Codice Civile art. 1126 - Lastrici solari di uso esclusivo.

Alberto Celeste

Lastrici solari di uso esclusivo.

[I]. Quando l'uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condomini, quelli che ne hanno l'uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico: gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell'edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno [68 ss. att.].

Inquadramento

Nell'analizzare la portata dell'art. 1126 c.c., che regolamenta la ripartizione delle spese nel caso in cui il lastrico solare, che costituisce la copertura apicale dell'edificio, sia attribuito in «diritto esclusivo» – secondo le tipologie più avanti descritte – non ci si può esimere da alcune considerazioni preliminari di carattere generale.

Nonostante nel 1942 – anno in cui entrò in vigore il codice civile – la situazione urbanistica dell'Italia non era certo quella attuale (e l'intensa edificazione era ancora da venire), il legislatore di allora ebbe una capacità particolarmente lungimirante nel dedicare un apposito articolo alla fattispecie del lastrico solare esclusivo, e alla ripartizione delle spese necessarie per la sua manutenzione/conservazione, ricomprendendola – accanto alle scale e alle volte/solai di cui, rispettivamente, agli artt. 1124 e 1125 c.c. – nelle ipotesi «speciali» previste direttamente, e vincolativamente, dalla legge.

D'altronde, tale preveggenza è incontestabilmente testimoniata dalla cospicua giurisprudenza che, nel corso dei decenni successivi, si è spesso interessata tale ipotesi, e che è stata ripetutamente chiamata a trovare una soluzione anche alle questioni più particolari riguardanti la distribuzione di tali costi (Salciarini, 2016, 3).

In ogni caso, non può essere ignorato che la fattispecie del lastrico solare esclusivo, regolata dall'art. 1126 c.c., ha dato luogo a numerose difficoltà interpretative, e ad un nutritissimo contenzioso (e forse la l. n. 220/2012, di riforma della normativa condominiale, avrebbe potuto cogliere l'occasione per intervenire, a vario titolo, sul disposto normativo in commento).

Esaminando il testo della norma – che, peraltro, si esprime con una sufficiente chiarezza – possono facilmente essere individuate le seguenti «regole»: a) nel caso in cui il lastrico non sia condominiale, b) e sia quindi attribuito in «uso esclusivo» ad uno o ad alcuni condomini, c) il titolare di tale uso è tenuto a sostenere un terzo (1/3) dei costi di manutenzione/conservazione del bene, e d) gli altri condomini, proprietari delle unità immobiliari che usufruiscono della relativa funzione di copertura, sono, a loro volta, tenuti ai rimanenti due terzi (2/3).

Data per assodata detta struttura della disciplina posta dalla norma, vanno affrontate alcune questioni interpretative, la cui soluzione è necessaria per una corretta applicazione del dettato codicistico.

Individuazione

Come spesso è necessario in àmbito condominiale, occorre preliminarmente fissare a quale «cosa», ossia a quale «bene» materiale, l'art. 1126 c.c. si riferisce (tra gli specifici contributi dottrinali sull'argomento, si segnalano: Bocchetti, 570; Figone, 278; Zaccagnini-Palatiello, 3).

La norma, utilizzando la denominazione «lastrico», vuole intendere la struttura che funge da «copertura» dell'edificio, intesa come manufatto composto da un piano orizzontale, analogo, ma non identico, al tetto, il quale ultimo si differenzia per essere costituito da due o più «falde» inclinate (Salciarini 2015, 123).

La funzione strutturale del bene, vale a dire l'utilità che il medesimo fornisce ai condomini, è quella di dare consistenza volumetrica all'edificio e di fornire protezione contro i fenomeni atmosferici.

Secondo la giurisprudenza, il lastrico, oltre a fungere da «copertura», può essere utilizzato per altri usi accessori, allo stesso modo di un terrazzo (Cass. II, n. 3102/2005; Cass. II, n. 13279/2004; Cass. II, n. 642/2003; Cass. II, n. 2726/2002; Cass. II, n. 9651/2000; Cass. II, n. 4060/1995; Cass. II, n. 5162/1990).

Ne deriva che, nella maggior parte dei casi, il lastrico fornisce una duplice utilità: copertura ed utilizzazione diretta (a vari scopi); o meglio, il lastrico svolge sempre la funzione di copertura e spesso, qualora sia «praticabile», anche quella di consentire ai condomini il godimento della relativa area.

Ai fini delle spese, è importante sottolineare che la norma si riferisce all'intera struttura del manufatto (interna ed esterna), comprendendo in essa la pavimentazione e l'impalcatura architettonica sottostante (Cass. II, n. 7472/2001; Cass. II, n. 1694/1959); si è, in proposito, specificato che, per lastrico solare, deve intendersi la superficie terminale dell'edificio che abbia la funzione di copertura/tetto delle sottostanti unità immobiliari, comprensiva di ogni suo elemento, sia pure accessorio, come la pavimentazione, ma non estesa a quelle opere ivi esistenti che, sporgendo dal piano di copertura, siano dotate di autonoma consistenza e abbiano una specifica destinazione al servizio delle parti comuni, conseguendone che non possono ricomprendersi nella nozione di lastrico solare i torrini della gabbia scale e del locale ascensore con la relativa copertura, i quali costituiscono distinti e autonomi manufatti di proprietà condominiale sopraelevati rispetto al piano di copertura del fabbricato (Cass. II. n. 11771/2019;Cass. II, n. 27942/2013); sempre in argomento, siè messo in luce (Cass. II, n. 22466/2010) che, per qualificare un lastrico solare come parte comune, ai sensi dell'art. 1117, n. 1, c.c., è necessaria la sussistenza di connotati strutturali e funzionali comportanti la materiale destinazione del bene al servizio e godimento di più unità immobiliari appartenenti in proprietà esclusiva a diversi proprietari, sicché deve escludersi la presunzione di comunione di un lastrico solare che, nel contesto di un edificio costituito da più unità immobiliari autonome, disposte a schiera, assolva unicamente alla funzione di copertura di una sola delle stesse e non anche di altri elementi, eventualmente comuni, presenti nel c.d. condominio orizzontale.

In questa prospettiva, si è avuto modo recentemente di specificare (Cass. VI/II, n. 17779/2017) – sul presupposto che l'obbligo dei proprietari di unità abitative sottostanti il lastrico solare o la terrazza a livello in uso o di proprietà esclusivi di concorrere, nella misura dei due terzi, nelle relative spese di ricostruzione o manutenzione, ex art. 1126 c.c., trova fondamento nel principio per cui i condomini sono tenuti a contribuire alle spese in ragione della utilitas che la cosa da ricostruire o riparare fornisce ai singoli appartamenti – che, indipendentemente dal regime di uso o proprietà esclusivi, le decisioni circa la necessità di procedere alla riparazione, ricostruzione e sostituzione degli elementi strutturali del lastrico o della terrazza a livello, funzionali alla copertura dell'edificio (quali solaio, guaine impermeabilizzanti, ecc.), spettano all'assemblea, cui è riservata una valutazione discrezionale di merito che, come tale, esula dal controllo di mera legittimità rimesso al giudice attraverso l'impugnativa di cui all'art. 1137 c.c.

Diritto esclusivo

Identificate le caratteristiche del lastrico, inteso come «cosa» materiale, va precisato che, con riferimento alla proprietà del bene, il lastrico si presume comune ai sensi dell'art. 1117, n. 1), c.c. (Cass. II, n. 3102/2005; Cass. II, n. 5162/1990).

La presunzione di «condominialità», sancita dal suddetto art. 1117, è sottoposta ai medesimi principi generali che valgono per gli altri beni comuni, e che possono essere sintetizzati nelle regole di cui appresso.

Innanzitutto, il lastrico solare è ricompreso nell'elenco di parti comuni contenuto in detta norma, con la conseguenza che, appunto, si presume comune; in quest'ottica, si è, di recente, chiarito (Cass. II, n. 11671/2018) che, nel caso di appalto che non implichi il totale trasferimento all'appaltatore del potere di fatto sull'immobile nel quale deve essere eseguita l'opera appaltata, non viene meno per il committente e detentore del bene il dovere di custodia e di vigilanza e, con esso, la conseguente responsabilità ex art. 2051 c.c. che, essendo di natura oggettiva, sorge in ragione della sola sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha determinato l'evento lesivo (nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto che il lastrico solare, indipendentemente dalla sua consegna all'appaltatore, rimanga sempre nella disponibilità del condominio committente per via della sua funzione primaria di copertura e protezione delle sottostanti strutture murarie).

Inoltre, un «titolo contrario» (ovvero, un contratto) può attribuire la proprietà del lastrico solare ad un singolo o ad un gruppo di condomini, sottraendolo dal patrimonio condominiale del quale, altrimenti, farebbe parte. Al contempo, però, lo stesso lastrico solare, anche se accessibile unicamente da un appartamento in proprietà esclusiva, rientra tra le parti comuni dell'edificio, essendo irrilevanti le contrarie indicazioni catastali che ne indichino l'eventuale natura privata, in quanto preordinate a fini solo fiscali ed aventi, pertanto, in concrete circostanze soltanto il valore di semplici indizi, essendo al contrario necessario, per l'acquisto della proprietà di un bene immobile a titolo derivativo, un contratto avente forma scritta ad substantiam (Cass. II, n. 22339/2019).

Per un'interessante specificazione di tale principio, si veda una pronuncia della Suprema Corte secondo cui la natura condominiale del lastrico solare, affermata dall'art. 1117 c.c., può essere esclusa soltanto da uno specifico titolo in forma scritta, essendo irrilevante che il singolo condomino non abbia accesso diretto al lastrico, se questo riveste, anche a beneficio dell'unità immobiliare di quel condomino, la naturale funzione di copertura del fabbricato comune (Cass. II, n. 4501/2015); sempre sul punto, è utile richiamare la recente precisazione dei giudici di legittimità secondo cui la deroga all'attribuzione legale al condominio e l'attribuzione in proprietà o uso esclusivo possono derivare solo dal titolo, mediante espressa disposizione di essi nel negozio di alienazione, oppure mediante un atto di destinazione da parte del titolare di un diritto reale (Cass. II, n. 20287/2017).

In una fattispecie particolare, in cui un regolamento di condominio c.d. contrattuale registrava la presenza di la clausola secondo la quale i proprietari esclusivi delle terrazze di copertura (equiparabili al lastrico solare) dovevano contribuire alle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria per un terzo mentre i tre quarti erano a carico di tutti i proprietari dei locali in proporzione dei millesimi, si è affermato che tale clausola debba essere interpretata in base al canone “finale” dell'equo contemperamento – che va applicato in tutti i casi di assoluta incertezza dell'elemento letterale del testo – in modo da verificare se la quota maggiore posta a carico di tutti i proprietari dei locali in proporzione dei millesimi non avesse avuto proprio l'effetto di compensare la partecipazione soltanto per un quarto dei proprietari esclusivi dei terrazzi facendoli contribuire pro quota anche al residuo, che ai sensi dell'art. 1126 c.c. avrebbe dovuto gravare soltanto sui proprietari delle unità immobiliari sottostanti (Cass. II, n. 15702/2004: nella specie, era stata cassata la sentenza impugnata che, ritenendo di non potere risalire all'effettiva volontà dei contraenti a causa di un evidente errore matematico contenuto nella norma regolamentare, ne aveva privilegiato l'interpretazione conforme alle norme codicistiche, ritenendo anche ininfluente, ai fini interpretativi, una successiva deliberazione condominiale, adottata a maggioranza e contenente una diversa ripartizione delle spese nelle misure di un quarto e tre quarti, rilevando che un comportamento complessivo posteriore al regolamento contrattuale sarebbe stato utilizzabile, ai sensi dell'art. 1362 c.c., solo se riferibile a tutti i condomini uti singuli).

