto, la S.A. è senza dubbio titolare di un potere di auto-annullamento degli atti viziati (es. bando, provvedimenti di ammissioni ed esclusioni, aggiudicazione).
Parimenti, come si dirà, la giurisprudenza ammette ormai pacificamente altresì l'esercizio del potere di autotutela anche in seguito alla stipulazione del contratto.
Restano da comprendere presupposti e limiti operativi imposti dalla giurisprudenza in riferimento all'esercizio di tale potere.
I presupposti per il legittimo esercizio dell'annullamento d'ufficio
Nonostante alcune singole pronunce giurisprudenziali considerino l'annullamento d'ufficio intervenuto prima del formale provvedimento di aggiudicazione quale un “evento del tutto fisiologico che esclude qualsivoglia affidamento tutelabile in sede di impugnazione degli atti della procedura selettiva”, da considerarsi “non come att[o] di esercizio del potere di autotutela (ai sensi degli artt. 21-quinquiese 21-nonies della l. n. 241 del 1990), ma come semplic[e] att[o] di ritiro che non richied[e] il raffronto tra l'interesse pubblico e quello privato sacrificato” (TAR Campania, Napoli, sez. III, 24 ottobre 2024), la giurisprudenza largamente maggioritaria considera applicabili alle procedure ad evidenza pubblica i presupposti per l'annullamento d'ufficio di cui all'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 (Cons. Stato, sez. V, 24 gennaio 2019, n. 604; TAR Valle d'Aosta, 13 luglio 2018, n. 36).
In particolare, l'orientamento prevalente richiede:
a) la sussistenza di un interesse pubblico, concreto e attuale, connesso all'annullamento: l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 8 del 2017, sebbene con qualche contraddizione, ha precisato che l'interesse al ripristino alla legalità violata non può farsi coincidere con l'interesse pubblico concreto e attuale richiesto dalla norma (e atto, quindi, a legittimare l'annullamento).
Nonostante alcune prime indicazioni contrarie fornite dalla giurisprudenza immediatamente dopo la citata Plenaria – le quali assumevano l'esistenza di un interesse pubblico consistente nella mera necessità di rimediare a errori presenti nella legge speciale di gara, ad esempio con riferimento alle categorie in cui iscrivere le opere da svolgere (cfr. Cons. Stato, sez. III, 9 agosto 2017, n. 3973; TAR Liguria, sez. I, 4 ottobre 2017, n. 747) –, un più recente orientamento pacificamente afferma che l'annullamento d'ufficio si deve fondare su un interesse pubblico diverso e ulteriore dall'illegittimità dell'atto, prevalente sull'affidamento ingenerato nei soggetti interessati e chiaramente esplicitato nella motivazione dell'atto di autotutela, pena l'illegittimità dell'atto (si veda, sul punto, TAR Sicilia, sez. III, 22 marzo 2017, n. 603; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 26 maggio 2020, n. 959).
b) il contemperamento dell'interesse pubblico rintracciato con gli altri interessi coinvolti nel caso concreto: è necessario che la S.A., nel contesto della valutazione sull'annullamento, tenga conto anche degli “interessi dei destinatari e dei controinteressati”, prendendo atto, tra le altre cose, della sussistenza di un potenziale conflitto tra l'interesse (pubblico) all'annullamento e quello (dell'amministrato) al mantenimento del provvedimento illegittimo; ciò al fine di non sacrificare, ingiustamente, l'affidamento riposto dai privati (sulle cui situazioni giuridico-soggettive il disposto annullamento officioso andrebbe negativamente ad incidere). In tale valutazione, sarà necessariamente da considerare lo stato di avanzamento della procedura.
Diverso il caso in cui sussista la malafede dell'operatore economico e quindi non rilevi la componente soggettiva dell'affidamento del privato, intesa come buona fede del soggetto che pone fiducia nello stato di cose esistente (si veda infra).
c) l'adeguata motivazione con riferimento all'interesse pubblico ulteriore e prevalente e al suo contemperamento con altri interessi: il provvedimento, in base a tale impostazione, deve contenere elementi atti a giustificare l'attività di valutazione svolta dall'amministrazione.
Per la rilevanza che la motivazione dell'atto di secondo grado riveste rispetto alla garanzia degli interessi dell'operatore economico che abbia incolpevolmente riposto affidamento sulla positiva conclusione della procedura di aggiudicazione, pongono qualche criticità le affermazioni giurisprudenziali che propongono di tarare l'ampiezza e la consistenza della giustificazione fornita dalla S.A. per l'autotutela sul tempo intercorso tra l'annullamento d'ufficio e l'atto principale (si veda, ad esempio, TAR Liguria, sez. II, 14 gennaio 2020, n. 23).
