Cessione di azienda e perdita della qualificazione

Redazione Scientifica
19 Luglio 2018

L'art. 76, comma 11, del D.P.R. n. 207/2010 deve essere interpretato nel senso che la cessione del ramo d'azienda non comporta automaticamente la perdita della qualificazione, occorrendo...

L'art. 76, comma 11, del D.P.R. n. 207/2010 deve essere interpretato nel senso che la cessione del ramo d'azienda non comporta automaticamente la perdita della qualificazione, occorrendo procedere a una valutazione in concreto dell'atto di cessione, da condursi sulla base degli scopi perseguiti dalle parti e dell'oggetto del trasferimento.

L'art. 76, comma 11 cit., nel suo tenore testuale e lessicale, si riferisce prima di tutto alla persona del cessionario, al quale è riconosciuto il diritto di chiedere l'attestazione alla SOA del possesso dei requisiti di qualificazione;

La norma contiene un riferimento alla persona del cedente esclusivamente per la parte in cui gli consente (si tratta di una mera facoltà, non di un obbligo o di un onere) di chiedere una nuova attestazione, che tenga conto dell'avvenuta cessione negoziale e delle relative sopravvenienze verificatesi;

Desumere da questa previsione (che risponde a ben altra ratio) la sussistenza di un onere o di un obbligo giuridico a carico del cedente di attivare un (rinnovato) intervento certificativo dell'Organismo di attestazione (cd. ri-attestazione), è operazione logico-giuridico sotto più punti scorretta: non legalmente prevista; eccessivamente onerosa e sproporzionata rispetto al fine; contraria al principio di tempestività della gara; contraria al principio di certezza dell'idoneità della certificazione; contrastante con la natura dichiarativa e ricognitiva dell'atto.

E' pure acclarata l'esatta esegesi dell'art. 76, comma 11 cit., prendendosi definitiva contezza della circostanza che non esistono (non potrebbero) interpretazioni dello stesso diverse rispetto a quella accolta dalla sentenza A.P. n. 3/2017, ruotante intorno ai cardini del rifiuto di ogni automatismo, dell'inesistenza di un obbligo giuridico a carico del cedente di ri-attestare il possesso della qualificazione per l'innanzi ottenuta e del necessario accertamento in concreto dell'operazione negoziale posta in essere dalle parti.

Con una cessione (di ramo) di azienda non si trasferiscono tout court stati e qualità, bensì ex art. 2555 c.c. i beni aziendali (macchinari, beni, personale, rapporti contrattuali) che servono a formare i requisiti economici (di fatturato) e tecnici che a loro volta costituiscono il presupposto dell'attestazione SOA.

Secondo le coordinate esegetiche seguite dall'Adunanza Plenaria n. 3/2017, il tema delle conseguenze della cessione di un ramo d'azienda sull'attestazione dell'impresa cedente postula la risoluzione di tre questioni: a) l'individuazione del soggetto competente a verificare la sussistenza dei requisiti; b) l'individuazione del procedimento da seguire; c) la qualificazione giuridica degli effetti dell'atto a seconda della circostanza che la cessione abbia (o meno) determinato la perdita dei requisiti di qualificazione.

La questione sub a) viene risolta dalla Plenaria nel senso che l'accertamento potrà avvenire tanto in sede di verifica periodica, quanto in sede di verifica straordinaria. La verifica straordinaria potrà essere attivata dalla SOA su segnalazione dell'ANAC ovvero, nel caso cui la cessione avvenga in corso di gara, su istanza della stazione appaltante (cui la cessione dev'essere tempestivamente comunicata) o delle altre imprese partecipanti alla gara.

Deve essere esclusa la tesi secondo cui l'art. 76, comma 11 del d.P.R. n. 2017/2010 autorizzerebbe a ritenere sussistente, per il principio di auto-responsabilità, l'onere dell'impresa cedente di domandare all'organismo competente la ri-attestazione, in vista della ri-qualificazione per potere continuare a partecipare alla gara intrapresa, non trova corrispondenza alcuna nel dettato normativo.

La questione sub b), concernente cioè la procedimentalizzazione degli effetti della cessione d'azienda, neutralizza l'argomento secondo cui l'impresa cedente non potrebbe autonomamente attestare il possesso dei requisiti di qualificazione: in realtà l'attestazione è già esistente e si tratta solo di accertare se essa sia conservata o meno a seguito della cessione, attesa la perdurante idoneità del titolo ad attestare il possesso dello status, salvo il giustificato motivo di nuovo accertamento, ma esclusivamente secondo le modalità sopra indicate.

La questione sub c), infine, riguarda l'efficacia della verifica compiuta dall'organismo accertatore. Si tratta di una verifica probatoria e non già sostanziale, atteso che delle due l'una: - se la cessione non ha comportato il trasferimento al cessionario e, comunque, la perdita dei requisiti di qualificazione in capo al cedente, la verifica favorevole ex post avrà valore meramente ricognitivo; - se la cessione ha comportato il trasferimento dei requisiti, l'impresa cedente dovrà chiedere una nuova attestazione e un'eventuale verifica favorevole ex post sarebbe inutile, non potendo sanare l'oggettiva assenza dei requisiti.

Gli atti di accertamento, se, come nella specie, aventi valore ricognitivo, in quanto dichiarano una realtà giuridica preesistente, hanno intrinseca valenza retroattiva, senza soluzione di continuità.

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