La soddisfazione delle spese in prededuzione nelle procedure da sovraindebitamento
01 Giugno 2018
Sono a sottoporre alla vostra attenzione un dubbio che riguarda la situazione in cui un debitore in crisi da sovraindebitamento sia proprietario di un unico bene immobile (già oggetto di esecuzione): non mi è chiaro, infatti, come, nel caso di specie, l'accesso alla liquidazione prevista dall'art. 14-ter L. n. 3/2012 si concili con l'art. 14-duodecies comma 2° L. n. 3/2012: “I crediti sorti in occasione o in funzione della liquidazione o di uno dei procedimenti di cui alla precedente sezione sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti”. Nello specifico: tutte le spese di tipo generico non strettamente connesse alla vendita dell'immobile che la procedura di sovraindebitamento dovrà affrontare (sto pensando alle spese relative all'Organismo, al Gestore, allo Stimatore, all'eventuale Professionista che abbia assistito il Debitore nella presentazione del piano, le spese generiche per le comunicazioni ai creditori e via di seguito…) avranno natura prededucibile, ma come potranno essere soddisfatte sulla base dell'esclusione indicata al secondo comma dell'art. 14-duodecies L. n. 3/2012? Ma il tenore letterale della norma mi lascia il dubbio anche per le spese relative alla vendita dell'immobile (solo il buon senso le può far attingere a quanto ricavato dalla vendita).
Il quesito attiene alla ripartizione dell'attivo in esito alla procedura di liquidazione dei beni di cui agli artt. 14-ter e ss. della L. 27 gennaio 2012, n. 3. Nello specifico, tale quesito interessa la collocazione delle spese generali della procedura e delle spese specifiche delle vendite immobiliari, a fronte della disposizione dell'art. 14 duodecies, comma 2, della citata legge ove è stabilito che “I crediti sorti in occasione o in funzione della liquidazione o di uno dei procedimenti di cui alla precedente sezione sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti.” In premessa, giova ricordare che giurisprudenza e dottrina sono concordi - seppur con qualche margine di incertezza - nel ricondurre i compensi spettanti all'Organismo di Composizione della Crisi (oltre che all'eventuale professionista incaricato della presentazione della domanda di liquidazione e al liquidatore), nonché le spese inerenti alla vendita immobiliare tra i crediti sorti in occasione o in funzione della liquidazione. I crediti suddetti, in forza del citato art. 14 duodecies, comma 2, L. n. 3/2012, devono essere “preferiti” rispetto agli altri in sede di ripartizione dell'attivo, con l'eccezione dell'attivo riveniente dalla cessione di beni oggetto di pegno e ipoteca; tale quota dell'attivo, infatti, secondo il tenore letterale della disposizione, deve essere versata ai creditori ipotecari e pignoratizi sino a concorrenza del proprio credito. Con la conseguenza che, in ipotesi di incapienza del bene gravato da ipoteca o pegno, i crediti in prededuzione - a rigore - non dovrebbero trovare alcuna soddisfazione dalla liquidazione dello stesso. Come noto, la norma in questione - al pari dell'art. 13, comma 4 bis, della medesima legge in tema di accordo e piano del consumatore - riproduce quanto stabilito dagli artt. 111, comma 2, e 111 bis, comma 3, l. fall. Non è stata invece replicata la disposizione di cui all'art. 111-ter l. fall. che, nella procedura fallimentare, coordina la “preferenza” accordata ai crediti sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali con la salvaguardia dei crediti assistiti da pegno o da ipoteca. Segnatamente, tale disposizione stabilisce che sul ricavato della vendita dei beni oggetto di pegno o di ipoteca vadano imputate le spese specifiche inerenti alla vendita suddetta, nonché le spese generali della procedura secondo un criterio proporzionale. In coerenza con la lettura estensiva - offerta da una parte della giurisprudenza - della disciplina che regola le procedure concorsuali, autorevole dottrina ha quindi suggerito un'applicazione analogica della disposizione di cui all'art. 111-ter l. fall. Tale soluzione, almeno con riguardo alle spese specifiche della vendita immobiliare, troverebbe un conforto normativo (i) nell'art. 14 quinquies, comma 3, L. n. 3/2012, che equipara il decreto di apertura della procedura di liquidazione dei beni all'atto di pignoramento, in forza dell'art. 2777, comma 1, c.c. e, (ii) ancor più nell'art. 14 undecies, L. n. 3/2012, laddove prevede che i beni sopravvenuti alla domanda di liquidazione diventino parte della massa attiva della procedura, “dedotte le passività incontrate per l'acquisto e la conservazione dei beni medesimi”. Ciò precisato, non parrebbero peraltro rinvenirsi pronunce giurisprudenziali a conferma della soluzione qui delineata. Ferma l'opportunità di una tale soluzione, allo stato dell'arte risulterebbe pertanto maggiormente convincente l'orientamento (anche) dottrinale che riconduce la fattispecie in esame a una questione di “fattibilità” della liquidazione e quindi di (in)ammissibilità della stessa: non sarebbe ammissibile la domanda del debitore che intenda giovarsi della procedura di liquidazione e dei benefici a essa connessi senza approntare le spese necessarie per instaurarla. In tal senso, pare essersi orientato il Tribunale di Alessandria in una pronuncia del 15 ottobre 2016 nell'esaminare una domanda di liquidazione di un patrimonio costituito essenzialmente da immobili ipotecati; il Tribunale ha dichiarato inammissibile tale domanda ritenuto - tra l'altro - che “secondo la