Infine, allo stesso modo del titolo contrario, la destinazione oggettiva e strutturale del lastrico è in grado di attribuire la titolarità del bene, qualora, per esempio, sia destinata a svolgere la sua funzione a favore di uno o più condomini (ma non di tutti).

L'art. 1126 c.c. si occupa unicamente del lastrico solare il cui «uso» (cioè, il diritto di goderne e di utilizzarne) sia, appunto, attribuito in via esclusiva ad uno o ad un gruppo di condomini, mentre, qualora il lastrico sia condominiale, la fattispecie rientra nella normale gestione ed amministrazione di quello che è un bene in comproprietà a tutti i condomini, con conseguenze del tutto analoghe al tetto comune.

Pertanto, condizione perché si applichi l'art. 1126 c.c. è che sussista la titolarità esclusiva del lastrico solare: tale titolarità esclusiva – la norma parla appunto di «uso esclusivo» – va riferita, per pacifica interpretazione, a qualsiasi possibile fattispecie giuridica la possa determinare: quindi, sia all'ipotesi della sussistenza sul lastrico di un diritto esclusivo di natura «reale», sia a quella di un diritto di natura «personale», atteso che la norma de qua non specifica affatto la natura di tale diritto (Cass. II, n. 8532/1999; Cass. II, n. 1501/1974).

Eventuale rinuncia

Con riferimento al diritto di «uso esclusivo» che si ipotizza insistere sul lastrico, e che dà luogo all'applicazione dell'art. 1126 c.c., ne deve essere riconosciuta al relativo titolare la facoltà di effettuarne la rinuncia unilaterale, ottenendo l'effetto di far ritornare nel patrimonio condominiale il suo diritto di utilizzazione (ovvero, la proprietà del lastrico stesso).

Ovviamente, in conseguenza di tale rinuncia, il lastrico diviene automaticamente bene comune, con conseguenze in ordine al suo utilizzo – che perde totalmente la sua esclusività per essere soggetto ai canoni previsti a tal proposito dall'art. 1102 c.c. (uso potenzialmente paritario di tutti i condomini, e legittimità di usi più intensi o diversi – e anche sulla ripartizione delle relative spese che trasmigra dalla regolamentazione prevista dall'art. 1126 c.c., a quella «ordinaria» indicata dal comma 1 dell'art. 1123 c.c., ossia a millesimi di proprietà, tra tutti i condomini (in termini generali, Brizzolari, 187; Iaccarino, 578; Mancini, 943).

L'ipotesi non deve stimarsi in contrasto con il disposto dell'art. 1118 c.c. – che pone il divieto di rinuncia alla comproprietà finalizzata all'esonero dai costi – in quanto, nel caso della rinuncia al lastrico, non sussiste l'esigenza di impedire al singolo condomino di sottrarsi alla contribuzione nelle spese per la conservazione di beni dei quali egli continuerebbe necessariamente a godere pur dopo avervi rinunziato (Cass. II, n. 3294/1996).

Nella maggior parte dei casi, l'atto di rinuncia attiene a diritti immobiliari, conseguendone non solo la necessità di una manifestazione espressa ed univoca, ma anche, se l'uso esclusivo deriva, appunto, da un diritto di natura «reale», della forma scritta a pena di nullità, secondo il disposto dell'art. 1350 c.c.

Ai fini dell'opponibilità nei confronti dei terzi, tale forma scritta è poi necessaria che sia trasfusa in un atto pubblico (rogito notarile) o in una scrittura privata autenticata (sempre dal notaio).

Si ritiene che, rispetto a tale rinuncia, non occorra alcuna accettazione da parte degli altri condomini, in quanto la dichiarazione del rinunciante persegue la sola finalità di dismettere un'entità patrimoniale, e che l'accrescimento nei confronti degli altri condomini è un effetto ulteriore ed indiretto che, comunque, non richiede il consenso dei destinatari.

Terrazza a livello

Costituisce ius receptum che la disciplina prevista per il lastrico solare esclusivo vada applicata anche all'ipotesi della c.d. terrazza a livello, qualora anch'essa svolga funzione di copertura alle unità immobiliari sottostanti (v., ex multis, Cass. VI/II, n. 35316/2021; Cass. II, n. 18164/2014;; tra le pronunce di merito si segnala Trib. Roma 2 gennaio 2015).

Si afferma, dunque, che la terrazza a livello di proprietà o in godimento esclusivo di un singolo condomino, oltre a costituire estensione ed integrazione dell'appartamento cui è annessa in via di complemento, assolve strutturalmente, nei confronti degli appartamenti sottostanti, alla stessa funzione meramente sussidiaria di copertura rivestita dal lastrico solare posto alla sommità dell'edificio; tale utilitas arrecata al condominio giustifica che, alla manutenzione della terrazza a livello, siano tenuti tutti i condomini cui essa funge da copertura, in concorso con l'eventuale proprietario superficiario o titolare del diritto di uso esclusivo secondo le stesse proporzioni imposte dall'art. 1126 c.c. (v., altresì, Cass. II, n. 14196/2011; Cass. II, n. 941/2011; Cass. II, n. 26239/2007; Cass. II, n. 5848/2007; Cass. II, n. 3676/2006; Cass. II, n. 642/2003; Cass. II, n. 15131/2001).

In particolare, si è statuito (Cass. II, n. 16583/2012), che il criterio di ripartizione fra i condomini delle spese di riparazione o di ricostruzione delle terrazze a livello che servano di copertura dei piani sottostanti, fissato dall'art. 1126 c.c. – un terzo a carico del condominio che abbia l'uso esclusivo del lastrico o della terrazza, e due terzi a carico dei proprietari delle unità abitative sottostanti – è applicabile in ogni caso di spesa, ordinaria o straordinaria, di manutenzione o di rifacimento, che riguardi la struttura delle terrazze stesse e la loro finalità di copertura, escluse le spese dirette unicamente al miglior godimento delle unità immobiliari di proprietà individuale di cui le terrazze siano il prolungamento.

Al fine dell'equiparazione al lastrico solare o al tetto, inteso quale parte comune dell'edificio condominiale ex art. 1117 c.c., è tuttavia indispensabile che la terrazza a livello consista in una superficie scoperta, posta al sommo di alcuni vani e, nel contempo, sullo stesso piano di altri, dei quali forma parte integrante strutturalmente e funzionalmente, destinata non tanto a coprire le verticali di edifici sottostanti, quanto e soprattutto a dare un affaccio ed ulteriori comodità all'appartamento cui è collegata e del quale rappresenta una proiezione verso l'esterno. Di contro, in tema di conservazione del tetto di un edificio condominiale, le relative spese vanno ripartite - salvo che si tratti di tetto di proprietà esclusiva, assimilato al lastrico solare e, perciò, soggetto all'applicazione dell'art. 1126 c.c. - tra tutti i condomini in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, ai sensi della prima parte dell'art. 1123 c.c., trattandosi di bene rientrante, per la funzione necessaria all'uso collettivo, tra le cose comuni, in quanto deputato a preservare l'edificio condominiale da agenti atmosferici e dalle infiltrazioni d'acqua piovana e non riconducibile, per contro, fra quelle parti suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura diversa, ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri, di cui all'art. 1123, commi 2 e 3, c.c. (Cass. II, n. 24927/2019: nella specie, si è confermata la pronuncia di merito, che aveva ravvisato l'obbligo di un condomino di concorrere alle spese di manutenzione del tetto del fabbricato, seppur non sovrastante alcuna unità immobiliare di sua proprietà esclusiva, in quanto strutturalmente destinato anche alla protezione dell'atrio comune).

Si tratta, dunque, di un manufatto che, come il balcone, costituisce il prolungamento dei locali situati sul medesimo piano; allo stesso tempo, però, ed a differenza del balcone – quanto meno di quello «aggettante» – funge (con tutta o parte della sua superficie) da copertura alle sottostanti porzioni di piano esclusive, poste nella verticale della sua proiezione (Ditta, 37; Scarpa 2009, 435).

Torna anche per la terrazza a livello la duplice utilità fornita di servire da copertura nonché di consentire l'utilizzazione della sua area.

In correlazione a tali distinte utilità, viene esclusa l'applicazione del criterio di ripartizione dei costi previsto dall'art. 1126 c.c. per la parte della terrazza che, essendo in «aggetto», ossia prolungandosi al di fuori del perimetro dell'edificio, non funge in alcun modo da «copertura» delle unità immobiliari sottostanti (App. L'Aquila 14 febbraio 1992; Trib. Catania 20 marzo 1986); in questo ultimo caso, ed esclusivamente per la porzione aggettante della superficie della terrazza, la relativa disciplina è analoga a quella che si applica al balcone, appunto, «aggettante» (v., da ultimo, tra le molte conformi, Cass. II, n. 6624/2012).

Soggetti coinvolti nei criteri di calcolo

Condomino usuario

Secondo i principi generali in materia di spese condominiali, il criterio di ripartizione previsto dall'art. 1126 c.c. – come visto – ha natura legale, e prevale sulla volontà dei soggetti interessati; ne consegue che non può essere derogato se non per mezzo di un accordo contrattuale (cioè unanime) tra tutti gli aventi diritto, che configura la c.d. «diversa convenzione» prevista in via generale dall'art. 1123 c.c.

Ne consegue – ad avviso di Cass. II, n. 5814/2016 che, poiché le attribuzioni dell'assemblea sono limitate alla verifica ed all'applicazione dei criteri stabiliti dalla legge, è nulla, anche se assunta all'unanimità, la deliberazione che modifichi il criterio legale di ripartizione delle spese di riparazione del lastrico solare stabilito dall'art. 1126 c.c., ove i condomini non abbiano manifestato l'espressa volontà di stipulare un negozio dispositivo dei loro diritti in tal senso, aggiungendo che tale nullità può essere fatta valere, ex art. 1421 c.c., da chiunque vi abbia un concreto interesse, compreso il condomino che abbia partecipato, con il suo voto favorevole, alla formazione di detta deliberazione (nella stessa lunghezza d'onda, si pone Cass. II, n. 16067/2000, ad avviso della quale la deliberazione dell'assemblea che, applicando erroneamente l'art. 1126 c.c., abbia addebitato a carico di un condomino una quota delle spese di riparazione della terrazza a livello del piano sovrastante, sovrastata a sua volta da altre terrazze sulla prosecuzione in altezza dell'edificio – destinata come tale non tanto ad assolvere a una funzione di copertura dei piani sottostanti, quanto e soprattutto a dare un affaccio ed ulteriori comodità all'appartamento cui è collegata – è nulla per indebita invasione della sfera di proprietà del singolo condomino con la conseguenza che l'impugnazione della delibera non è soggetta al termine di decadenza di cui all'art. 1137 c.c.).