Per lo stesso motivo, maggiormente apprezzabile risulta l'affermazione di una motivazione attenuata o comunque per rinvio nel caso in cui il ritiro dell'atto segua un parere di precontenzioso dell'ANAC che abbia puntualmente motivato in ordine alla sussistenza di motivi di illegittimità (Cons. Stato, sez. V, 14 febbraio 2022, n. 1036).
d) la ragionevolezza del termine di annullamento e il rispetto del termine massimo dei 12 mesi dalla sua adozione, nel caso in cui il riesame incida su un provvedimento autorizzatorio ovvero attributivo di vantaggi economici: secondo quanto riportato in giurisprudenza, laddove l'atto di gara oggetto di annullamento sia attributivo di vantaggi economici (es. l'aggiudicazione), sarà doveroso il rispetto del termine previsto dall'art. 21-nonies, comma 1. Diversamente, il suddetto termine non è da considerarsi applicabile all'annullamento del bando, almeno laddove questo non avvenga in seguito all'aggiudicazione.
Con riferimento al dies a quo, si deve segnalare come il termine dell'art. 21-nonies sia stato considerato essenziale anche per l'esercizio da parte di ANAC del potere di sollecitare azioni di autotutela, in quanto espressione di “un principio di civiltà giuridica, funzionale a riequilibrare l'asimmetria immanente nel rapporto tra l'Autorità e gli amministrati, introducendo un limite temporale all'esercizio del potere amministrativo di riesame” (TAR Lazio, Roma, sez. II-bis, 13 dicembre 2018, n. 12160[EC1] ). Pare così superato, in base alla normativa attualmente vigente, l'orientamento proposto dall'Adunanza Plenaria n. 8 del 2017 in base al quale il termine decorrerebbe da quando il vizio viene “scoperto”, e non da quando l'atto viene emanato[EC2] .
Sempre a tal proposito, è stato affermato in Cons. Stato, sez. III, 22 marzo 2017, n. 1310, che il dies a quo, nei casi di annullamento dell'aggiudicazione, si deve fare decorrere dall'effettivo affidamento del contratto e non dall'emanazione degli atti prodromici della procedura (nella specie peraltro il Collegio aveva rilevato che il tempo trascorso tra la delibera di affidamento e l'annullamento, pari a 17 mesi e 6 giorni, laddove il termine di legge era indicato in 18 mesi, dovesse ritenersi ragionevole qualora l'erogazione del servizio non fosse ancora iniziata e lo stesso affidamento fosse già stato revocato appena cinque mesi dopo la sottoscrizione dell'accordo, posto che, in siffatte ipotesi, non si può ritenere consolidato alcun affidamento del privato). Occorre tuttavia precisare che l'applicabilità del termine massimo dei 12 mesi non esclude una valutazione caso per caso di possibile irragionevolezza di un termine inferiore. Non è detto, cioè, che un provvedimento emanato (nel rispetto degli altri suddetti presupposti e) prima dei 12 mesi sia, per ciò solo, legittimo.
Di più, ai sensi dell'art. 21-nonies, comma 2-bis, legge n. 241 del 1990, la S.A. potrà comunque annullare oltre i 12 mesi i provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali e di quelle previste dal capo VI del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.
La ratio della norma è quella di “evitare che si consolidino irreversibilmente gli effetti di provvedimenti illegittimi frutto della falsa rappresentazione dei fatti o di mendacio del privato, non essendo sussistente un legittimo affidamento del privato ed essendo prevalente l'interesse pubblico al ripristino della legalità violata anche a distanza di tempo dall'adozione del provvedimento illegittimo” (Cons. Stato, sez. VI, 26 marzo 2024, n. 2856).
In evidenza
Il Consiglio di Stato, con i pareri nn. 839/2016 e 1784/2016, ha espresso alcune perplessità circa la portata di suddetto comma 2-bis. Ha rilevato, più nel dettaglio, che non è chiaro quale sia l'esatta delimitazione della (unica) fattispecie di deroga ai 12 mesi prevista dall'art. 21-nonies, comma 2-bis: ad esempio, se tra le false rappresentazioni dei fatti rientri anche la difettosa indicazione del sistema normativo di riferimento; ovvero, se si possa aggiungere la possibilità di superare i 12 mesi, al di là delle condanne penali passate in giudicato, in tutti i casi in cui il falso è immediatamente evincibile dal contrasto con pubblici registri; ovvero, ancora, quale sia l'esatta portata del riferimento alle “sanzioni penali, nonché alle sanzioni previste dal capo IV del testo unico di cui al d.P.R. n. 445 del 2000”.
Con riferimento a quest'ultimo aspetto, le norme che vengono in rilievo sono gli articoli 75 (decadenza dai benefici) e 76 (norme penali). La problematica interpretativa si pone con più specifico riferimento alla prima delle indicate disposizioni che commina al dichiarante la decadenza dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione resa, qualora emerga la non veridicità del suo contenuto (fermo restando quanto previsto dal successivo articolo 76). Non è chiaro cioè se il legislatore abbia voluto farne salva l'applicazione o piuttosto se abbia inteso riferirsi alle sole sanzioni di carattere penale, sussistendo peraltro dubbi circa la possibilità di ricondurre la misura decadenziale al novero delle sanzioni, non costituendo questa una misura sanzionatoria afflittiva in senso proprio perché volta al mero ripristino della legalità.
Si pone in dubbio, poi, se l'esigenza della condanna accertata da sentenza penale passata in giudicato debba valere solo per le dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci, ovvero anche per le false rappresentazioni dei fatti.