stessa prospettazione dei ricorrenti, tenuto conto della destinazione del loro stipendio al proprio personale mantenimento, dalla liquidazione del loro patrimonio, oltre alle spese delle procedure esecutive, non […] verrebbero soddisfatti in minima parte e parzialmente alcuni creditori ipotecari mentre nulla verrebbe praticamente e sostanzialmente pagato neppure all'OCC e al liquidatore i quali dovrebbero quindi lavorare gratis, là dove i professionisti dei ricorrenti sarebbero invece interamente pagati da “terzi”;” e che alla luce del “risultato minimale e parziale in termini di soddisfazione dei creditori che la liquidazione potrebbe comunque comportare, non si vede come la liquidazione, ex art. 14 quinquies, potrebbe essere aperta e come i ricorrenti, ex art. 14 terdecies, potrebbero ottenere l'esdebitazione, risultato finale al quale essi concretamente mirano”. Di conseguenza, fatta salva (forse) la rilevanza dell'inciso poc'anzi riportato circa le spese delle procedure esecutive (che parrebbero essere preferite alla soddisfazione dei creditori ipotecari), sembra che al vuoto legislativo si debba sopperire in via di fatto; sembra, cioè, che spetti al debitore che propone una domanda di liquidazione garantirne la fattibilità, assicurandosi che vi siano beni e/o somme adeguate al sostegno delle spese in prededuzione. Nel caso di un patrimonio costituito da un unico bene immobile ipotecato - ipotesi peraltro già affrontata dalla giurisprudenza di merito - la soluzione potrebbe nel concreto essere ricercata in una parziale rinuncia da parte del creditore ipotecario, in un apporto da parte di terzi o eventualmente in crediti (certi) futuri; soluzioni già peraltro valutate positivamente con l'apertura della procedura di liquidazione da parte del Tribunale di Milano e del Tribunale di Rovigo (Trib. Milano 22 aprile 2017, in www.ilcaso.it, 2017, e Trib. Rovigo 31 gennaio 2018, in Fallimentiesocietà, 2018). L'attuale quadro sopra delineato e le ipotesi operative che ne derivano risultano chiaramente inadeguate, soprattutto se si ha riguardo ai casi in cui la liquidazione consegue alla conversione della procedura di composizione ex art. 14-quater, L. n. 3/2012 quale “sanzione” al debitore. Con la conseguenza che - in ultima analisi - tali carenze legislative finiscono di fatto col vanificare la ratio dell'intera legge, i.e. la consegna ai privati di uno strumento (valido, s'intende) per superare la propria crisi senza ricorso all'usura. S'imporrebbe, in tal caso, e per tale ragione, l'interpretazione estensiva o analogica già detta dell'art. 111-ter l.fall..
Riferimenti normativi – Art. 14-duodecies, comma 2, L. 27 gennaio 2012, n. 3.
Riferimenti giurisprudenziali – Sull'applicazione analogica della disciplina delle procedure concorsuali alle procedure relative alla crisi da sovraindebitamento, Trib. Cuneo 25 marzo 2017, in questo portale, 2017, e Trib. Cuneo 19 settembre 2017, in www.tribunale.cuneo.it, 2017. Sull'inammissibilità di una domanda di liquidazione per carenza di soddisfazione dei creditori e dei professionisti, Trib. Alessandria 15 ottobre 2016, in Fallimentiesocietà, 2016. Sulla ipotesi della procedura di liquidazione di un patrimonio costituito da un unico immobile, Trib. Milano 22 aprile 2017, in Il caso, 2017, Trib. Napoli Nord 5 dicembre 2017, ivi, 2017 e Trib. Rovigo 31 gennaio 2018, in Fallimentiesocietà, 2018.
Riferimenti dottrinali – Sulle spese in prededuzione nelle procedure relative alla crisi da sovraindebitamento, De Matteis-Graziano, Crisi da sovraindebitamento ovvero il fallimento del consumatore, Santarcangelo di Romagna, 2015, 84; Brescia-Caldiero-Damiani, La composizione della crisi da sovraindebitamento, San Marino, 2013, 164. Sull'applicazione analogica della disciplina fallimentare alla ripartizione dell'attivo nella procedura di liquidazione dei beni, D'Orazio-Filocamo-Paletta, Attestazioni e controllo giudiziario nelle procedure concorsuali, Milano, 2015, 448; Donzelli, Prime riflessioni sui profili processuali delle nuove procedure concorsuali in materia di sovraindebitamento, in Dir. fall., 2013, 609 ss.; Di Marzio, L'estensione e la tutela del patrimonio oggetto di liquidazione nella novella legislativa, in La “nuova” composizione della crisi da sovraindebitamento: in vigore dal 19 dicembre 2012, a cura di Di Marzio-Macario-Terranova, Il Civilista, 2013, 84. Sulla inammissibilità delle procedure relative alla crisi da sovraindebitamento per mancata previsione della copertura delle spese in prededuzione, Crivelli, Profili applicativi delle procedure di accordo e di piano del consumatore, in Dir. fall., 2017, 526 ss., ove è chiaramente affermato che la questione delle spese “va posta in termini di fattibilità del piano o dell'accordo (si badi bene) una volta proposti (con le apposite domande). Alla luce di ciò appare logico e coerente che si possa dichiarare l'inammissibilità laddove ad esempio il piano preveda delle vendite, che come noto hanno costi quantomeno di pubblicità, e non preveda però le fonti da cui approvvigionare le relative risorse economiche per eseguirle. Più in generale infatti, dato che il piano o la proposta devono essere idonei a soddisfare prima di tutto “i crediti sorti in occasione o in funzione di uno dei procedimenti di cui alla presente sezione” (art. 13, comma 4 bis, e art. 14 duodecies, comma 2), è evidente - a parere dello scrivente - che se essi non prevedono il modo di soddisfare tali crediti, non sussistono i presupposti di fattibilità ed eseguibilità.” |