Nello specifico del disposto previsto dalla norma, si è evidenziato che viene prescritta una ripartizione astratta – vale a dire disposta a prescindere dall'utilità fornita nel concreto – che già prevede (quantifica ed impone) le quote di debito in relazione alla duplice funzione svolta dal lastrico solare esclusivo: da una parte, il godimento diretto e, dall'altra, l'utilità di copertura, con prevalenza quantitativa ex lege di quest'ultima (Buttafava, 501; De Tilla 2003, 261; Gentile, 381; Longhi, 10; Maglia, 750).

In particolare, le spese di manutenzione del lastrico solare esclusivo devono essere ripartite: un terzo a carico dell'utilizzatore esclusivo e due terzi a carico dei condomini c.d. «coperti».

Per quanto concerne il primo «insieme», è necessario precisare che la quota di un terzo va attribuita interamente al condomino utilizzatore esclusivo, e, nel caso di comproprietà pro indiviso del lastrico solare esclusivo (per esempio, tra due condomini), andrà ulteriormente ripartita secondo la specifica quota di detta comproprietà.

Nell'ipotesi, invece, in cui ci sia una pluralità di soggetti aventi diritto al godimento esclusivo – si pensi, ad esempio, al lastrico solare posto ad esclusivo servizio di due porzioni immobiliari situate, entrambe, al piano attico – occorrerà applicare i principi generali di ripartizione della spesa, in base ai quali, se il lastrico solare è destinato a servire in maniera paritaria (astratta e potenziale) le porzioni immobiliari che ne traggono esclusiva utilità, le relative spese di manutenzione dovranno essere ripartite tra i titolari delle medesime in ragione della quota millesimale di rispettiva spettanza (art. 1123, comma 1, c.c.), mentre, se l'utilità è fornita dal lastrico in quantità differente alle porzioni immobiliari, dovrà procedersi ad una ripartizione che tenga conto, e rappresenti, tale diversa misura d'uso (art. 1123, comma 2, c.c.).

A ben vedere, le due ipotesi sono entrambe perfettamente verificabili, perché, se è vero che, nella maggior parte dei casi, il godimento del lastrico solare non è regolamentato in ordine alla «quantità di utilità» desumibile – ma, al massimo, attribuito in toto in via esclusiva ad un determinato soggetto – ben può esistere una clausola del regolamento di condominio che disciplini l'utilizzazione (esclusiva) del bene, consentendo, per esempio, ad uno dei due titolari esclusivi, modalità d'uso più intense.

Dunque, ai fini della ripartizione, l'operazione preliminare è rappresentata dall'individuazione dei condomini che abbiano l'uso esclusivo del lastrico, ai quali addossare un terzo dell'onere del costo dell'intervento; in proposito, si è sopra sottolineato che l'art. 1126 c.c. non specifica la natura reale o personale del supposto uso esclusivo del lastrico, né al fine rileva l'attribuzione millesimale (Cass. II, n. 8532/1999).

Condomini «serviti»

Occorre, poi, separare, nell'àmbito dei rimanenti condomini – passando al secondo «insieme» – coloro che hanno e coloro che non hanno appartamenti nella zona dell'edificio coperta dal lastrico, per porre a carico soltanto dei primi i due terzi della spesa, che residuano dopo aver detratto il terzo dovuto dall'utente esclusivo del lastrico; pertanto, ai fini della determinazione dei partecipanti tenuti all'obbligo di spesa ex art. 1126 c.c., è dirimente la titolarità di un'unità immobiliare sita nella colonna del fabbricato sottostante al lastrico (Cass. II, n. 3542/1994).

Come prima specificazione di tale assunto, va osservato che, nell'applicazione della norma, la struttura di copertura va considerata nella sua interezza, ossia senza che sia possibile frazionarla astrattamente in parti diverse (per esempio, parte della superficie che necessita di riparazioni ed altra parte della superficie in buone condizioni di manutenzione).

In altri termini, ai fini della ripartizione delle spese di conservazione del lastrico solare, non è legittimo operare delle differenze con riferimento all'effettiva posizione della parte di copertura da riparare, in quanto tutti i titolari delle unità immobiliari servite sono tenuti alla contribuzione; invero, i magistrati del Palazzaccio (Cass. II, n. 3542/1994), nell'individuare la disciplina della fattispecie, si sono implicitamente riferiti alla zona dell'edificio sottostante «all'intero» lastrico solare, senza affatto correlarsi alla minore zona nella quale era situata la specifica area in riparazione.

Se chi ha l'uso esclusivo del lastrico è anche proprietario di uno degli immobili da esso coperti, questi ha l'obbligo della doppia contribuzione alla spesa: per un terzo, in quanto utente esclusivo del lastrico o della terrazza, e per i rimanenti due terzi, in proporzione del valore millesimale dell'unità compresa nella colonna sottostante al medesimo lastrico (Izzo 2006, 578).

Tale soluzione appare pienamente condivisibile, in quanto – a ben vedere – il «titolo» dal quale scaturisce l'obbligo di partecipazione alle spese è del tutto distinto nell'un caso rispetto all'altro; i soggetti tenuti alla compartecipazione alla quota-parte di un terzo delle spese lo sono perché titolari del suddetto diritto d'uso, mentre i soggetti tenuti alla compartecipazione alla quota-parte di due terzi delle spese lo sono perché proprietari di porzioni immobiliari sottoposte al lastrico: le due diverse situazioni giuridiche, quindi, non si influenzano reciprocamente (Cass. II, n. 11449/1992; Cass. II, n. 2821/1976; Cass. II, n. 244/1974; sotto l'aspetto dell'utilizzo, Cass. II, n. 6253/2017  ha, di recente, chiarito che il condomino che abbia in uso esclusivo il lastrico di copertura dell'edificio e che sia anche proprietario dell'appartamento sottostante ad esso può, ove siano rispettati i limiti ex art. 1102 c.c., collegare l'uno e l'altro mediante il taglio delle travi e la realizzazione di un'apertura nel solaio, con sovrastante bussola, non potendosi ritenere, salvo inibire qualsiasi intervento sulla cosa comune, che l'esecuzione di tali opere, necessarie alla realizzazione del collegamento, di per sé violi detti limiti e dovendosi, invece, verificare se da esse derivi un'alterazione della cosa comune che ne impedisca l'uso, come ad esempio, una diminuzione della funzione di copertura o della sicurezza statica del solaio).

Qualora l'appartamento sia strutturato su due livelli, uno superiore, fruente del calpestio sul lastrico solare, l'altro inferiore, invece coperto da questo, il concorso dell'utente esclusivo alla maggior frazione dei due terzi della spesa deve essere commisurato all'estensione immobiliare compresa nella proiezione del lastrico, e non già all'intero valore millesimale attribuito all'appartamento anche per la parte che non riceve utilità di copertura (fattispecie affrontata ex professo da Cass. II, n. 1451/2014).

Posto che la quota dei 2/3 va ripartita tra i condomini che usufruiscono della funzione di copertura svolta dal lastrico (i c.d. condomini coperti), questi ultimi vanno, quindi, individuati nei proprietari delle porzioni immobiliari comprese nella proiezione verticale del lastrico da riparare o da ricostruire, con esclusione di coloro le cui unità immobiliari non sono sottoposte al lastrico stesso (Cass. II, n. 13858/2001; Cass. II, n. 7472/2001; Cass. II, n. 3542/1994; Cass. II, n. 5125/1993).

Sempre secondo una giurisprudenza di merito, nel caso in cui siano «coperte» anche parti comuni (per esempio, l'androne o le scale), tali locali condominiali, in virtù dell'utilità percepita, devono essere ricompresi nella ripartizione, computando proporzionalmente la relativa quota di partecipazione (Trib. Milano 7 novembre 1994); in altri termini, deve porsi a carico dei soggetti interessati alla funzione di copertura della terrazza a livello la quota (dell'importo pari ai due terzi dell'intera spesa) proporzionale alla parte di edificio condominiale in cui sono contenute le proprietà comune e quelle esclusive, calcolando opportunamente la misura dell'incidenza di tali parti.

Sulla questione, è opportuno osservare, però, che se è vero, da una parte, che, nel caso illustrato la funzione di utilità del lastrico è svolta anche a favore di locali condominiali con conseguenza ricomprensione del condominio (e per esso, di tutti i condomini) nel novero dei soggetti tenuti al pagamento, è anche vero che i locali condominiali non sono «millesimati», cioè non gli è mai attribuita, nelle relative tabelle, una specifica quota millesimale, con l'ulteriore conseguenza di una notevole difficoltà ad applicare concretamente la ripartizione (1/3 – 2/3) prevista dall'art. 1126 c.c.

Di diverso avviso si sono mostrati, di recente, i magistrati di Piazza Cavour (Cass. II, n. 35957/2021; Cass. VI/II, n. 11484/2017), ad avviso dei quali, agli effetti dell'art. 1126 c.c., i due terzi della spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico solare di uso esclusivo sono a carico non di tutti i condomini, in relazione alla proprietà delle parti comuni esistenti nella colonna d'aria sottostante, ma soltanto di coloro che siano proprietari individuali delle singole unità immobiliari comprese nella proiezione verticale di detto lastrico, alle quali, pertanto, esso funge da copertura, e in n proporzione al solo valore millesimale dell'unità sita nella colonna sottostante al lastrico.

Nella fattispecie più risalente si era cassata la sentenza della Corte d'Appello, la quale aveva affermato che le spese inerenti il rifacimento dei lastrici solari siti al quinto e sesto piano della scala B di un edificio di un condominio – oggetto della deliberazione assembleare impugnata – dovessero essere sostenute per 1/3 dai proprietari esclusivi dei lastrici e per 2/3 “da tutti i restanti condomini”; in particolare, il giudice distrettuale aveva posto in evidenza che i lastrici solari insistevano su una porzione di immobile in seno alla quale si trovavano “anche parti di proprietà comune” dei partecipanti al condominio – nella specie, galleria pedonale, portico, portineria, atrio, piani interrati, corselli box – e, quindi, costituissero “copertura non solo delle unità immobiliari site ai piani sottostanti e di proprietà esclusiva dei rispettivi comunisti, ma pure, appunto, di tali parti comuni”; per questa ragione, non vi sarebbe ragione alcuna per cui i condomini della scala B debbano farsi esclusivo carico di parti che ricadevano nella proprietà comune anche della scala A.

Si è rilevato, invece, che l'art. 1126 c.c., obbligando a partecipare alla spesa relativa alle riparazioni del lastrico solare di uso esclusivo, nella misura di due terzi, «tutti i condomini dell'edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve», si riferisce – evidentemente – a coloro ai quali appartengono le unità immobiliari di proprietà individuale comprese nella proiezione verticale del manufatto da riparare o ricostruire, alle quali, pertanto, esso funge da copertura, con esclusione dei condomini ai cui appartamenti il lastrico stesso non sia sovrapposto.

Quindi, l'obbligo di partecipare alla ripartizione dei cennati due terzi della spesa non deriva dalla sola, generica, qualità di partecipante del condominio, ma dall'essere proprietario di un'unità immobiliare compresa nella colonna d'aria sottostante alla terrazza o al lastrico oggetto della riparazione.

