Subappalto: rimessione alla CGUE della questione pregiudiziale relativa alla compatibilità con il diritto eurounitario dei limiti quantitativi al subappalto

29 Giugno 2018

La decisione in commento si incentra sulla compatibilità con i principi di libertà di stabilimento, di libera prestazione dei servizi e di proporzionalità nonché con la disciplina del subappalto dettata dalle Direttive europee, delle previsioni dell'art. 118, d.lgs. n. 163 del 2006 sui limiti del 30% di quota massima subappaltabile e del 20% di massimo ribasso per il prezzo delle prestazioni subappaltate.
Massima

È rimessa alla Corte Giustizia la questione se i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del TFUE, gli artt. 25 della Direttiva 2004/18/CE e 71 della Direttiva 2014//24/UE, che non contemplano limitazioni per quanto concerne la quota subappaltabile ed il ribasso da applicare ai subappaltatori, nonché il principio eurounitario di proporzionalità, ostino all'applicazione di una normativa nazionale in materia di appalti pubblici, quale quella italiana contenuta nell'art. 118, commi 2 e 4, d.lgs. n. 163 del 2006, secondo la quale il subappalto non può superare la quota del 30% dell'importo complessivo del contratto e l'affidatario deve praticare, per le prestazioni affidate in subappalto, gli stessi prezzi unitari risultanti dall'aggiudicazione, con un ribasso non superiore al 20%.

Il caso

La vicenda riguarda la procedura di gara per l'affidamento del servizio di pulizia da espletarsi nei locali dell'Università La Sapienza di Roma, soggetta alle previsioni del d.lgs. n. 163 del 2006.

Il Tar Lazio accoglieva il ricorso del RTI secondo classificato, affidato ad una articolata serie di motivi - tra cui la violazione dei limiti quantitativi al subappalto previsti ai cc. 2 e 4 del dell'art. 118 del d.lgs. n. 163 del 2006 - ritenendo illegittima la mancata disamina in concreto, da parte della Stazione Appaltante, delle caratteristiche che avrebbe avuto il massiccio ricorso, mediante subappalto, alle cooperative sociali di tipo B che aveva permesso al RTI aggiudicatario di giustificare l'elevato ribasso offerto, nonché ritenendo sussistere la violazione dell'art. 118 comma 4 in quanto le prestazioni lavorative affidate in subappalto risultavano retribuite con corrispettivi ribassati di oltre il 20% rispetto a quelli praticati nei confronti dei propri dipendenti diretti.

In sede di appello, il Consiglio di Stato, ritenendo dirimente ai fini del decidere la questione del superamento dei limiti quantitativi al subappalto, ha ritenuto di dover sospendere il giudizio per rimettere alla Corte di Giustizia la suddetta questione pregiudiziale.

La questione

La decisione in commento si incentra sul dubbio, sollevato dall'appellante e condiviso dal Collegio, circa la compatibilità con i principi di libertà di stabilimento, di libera prestazione dei servizi e di proporzionalità nonché con la disciplina del subappalto dettata dalle Direttive europee, delle previsioni dell'art. 118, d.lgs. n. 163 del 2006 sui limiti del 30% di quota massima subappaltabile e del 20% di massimo ribasso per il prezzo delle prestazioni subappaltate.

In particolare, il Consiglio di Stato, rilevando come la nuova e la previgente Direttiva non prevedano alcun limite per il subappalto e, al contempo, dando atto che limiti di maggior rigore rispetto a quanto previsto dalla normativa sovranazionale potrebbero giustificarsi per ragioni di ordine e sicurezza pubblici, chiede alla Corte di Giustizia di dirimere il dubbio interpretativo.

Le soluzioni giuridiche

Premesso il rilievo dirimente ai fini del decidere della questione della sostenibilità del forte ribasso ottenuto dal RTI aggiudicatario attraverso l'affidamento in subappalto di una quota delle attività da svolgere superiore al 30%, con riconoscimento in favore delle imprese subappaltatrici di un compenso inferiore di oltre il 20% rispetto ai prezzi praticati verso la stazione appaltante, l'argomentazione del Collegio prende le mosse dalla disamina delle disposizioni legislative che, nel tempo, hanno introdotto e reiterato la disciplina dei limiti quantitativi al subappalto, evidenziando come la ratio di tali previsioni si incentri sulla consapevolezza che tale strumento, soprattutto laddove resti confinato alla fase esecutiva dell'appalto e sfugga al controllo amministrativo, si presti ad essere utilizzato per eludere le regole di gara e acquisire indebitamente commesse pubbliche nell'ambito di contesti criminali.

Prendendo atto della recente ordinanza con cui il Tar Lombardia ha rimesso alla Corte di Giustizia la questione della compatibilità con il diritto comunitario dell'ultima norma sui limiti quantitativi al subappalto (art. 105 d.lgs. n. 50 del 2016), il Collegio ritiene “quale giudice di ultima istanza” di dover fare lo stesso con riferimento alla analoga disciplina contenuta nel vecchio Codice.

I parametri normativi rispetto ai quali si ipotizza il contrasto sono gli stessi, mutatis mutandis, ritenuti dai giudici lombardi: in specie, i principi di libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi desumibili dal Trattato e le previsioni della Direttiva in tema di subappalto nella parte in cui non limitano quantitativamente la facoltà di ricorrere al subaffidamento, come interpretate dalla Corte di Giustizia.