Orientamenti a confronto
La giurisprudenza, sul punto, ha interpretato la norma in maniera divergente: un primo orientamento ha sostenuto che la previa sentenza penale passata in giudicato riguarda solo le “dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorietà false o mendaci” (TAR Lazio, Roma, sez. II-bis, 7 marzo 2017, n. 3215); secondo una tesi maggiormente garantista, invece, il comma 2-bis richiede testualmente che anche le false rappresentazioni dei fatti siano l'effetto "di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato” (TAR Campania, Salerno, sez. II, 27 aprile 2017, n. 780).
Tra i due orientamenti pare di recente essersi affermato come maggioritario il primo, che distingue nettamente tra le due ipotesi previste dalla norma e sottolinea che la deroga del limite temporale valga tutte le volte in cui il soggetto richiedente abbia rappresentato uno stato preesistente diverso da quello reale, atteso che, in questi casi, viene in rilievo una fattispecie non corrispondente (Cons. Stato, sez. VI, 27 febbraio 2024, n. 1926, che conferma TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 15 dicembre 2020, n. 6136; ma si veda altresì TAR Campania, Napoli, sez. II, 30 novembre 2020, n. 1822; Id., sez. IV, 14 gennaio 2022, n. 300 e TAR Puglia, Lecce, sez. I, 16 aprile 2021, ove si sottolinea che l'acclarata erroneità dei presupposti presuppone il dolo della parte e la non imputabilità di responsabilità all'Amministrazione procedente).
La comunicazione di avvio del procedimento di riesame
La procedura finalizzata all'annullamento di un atto, com'è noto, va comunicata a tre categorie di destinatari ai sensi dell'art. 7 della legge n. 241 del 1990: quelli diretti; coloro che per legge devono intervenire, perché portatori di una posizione qualificata; coloro che possono subire un pregiudizio dall'esito del procedimento.
Ad esempio, se ad essere annullata è l'aggiudicazione definitiva, la S.A. dovrà sicuramente comunicare l'avvio del procedimento di riesame all'aggiudicatario, quale diretto interessato della stessa (da ultimo, TAR Puglia, Lecce, sez. III, 20 gennaio 2022, n. 115).
Tuttavia, la giurisprudenza ha affermato che il provvedimento di annullamento dell'aggiudicazione non ancora divenuta efficace, volto all'accertamento del possesso dei requisiti previsti dal bando e dalla legge per giungere alla stipulazione del contratto, non costituisce un provvedimento di secondo grado e pertanto non deve essere preceduto, ai sensi e per gli effetti dell'art. 7, L. n. 241 del 1990, dalla comunicazione di avvio del procedimento (Cons. Stato, sez. IV, 25 luglio 2001, n. 4065; Cons. Stato, sez. V, 22 maggio 2015, n. 2570; TAR Veneto, sez. I, 18 luglio 2017, n. 684; TAR Lazio, Roma, sez. III, 3 gennaio 2018, n. 14; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 3 ottobre 2018, n. 945; TAR Abruzzo, Sez. I, 17 ottobre 2019, n. 245; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 12 giugno 2020, n. 1158; TAR Campania, Napoli, sez. V, 2 febbraio 2021, n. 702).
D'altra parte, il Consiglio di Stato ha affermato che l'omissione dell'avviso di avvio del procedimento in autotutela non vizia il provvedimento finale se l'interessato è venuto comunque a conoscenza del procedimento, sì da potere intervenire e presentare le controdeduzioni (Cons. Stato, sez. V, 22 luglio 2019, n. 5168).
Ancora, secondo la giurisprudenza l'esistenza di una misura interdittiva, che costituisce causa di esclusione ai sensi dell'art. 94 c.c.p., origina di per sé una situazione di urgenza qualificata che consente comunque, alla S.A., di derogare all'obbligo di preventiva comunicazione di avvio del procedimento (TAR Campania, Napoli, sez. I, 24 ottobre 2016, n. 4843).
Sollecitazione del potere officioso di annullamento
Oltre al diritto di impugnare atti di gara lesivi ritenuti illegittimi, l'interessato ha il potere di sollecitare, tramite presentazione di apposita richiesta in tal senso alla S.A., l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio.
Salvo ipotesi eccezionali normativamente previste (es. mendacio accertato con giudicato penale, cfr. Cons. Stato, sez. II, 2 novembre 2023, n. 9415), la richiesta non fa tuttavia sorgere in capo alla S.A. un dovere di provvedere, con la conseguenza che il silenzio della S.A. non sarà censurabile dinanzi al giudice amministrativo ex artt. 31 e 117 c.p.a. (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 255; 9 gennaio 2017, n. 20; 29 marzo 2021, n. 2622; TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 31 ottobre 2024, n. 3003).