Del resto – aggiungono ragionevolmente gli ermellini – è pressoché inevitabile che la terrazza a livello o il lastrico di uso esclusivo coprano anche una o più parti che siano comuni a tutti i condomini, e non solo a quelli della rispettiva ala del fabbricato, come, ad esempio, il suolo su cui sorge l'edificio, la facciata, le fondazioni, ma, «se bastasse ciò per chiamare a concorrere alle spese del bene di copertura tutti i condomini, l'art. 1126 c.c. non avrebbe alcuna pratica applicazione».

Si è sostenuto, inoltre, che, anche nell'ipotesi in cui alla terrazza a livello sia sottoposto un solo locale, ci sarà la contribuzione per l'intera quota di due terzi: in tal caso, le relative spese di manutenzione devono essere regolate alla stregua dell'art. 1126 c.c., e non dell'art. 1125 c.c. (Cass. II, n. 11029/2003; Cass. II, n. 1224/1963).

In altri termini, dovrebbe essere irrilevante il numero dei condomini – rectius, delle unità immobiliari di proprietà esclusiva – che usufruiscono dell'utilità di copertura fornita dal lastrico solare, come la quantità delle porzioni di piano «coperte» dovrebbe essere del tutto indifferente ai fini della partecipazione ai costi.

In tal senso, si sono appunto espressi i giudici di legittimità, secondo i quali le spese di manutenzione e di riparazione del lastrico solare di un edificio, cui va assimilata la terrazza a livello, devono essere sopportate a norma dell'art. 1126 c.c., in ragione di un terzo dal condomino che ne abbia l'uso esclusivo e per i restanti due terzi a carico dei proprietari dei piani o porzioni di piano sottostanti ai quali il lastrico o la terrazza serve di copertura, mentre, diversamente, l'art. 1125 c.c. – che prevede la ripartizione in parti uguali delle spese tra i proprietari dei piani l'uno all'altro sovrastanti – è applicabile solo alla manutenzione dei solai e delle volte e non della terrazza a livello, pure se ad essa sia sottoposto un solo locale, non venendo meno la funzione di copertura della terrazza medesima.

Al riguardo, un'attenta dottrina (Terzago, 611) aveva escluso l'applicabilità dell'art. 1126 c.c. nel caso che al lastrico solare fosse sottoposta una sola unità immobiliare: secondo quest'altra impostazione, la fattispecie de qua andrebbe risolta con l'applicazione dell'art. 1125 c.c. – vale a dire, ripartizione al 50% tra i piani contrapposti – che appare corrispondere a criteri di maggiore equità.

In effetti, ritenere l'irrilevanza del numero delle porzioni poste nella proiezione verticale del lastrico solare potrebbe comportare l'attribuzione ai «pochi» condomini coperti (o, all'unico) di una quota di spesa assai rilevante.

Tale opzione, ponendo a carico dell'unico condomino «coperto» i due terzi della spesa di rifacimento, ossia il doppio di quanto dovuto dall'utilizzatore esclusivo della terrazza, vanificherebbe la ratio dell'art. 1126 c.c.: la norma intende, infatti, dare maggiore rilievo alla utilitas ricavabile dal bene ulteriore a quella insita nella generale funzione di copertura, sicché essa mira non soltanto a compensare il più rapido deterioramento del lastrico dovuto al diuturno calpestio sullo stesso, quanto soprattutto a non far gravare iniquamente sui soli condomini ai quali il lastrico serve da copertura una spesa che avvantaggia in maniera particolare chi da esso è in grado di trarre altri e diversi vantaggi.

Sembrerebbe, piuttosto, comprensibile, in caso di riparazione di terrazza a livello sovrastante un'unica unità immobiliare, ovvero un unico piano, un'applicazione analogica dell'art. 1125 c.c., in maniera da dare pari incidenza alle funzioni di separazione in senso orizzontale, di sostegno e di copertura svolte dalla res (Scarpa, in Celeste - Scarpa, 952).

Calcolo dell'incidenza della superficie coperta

Dunque, si è sottolineato che i soggetti tenuti a partecipare alla quota-parte dei due terzi di spese di manutenzione del lastrico sono solo coloro le cui porzioni immobiliari si trovano al di sotto del lastrico, sicché, all'interno del condominio, avviene, in forza di legge, una scissione della compagine condominiale in due gruppi ben distinti: da una parte, i soggetti tenuti alla contribuzione e, dall'altra, i soggetti estranei alle spese in quanto non serviti.

Quanto sopra non risolve, però, le possibili variabili esistenti nella realtà condominiale, atteso che dovrebbe essere ulteriormente verificato se tale funzione abbia rilevanza in astratto, oppure se debbano essere considerate le modalità concrete con cui le singole unità immobiliari usufruiscono della stessa funzione.

In altri termini, si pone il problema (lucidamente affrontato da Salciarini, in Celeste -Salciarini, 139) di valutare se, ai fini dell'applicazione dell'art. 1126 c.c., sia o meno rilevante la «quantità di superficie» dell'unità immobiliare che sia effettivamente coperta dal lastrico solare.

Al riguardo, una parte della giurisprudenza di merito si è orientata in senso positivo, ravvisando, nel calcolo della superficie di effettiva incidenza della copertura, un requisito di applicazione del criterio di ripartizione de quo (Trib. Milano 7 novembre 1994, secondo il quale deve porsi a carico dei soggetti interessati alla funzione di copertura della terrazza a livello la quota, dell'importo pari ai due terzi dell'intera spesa, proporzionale alla parte di edificio condominiale in cui sono contenute le proprietà comuni e quelle esclusive, calcolando opportunamente la misura dell'incidenza di tali parti).

Inoltre, in ordine al calcolo dell'effettiva incidenza, va puntualizzato che le risultanze di tale operazione non vanno impiegate direttamente per effettuare la ripartizione, ma devono essere utilizzate per ricavare un ulteriore dato consistente della valutazione millesimale della superficie coperta; in pratica, il calcolo dell'effettiva incidenza della copertura deve giungere al risultato di ottenere una quota millesimale corrispondente – non all'intera superficie dell'unità immobiliare, ma – solo a quella parte di superficie, dell'unità stessa, sottoposta al lastrico.

Pertanto, la ripartizione dovrà, in ogni caso, utilizzare la quota millesimale delle unità immobiliari «coperte», seppur opportunamente rapportata (ovvero, ridotta) alla quantità di superficie posta realmente al di sotto del lastrico.

Non sono mancate, tuttavia, pronunce di segno contrario, ossia nel senso che, ai fini dell'applicazione del criterio di ripartizione previsto dall'art. 1126 c.c., sia indifferente la quantità di superficie della porzione esclusiva che si giova dell'utilità di copertura, per cui, anche nel caso che la proprietà esclusiva si trovi, solo per una minima parte della sua estensione, al di sotto del lastrico solare, sorge l'obbligo di partecipare alle relative spese di manutenzione.

Dal punto di vista giuridico, si è affermato, in buona sostanza, che l'art. 1126 c.c. considera le porzioni di piano come unità e non in base alla loro estensione (Trib. Bologna 27 novembre 2001, ad avviso del quale, in tema di spese per la riparazione o ricostruzione del lastrico solare di uso esclusivo di alcuni condomini, quando l'art. 1126 c.c. fa riferimento alla «porzione di piano» non intende aver riguardo alla «porzione» della proprietà, ma alla porzione come unità, per cui è sufficiente che si trovi sotto il lastrico solare anche una sola parte di un'unità immobiliare, perché la proprietà di detta unità concorra alla ripartizione delle spese pari ai due terzi dell'intero, restando a carico della proprietà del lastrico il restante un terzo).

Singole tipologie di spese

Il testo dell'art. 1126 c.c., nel fissare il criterio di ripartizione delle spese per la manutenzione del lastrico solare, individua i costi interessati con i concetti di «riparazioni e ricostruzioni».

In realtà, l'utilizzo di tali termini non è strettamente vincolante e la norma va riferita a tutti quei costi che riguardano la conservazione del bene e della sua funzione di copertura: ne deriva, quindi, la necessità di individuare quali siano esattamente le «poste» ricomprese nella prevista ripartizione di un terzo e due terzi (Salciarini, in Celeste - Salciarini, 143).

Comunque, con riferimento al lastrico solare, il termine “riparazione” di cui all'art. 1126 c.c. va inteso come sinonimo di “manutenzione”, attinente cioè a quegli interventi sulle parti di lastrico determinati dall'uso esclusivo, ma comunque collegati alla funzione di copertura dei piani sottostanti cui il medesimo strutturalmente adempie; detti interventi, tenuto conto della netta distinzione operata dal citato art. 1126, non sono assimilabili a quelli dalla medesima norma definiti di “ricostruzione”, per tali ultimi dovendo intendersi quei diversi interventi che incidono sugli elementi strutturali del lastrico (quali, ad esempio, il solaio portante, la guaina impermeabilizzante, e quant'altro).

Dal punto di vista generale, è opportuno premettere che la distinzione tra spese comprese o meno nella predetta ripartizione, deve essere effettuata in riferimento alla specifica funzione dell'elemento a cui si riferiscono, con la conseguenza che saranno esclusi tutti i costi che si riferiranno alle componenti che, strutturalmente, non contribuiscono alla funzione di «copertura» (Capponi, 541).

Al riguardo, si è delineato che, riguardo al lastrico solare di uso o di proprietà esclusiva, l'art. 1126 c.c. individua la misura del contributo dovuto rispettivamente dall'utente o proprietario esclusivo e dagli altri condomini indicati dalla norma per le spese di riparazione e ricostruzione sulla base del rapporto (un terzo e due terzi) tra l'utilità connessa all'uso o alla proprietà esclusiva del lastrico solare e l'utilità, ritenuta dalla norma come prevalente, connessa alla funzione di copertura dell'edificio condominiale, funzione cui il lastrico solare adempie a vantaggio di tutti i condomini; a tale stregua, sono a completo carico dell'utente o proprietario esclusivo soltanto le spese attinenti a quelle parti del lastrico solare del tutto avulse dalla funzione di copertura (ad esempio, le spese attinenti ai parapetti, alle ringhiere, ecc., collegate alla sicurezza del calpestio), mentre tutte le altre spese, siano esse di natura ordinaria o straordinaria, attinenti alle parti del lastrico solare svolgenti comunque funzione di copertura vanno sempre suddivise tra l'utente o proprietario esclusivo del lastrico solare ed i condomini proprietari degli appartamenti sottostanti, secondo la proporzione di cui al suindicato art. 1126 c.c. (il suddetto principio risulta scolpito da Cass. II, n. 2726/2002: nella specie, la clausola che poneva a carico dell'utente o proprietario esclusivo del lastrico solare genericamente le spese di “manutenzione” aveva una sua ragion d'essere – anche ove riferita alle spese di manutenzione ordinaria e sempreché le stesse siano attinenti alla funzione di copertura del lastrico – lavvove veniva a porne a carico dell'utente o proprietario esclusivo l'intero onere, e non il semplice terzo come previsto dalla norma in argomento).

Nello specifico, in applicazione di tale principio, si è precisato che sono da ricomprendersi nella ripartizione prevista dall'art. 1126 c.c.: le spese per il rifacimento o la manutenzione della copertura, cioè del manto impermeabilizzato (Cass. II, n. 14196/2011; Cass. II, n. 11449/1992); le spese per il rifacimento della pavimentazione (Cass. II, n. 7472/2001; Trib. Genova 7 novembre 1990); i costi «accessori», cioè quelli relativi alle attività che si rendono necessarie in via conseguenziale e strumentale rispetto alla manutenzione del lastrico, quali, ad esempio, le spese per il trasporto e la discarica dei detriti (Cass. II, n. 11449/1992).

