Offerta di conciliazione (recesso rientrante nel campo di applicazione del d.lgs. n. 23/2015)InquadramentoAl recesso datoriale dal rapporto di lavoro instaurato a decorrere dal 7 marzo 2015 si applicano le disposizioni del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, di attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (Jobs Act). Disposizioni intervenute, sostanzialmente, a circoscrivere il campo di applicazione della tutela reale. FormulaEgr. Sig. .... .... .... Facciamo seguito alla nostra lettera del .... da Lei ricevuta/ritirata il .... [1] per comunicarLe con la presente la nostra offerta di conciliazione della lite ai sensi dell'art. 6 d.lgs. n. 23/2015, da formalizzare poi nelle sedi di cui all'art. 2113 c.c. così determinata .... [2] In ragione di quanto sopra, La invitiamo pertanto a prendere in considerazione la nostra proposta rammentandoLe che l'accettazione da parte Sua della somma sopra indicata e la contestuale sottoscrizione del verbale di conciliazione in una delle sedi previste dall'art. 2113 c.c. comporteranno la conferma dell'estinzione del rapporto di lavoro e la rinuncia da parte Sua a iniziare la vertenza connessa all'atto di recesso (oppure a proseguire la vertenza iniziata con l'impugnazione del recesso qualora l'offerta venga formalizzata ad impugnazione avvenuta). Qualora fosse Sua intenzione accettare la proposta di cui sopra, La preghiamo di formularci cortese e sollecito riscontro – anche per il tramite del legale di Sua fiducia - in quanto la formalizzazione della presente offerta economica dovrà avvenire entro e non oltre il ( ....) (dare indicazione del termine tenendo conto che la legge prevede che il tutto debba essere concluso entro il termine massimo di 60 giorni dalla ricezione del licenziamento). Distinti saluti Luogo e data .... Il legale rappresentante .... Si rammenta che la legge prevede che tutta la procedura prevista dall'art. 6 del d.lgs. n. 23/2015 debba concludersi entro i termini per proporre l'impugnazione stragiudiziale del licenziamento, quindi entro i 60 giorni previsti dall'art. 6 della l. n. 604/1966. Nell'ipotesi in cui il lavoratore, anche a mezzo del legale di fiducia, abbia già provveduto ad effettuare l'impugnazione stragiudiziale del recesso è possibile dare indicazione degli estremi di ricezione di tale atto di impugnazione. Ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 23/2015, come modificato dall'art. 3, comma 1-bis, del d.l. 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni nella legge 9 agosto 2018, n. 96, il datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, in una delle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, del codice civile, e all'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettato a contribuzione previdenziale, di ammontare pari a una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a tre (prima della novella del 2018, non inferiore aa due) e non superiore a ventisette (diciotto prima del d.l. n. 87/2018) mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare. L'accettazione dell'assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l'estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l'abbia già proposta. Nelle aziende che non raggiungono i requisiti dimensionali previsti dall'art. 18 l. n. 300/1970, commi ottavo e nono, tali importi sono dimezzati e non possono superare il limite delle sei mensilità ai sensi dell’art. 9, c. 1 del d.lgs. n. 23/2015. CommentoAl recesso datoriale dal rapporto di lavoro instaurato a decorrere dal 7 marzo 2015 si applicano le disposizioni del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, di attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (Jobs Act). Tale decreto, segnatamente agli artt. 3 e 6, è stato oggetto di modifica da parte del d.l. n. 87/2018, convertito con modificazioni nella l.n. 96/2018. Disposizioni che, più precisamente, si applicano ai lavoratori, che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di cui si tratta, coincidente con l'entrata in vigore del decreto. Ma, pure, negli altri casi previsti dalla legge e, quindi, nei casi di conversione, successiva alla data anzidetta, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato. E, da ultimo, nelle ipotesi in cui il requisito occupazionale di cui all'art. 18, commi 8 e 9 della legge 20 maggio 1970, n. 300, non sussistente, venga integrato in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all'entrata in vigore del decreto. Con la conseguenza che, in tali ipotesi, il licenziamento dei lavoratori, anche se assunti precedentemente alla data di cui si tratta, è disciplinato dalle nuove disposizioni (art. 1, d.lgs. n. 23/2015). Le disposizioni trovano applicazione, oltretutto, con riferimento ai datori di lavoro non imprenditori, che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto (art. 9, comma 2, d.lgs. n. 23/2015). Il decreto n. 23/2015 non modifica le nozioni di giusta causa e giustificato motivo, né la necessaria giustificazione del licenziamento. Ai licenziamenti che rientrano nel campo di applicazione del detto decreto si applicano le regole sui termini di preavviso. Ad essi non si applicano, invece, le disposizioni di cui all'art. 7 della legge n. 604/1966 – si veda il commento alla formula “Lettera di licenziamento per giustificato motivo oggettivo con preavviso (tutele crescenti)”. In ordine al regime sanzionatorio si rinvia al Commento alla Formula Licenziamento per giusta causa. Concorrono a conferire stabilità e certezza giuridica alla decisione risolutiva datoriale le disposizioni che regolano gli specifici termini fissati per l'impugnativa del licenziamento illegittimo. L'art. 6 della legge n. 604/1966 stabilisce, infatti, che il licenziamento debba essere impugnato, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, a mezzo di atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a palesare la volontà del lavoratore, anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale. Impugnazione, questa, che diviene, però, inefficace nell'ipotesi in cui ad essa non faccia seguito, entro i centottanta giorni successivi, il deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o la comunicazione alla controparte della richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato. Ove questi ultimi vengano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato, parimenti a pena di decadenza, nel termine di sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo. Le disposizioni del d.lgs. n. 23/2015 contemplano, poi, con lo scopo di evitare il giudizio per l'impugnazione dei licenziamenti intimati sulla base delle nuove regole, l'offerta di conciliazione ad opera del datore di lavoro. L' l'art. 6 del d.lgs. n. 23/2015 ha previsto la possibilità per il datore di lavoro di offrire al lavoratore un importo, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, in una delle sedi di cui all'art. 2113 c.c. ed all'art. 76 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, la cui accettazione comporta l'estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia all'impugnazione, anche se già proposta. Tale importo, come statuito al comma 1 del citato art. 6, non costituisce reddito imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, non è soggetto a contribuzione previdenziale ed è stabilito in un ammontare pari a una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio; la misura di detto importo, prevista inizialmente in una misura non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilità, è passata, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 87/2018 ad una misura non inferiore a tre e non superiore a ventisette mensilità. Nelle aziende che non raggiungono i requisiti dimensionali previsti dall'art. 18 l. n. 300/1970, commi ottavo e nono, tali importi sono dimezzati e non possono superare il limite delle sei mensilità ai sensi dell'art. 9, c. 1 del d.lgs. n. 23/2015. |