Risoluzione del rapporto per raggiungimento dei limiti di età pensionabile

Francesco Rotondi

Inquadramento

Il datore di lavoro può risolvere, anche in assenza di specifica motivazione (e, quindi, ad nutum), il rapporto di lavoro allorquando il prestatore di lavoro raggiunga i limiti di età per l'accesso al trattamento pensionistico (di vecchiaia). Qualora tuttavia, il lavoratore, che abbia maturato i requisiti per accedere al trattamento pensionistico di vecchiaia, opti (dandone specifica comunicazione al datore di lavoro con adeguato preavviso) per la prosecuzione dell'attività lavorativa sino al raggiungimento dei 70 anni (salvi gli adeguamenti alla speranza di vita), lo stesso avrà diritto di prestare la propria attività, con garanzia, fino a tale età, di applicazione della tutela contro i licenziamenti illegittimi.

Formula

Lettera raccomandata A/R

(o A mani)

Egr. Sig./Gent. Sig.ra

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Con la presente, essendo Lei in possesso dei requisiti per il conseguimento del trattamento pensionistico e non avendo Lei esercitato l'opzione per la prosecuzione del rapporto oltre il limite, siamo spiacenti di comunicarLe la risoluzione del Suo rapporto di lavoro per raggiungimento dei limiti di età in data ....

Lei è esonerato/a dal prestare servizio durante il periodo di preavviso contrattualmente stabilito, in relazione al quale Le sarà corrisposta l'indennità sostitutiva, unitamente alle altre competenze di fine rapporto da Lei maturate.

Distinti saluti.

Luogo e data ....

Firma del datore di lavoro ....

Commento

Il datore di lavoro può risolvere, anche in assenza di specifica motivazione (e, quindi ad nutum – si veda il Commento alla formula “Lettera di licenziamento ad nutum”), il rapporto di lavoro allorquando il prestatore di lavoro raggiunga i limiti di età per l'accesso al trattamento pensionistico (di vecchiaia), sempre che – come si vedrà – il lavoratore non opti per la prosecuzione dell'attività lavorativa fino al 70° anno di età, e comunque fino al raggiungimento di detto limite.

La riforma dei regimi pensionistici (d.l. 6 dicembre 2011, n. 201- art. 24, comma 4 – convertito, con modificazioni, nella l. 22 dicembre 2011, n. 214), modificando la previgente disciplina contenuta nell'art. 4 l. n. 108/1990, ha innalzato l'età pensionabile elevandola in base a tetti variabili ed incentivato la prosecuzione dell'attività lavorativa.

Infatti, il lavoratore che abbia maturato i requisiti per accedere al trattamento pensionistico di vecchiaia potrà, dandone specifica comunicazione al datore di lavoro, decidere di proseguire l'attività lavorativa sino al raggiungimento dei 70 anni (salvi gli adeguamenti alla speranza di vita), avendo, in tal caso, diritto a prestare la propria attività, con garanzia, fino a tale età, di applicazione della tutela contro i licenziamenti illegittimi.

L'eventuale licenziamento intimato, con effetto differito, prima del compimento dell'età pensionabile e motivato dal solo fatto del raggiungimento di questa, è illegittimo (Cass. n. 12558/1993. In senso contrario: Cass. n. 5356/1995). Ma tale previsione, richiamando solo le tutele previste dall'art. 18 l. n. 300/1970, non troverebbe applicazione in caso di recesso intimato nel campo di applicazione del d.lgs. n. 23/2015 in materia di tutele crescenti.

L'eventuale clausola di risoluzione automatica di cessazione del rapporto al raggiungimento di un dato giorno certus quando è nulla: “La tutela reale nei confronti dei licenziamenti illegittimi (quale prevista dall'art. 18 l. 20 maggio 1970 n. 300) non si applica, secondo il disposto dell'art. 4, comma 2, l. 1 maggio 1990 n. 108, nei confronti dei prestatori lavoro ultrasessantenni i quali non si siano avvalsi dell'opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro. Tuttavia solamente la maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia e non anche il mero raggiungimento della massima anzianità retributiva comporta la recedibilità “ad nutum” dal rapporto di lavoro, né sussiste nel rapporto di lavoro contrattualizzato dei dipendenti delle poste italiane la facoltà dell'amministrazione di collocare a riposo d'ufficio il dipendente al compimento del quarantesimo anno di servizio. Sarebbe infatti nulla, secondo la normativa propria del contratto a termine, la clausola che pattuisse la cessazione del rapporto di lavoro ad un giorno certus quando” (Cass. n. 3237/2003).

Il raggiungimento del limite massimo di età senza alcuna manifestazione di recesso da parte del datore di lavoro ai sensi e per gli effetti dell'art. 2118 c.c. non vale, dunque, ad interrompere il rapporto (Cass. n. 2380/2007, nel caso specifico erano i 65 anni).