Non sono invece comprese: le spese per il rifacimento dei parapetti, in quanto non collegate con la funzione di copertura (Cass. II, n. 15389/2000; Cass. II, n. 1361/1989); per la stessa ragione, le spese per il rifacimento delle ringhiere (Cass. II, n. 10602/1990); le spese dovute a fatto imputabile esclusivamente al titolare dell'uso esclusivo (Cass. II, n. 3658/2013; Cass. II, n. 5604/1978), quali, ad esempio, quelle derivanti dalla condensa creata dai vasi di cemento allocati sul lastrico (Trib. Milano 9 aprile 1992); le spese relative ad opere necessarie per la riparazione dei difetti originari di progettazione o di esecuzione dell'opera, indebitamente tollerati dal singolo proprietario (Cass. II, n. 9084/2010; Cass. II, n. 15131/2001; Cass. II, n. 6060/1998; Cass. II, n. 11774/1992; Cass. II, n. 8669/1990); le spese per le pertinenze della proprietà esclusiva, come quelle relative alla manutenzione di una piscina posta sul lastrico (Trib. Milano, 12 febbraio 2003, n. 2151).

Ad ultimo corollario di quanto sopra, va precisato che, per l'esecuzione dei lavori di manutenzione, il titolare del diritto esclusivo sul lastrico non ha diritto ad alcuna indennità (Trib. Napoli 16 febbraio 1994), e nell'esecuzione dei lavori di manutenzione del lastrico solare esclusivo, deve essere conservata la qualità preesistente dei materiali (Trib. Sanremo 12 dicembre 1990);

Il principio della rimborsabilità al singolo condomino delle spese urgenti da costui effettuate, ex art. 1134 c.c., deve essere applicato anche alle spese di riparazione e ricostruzione del lastrico in uso esclusivo, trattandosi di spese comunque destinate ad essere ripartite tra tutta la collettività condominiale ai sensi dell'art. 1126 c.c. (Trib. Milano 27 maggio 1993); da tale prospettiva, deriva che, in applicazione dei principi posti dal citato art. 1134, il condomino che ha sostenuto spese di manutenzione del lastrico senza autorizzazione non ha diritto al rimborso se non prova la sussistenza di un'urgenza nell'esecuzione (Trib. Firenze 22 maggio 2001).

Risarcimento del danno da infiltrazioni

Obbligazione propter rem

Sulla questione della responsabilità per danno da infiltrazioni provenienti dal lastrico solare, va, innanzitutto, posta una distinzione, nel senso che, anche in questo caso, come nell'ipotesi regolamentata dall'art. 1126 c.c., la fattispecie che richiede una specifica disciplina, e genera più di una particolare problematica, è quella del lastrico solare ad uso esclusivo, ossia il caso della struttura di copertura orizzontale il cui utilizzo sia attuato in via individuale da un condomino, o anche da un gruppo, ma non da tutti indiscriminatamente; nel caso contrario, di lastrico solare comune, nulla quaestio, atteso che è al condominio (cioè, a tutti i condomini) che deve essere attribuita qualsiasi responsabilità per danni, allo stesso modo di come al medesimo viene attribuito ogni obbligo di conservazione/manutenzione e di conseguente pagamento dei relativi oneri (Vanacore, 525; Vincenti, 571; Izzo 1997, 1415; Santarsiere, 557; De Tilla 2002, 39; Triola, 1350).

Per quanto riguarda, invece, il primo caso (lastrico esclusivo) ogni considerazione interpretativa deve cedere il passo di fronte al recente pronunciamento delle Sezioni Unite, le quali hanno proceduto ad un'intera riqualificazione della fattispecie, individuando «nuove» regole da applicare alla ripartizione dei relativi costi.

In precedenza, l'ordinanza di rimessione al massimo consesso decidente (Cass. II, n. 13526/2014), con pregevole ragionamento giuridico, aveva argomentato in estrema sintesi quanto segue.

La giurisprudenza in argomento aveva ritenuto che obbligati – sia alle riparazioni, sia al risarcimento dei danni arrecati all'appartamento sottostante – fossero i condomini che usufruivano della copertura del terrazzo (o del lastrico) in concorso con il proprietario superficiario, secondo la proporzione di cui all'art. 1126 c.c.

Tale interpretazione non è apparsa più sorretta da adeguate motivazioni, soprattutto se si consideravano le giustificate critiche mosse dalla dottrina, secondo cui apparivano infondate le motivazioni che operavano un'estensione del criterio di ripartizione delle spese di conservazione (previste dal codice civile con il disposto dell'art. 1126 c.c.) anche alla distribuzione del carico del risarcimento dei danni arrecati al condomino o al terzo proprietari dell'appartamento sottostante al lastrico solare.

Inspiegabilmente, infatti, la regola relativa alla responsabilità per danni veniva ricercata nell'art. 1126 c.c., giacché detta norma faceva esclusivo riferimento alle spese per la riparazione e la ricostruzione del lastrico solare e fondava la sua ratio nella (maggiore) usura causata dal godimento «esclusivo» da parte del titolare del relativo diritto; tuttavia, i danni di cui il condominio doveva rispondere in caso di infiltrazioni derivanti da omessa manutenzione non dipendevano da un comportamento (del predetto titolare esclusivo) ma dall'inerzia del condominio.

Non sono apparse, altresì, convincenti le argomentazioni della giurisprudenza secondo le quali la responsabilità per danni da infiltrazioni provenienti dal lastrico discendeva direttamente dalla titolarità del diritto reale (condominio, proprietà superficiaria o uso esclusivo) e dall'inadempimento delle obbligazioni, ad esso relative, di conservare le parti comuni, da qualificarsi come obbligazioni propter rem, di cui i partecipanti al condominio risultavano ad un tempo soggetti attivi e soggetti passivi e aventi ad oggetto la prestazione delle spese per la conservazione dei beni esistenti nell'edificio, siano essi comuni o esclusivi.

Ma tale applicazione delle norme fissate per stabilire il contributo alle riparazioni o alla ricostruzione, concepite dal legislatore per tenere conto della maggiore utilità che i condomini titolari dell'uso esclusivo traevano rispetto agli altri condomini che si giovavano della funzione di copertura del lastrico appariva evidentemente indebita, mentre, invece, risultava più coerente – sempre ad avviso dell'ordinanza remittente – il diverso orientamento della Suprema Corte, il qual richiamava l'applicazione dell'art. 2051 c.c. nell'ipotesi di cattiva manutenzione di cose in uso esclusivo al singolo condomino, seguendo il principio che addebita il danno ascrivibile ai singoli o al condominio all'eventuale comportamento lesivo di chi lo ha cagionato.

In altri termini, il fatto costitutivo dell'illecito risaliva alla condotta omissiva o commissiva dei condomini, che fondava una responsabilità aquiliana, la quale doveva essere scrutinata secondo le rispettive e specifiche colpe e, in caso di responsabilità condominiale, secondo i criteri millesimali, senza utilizzare la normativa coniata ad altro fine (cioè l'art. 1126 c.c.).

Obbligazione extracontrattuale

In sintesi, secondo l'autorevole parere (Cass.S.U., n. 9449/2016), la responsabilità per danni da infiltrazioni prodotte dal lastrico solare o dal terrazzo di proprietà o di uso esclusivo, quanto alla posizione del soggetto che del lastrico o della terrazza abbia l'uso esclusivo, deve essere collocata nell'àmbito di operatività dell'art. 2051 c.c. (responsabilità per danno cagionato da cose in custodia).

Peraltro, tenuto conto della funzione assolta nell'assetto condominiale dal lastrico o dalla terrazza posta a copertura dell'edificio, le Sezioni Unite hanno configurato una concorrente responsabilità del condominio, nel caso in cui l'amministratore ometta di attivare gli obblighi conservativi delle cose comuni su di lui gravanti, in base all'art. 1130, n. 4), c.c., oppure, nel caso in cui l'assemblea non adotti le determinazioni di sua competenza in materia di opere di manutenzione straordinaria, in base all'art. 1135, comma 1, n. 4), c.c. (tali concetti sono stati ribaditi successivamente anche da Cass. II, n. 199/2017, ad avviso della quale il dovere di contribuzione dei condomini ai costi di manutenzione di un terrazzo di proprietà esclusiva non fonda sull'applicazione degli artt. 1110 e 1134 c.c., siccome postulanti spese inerenti ad una cosa comune, ma trova la propria ragione, ex art. 1126 c.c., nella “utilità” che i condomini sottostanti traggono dal bene).

La soluzione offerta poggia sulla considerazione secondo cui chi abbia l'uso esclusivo del lastrico o della terrazza si collochi, rispetto al bene, in una posizione del tutto specifica, consistente nel «potere di governo sulla cosa», che lo costituisce quale custode, sicché, per ravvisare la responsabilità dell'usuario esclusivo del lastrico o della terrazza, è sufficiente la prova del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che assume rilievo alcuno la condotta del custode o l'osservanza di alcun obbligo di vigilanza.

Tale responsabilità del titolare dell'uso esclusivo (che ha ad oggetto la superficie del bene) – avverte il massimo consesso decidente – ha una chiara natura extracontrattuale, e non è quindi ricostruibile come inadempimento di un debito propter rem; i citati artt. 1130, n. 4), e 1135, comma 1, n. 4), c.c. valgono, invece, a fondare la concorrente responsabilità della gestione condominiale per la parte strutturale sottostante al lastrico o alla terrazza, la quale costituisce una cosa comune, perché contribuisce ad assicurare la copertura dell'edificio.

Rimane al di fuori di tale imputazione «duale» della responsabilità il caso in cui risulti provato che il titolare del diritto di uso esclusivo del lastrico o della terrazza abbia tenuto una condotta idonea ex se a provocare l'infiltrazione.

Dunque, il fondamento della responsabilità aquiliana per i danni patiti dal terzo viene ora rinvenuto dalle Sezioni Unite, quanto al titolare del diritto di uso esclusivo del lastrico o della terrazza, nel dovere di custodia ex art. 2051 c.c. inerente alla superficie della cosa, e, quanto al condominio, riguardo alla struttura comune ad essa immediatamente sottostante – sulla quale non è predicabile una «custodia» nei medesimi termini affermati per la copertura esterna – nel «dovere di controllo» gravante sull'amministrazione condominiale.

Atteso che l'esecuzione delle opere necessarie ad evitare il deterioramento del lastrico o della terrazza a livello ed il conseguente danno da infiltrazioni richiede la necessaria collaborazione del titolare del diritto di uso esclusivo e del condominio, si conclude nel senso che l'art. 1126 c.c. si presti quale congruo criterio di ripartizione del danno stesso, in quanto «parametro legale rappresentativo di una situazione di fatto, correlata all'uso e alla custodia della cosa nei termini in essa delineati».

