Impugnazione del licenziamentoInquadramentoIl licenziamento, nella forma individuale, integra un'ipotesi di recesso datoriale dal rapporto di lavoro subordinato, disciplinata dalla legge attraverso norme, dirette a limitarne l'esercizio, che trovano ragione d'essere nelle istanze di tutela del prestatore di lavoro. FormulaSpettabile .... .... OGGETTO: IMPUGNAZIONE LICENZIAMENTO Io sottoscritto, nato a .... il ...., residente in ...., con la presente impugno formalmente il licenziamento da Voi intimatomi con comunicazione del ...., pervenuta in data ...., in quanto invalido e/o nullo e/o illegittimo e/o inefficace. Distinti saluti. Luogo e data .... Firma del datore di lavoro .... CommentoL'impugnazione del licenziamento costituisce atto recettizio; lo stesso richiede la forma scritta e la sottoscrizione del lavoratore. Ai sensi dell'art. 6 della legge n. 604/1966, il licenziamento deve essere impugnato, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale. L'impugnazione deve intervenire a mezzo di atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a palesare la volontà del lavoratore, anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale. L'impugnazione stragiudiziale diviene, però, inefficace nell'ipotesi in cui ad essa non faccia seguito, entro i centottanta giorni successivi, il deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o la comunicazione alla controparte della richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato. Ove questi ultimi vengano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato, parimenti a pena di decadenza, nel termine di sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo. (Si veda per approfondimenti il Commento alla formula “Licenziamento per giusta causa”). L'art. 6, comma 2, della l. n. 604 del 1966, nel testo novellato dall'art. 32 della l. n. 183 del 2010, nel prevedere l'inefficacia della impugnazione stragiudiziale del licenziamento non seguita tempestivamente dall'azione giudiziale, comporta che il termine di decadenza per proporre tale azione decorra dalla data di impugnativa stragiudiziale di licenziamento anche laddove il lavoratore l'abbia impugnato con maggiore tempestività, senza la necessità di attendere lo scadere del termine, posto a pena di decadenza dal comma 1 del medesimo articolo, di sessanta giorni dalla comunicazione dell'atto di recesso (Cass. n. 12352/2017). La Suprema Corte di Cassazione ha affermato che “Al lavoratore che non abbia tempestivamente impugnato il licenziamento è precluso l'accertamento giudiziale dell'illegittimità del recesso e, conseguentemente, la tutela risarcitoria in base alle leggi speciali, né il giudice può conoscere dell'illegittimità del licenziamento per ricollegare al recesso illegittimo le conseguenze risarcitorie di diritto comune, in quanto l'ordinamento prevede, per la risoluzione del rapporto di lavoro, una disciplina speciale, con un termine breve di decadenza (sessanta giorni) all'evidente fine di dare certezza ai rapporti giuridici” (Cass. n. 5107/2010). Con la medesima pronuncia, il Supremo Collegio ha altresì precisato che “Il lavoratore che decade dall'impugnativa del licenziamento non può, in un secondo momento, chiedere il risarcimento dei danni derivanti dal recesso illegittimo secondo l'azione ordinaria. Se l'onere di impugnare nel termine di sessanta giorni non viene assolto, infatti, il giudice non può conoscere dell'illegittimità del licenziamento nemmeno per ricollegare, di per sé, al recesso conseguenze risarcitorie di diritto comune”. Con sentenza del 10 marzo 2010, n. 5804 la Suprema Corte ha invece statuito:“La mancata impugnazione del licenziamento nel termine fissato non comporta la liceità del recesso del datore di lavoro, bensì preclude al lavoratore soltanto la possibilità di reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 18 l. n. 300/70; tuttavia, ciò non preclude al dipendente di proporre nei confronti del datore l'azione ordinaria di risarcimento ex art. 1218 c.c. per altri profili di danno, previa allegazione dei presupposti”. La domanda relativa al licenziamento deve ritenersi preclusa dalla decadenza maturata ai sensi dell'art. 32 l. n. 183/2010 che prevede il termine di decadenza di sessanta giorni per l'impugnazione stragiudiziale del licenziamento, cui deve seguire a pena di inefficacia il deposito del ricorso giurisdizionale nei successivi centottanta giorni (Trib. Roma, 22 maggio 2017, n. 4801). Di recente, la Suprema Corte, modificando l'orientamento già espresso, ha affermato che “La disciplina della invalidità del licenziamento è caratterizzata da specialità, rispetto a quella generale della invalidità negoziale, desumibile dalla previsione di un termine di decadenza per impugnarlo e di termini perentori per il promovimento della successiva azione di impugnativa, che resta circoscritta all'atto e non è idonea a estendere l'oggetto del processo al rapporto, non essendo equiparabile all'azione con la quale si fanno valere diritti autodeterminati; ne consegue che il giudice non può rilevare di ufficio una ragione di nullità del licenziamento diversa da quella eccepita dalla parte, trovando tale conclusione riscontro nella previsione dell'art. 18, comma 7, l. n. 300 del 1970, come modificato dalla l. n. 92 del 2012, e dell'art. 4 del d.lgs. n. 23 del 2015, nella parte in cui fanno riferimento all'applicazione delle tutele previste per il licenziamento discriminatorio, quindi affetto da nullità, “sulla base della domanda formulata dal lavoratore” (Cass. n. 7687/2017; contra, Cass. n. 17286/2015; si vedano anche Cass. n. 19142/2015; Cass. n. 13673/2015; Cass. S.U., n. 2624/2014). |