In proposito vengono richiamati due precedenti (CGUE, 5 aprile 2017 in causa C-298/15 e 14 luglio 2016 in causa C-406/14) in cui i Giudici comunitari hanno ritenuto contrastanti con gli artt. 49 e 56 TFUE e con le previgenti Direttive appalti una norma di legge lituana che imponeva all'aggiudicatario di realizzare la componente principale dei lavori e una clausola del Capitolato d'oneri di una gara indetta dalla città di Wroclaw in Polonia che richiedeva che l'aggiudicatario eseguisse con risorse proprie una determinata percentuale dei lavori.

Il Consiglio di Stato sottolinea come in tale ultima pronuncia la Corte di Giustizia abbia ritenuto in linea di massima non conforme alle previsioni della Direttiva 2004/18/CE l'imposizione della percentuale massima di subaffidamento al contempo precisando che l'amministrazione aggiudicatrice ha, invece, il diritto di vietare il ricorso a subappaltatori per l'esecuzione di parti essenziali dell'appalto quando non sia stata in grado di verificare le loro capacità in occasione della valutazione delle offerte e della selezione dell'aggiudicatario (in senso conforme, sentenza 18 marzo 2004, in causa C-314/01).

Deducendo dalla disamina dei precedenti la non coincidenza delle disposizioni nazionali con il diritto dell'Unione europea come interpretato dalla Corte di Giustizia, il Collegio aggiunge, a supporto della decisione di operare il rinvio pregiudiziale, che i limiti di cui ai cc. 2 e 4 dell'art. 118 del d.lgs. n. 163 del 2006 possono rendere più difficoltoso l'accesso alle imprese agli appalti pubblici, in particolare di quelle di piccole e medie dimensioni precludendo, altresì, all'amministrazione di ricevere offerte più numerose e diversificate.

Il rinvio viene, tuttavia, operato senza prendere una posizione netta sul tema, tanto che, in conclusione dell'ordinanza, vengono riportate le ragioni che giustificano l'introduzione delle soglie: sul punto sono richiamati i pareri resi dallo stesso Consiglio di Stato sul progetto di nuovo Codice e sul decreto correttivo (pareri n. 855/2016 e n. 782/2017) nella parte in cui si rileva che il legislatore nazionale può porre al subappalto limiti più pregnanti rispetto a quanto previsto nelle Direttive, che tuttavia non costituiscono un ingiustificato goldplating se fondati su ragioni di ordine pubblico, tutela della trasparenza e mercato del lavoro. Inoltre, il Collegio aggiunge che l'eliminazione del limite di cui all'art. 118 comma 2 implicherebbe il rischio di aggiudicazioni “non sicure” in ragione della difficoltà di valutare effettivamente la sostenibilità dell'offerta, mentre l'eliminazione del limite di cui al c. 4 potrebbe consentire forme occulte di dumping salariale con possibile effetto anticoncorrenziale.

Osservazioni

Se è vero che la disciplina europea, a differenza di quella nazionale, non detta limiti quantitativi al subappalto, tuttavia non sembra, alla luce delle stesse considerazioni svolte nell'ordinanza in commento, che tale discrasia sia sufficiente a giustificare il dubbio di compatibilità dell'art. 118 d.lgs. n. 163 del 2006 in parte qua.

La Corte di Giustizia interpreta le norme europee in materia ritenendo legittimi i limiti al subappalto contenuti in previsioni nazionali nei casi in cui in gara non sia possibile verificare i requisiti e la capacità dei subappaltatori, il che dovrebbe indurre a ritenere conformi al diritto UE i limiti di cui ai cc. 2 e 4 dell'art. 118, in quanto tale previsione non contempla l'obbligo di indicare in sede di offerta la terna dei subappaltatori (a differenza dell'art. 105 del nuovo Codice che introduce l'obbligo di indicazione per gli appalti sopra soglia e, comunque, per quelli che riguardino le attività maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa) e, quindi, di individuare già in gara i subaffidatari e produrre, con riferimento agli stessi, le dichiarazioni relative alla sussistenza dei requisiti di partecipazione.

L'impossibilità, nei casi in cui si applichi il vecchio Codice, di conoscere i subappaltatori prima dell'inizio della esecuzione delle relative prestazioni implica il rischio che, solo in fase esecutiva, magari già avanzata, emerga l'utilizzo di imprese non affidabili nonché, in fase di gara, l'impossibilità di verificare la sostenibilità dell'offerta ad es. interpellando i subappaltatori sui prezzi dagli stessi effettivamente praticati.

L'esigenza di scongiurare tali rischi, nel settore delle commesse pubbliche sovente interessato da fenomeni di infiltrazione criminale e in cui è rilevante l'esigenza di prevenire inadempimenti, concretizza quel “valore superiore” che, a dire dello stesso Consiglio di Stato, giustifica i limiti al subappalto.

Infine, la pronuncia in commento appare suscettibile di rilievi critici laddove, pur argomentando la rilevanza della questione pregiudiziale con il carattere dirimente, ai fini del decidere, del tema del rispetto o meno dei cc. 2 e 4 dell'art. 118, tuttavia non motiva il presumibile contestuale rigetto degli altri motivi del ricorso in primo grado.

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