La sentenza spiega, poi, che debbano trovare applicazione «tutte le disposizioni che disciplinano la responsabilità extracontrattuale», sicché, del danno provocato dalle infiltrazioni provenienti dal lastrico solare o dalla terrazza a livello risponde sempre chi fosse proprietario o il titolare del diritto di uso esclusivo al momento del verificarsi del fatto, in quanto l'acquirente di una porzione condominiale non può essere gravato degli obblighi risarcitori sorti in conseguenza di un illecito compiutosi prima dell'acquisto.

Rilevano, altresì, i limiti alla responsabilità del custode propri dell'art. 2051 c.c., e, infine, opera la disposizione di cui all'art. 2055 c.c., ben potendo il danneggiato agire nei confronti del singolo condomino, sia pure «nei limiti della quota imputabile al condominio».

Si è osservato che, sotto il profilo sistematico, il recente intervento delle Sezioni Unite ha avuto l'innegabile merito di aver ricondotto la questione del risarcimento del danno cagionato dall'omessa o inefficiente manutenzione del lastrico solare o della terrazza a livello di uso esclusivo, avente utilità di copertura dell'edificio condominiale, all'àmbito della responsabilità extracontrattuale, superandone l'inappagante qualificazione in termini di inadempimento contrattuale di obblighi propter rem.

In passato, infatti, le stesse Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 3672/1997) avevano affermato che la responsabilità per i danni causati all'unità immobiliare posta al di sotto del lastrico o della terrazza dovesse imputarsi a tutti i soggetti obbligati dal medesimo art. 1126 c.c. e inadempienti al vincolo di conservazione, secondo le frazioni ivi indicate.

Tale sentenza negava – come sopra evidenziato – che tale responsabilità risarcitoria discendesse dell'art. 2051 c.c., o dal generale principio del neminem laedere, considerando la stessa, piuttosto, effetto della titolarità del diritto reale e, quindi, dell'inadempimento delle obbligazioni di conservare le parti comuni, dettate dall'art. 1123, comma 1, c.c. e dall'art. 1126 c.c.; poiché le obbligazioni propter rem di conservazione coinvolgerebbero tutti i rapporti inerenti all'edificio, la susseguente responsabilità per inadempimento coprirebbe, altresì, i danni arrecati ai beni comuni costituenti il fabbricato.

L'assetto prescelto in precedenza dalle Sezioni Unite aveva suscitato molte perplessità in una parte della dottrina (Scarpa 1997, 346), a partire dalla premessa teorica secondo cui l'art. 1126 c.c. delineerebbe un'ipotesi di obligatio propter rem, nel senso che l'obbligo di partecipazione alle spese di conservazione del lastrico o terrazzo di uso esclusivo trovi la propria unica fonte nella titolarità del bene.

Invero, il dovere di contribuire ai costi di manutenzione del lastrico o del terrazzo rinviene la sua ragione non in un rapporto di carattere reale tra i condomini sottostanti e il bene, quanto nell'utilità che essi ne traggono («cui il lastrico serve», dice l'art. 1126 c.c., utilizzando lo stesso verbo «servire» cui fanno ricorso i commi 2 e 3 dell'art. 1123 c.c.): ciò connota il debito dei condomini tenuti alla spesa come obbligo, piuttosto, propter utilitatem.

Inoltre, la sentenza del 1997 delle Sezioni Unite, riconducendo la responsabilità per danni provocati dalle infiltrazioni provenienti dal lastrico o dal terrazzo ad un'ipotesi di inadempimento, induceva a pensare alla prestazione delle spese necessarie a garantire l'integrità di tali beni come oggetto di un vincolo obbligatorio propter rem esistente non solo nei confronti del condominio, ma anche direttamente nei confronti del proprietario dell'appartamento sottostante.

Evidentemente rilevanti, quanto incongrue, erano pure le conseguenze di disciplina derivanti dall'individuazione del fondamento del diritto al risarcimento dei danni nell'inadempimento di obbligazioni propter rem: si pensi alla soggezione dell'azione risarcitoria alla prescrizione decennale, e non a quella quinquennale prevista dall'art. 2947 c.c., come anche alle regole dettate, in ordine al regime probatorio, dall'art. 1218 c.c.

Profili di criticità

Rimane, pur nella più recente ed autorevole elaborazione giurisprudenziale della questione, qualche profilo di criticità e qualche dubbio irrisolto (per una lettura «a caldo» del diktat delle Sezioni Unite, v., sul versante dottrinale, Monegat, 391; Amendolagine, 779; Balbusso, 887; Del Chicca, 626; Gaudino, 1101; Scripelliti, 2596; Tortorici, 16).

La sistemazione seguita dall'ultimo intervento nomofilattico poggia – come rilevato – sull'affermazione della concorrente responsabilità extracontrattuale del titolare del diritto di uso esclusivo del lastrico o della terrazza, nascente dalla violazione del dovere di custodia ex art. 2051 c.c., e del condominio (rectius, dei singoli condomini cui il bene «serve»), per violazione del dovere di controllo exartt. 1130, n. 4), e 1135, comma 1, n. 4), c.c.

A questa prima conclusione, fa seguito quella secondo cui tali concorrenti responsabilità sono legate dal nesso di solidarietà di cui all'art. 2055 c.c., ma – ad avviso delle Sezioni Unite – il danneggiato può agire nei confronti del singolo condomino soltanto nei limiti della quota imputabile al condominio, o nei limiti dei due terzi dei danni subiti.

Si prospetta, quindi, la situazione di un medesimo danno (da infiltrazioni all'appartamento sottostante), provocato da più soggetti – il condomino titolare del diritto di uso esclusivo sul bene ed i condomini titolari delle unità immobiliari da quello coperte – per effetto di diversi titoli di responsabilità: la responsabilità del titolare d'uso esclusivo ha fondamento nell'art. 2051 c.c., gravando in capo a soggetto posto in speciale relazione di sorveglianza con il bene, mentre la responsabilità dei condomini, cui il bene stesso serva da copertura, si radica sulla generale responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., ed è originata da una condotta omissiva di questi ultimi, che si concretizza nella violazione delle specifiche norme della disciplina del condominio edilizio istitutive dell'obbligo di conservazione inadempiuto.

Nulla osta, sotto un profilo dogmatico, all'astratta configurabilità di un concorso causale nell'evento dannoso da parte del custode, per il titolo di cui all'art. 2051 c.c., e di altri soggetti, per il distinto titolo di responsabilità generica ai sensi dell'art. 2043 c.c.; sul custode, titolare dell'uso esclusivo del lastrico o della terrazza, incomberà, così, la prova liberatoria della ricorrenza del caso fortuito, mentre il danneggiato, proprietario dell'appartamento sottostante, dovrà provare la colpa dell'amministratore o dell'assemblea condominiale.

Si tratta, quindi, di situazione che genera una «solidarietà impropria», in quanto relativa a rapporti eziologicamente ricollegati a fonti diverse, ed in particolare a distinti titoli extracontrattuali (così Scarpa, in Celeste - Scarpa, 953).

La conseguenza della corresponsabilità in solido, ex art. 2055 c.c., dovrebbe, tuttavia, comportare che la domanda del proprietario dell'appartamento sottostante danneggiato vada intesa sempre come volta a conseguire per l'intero il risarcimento dal titolare dell'uso esclusivo del lastrico o del terrazzo, o da ciascuno dei condomini da esso coperti, in ragione del comune contributo causale alla determinazione del danno, non rilevando, quindi, rispetto all'attore, i limiti quotistici del terzo o dei due terzi, pari alle frazioni imputabili all'uno o agli altri a norma dell'art. 1126 c.c.

L'accertamento del rapporto proporzionale del diverso contributo causale di ciascun concorrente alla determinazione del danno riveste, semmai, importanza nei rapporti interni fra i corresponsabili, ove in tal senso sia stata formulata apposita domanda ai fini del regresso.

Un secondo profilo problematico che può prospettarsi alla luce della motivazione delle Sezioni Unite attiene alla legittimazione passiva dell'amministratore di condominio rispetto all'azione risarcitoria proposta dal proprietario dell'appartamento sottostante.

In proposito, si afferma che tale azione deduce non un credito da obbligazione propter rem, ma una responsabilità per illecito aquiliano, responsabilità che per i condomini, cui il lastrico o la terrazza serve da copertura, si fonda sull'art. 2043 c.c. e non sull'art. 2051 c.c.; proprio in quanto si allega una responsabilità extracontrattuale, ove vi siano stati mutamenti soggettivi nella compagine condominiale, la domanda – osserva la Suprema Corte – va rivolta nei confronti di coloro che erano proprietari delle unità immobiliari al momento del fatto dannoso, non potendo i successivi acquirenti di singole porzioni risentire di obblighi risarcitori per danni cagionati prima del loro acquisto.

Negandosi dai più la riferibilità della responsabilità aquiliana al condominio in quanto tale, come al suo amministratore, e riaffermate ora le responsabilità concorrenti ma distinte del titolare dell'uso esclusivo del terrazzo e dei condomini sottostanti, c'è da chiedersi se rimanga valida la pregressa opzione giurisprudenziale, secondo cui l'azione risarcitoria per i danni cagionati dal lastrico o dal terrazzo di uso esclusivo dovrebbe essere comunque sempre proposta nei confronti del condominio, in persona dell'amministratore, quale rappresentante di tutti i condomini obbligati, come appena precisato, ex art. 2043 c.c. (Cass. II, n. 3676/2006; Cass. II, n. 642/2003; Cass. II, n. 10233/2002; Cass. II, n. 9009/1998; cui adde Cass. II, n. 18168/2014; Cass. II, n. 2998/1981; Cass. II, n. 3570/1976).

Invero, Cass. II, n. 1674/2015, ha affermato espressamente che il risarcimento dei danni da cosa in custodia di proprietà condominiale soggiace alla regola della responsabilità solidale ex art. 2055, comma 1, c.c., norma che opera un rafforzamento del credito, evitando al creditore di dover agire coattivamente contro tutti i debitori pro quota, anche quando il danneggiato sia un condomino, equiparato a tali effetti ad un terzo, sicché devono individuarsi nei singoli condomini i soggetti solidalmente responsabili, poiché la custodia, presupposta dalla struttura della responsabilità per danni prevista dall'art. 2051 c.c., non può essere imputata né al condomino, quale ente di sola gestione di beni comuni, né al suo amministratore, quale mandatario dei condomini.

In passato, un'attenta dottrina (Colonna, 454) reputava l'amministratore passivamente legittimato rispetto alle domande risarcitorie fatte valere da terzi o anche da condomini per i danni che siano derivati da beni condominiali o da cose di cui, a prescindere dalla titolarità, abbia la custodia (con i relativi obblighi di gestione, manutenzione e vigilanza) il condominio.

D'altro canto, ove, in seguito al verificarsi del danno subìto dall'appartamento sottostante al lastrico o al terrazzo, si fosse perfezionato il trasferimento della proprietà di un'unità immobiliare, cui il bene serve da copertura, l'obbligo risarcitorio – come visto – non si trasferisce in capo all'acquirente, eppure l'alienante, avendo ormai perso la qualità di condomino, non potrebbe più essere rappresentato dall'amministratore.

Inoltre, tale articolata ricostruzione della fattispecie, con scissione della posizione del titolare esclusivo/ custode da quella del condominio/ente obbligato alla manutenzione, ha indotto parte della dottrina ad ulteriori considerazioni.