Come affermato dalla giurisprudenza, l'inconfigurabilità di un obbligo di provvedere a fronte di istanze di riesame di atti sfavorevoli discende dalla natura officiosa e ampiamente discrezionale del potere di autotutela (Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 2020, n. 4394; 1 luglio 2011, n. 3949). È stato chiaramente affermato in proposito che “non sussiste alcun obbligo per l'Amministrazione di pronunciarsi su un'istanza volta a ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile dall'esterno l'attivazione del procedimento di riesame della legittimità dell'atto amministrativo mediante l'istituto del silenzio-rifiuto e lo strumento di tutela offerto ex art. 117 del d.lgs. n. 104/2010” (Cons. Stato, sez. IV, 9 marzo 2022, n. 1687 ma si veda già Cons. Stato, sez. V, 19 settembre 2019, n. 6240).
Ricorso avverso l'atto di riesame e sindacato del giudice
L'interessato potrà impugnare il provvedimento di annullamento emanato dalla S.A. qualora lo ritenga viziato.
Se la gara è in corso, coloro che hanno presentato la domanda hanno tutti interesse a preservare la chance di vittoria e, quindi, appaiono legittimati ad impugnare gli atti di riesame capaci di incidere su di provvedimenti il cui annullamento metta in forse l'intera procedura (ad esempio, l'atto di autoannullamento del bando; cfr. TAR Toscana, 12 maggio 2017, n. 672).
Nel caso in cui la gara si sia conclusa e vi sia un'aggiudicazione definitiva inoppugnata, l'aggiudicatario definitivo avrà certamente interesse a censurare l'atto di annullamento.
Sarà pure legittimato a impugnare l'atto di annullamento (ad esempio del bando) colui il quale, avendo partecipato alla gara, pur non essendo l'aggiudicatario definitivo, abbia impugnato l'aggiudicazione.
Il giudice amministrativo, nei suddetti casi di impugnazione, sarà chiamato a sindacare il buon esercizio della discrezionalità amministrativa, verificando che il percorso motivazionale della S.A. sia esaustivo, effettivo e ancorato al caso concreto, anziché affidato a formule di rito.
L'interessato che impugni l'annullamento potrà, inoltre, chiedere, ex art. 2043 cc, il risarcimento dei danni che da tale provvedimento gli siano derivati (cd., in senso a-tecnico, responsabilità precontrattuale spuria).
A questo proposito, si ricorda che l'art. 30 c.p.a. consente all'interessato di chiedere in via autonoma il risarcimento del danno che gli derivi dall'annullamento illegittimo anche senza subordinare l'azione alla richiesta di annullamento dell'atto lesivo da cui il danno è originato.
Tuttavia, com'è noto, lo stesso art. 30 dispone al comma 3 che il giudice, nel valutare la domanda di risarcimento autonoma, “valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti”: alla luce di questa disposizione, in combinato disposto con l'art. 1227 c.c., la giurisprudenza ritiene che il mancato esperimento dell'azione di annullamento (e/o dall'azione cautelare) da parte dell'interessato possa essere comunque negativamente valutato nei suoi riguardi (e che, quindi, sulla base di ciò, gli possa essere negato, in sede processuale, il diritto a ottenere il risarcimento del danno richiesto, posto che, se esso avesse esperito le altre azioni a sua disposizione, avrebbe potuto evitare il danno di cui si duole – o, quantomeno, ne avrebbe potuto evitare il suo aggravamento).
Sul risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale spuria e pura
Anche nel caso in cui il provvedimento di autotutela sia legittimo (e dunque non contestabile/contestato), l'interessato potrà comunque rivolgersi al giudice al fine di ottenere un risarcimento dei danni patiti. In questo caso, ovviamente, non chiederà il risarcimento di un danno derivante dal provvedimento amministrativo di secondo grado illegittimo, bensì, avanzerà domanda di risarcimento dei danni derivanti dalla scorrettezza comportamentale tenuta dalla S.A. nel corso delle trattative.
In siffatte ipotesi, la responsabilità contestata potrà essere qualificata quale responsabilità precontrattuale, come tale legittimante la richiesta, da parte dell'amministrato leso, del solo danno da interesse negativo (sull'ammissibilità della responsabilità precontrattuale in caso di autotutela, Cons. Stato, ad. Plen., 5 settembre 2005, n. 6; Cons. Stato, sez. V, 6 dicembre 2006, n. 7194; di recente, Cons. Stato, sez. IV, 15 settembre 2014, n. 4674).
Ad esempio, l'annullamento legittimo in autotutela dell'aggiudicazione può produrre responsabilità della S.A. per i danni che l'aggiudicataria provi di aver subito per aver anticipato, rispetto al contratto non ancora stipulato, l'esecuzione del servizio così come richiesto dalla stessa Amministrazione, avendo essa riposto affidamento sull'aggiudicazione medesima.
Il risarcimento cui la S.A. è in tal caso tenuta non consiste nel corrispettivo esigibile per una prestazione già resa, ma piuttosto in una sorta di ristoro fondato sulla lesione dell'affidamento ingenerato nell'impresa appaltatrice da un atto poi rivelatosi illegittimo ed annullato in autotutela (Cass. civ., sez. un., 29 maggio 2017, n. 13454).
La responsabilità pre-contrattuale discenderà allora dalla violazione dell'affidamento dell'amministrato (da esso incolpevolmente riposto nella validità dell'atto), oltre che dalla violazione della clausola di buona fede.