Dalla ritenuta illegittimità della previsione di un automatico recesso, discende che il compimento dell'età prevista da un contratto collettivo come causa di cessazione del rapporto di lavoro può determinare non l'automatica estinzione del rapporto, ma unicamente la cessazione del regime di stabilità e della tutela prevista dalla l. n. 604 del 1966, con la conseguenza che l'esercizio della facoltà di recesso ad nutum deve comunque assicurare al lavoratore l'indennità di preavviso. La clausola contrattuale collettiva che preveda l'estinzione automatica del rapporto di lavoro per raggiunti limiti di età può valere a rendere inapplicabile la l. n. 604 del 1966, ma non l'art. 2118 c.c. (Cass. n. 19903/2005; Cass. n. 6396/1995; Cass. n. 5977/1995).

Aderendo a tale principio, ancora nel 2015 la Suprema Corte ha affermato che “Il presupposto del raggiungimento dell'età massima prevista dall'art. 11 della legge n. 604 del 1966, poi trasfuso nell'art. 4 legge n. 108 del 1990, il verificarsi del quale determina la cessazione del regime di stabilità del rapporto di lavoro e quindi la libertà di recesso del datore di lavoro, deve sussistere al momento in cui questo manifesta la relativa volontà, non essendo sufficiente che detto presupposto sussista alla data fissata per l'estinzione del rapporto, con la conseguenza che il licenziamento intimato prima del venir meno della garanzia della stabilità deve considerarsi illegittimo in mancanza di giusta causa o giustificato motivo di recesso e non può assumere efficacia per un tempo successivo” (Cass. n. 7899/2015).

In sostanza, il recesso per raggiunti limiti di età non può, secondo l'orientamento testé illustrato, essere comunicato in via anticipata in modo da far coincidere la scadenza del preavviso (lavorato) con il raggiungimento dell'età pensionabile.

Questo almeno secondo l'orientamento maggioritario, dal quale si è recentissimamente discostata la Corte di Cassazione, la quale, rispetto al caso in cui il datore di lavoro abbia comunicato o ricordato (in corso di rapporto assistito da stabilità reale) al lavoratore la cessazione del suo rapporto di lavoro al raggiungimento del 65° anno di età, con un congruo anticipo rispetto a tale evento, coincidente con la durata del periodo di preavviso previsto dal contratto collettivo per il licenziamento intimato ai sensi e per gli effetti dell'art. 2118 c.c., ha affermato: “La comunicazione del datore di lavoro di collocamento a riposo del dipendente, in forza di clausola contrattuale di automatica risoluzione del rapporto lavorativo al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età, non integra un'ipotesi di licenziamento, ma esprime solo la volontà datoriale di avvalersi di un meccanismo risolutivo previsto in sede di autonomia negoziale, sicché, in siffatta ipotesi, non compete al lavoratore il diritto all'indennità sostitutiva del preavviso, in assenza delle finalità sottese all'art. 2118 c.c.” (Cass. n. 1743/2017).

Con tale pronuncia, la Suprema Corte si è uniformata all'orientamento minoritario, precisando altresì come la modalità di risoluzione del rapporto esaminata sia legittima sempre che non venga contestata dal lavoratore interessato mediante adeguata impugnazione della comunicazione anticipatoria del licenziamento; si ritiene valga anche in questo caso il termine di 60 giorni per l'impugnazione stragiudiziale del licenziamento ritenuto ingiustificato.

Ogni lavoratore (uomo o donna) ha diritto di optare per la prosecuzione del rapporto al fine di aumentare l'anzianità contributiva, dando un preavviso di almeno sei mesi (d.l. 22 dicembre 1981, n. 791, art. 6 e art. 24, comma 4 d.l. n. 201/2011, convertito con modificazioni in l. n. 214/2011).

Esercitando tale opzione, viene mantenuto il regime di tutela contro il licenziamento illegittimo precedentemente applicabile al rapporto, fatte salve le conseguenze derivanti dalla instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro in data successiva al 7 marzo 2015.

In merito all'esercizio della facoltà di opzione per i dirigenti, l'effetto dell'opzione è unicamente quello di rendere nulle le clausole di risoluzione automatica del contratto al raggiungimento di una data età o comunque inammissibile il licenziamento motivato per raggiunti limiti di età.

Nell'elaborazione giurisprudenziale prevalente, l'esercizio dell'opzione per la prosecuzione del rapporto comporterebbe la nullità di un eventuale licenziamento intimato per il raggiungimento dell'età pensionabile (Cass. n. 21702/2008; Cass. n. 28529/2008; Corte cost., n. 465/1994; Trib., Milano, ord., 10 aprile 2013, n. 2403). Ma tale orientamento va rivisto alla luce delle ultime riforme relative ai limiti di età per l'accesso al trattamento di pensione e alla luce dell'orientamento dalla suprema corte di Cassazione a Sezioni Unite in merito al diritto di opzione alla prosecuzione del rapporto di lavoro che non attribuirebbe al lavoratore un diritto potestativo in materia ma richiede sempre il consenso da parte del datore di lavoro (cfr. Cass. S.U., n. 1758/2015).

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