Le Sezioni Unite – come sopra delineato – attribuiscono (e ripartiscono) la responsabilità per danni da infiltrazioni derivanti dal lastrico sia al titolare del diritto esclusivo su tale struttura di copertura (in quanto «custode»), sia al condominio (in quanto beneficiario della relativa utilità).

La suddetta bipartizione, pur fondandosi su «titoli» diversi – per il titolare l'art. 2051 c.c. e per il condominio l'art. 2043 c.c. – vede tuttavia «abbinati» tali soggetti nel riconoscimento del rispettivo obbligo di risarcimento nei confronti del «danneggiato» (che, poi, è uno dei condomini, ed esattamente, il proprietario dell'unità immobiliare posta al di sotto del lastrico); senza dimenticare, però, che l'applicabilità della norma di cui all'art. 2043 c.c. e dell'art. 2051 c.c. implica, sul piano eziologico e probatorio, diversi accertamenti e coinvolge distinti temi di indagine, trattandosi di accertare, nel primo caso, se sia stato attuato un comportamento commissivo od omissivo, dal quale è derivato un pregiudizio a terzi, e dovendosi prescindere, invece, nel caso di responsabilità per danni da cosa in custodia, dal profilo del comportamento del custode, che è elemento estraneo alla struttura della fattispecie normativa di cui all'art. 2051 c.c., nella quale il fondamento della responsabilità è costituito dal rischio, che grava sul custode, per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano dal caso fortuito (Trib. Salerno 12 gennaio 2016).

In quest'ottica, per quanto riguarda il primo soggetto «responsabile», va considerato che il titolare del diritto esclusivo sul lastrico viene ritenuto obbligato al risarcimento degli eventuali danni in quanto mero «custode» del bene (cioè, della struttura di copertura), circostanza «di fatto» che, da una parte, è certamente incontestabile, ma che, dall'altra, toglie valore ad ogni considerazione sul suo «comportamento», visto che la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che tale responsabilità ha natura oggettiva, in quanto si fonda sul mero rapporto di custodia, cioè sulla relazione intercorrente fra la cosa dannosa e colui il quale ha l'effettivo potere su di essa (come il proprietario, il possessore o anche il detentore) e non sulla presunzione di colpa, restando estraneo alla fattispecie il comportamento tenuto dal custode (Cass. III, n. 295/2015; e per la giurisprudenza di merito, v. Trib. Marsala 3 marzo 2016; Trib. Bari 11 gennaio 2016; Trib. Livorno 1 luglio 2015; App. Lecce 22 aprile 2015; Trib. Milano 25 febbraio 2015).

Esclusione della responsabilità

Dunque, per quanto riguarda le concrete manifestazioni del rapporto di «custodia», la nostra fattispecie condominiale non crea particolari problemi in quanto, da una parte, si ritiene pacificamente che l'ipotesi prevista dall'art. 2051 c.c. (in quanto relazione di fatto con il bene) possa riferirsi – con medesime conseguenze senza che ciò comporti particolari differenze in termini di regole applicabili – ad una pletora di diritti sulla «cosa», come proprietà, usufrutto, possesso (Cass. II, n. 25243/2006; Cass. III, n. 12280/2004; Cass. II, n. 2795/1985; v. anche Cass. III, n. 2422/2004, che parla di disponibilità giuridica e materiale della cosa), e, dall'altra parte – come ripetutamente rilevato – è altrettanto pacifico che il «diritto esclusivo» sul lastrico solare può consistere in un diritto sia reale, sia personale.

Allo stesso modo, nessuna particolare implicazione deriva dall'effettiva consistenza materiale del «lastrico», considerato che un'ampia giurisprudenza ritiene che l'art. 2051 c.c. sia applicabile praticamente a qualsiasi «cosa», in quanto tutti i «beni» possono potenzialmente costituire causa di danno, quale che sia la loro struttura e qualità, pericolosità, ecc. (Cass. III, n. 20317/2005; Cass. III, n. 11264/1995; nonché, per le precisazioni riguardanti le cose c.d. inoffensive, v., Cass. III, n. 20602/1010; Cass. III, n. 24739/2007).

Sul punto, è opportuno precisare che la nota problematica sulle cose c.d. inerti – e cioè sul fatto che in, questo caso, maggiore può essere l'efficienza causale del comportamento del danneggiato e, pertanto, al fine di provare il nesso causale, il danneggiato deve dimostrare che lo stato dei luoghi presentava peculiarità tali da renderne potenzialmente dannosa l'utilizzazione (Trib. Monza 10 dicembre 2015) – non sembra in grado di interessare la nostra ipotesi, in quanto l'utilizzazione che viene fatta del lastrico solare è priva di qualsiasi dinamismo ed il danno (derivante da infiltrazioni) si determina ex se, cioè, senza nessuna compartecipazione comportamentale del proprietario dell'unità immobiliare sottostante.

Applicandosi in pieno il disposto dell'art. 2051 c.c., la responsabilità del «titolare del diritto esclusivo» può essere esclusa dalla sussistenza del c.d. caso fortuito, consistente – secondo un'interpretazione consolidata – nel «fatto» che abbia avuto efficacia causale esclusiva nella produzione del danno, proveniente dal terzo (Cass. III, n. 10556/1998) e/o in genere dall'esterno (Cass. III, n. 5326/2005; sul versante della giurisprudenza di merito, v. Trib. Bari 10 marzo 2016; Trib. Massa 3 marzo 2016; Trib. Pisa 1 marzo 2016; Trib. Roma 14 gennaio 2016), o addirittura dalla condotta del medesimo danneggiato (Cass. VI/III, n. 6407/2016; Cass. III, n. 3502/2016; nonché Trib. Lucca 20 aprile 2016; Trib. Roma 14 gennaio 2016; Trib. Bari 11 gennaio 2016).

In particolare, per quanto riguarda il comportamento del danneggiato, è francamente da escludere che nel condominio possa verificarsi una qualche condotta del proprietario del piano sottostante al lastrico che possa determinare – in via esclusiva, oppure solo in via concorsuale ex art. 1127 c.c. – il verificarsi delle infiltrazioni, e ciò anche se la giurisprudenza ammette in maniera piuttosto ampia la prova del «fortuito» derivante da fatto dello stesso danneggiato (Cass. III, n. 28811/2008).

Per quanto concerne, poi, i fenomeni derivanti da un fattore esterno, l'ipotesi da considerare (sempre con riferimento ai danni derivanti da infiltrazioni) è certamente quella relativa agli «eventi naturali», fattispecie, però, che la giurisprudenza ha sempre valutato restrittivamente, pretendendo che sussistano i caratteri dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità (Cass. III, n. 24755/2008; Cass. III, n. 2062/2004; Cass. III, n. 10641/2002).

Non è un caso, infatti, che, con riferimento a tali aspetti, è stato affermato che la pioggia intensa e persistente, tale da assumere il carattere dell'eccezionale intensità, non può costituire un evento rientrare nel caso fortuito o nella forza maggiore specie in epoche, come quella attuale, in cui i dissesti idrogeologici richiedono maggior rigore (Cass. III, n. 5877/2016).

In quest'ottica, possono ricordarsi alcuni casi emblematici di «caso fortuito» che la giurisprudenza ha riferito all'ambito condominiale nei termini che seguono: si è precisato che tre giorni ininterrotti di pioggia forte, ai quali erano seguiti infiltrazioni dal lastrico solare che avevano danneggiato l'appartamento di un condomino, possono essere considerati fattore causale indipendente e fortuito in grado di far venire meno la responsabilità del condominio (Cass. II, n. 10898/2013); è stato escluso l'obbligo del condominio di sgomberare la strada dalla neve in considerazione dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità delle ripetute nevicate (Cass. II, n. 25243/2006); il condominio è responsabile se non sgombra la neve dal tetto, attività successiva rispetto alla nevicata e non dipendente dall'eccezionalità di questa (Pret. Milano 2 novembre 1988); il condominio è responsabile per i danni da caduta su una lastra di marmo priva di copertura e, quindi, sottoposta agli agenti atmosferici, se la nevicata avvenuta in precedenza configura un evento del tutto normale e prevedibile (Trib. Milano, 28 ottobre 2006).

Comunque, non sussiste violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato qualora, relativamente ad una domanda di condanna all'esecuzione dei lavori di ripristino del soffitto di un appartamento sito all'ultimo piano dell'edificio in condominio, fondata sulla lesione del diritto di proprietà configurata in concreto da pregiudizi cagionati al soffitto dall'umidità, il giudice, a seguito degli accertamenti compiuti dal consulente tecnico, alle precisazioni ed alle istanze formulate dalle parti in corso di causa, pronunzi la condanna all'esecuzione dei lavori necessari per eliminare l'umidità determinata non dalle infiltrazioni di acqua provenienti dal solaio di copertura, ma dalla condensa connessa al difettoso isolamento termico del solaio (Cass. VI/II, n. 16252/2017; Cass. II, n. 14088/1999).

Imputabilità al singolo

La ricostruzione interpretativa che precede, tuttavia, perde di validità – come sopra anticipato – qualora i danni all'unità immobiliare sottostante derivino dal c.d. fatto imputabile esclusivamente al titolare del diritto esclusivo.

Si tratta di un'ipotesi di responsabilità che non discende dalla mera «relazione» con la cosa («custodia» di detto titolare ex art. 2051 c.c.), oppure dall'obbligo del neminem laedere (obbligo di manutenzione a carico del condominio di cui all'art. 2043), ma esclusivamente da un evento riconducibile soggettivamente.

Nel nostro caso, considerato che l'utilizzazione diretta spetta solo al titolare esclusivo (mentre il condominio usufruisce dell'utilità «statica» derivante dalla copertura), una chiara giurisprudenza (Trib. Bari 5 maggio 2010) ha collegato tale ipotesi al «cattivo utilizzo» del lastrico medesimo – si pensi, ad una fuoriuscita di liquidi dall'impianto esclusivo di irrigazione del giardino pensile (Cass. III, n. 4074/1998) e/o a perdite dalla piscina privata e/o alla smodata annaffiatura dei vasi di piante – dovendosi, in tal caso, addebitare ogni responsabilità a detto soggetto (il tutto, in un quadro giurisprudenziale nel quale tale necessità è pacifica: v., di recente, Cass. II, n. 10195/2013; Cass. III, n. 3658/2013; Cass. III, n. 3454/2012; tra le pronunce di merito, si segnalano: Trib. Torre Annunziata 5 maggio 2014; Trib. Bari 14 marzo 2014; Trib. Nocera Inferiore 20 settembre 2013; Trib. Roma 2 gennaio 2013).

Del pari inapplicabile è la ricostruzione operata dalle Sezioni Unite nel caso dei c.d. vizi originari costruttivi del lastrico solare indebitamente tollerati dal relativo titolare esclusivo (De Tilla 2013, 1024).