In evidenza
Sulla sussistenza della responsabilità precontrattuale in capo alla S.A. anche prima dell'aggiudicazione si è significativamente affermata l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la pronuncia 4 maggio 2018, n. 5.
La questione è stata proposta con ordinanza 24 novembre 2017, n. 5492 dalla Sezione III del Consiglio di Stato che, chiamata a pronunciarsi su una questione concernente l'annullamento d'ufficio di un atto di esclusione in presenza di indicazioni discordanti nella lex specialis di gara relativamente alla durata del contratto posto a base di gara, ha rilevato un contrasto giurisprudenziale tra un filone giurisprudenziale favorevole ad ammettere la responsabilità precontrattuale della SA anche prima della scelta del contraente, e uno teso a negarla, in assenza dei presupposti formali richiesti dall'art. 1337 c.c.
Ricostruendo l'evoluzione storica della configurazione della responsabilità precontrattuale e affermando la fondamentale rilevanza dell'istituto anche relativamente ai rapporti con la Pubblica Amministrazione, per tutelare sia la c.d. solidarietà corporativa, sia l'autodeterminazione negoziale, è stato affermato che “l'attuale portata del dovere di correttezza è oggi tale da prescindere dall'esistenza di una formale «trattativa» e, a maggior ragione, dall'ulteriore requisito che tale trattativa abbia raggiunto un livello avanzato da generare una fondata aspettativa in ordine alla conclusione del contratto”.
Alla luce del principio espresso dalla Plenaria, deve pertanto ritenersi che “la responsabilità della pubblica amministrazione possa configurarsi anche prima dell'aggiudicaizone e possa derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all'esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai (…) doveri di correttezza e buona fede”.
È stato dunque specificato che il comportamento della PA rilevante ai fini del risarcimento del danno è configurabile durante tutta la procedura ad evidenza pubblica. Rilevano pertanto sia i comportamenti anteriori al bando, sia quelli successivi.
Ad ogni modo, è sempre necessario che si dimostri la buona fede soggettiva del privato (i.e. l'affidamento incolpevole sull'esistenza di presupposti sui quali questi abbia fondato scelte economicamente onerose); la lesione di tale affidamento in ragione di una condotta oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e lealtà; la sussistenza di un'imputabilità soggettiva del comportamento alla PA, sia anche solo in termini di colpa; la prova del danno-evento e del nesso di causalità con la condotta censurata.
Sul quantum risarcibile alla luce del canonizzato principio di buona fede e tutela dell'affidamento
In tema di risarcibilità del danno conseguente all'esercizio di poteri di autotutela nelle gare pubbliche, pare rilevante segnalare - anche per l'impatto che lo stesso ha avuto sul legislatore del codice del 2023 - il principio di diritto espresso dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza 29 novembre 2021, n. 21.
Chiamata a pronunciarsi su questioni attinenti alla responsabilità della pubblica amministrazione per l'affidamento suscitato nel destinatario di un provvedimento di aggiudicazione di appalto di lavori illegittimamente emanato e annullato, la Plenaria ha (i) affermato che “l'affidamento è ormai considerato canone ordinatore dei comportamenti delle parti coinvolte nei rapporti di diritto amministrativo, come si evince anche dall'introduzione dell'art. 1, comma 2-bis nella l. n. 241 del 1990; (ii) confermato l'insegnamento della Plenaria n. 5 del 2018 in tema di configurabilità della responsabilità precontrattuale della PA anche prima della stipulazione del contratto e (iii) specificato l'elemento dell'affidamento incolpevole capace di generare risarcimento del danno, nei termini seguenti.
Richiamando la valenza, anche nei rapporti con la PA, dell'art. 1338 c.c., il quale assoggetta a responsabilità precontrattuale la “parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all'altra parte”, il Supremo Consesso ha considerato rilevante la conoscenza o la conoscibilità da parte del privato di una causa invalidante il contratto ai fini dell'esclusione dell'affidamento incolpevole da questi riposto nella legittimità della procedura.
In proposito, la Plenaria ha fatto propria l'affermazione di Cons. Stato, sez. V, 23 agosto 2016, n. 3674, secondo cui “al fine di escludere la risarcibilità del pregiudizio patito dal privato a causa dell'inescusabilità dell'ignoranza dell'invalidità dell'aggiudicazione, (…) il giudice deve verificare in concreto se il principio di diritto violato sia conosciuto o facilmente conoscibile da qualunque cittadino mediamente avveduto, tenuto conto dell'univocità dell'interpretazione della norma di azione e della conoscenza e conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l'invalidità”.
Come anticipato, il legislatore del codice ha fatto proprio tale orientamento giurisprudenziale, sancendo, all'art. 5, comma 3, che “In caso di aggiudicazione annullata su ricorso di terzi o in autotutela, l'affidamento non si considera incolpevole se l'illegittimità è agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti”.
