Informativa del datore di lavoro al personale avente ad oggetto i nominativi dei dipendenti addetti alla vigilanza dell’attività lavorativa (l. 20 maggio 1970, n. 300, art. 3)InquadramentoIncombe sul datore di lavoro l'onere di comunicare ai lavoratori interessati i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa. FormulaCon la presente si informa il personale - ai sensi di quanto previsto dall'art. 3, legge 20 maggio 1970, n. 300-, che i seguenti dipendenti sono addetti alla vigilanza dell'attività lavorativa: • (cognome, nome) (qualifica) (mansioni); • (cognome, nome) (qualifica) (mansioni); • (cognome, nome) (qualifica) (mansioni); • …. Data e luogo…… Il datore di lavoro……. CommentoLo Statuto dei Lavoratori individua all'art. 3 un preciso obbligo a carico del datore di lavoro che consiste nel comunicare al proprio personale i nominativi dei dipendenti (e le relative mansioni) ai quali sono assegnati compiti di vigilanza sul lavoro e sui comportamenti dei lavoratori stessi prima che il processo di vigilanza prenda vita (la norma pone dunque un obbligo di pubblicità). Il personale di vigilanza dovrebbe avere accesso ai soli locali aziendali frequentati dai lavoratori per scopi diversi dalla prestazione lavorativa (per esempio, mensa e locali in cui si svolgono le riunioni sindacali). La norma in esame è dunque posta a tutela della libertà e dignità del lavoratore, delimitando la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei suoi interessi, con specifiche attribuzioni nell'ambito dell'azienda (rispettivamente con poteri di polizia giudiziaria a tutela del patrimonio aziendale e di controllo della prestazione lavorativa). Essa ha altresì perseguito l'obiettivo, disciplinandone le modalità di esercizio, di privare la funzione di vigilanza dell'impresa degli aspetti più "polizieschi" (Cass. n. 6350/1999 che richiama Cass. n. 10761/1997). Non è, tuttavia, del tutto impossibile affermare che la norma abbia voluto sancire un divieto generico di controllo occulto (Cass. n. 5599/1990). Va evidenziato che ove il potere di vigilanza sia esercitato dal datore di lavoro in modo tale da arrecare un'offesa alla dignità del lavoratore, il rischio è quello di esporsi ad una richiesta di risarcimento del danno eventualmente cagionato ai lavoratori. Del pari va anche sottolineato - fermo restando quanto sopra e cioè che la norma si pone in un'ottica di tutela dei lavoratori - che l'art. 3 St. Lav. non ha fatto venire meno il potere proprio del datore di lavoro (secondo quanto previsto dall'art. 2086 e 2104 c.c.) di controllare, direttamente o mediante l'organizzazione gerarchica che a lui fa capo e che è conosciuta dai dipendenti, l'adempimento delle prestazioni cui costoro sono tenuti e, così, di accertare eventuali mancanze specifiche dei dipendenti medesimi, già commesse o in corso di esecuzione. Ciò indipendentemente dalle modalità con le quali sia stato compiuto il controllo, il quale, attesa la suddetta posizione particolare di colui che lo effettua, può legittimamente avvenire anche occultamente, senza che vi ostino né il principio di correttezza e buona fede nell'attuazione del rapporto di lavoro, né il divieto di cui all'art. 4 della stessa legge n. 300 del 1970 riferito esclusivamente all'uso di apparecchiature per il controllo a distanza e non applicabile analogicamente, siccome penalmente sanzionato (Cass. n. 3039/2002 che richiama la giurisprudenza costante in materia di cui Cass. n. 5599/1990; Cass. n. 1263/1982; Cass. n. 829/1992; Cass. n. 7933/1998; Cass. n. 8998/2001; più recentemente Cass. n. 9749/2016). E neppure ha fatto venir meno i poteri di direzione, di controllo tecnico del lavoro svolto e di sorveglianza del personale dipendente riconosciuti ai collaboratori dell'imprenditore, fra i quali rientrano i capi turno. Da sottolineare, inoltre, come la norma non contenga alcun riferimento alla qualifica soggettiva dei lavoratori adibiti all'attività di sorveglianza. In merito sembra corretto affermare che è opinione consolidata, in dottrina e in giurisprudenza, che la titolarità del potere di controllo deve essere pubblicizzata soltanto qualora non la si possa autonomamente dedurre dalla posizione occupata all'interno dall'organizzazione aziendale da colui che lo esercita. Di conseguenza, lo svolgimento dei controlli da parte del datore di lavoro o dei superiori gerarchici – che, per la loro stessa qualità, sono come tali conosciuti dai lavoratori – rimane escluso dall'ambito di operatività dell'art. 3 St. Lav. Norma che sembrerebbe dunque circoscritta alla vigilanza del personale di altro tipo che in un qualche modo può intervenire a controllare il regolare svolgimento dell'attività lavorativa, quali i c.d. sorveglianti di fabbrica, che svolgono all'interno dell'azienda esclusivamente funzioni di controllo, o i dipendenti che sono ammessi ad esercitare tali funzioni da una posizione equiordinata rispetto ai colleghi di lavoro (v. ad es. Cass. n. 7933/1998). Infine l'art. 3 St. lavoro vieta ogni forma di controllo occulto intesa ad accertare la trasgressione, nello svolgimento della prestazione lavorativa, delle prescrizioni di cui all'art. 2104 c.c., ossia di quelle attività tipicamente connesse con l'esecuzione degli obblighi contrattualmente assunti dal lavoratore (v. Cass. n. 10761/1997). E così per il concetto di controlli “difensivi” sui comportamenti illeciti del lavoratore v. Cass. n. 7455/1991 che ha precisato che l'art. 3 non trova applicazione nelle ipotesi in cui il controllo sia preordinato ad accertare l'eventuale realizzazione, da parte dei lavoratori, di comportamenti illeciti esulanti dalla normale attività lavorativa pur se commessi nel corso di essa; o sulla legittimità di controlli (occulti) operati da agenzie investigative v. Cass. n. 9576/2001. E Cass. n. 9167/2003 ha ricordato come sia essenziale che il controllo effettuato a mezzo di agenzie investigative non riguardi né l'adempimento né l'inadempimento dell'obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera – essendo l'inadempimento stesso riconducibile, come l'adempimento, all'"attività lavorativa", che è sottratta alla loro "vigilanza" – ma si limiti agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell'obbligazione contrattuale prospettata, come, ad esempio, l'appropriazione indebita di danaro riscosso per il datore di lavoro e sottratto alla contabilizzazione. |