A ben vedere, in questo caso, da una parte, il nesso eziologico del danno non si collega in alcun modo con l'obbligo di manutenzione la cui violazione dà luogo alla responsabilità del condominio ex art. 2043 c.c. (in altri termini, i danni non derivano dalla vetustà della struttura) ma deve riferirsi ad un «difetto» del bene di cui risponde il costruttore/venditore (v., di recente, Cass. II, n. 25541/2015), dall'altra parte, si conserva il legame tra cosa e danno che giustifica la sola responsabilità del titolare esclusivo ex art. 2051 c.c., vieppiù se ha omesso di attivare il rimedio giudiziale ad hoc previsto dall'art. 1669 c.c. (per tale ipotesi, v. Cass. II, n. 2840/2013; Cass. III, n. 6060/1998; Cass. II, n. 4816/1994); in particolare, v. Cass. II, n. 9084/2010, in cui si era cassata la sentenza di merito che, in controversia tra il condominio ed il proprietario del terrazzo soprastante un locale condominiale, costituente lastrico solare di tale locale, per le riparazioni necessarie ad eliminare le infiltrazioni d'acqua verificatesi nell'immobile condominiale a causa del difetto di impermeabilizzazione del terrazzo, dovuto a vetustà della relativa guaina impermeabilizzante e non già a vizi originari di progettazione o di esecuzione del manufatto, aveva ritenuto che la fattispecie fosse da sussumere nell'ambito applicativo dell'art. 2051 c.c.).

In quest'ordine di concetti, e facendo proprie le argomentazioni esplicitate, di recente, dal massimo organo di nomofilachia, il Supremo Collegio ha ribadito che, dei danni derivanti dall'omessa manutenzione del lastrico solare, che non sia comune a tutti i condomini, rispondono sia il proprietario o l'usuario esclusivo, quale custode del bene, ai sensi dell'art. 2051 c.c., sia il condominio, in forza degli obblighi inerenti l'adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni, exartt. 1130, n. 4), e 1135, comma 1, n. 4), c.c., ed il concorso di tali responsabilità va risolto, di regola, secondo i criteri di cui all'art. 1126 c.c., salva la rigorosa prova contraria della specifica imputabilità soggettiva del danno (Cass. II, n. 3239/2017: nella specie, si era cassato la decisione che, a seguito del crollo di una terrazza di uso esclusivo, aveva ripartito le conseguenti spese di riparazione senza valutare l'ascrivibilità, o meno, delle cause dell'evento, determinato dalla corrosione delle strutture portanti in ferro per assenza di manutenzione del pavimento, alla responsabilità esclusiva dell'usuario).

Nella stessa lunghezza d'onda, si pone un altro recente arresto del Supremo Collegio (Cass. II, n. 23680/2016), secondo cui La responsabilità per il crollo di un lastrico solare ad uso esclusivo, determinato da vizi e carenze costruttive dell'immobile, è ascrivibile in via esclusiva, ai sensi dell'art. 2051 c.c., al proprietario o all'usuario esclusivo, in quanto il danno è conseguente a fatti che involgono la sola responsabilità del custode, e non anche la violazione di obblighi di manutenzione gravanti sul condominio.

Infine, va considerato il particolare caso del titolare esclusivo del lastrico solare che, immotivatamente, frapponga impedimenti all'esecuzione dei lavori di manutenzione o ripristino, deliberata dagli altri «obbligati» (Cass. II, n. 4596/2012; sul punto, v. anche Trib. Napoli 6 febbraio 2015).

È evidente che, a prescindere dalla legittimazione passiva rispetto all'azione di risarcimento, in questa ipotesi la condotta di tale soggetto è in grado di escludere completamente il collegamento tra obbligo di manutenzione gravante sul condominio e il danno procurato, rendendo detto titolare unico responsabile per i danni che possano direttamente derivare da tale suo ostruzionismo (esclusi, quindi, quelli già verificatisi in precedenza).

Qualora, infine, il condomino abbia pagato l'intero corrispettivo di un contratto dell'appalto concluso dall'amministratore per l'esecuzione di lavori di rifacimento del solaio di un lastrico solare di sua proprietà, si è affermato (Cass. II, n. 20073/2017; Cass. II, n. 199/2017) che lo stesso condomino non ha diritto di regresso verso gli altri condomini, sia pure limitatamente alla quota millesimale di ciascuno di essi, né può avvalersi della surrogazione legale ex art. 1203, n. 3), c.c., trattandosi di un'obbligazione parziaria e non solidale e difettando l'interesse comune all'adempimento, mentre può agire nei confronti degli altri condomini per ottenere l'indennizzo da ingiustificato arricchimento, stante il vantaggio economico ricevuto da costoro.

Riferibilità al condominio

Diversa è la qualificazione della responsabilità a carico del condominio che le Sezioni Unite correlano alla fattispecie di cui all'art. 2043 c.c. e, quindi, alla classica ipotesi extracontrattuale/aquiliana, con la conseguenza che i requisiti per cui ciò avvenga devono esser individuati nell'antigiuridicità del fatto e/o della condotta, nella relativa imputabilità al predetto responsabile, nonché nel nesso di causalità tra detto fatto e il danno.

Quanto all'antigiuridicità, nello specifico del danno da infiltrazioni provenienti dal lastrico, nel caso dell'addebito a carico del condominio, essa può ravvisarsi nell'«ingiustizia» consistente nella lesione del diritto di carattere patrimoniale spettante al condomino sottostante al lastrico e relativo all'integrità della porzione immobiliare di sua proprietà.

Quanto all'imputabilità, esclusa la sussistenza del dolo (art. 2043 c.c.) che, francamente, appare difficilmente configurabile per il condominio, il riferimento è alla fattispecie colposa che, richiamando l'art. 43 c.p. (in assenza di una specifica definizione nel codice civile), si esprime in termini di un evento che si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia, oppure per inosservanza di legge e/o regolamenti, sostanzialmente collegabile all'obbligo di manutenzione che grava su qualsiasi proprietario (quale dovere di conservare l'immobile).

In tale prospettiva, va evidenziato che la responsabilità del condominio, proprio per la particolare natura della fattispecie – nella quale in precedenza all'evento dannoso non viene, nel concreto, posta in essere alcuna specifica condotta, essendo tale evento (le infiltrazioni) l'unico «fatto» percepibile – sfiora la qualificazione in termini di ipotesi «oggettiva» nella quale l'obbligo di risarcimento sorge, appunto, per il solo fatto del verificarsi del danno.

In tale contesto interpretativo, inoltre, le Sezioni Unite richiamano il disposto dell'art. 2055 c.c. («se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido»), ritenuto applicabile anche a questa specifica ipotesi di responsabilità per danni, tuttavia solo con riferimento alla quota parte dei due terzi attribuibile ai condomini che utilizzano il lastrico solare come copertura (esattamente, la sentenza afferma «nei limiti della quota imputabile al condominio»).

Sul punto, assodato che la solidarietà imposta da detta norma può essere riferita anche a coautori del danno che rispondono a «titoli diversi», titolare ex art. 2051 c.c. e condominio ex art. 2043 c.c. (Cass. II, n. 20646/2005; Cass. II, n. 7231/1995), dal momento che l'unicità del fatto dannoso deve essere riferita unicamente al danneggiato e non va intesa come identità delle azioni giuridiche dei danneggianti e neppure come identità delle norme giuridiche da essi violate (Cass. III, n. 25157/2008; Cass. I, n. 13272/2006), tale limitazione della solidarietà (solo all'interno del condominio) evidenzia una certa criticità, non spiegandosi per quale motivazione, invece, le conseguenze di coinvolgimento previste da detta norma non debbano interessare anche il titolare esclusivo del diritto sul lastrico, che dovrebbe essere ritenuto ex art. 2055 c.c. responsabile per l'intero – nei confronti del danneggiato – insieme a tutti gli altri condomini.

Per di più, appare piuttosto incoerente il richiamo operato alla «distribuzione» della responsabilità in base al «criterio di riparto previsto per le spese di riparazione o ricostruzione», che viene ritenuto costituire «un parametro legale rappresentativo di una situazione di fatto, correlata all'uso e alla custodia della cosa nei termini in essa delineati, valevole anche ai fini della ripartizione del danno cagionato dalla cosa comune», che, se valido nel piano interno» (cioè, nei rapporti tra titolare e condominio), non può non valere anche come sintomo della sussistenza della corresponsabilità prevista dall'art. 2055 c.c. («se il fatto dannoso è imputabile a più persone...»).

Peraltro, tale impostazione potrebbe avere delle conseguenze nefaste (anche di ordine processuale), impedendo al danneggiato di ottenere un ristoro integrale del danno qualora eserciti la sua azione esclusivamente nei confronti del condominio (come, peraltro, un'ampia giurisprudenza precedente riteneva corretto, v. Cass. II, n. 4596/2012; Cass. II, n. 11029/2003; sul versante del merito, v. Trib. Napoli 6 febbraio 2015; Trib. Bari 5 maggio 2010).

Ne deriva, pertanto, la necessità che l'azione di risarcimento sia instaurata sempre – e contemporaneamente – contro tali due soggetti, a meno che non vi siano evidenze (conosciute dal danneggiato, e da questi provate in giudizio) che uno dei due abbia determinato con il suo comportamento tutto il (o meglio, parte del) danno.

Ma le caratteristiche della fattispecie, però, impongono di considerare delle specifiche particolarità che inevitabilmente determinano alcune differenze (acutamente anticipate da Salciarini 2009, 7).

Come rilevato sopra, l'ipotesi comporta un danno che si manifesta direttamente senza che vi siano avvisaglie precedenti che consentono ai soggetti interessati di evitarlo (si pensi al diverso caso della caduta in una buca, dove il custode e/o il responsabile può ben intervenire prima del danno per eliminare la situazione potenzialmente dannosa).

In altri termini, la circostanza che si tratta di infiltrazioni causate e derivanti da deficienze della struttura (e/o manutenzione) del lastrico – aspetto che è concretamente invisibile a tutti – comporta che, prima, si verifica il danno e, solo successivamente, è possibile attivarsi per provvedere all'eliminazione della condizione dannosa e al ripristino dei danneggiamenti (già) avvenuti.

In quest'ottica, il comportamento dei soggetti interessati dalla fattispecie – titolare del lastrico in qualità di custode, e condominio quale obbligato alla manutenzione/conservazione della «copertura» – potrà avere una rilevanza con riferimento solo all'aggravamento successivo del danno.

Per fare un esempio di alternativa (e inevitabile) consecutio temporale: a) si verifica il danno da infiltrazioni, il danneggiato evidenzia la situazione al condominio e al titolare esclusivo, il condominio (come da competenza, v., Cass. II, n. 10602/1990; nonché Trib. Parma 18 dicembre 1995; Trib. Sanremo 12 dicembre 1990) delibera i necessari interventi manutentivi e di ripristino, il titolare esclusivo impedisce materialmente l'accesso e, quindi, l'effettuazione delle relative opere: quest'ultimo soggetto risponde integralmente dell'aggravamento delle conseguenze; b) si verifica il danno, il danneggiato provvede sempre ad evidenziare la situazione, il condominio non provvede (per negligenza dell'amministratore o inerzia dell'assemblea), il titolare esclusivo sollecita ripetutamente, ma inutilmente, gli altri condomini (ovvero, il condominio) affinché provvedano/provveda: il condominio risponde integralmente dell'aggravamento delle conseguenze.

Come si vede, la particolarità fattuale della fattispecie comporta che, quanto meno, per la parte iniziale del danno sarà inevitabile la responsabilità concorrente del titolare esclusivo e del condominio, essendo concretamente improbabile che qualcuno si attivi prima del verificarsi di qualsiasi evento.

Bibliografia

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