Tale formulazione ha invero suscitato qualche perplessità in dottrina, relativamente all'onere richiesto alla parte di valutazione della legittimità del provvedimento, in un contesto iper-regolamentato e complesso sotto il profilo interpretativo quale quello della disciplina dei contratti pubblici. È stato in proposito avanzato che il codice introduca una sorta di presunzione di colpa dell'aggiudicatario, su cui possono ricadere anche gli errori del committente e le incertezze normative.
Ad ogni modo, laddove tali elementi siano dimostrati, per quanto concerne la valutazione e la quantificazione del danno, la giurisprudenza ammette sia la restituzione delle spese inutilmente sopportate in vista della conclusione del contratto (danno emergente) sia il rimborso dell'eventuale perdita provata relativa a ulteriori contratti vantaggiosi (lucro cessante). Viene d'altro canto escluso il mancato guadagno che sarebbe stato realizzato con la stipulazione e l'esecuzione del contratto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 novembre 2007, n. 55784; Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 2008, n. 1667; Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2008, n. 2680; Cons. Stato, sez. IV, 7 febbraio 2012, n. 662).
Annullamento officioso a contratto già stipulato
Sotto la vigenza del d.lgs. n. 163 del 2006 e, successivamente, del d.lgs. n. 50 del 2016, ampio è stato il dibattito circa l'ammissibilità dell'esercizio del potere di annullamento in autotutela a contratto già stipulato.
La giurisprudenza, dal proprio canto, dopo alcune incertezze iniziali, aveva sostenuto l'ammissibilità dell'annullamento d'ufficio anche successivamente alla stipulazione del contratto, in base alla natura generale dei poteri di autotutela in capo alla PA (ex multis TAR Puglia, Bari, sez. I, 12 Gennaio 2011, n. 20, TAR Puglia, Bari, sez. I, 27 Luglio 2011, n. 116 e TAR Lazio, Roma, sez. II-bis, 10 settembre 2010, n. 32215; Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2010, n. 743; Cons. Stato, sez. V, 4 gennaio 2011, n. 11).
Anche l'Adunanza plenaria n. 14 del 2014 aveva, in un obiter dictum, specificato che restava impregiudicata per la stessa stazione appaltante “la possibilità dell'annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione definitiva anche dopo la stipulazione del contratto”.
Tale orientamento è divenuto invero maggioritario, sia in giurisprudenza, ove si specifica che il potere di autotutela permane anche dopo l'aggiudicazione della gara e la stipulazione del contratto, con conseguente inefficacia di quest'ultimo (si vedano, ex multis, Cons. Stato, sez. V, 7 marzo 2022 n. 1621; TAR Lazio, Roma, sez. I, 22 dicembre 2022, n. 17331; TAR Marche, sez. I, 27 giugno 2022, n. 393; CGARS, 24 maggio 2017, n. 247), sia nelle affermazioni dell'ANAC: con Deliberazione n. 295 del 17 giugno 2024, l'Autorità ha sancito che (i) laddove l'intervento in autotutela si renda necessario oppure anche solo opportuno per la salvaguardia di un superiore interesse pubblico, le aspettative del ricorrente devono essere considerate recessive; (ii) in caso di annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione, anche per motivi riguardanti la carenza di requisiti in capo all'aggiudicatario, non vi è alcun obbligo in capo alla PA di procedere allo scorrimento della graduatoria.
Annullamento officioso e risoluzione ex articolo 122 c.c.p.
Pare utile rilevare altresì come due distinte fattispecie indicate all'art. 122 del codice come idonee a provocare una risoluzione del contratto d'appalto “senza limiti di tempo” siano in realtà assimilabili a casi di autotutela, in considerazione del necessario rilievo di ipotesi in cui l'aggiudicazione (eventualmente non ancora efficace) sia illegittima e dunque da annullare.
Si tratta, in particolare, delle fattispecie di cui al comma 1, lettere c) e d) del citato articolo, relative, rispettivamente, al caso in cui l'aggiudicatario si trovi, al momento dell'aggiudicazione, in una delle situazioni che determinano esclusione automatica di cui all'art. 94, comma 1 c.c.p. e al caso in cui l'appalto non avrebbe dovuto essere aggiudicato in considerazione di una grave violazione degli obblighi derivanti dai trattati europei.
Anche in base alla giurisprudenza formatasi sulle corrispettive previsioni dei precedenti testi normativi, di cui si è dato conto supra, si può affermare che la S.A., stipulato il contratto, resti depositaria del potere di annullamento officioso degli atti di gara e che le ipotesi di cui alle lettere c) e d) dell'art. 122 del nuovo codice siano state espressamente codificate al solo fine di precisare che, in quei casi, la stazione appaltante potrà sciogliere il vincolo contrattuale anche al di fuori del limite temporale dei 12 mesi, cui altrimenti resterebbe assoggettata.
Si viene così a formare, nei casi citati, un doppio binario per la stazione appaltante, la quale è titolare del potere di scegliere tra il ricorso allo strumento pubblicistico (annullamento d'ufficio), ove ne ricorrano i presupposti, e quello privatistico (risoluzione del contratto), che presenta meno limiti, quantomeno sotto il profilo procedimentale e temporale.
Come evidente, le conseguenze rispetto alla scelta dell'una o dell'altra opzione sono rilevanti, in termini, ad esempio, di obbligo di motivazione, limiti di cui all'art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 (come supra individuati), retroattività dello scioglimento del vincolo e giurisdizione in caso di controversie.
A tali ipotesi si aggiungono poi quelle disciplinate dal comma 2 dell'art. 122, relative ai casi in cui la SA è tenuta a risolvere il contratto. La lett. a) di detto comma si riferisce al caso in cui nei confronti dell'appaltatore sia intervenuta la decadenza dell'“attestazione di qualificazione per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci”; la lett. b), invece, contempla i casi in cui sia intervenuto un provvedimento definitivo che dispone l'applicazione di una o più misure di prevenzione di cui al codice delle leggi antimafia e delle relative misure di prevenzione, ovvero sia intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato per determinati reati.
Tra le interpretazioni proposte nei commenti alla previsione, pare prevalere quella che identifichi entrambe le fattispecie di cui al comma 2 citato come risoluzione legata alla decadenza del contratto per il venir meno dei requisiti soggettivi (e non già come ipotesi di annullamento d'ufficio doveroso).
Sembra che, in ogni caso, la ricostruzione in termini di annullamento doveroso sia da escludersi quantomeno per l'ipotesi di cui alla lettera b) suddetta: essa si riferisce ad una sopravvenienza fattuale, che, intervenendo successivamente, quando concretizzatasi, non legittima (e quindi non impone) l'esercizio di un potere di annullamento, ma semmai fa sorgere, in capo alla S.A., il potere/dovere pubblicistico di scioglimento del vincolo contrattuale basato su un atto originario divenuto contra jus.
Conferma di ciò potrebbe rinvenirsi anche nella modifica legislativa apportata alla norma in tema di scioglimento del vincolo contrattuale in ipotesi di concessioni, ossia l'art. 190 c.c.p. il quale significativamente indica in termini di risoluzione le ipotesi che, nel previgente testo normativo, erano indicate come “cessazione della concessione”, così mantenendo l'ambiguità tra ipotesi di autotutela e intervento sul rapporto contrattuale.
La giurisdizione nel caso della risoluzione post-contratto
Le fattispecie di risoluzione autenticamente privatistiche appartengono evidentemente alla cognizione del giudice ordinario (come già tradizionalmente avveniva con riguardo alle diverse fattispecie di risoluzione e recesso contemplate dal vecchio codice dei contratti; nel senso della sussistenza della giurisdizione del Giudice ordinario con riguardo alle ipotesi di risoluzione per reati accertati, per decadenza dall'attestazione e per gravi inadempimenti o irregolarità di cui agli artt. 135 e 136 del d.lgs. n. 163/2006, cfr. Cass. civ., sez. un., 6 maggio 2005, n. 9391 e Cons. Stato, sez. V, 17 ottobre 2008, n. 5071).
Nel caso di risoluzione conseguente ad annullamento d'ufficio, invece, il riparto dovrà avvenire sulla base del criterio ordinario della causa petendi (o petitum sostanziale): il profilo della legittimità dell'atto di ritiro, allora, apparterrà alla cognizione del giudice amministrativo; quello della sorte del contratto, invece, spetta alla giurisdizione del go (su cui, Cass., sez. un., ord. 24 aprile 2023, n. 10800).
Tuttavia, si potrà optare anche per una interpretazione estensiva del dettato dell'art. 133 comma 1 lett. e) del c.p.a. e così deporre a favore del radicamento della giurisdizione esclusiva del g.a. anche nelle ultime ipotesi suddette (sul tema, si veda Cons. Stato, Ad. Plen., 29 novembre 2021, n. 20).
Legittimazione ad agire dell'ANAC
L'art. 52-ter d.l. n. 50 del 2017, introdotto dalla legge di conversione l. 21 giugno 2017, n. 96 ha introdotto una disciplina “sostitutiva” delle raccomandazioni vincolanti di ANAC; ispirata dall'art. 21-bis l. n. 287 del 1990, incentrato sulla legittimazione “speciale” dell'Autorità Antitrust in materia di provvedimenti amministrativi lesivi delle norme a tutela della concorrenza.
Tale disciplina è confluita nell'art. 220 del d.lgs. n. 36 del 2023 ai sensi del quale l'ANAC, se ritiene che una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del codice, può “sollecitare” l'esercizio del potere di autotutela della stazione appaltante, entro sessanta giorni dalla notizia della violazione.
Resta da capire, tra le altre cose, se questa autotutela sollecitata dall'ANAC debba rispettare il modello generale (e, dunque, resti incardinata negli spazi della discrezionalità): la soluzione, infatti, non è scontata, in quanto la giurisprudenza formatasi sull'analogo modello che riguarda l'AGCM è giunta ad approdi diversi sulla discrezionalità dell'autotutela sollecitata.
Su questo e altri profili problematici sollevati dalla figura in commento, si rinvia alla Bussola di M. Lipari, Legittimazione processuale speciale dell'ANAC.
Casistica
La revoca dell'aggiudicazione definitiva di una gara pubblica è logicamente e funzionalmente pregiudiziale rispetto all'annullamento d'ufficio dell'esecuzione anticipata del contratto, atteso che la rimozione in autotutela degli effetti dell'esecuzione anticipata del contratto di per s+ non implica il venir meno dell'aggiudicazione, mentre l'eliminazione dell'aggiudicazione impedisce all'evidenza che l'affidamento in via d'urgenza possa continuare a produrre i suoi effetti (Cons. Stato, sez. V, 13 marzo 2017, n. 1138).
È irrilevante ai fini della legittimità del provvedimento di autotutela la duplice qualificazione del provvedimento di secondo grado in termini di revoca o annullamento, posto che uno stesso elemento fattuale può contemporaneamente rappresentare motivo di illegittimità del provvedimento e ragione di opportunità dello stesso. Nel caso di specie, relativo a una procedura di project financing, l'erronea indicazione del valore della concessione, oltre che giustificare l'esercizio del potere di autotutela ai sensi dell'art. 21-nonies l. 241 del 1990, era altresì presupposto idoneo a consentire la revoca per mancata rispondenza della proposta presentata all'interesse pubblico (Cons. Stato, sez. V, 24 agosto 2023, n. 7927).
La sospensione della licenza per un determinato periodo di tempo lasciato all'operatore economico per mettersi in regola, pena la decadenza della licenza originaria, non costituisce provvedimento di annullamento d'ufficio, trattandosi di un atto con finalità cautelari e di natura sanzionatoria (Cons. Stato, sez. V, 16 luglio 2018, n. 4330).
In presenza di una informazione interdittiva antimafia emessa dal Prefetto competente, la SA, conformandosi al suddetto provvedimento, deve annullare in autotutela l'aggiudicazione disposta per perdita in capo al concorrente del requisito dell'assenza di tentativi di infiltrazione mafiosa (ANAC, Delibera 26 marzo 2024, n. 159).
È legittimo l'operato della stazione appaltante che, resasi conto del proprio errore, agisca in autotutela annullando l'aggiudicazione inizialmente disposta in favore di un'impresa e poi aggiudicando la gara ad altra impresa la cui offerta, pur essendo stata presentata nei termini alla procedura cui era stata regolarmente invitata, non era stata inizialmente valutata per mero errore burocratico della stazione appaltante (TAR Molise, sez. I, 20 marzo 2017, n. 101).
Nelle gare pubbliche, in ragione del potere di autotutela e a prescindere da un'espressa previsione del bando, alla stazione appaltante spetta la verifica della legittimità̀ delle operazioni espletate dalla commissione; conseguentemente, lì dove la stazione appaltante rilevi, in un momento successivo alla verifica eventualmente operata dalla commissione di gara, una carenza del possesso dei requisiti speciali di partecipazione prescritti, è legittima la decadenza dell'aggiudicazione (Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3841; TAR Lazio, Roma, sez. I, 19 marzo 2010, n. 4321).
L'amministrazione deve sempre evitare di concludere un contratto ove questo risulti in contrasto con norme imperative, deve perciò interrompere la trattativa privata avviata e deve annullare gli atti della gara ad evidenza pubblica (Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2011 n. 780).
È legittimo l'operato dell'amministrazione appaltante che, ancorché fosse intervenuto il provvedimento di aggiudicazione definitiva dell'affidamento, ha nondimeno ritenuto di dover procedere in autotutela alla ulteriore verifica della sussistenza in capo all'aggiudicataria dei requisiti di partecipazione alla gara previsti dalla lex specialis, ciò essendo del resto pienamente coerente con la tutela dell'interesse pubblico che osta all'affidamento di pubblici appalti a soggetti che non abbiano i requisiti previsti dalla legge o dalla stessa lex specialis della gara (Cons. Stato, sez. V, 14 giugno 2017 n. 2891).
Allorquando il nuovo provvedimento, che sfocia nella caducazione di quello originario si sia limitato piuttosto a riscontrare, senza esercitare alcun potere discrezionale e sulla base di inequivoci elementi di fatto emersi successivamente, l'originaria o comunque la pregressa carenza dei presupposti di partecipazione alla gara, non si è in realtà in presenza di un vero e proprio nuovo procedimento, del tutto autonomo e separato da quello originario, bensì di una semplice ulteriore fase di quello, al quale il nuovo è indissolubilmente legato in modo diretto ed immediato (Cons. Stato, sez. V, 22 maggio 2015, n. 2570; TAR Veneto, sez. I, 18 luglio 2017, n. 684).
L'erronea richiesta di documenti da parte della stazione appaltante ex art. 48, comma 2, al soggetto che era stato escluso dalla gara, non può essere intesa come un implicito ritiro in autotutela (annullamento) di una precedente esclusione (TAR Lombardia, Milano, 20 gennaio 2017, n. 145).
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Sommario
I presupposti per il legittimo esercizio dell'annullamento d'ufficio
Ricorso avverso l'atto di riesame e sindacato del giudice
Sul risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale spuria e pura
Sul quantum risarcibile alla luce del canonizzato principio di buona fede e tutela dell'affidamento