Codice Civile art. 1127 - Costruzione sopra l'ultimo piano dell'edificio.

Alberto Celeste

Costruzione sopra l'ultimo piano dell'edificio.

[I]. Il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio può elevare nuovi piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo. La stessa facoltà spetta a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare.

[II]. La sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell'edificio non la consentono.

[III]. I condomini possono altresì opporsi alla sopraelevazione, se questa pregiudica l'aspetto architettonico dell'edificio ovvero diminuisce notevolmente l'aria o la luce dei piani sottostanti.

[IV]. Chi fa la sopraelevazione deve corrispondere agli altri condomini un'indennità pari al valore attuale dell'area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e detratto l'importo della quota a lui spettante. Egli è inoltre tenuto a ricostruire il lastrico solare di cui tutti o parte dei condomini avevano il diritto di usare [1126].

Inquadramento

Il diritto di sopraelevazione consiste nella facoltà di costruire un ulteriore nuovo piano al di sopra dell'ultimo piano dell'edificio in regime di condominio.

Il disposto, che pone la regolamentazione della suddetta fattispecie, va rinvenuto nell'art. 1127 c.c. – rimasto inalterato anche a seguito della Riforma del 2013 – il cui comma 1 prevede che «il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio può elevare nuovi piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo», aggiungendo che «la stessa facoltà spetta a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare».

La norma espressamente individua, dunque, la nuova costruzione realizzabile in «nuovi piani o nuove fabbriche», ma si ritiene che la facoltà di sopraelevare abbia un contenuto piuttosto ampio e non sia limitata alla sola costruzione di un intero piano nuovo, in quanto, in esplicazione di tale diritto di sopraelevare, possono realizzarsi strutture con tipologie anche notevolmente differenti rispetto a quelle già esistenti (sul concetto di facoltà edificatoria, sul versante dottrinale in termini generali, v. Salciarini, in Celeste – Salciarini, 385; Coscetti, 85; De Giorgi, 365; Terzago 2006, 28; Decristina, 1133; Cocchiara, 232; Givri, 442; Nicoletti, 137; Bianco, 515).

In quest'ottica, si è reputato che costituisca sopraelevazione, ai sensi dell'art. 1127 c.c., l'occupazione dell'area comune sovrastante l'ultimo piano, sia con un altro piano, sia con una nuova fabbrica, che può consistere anche in materiale diverso da cemento o laterizi, purché sia stabile e compatta – come nel caso di struttura in alluminio, immobilizzata solidamente su un terrazzo di copertura, di proprietà esclusiva – mentre è irrilevante che possa essere stata considerata dal giudice penale, per escludere il reato previsto dall'art. 17, lett. b), l. 28 gennaio 1977, n. 10, pertinenza dell'appartamento.

Per aversi sopraelevazione è necessario, però, che la costruzione realizzata abbia appunto il carattere della solidità e della stabilità, sicché non può definirsi tale la costruzione di una semplice pensilina o tettoia (De Tilla 1999, 619; Salis 1994, 604).

Singole ipotesi edificatorie

Il principio è confermato dalla giurisprudenza sia di legittimità sia di merito, precisandosi che le c.d. pensiline in tenda o in altro materiale che non dia luogo alla delimitazione con pareti, non possono annoverarsi nel concetto di «nuova fabbrica» che faccia sorgere il diritto, per gli altri condomini, all'indennità prevista dall'ultimo comma dell'art. 1127 c.c. (Cass. II, n. 1263/1999); parimenti, non rientra qualunque opera costruita sul lastrico solare dal proprietario dell'ultimo piano, ma la realizzazione di un piano ulteriore, sicché sfugge all'applicazione della norma la costruzione – in parte su una terrazza a livello dell'ultimo piano ed in parte su una rampa di scale esterna di accesso ad un volume preesistente – di una pensilina coperta (o tettoia), in legno e ferro, munita di un parapetto trasparente volta unicamente a creare riparo dagli agenti atmosferici (tra le pronunce di merito, si segnalaTrib. Cagliari 7 dicembre 1993).

In base allo stesso principio, non si verifica sopraelevazione a seguito della costruzione di un semplice comignolo (Cass. II, n. 8040/1990).

Sempre secondo tale impostazione, non si ha sopraelevazione nemmeno in caso di mera trasformazione del sottotetto (Salis 1981, 19); al riguardo, l'indennizzo, previsto dall'art. 1127 c.c. in favore di ciascun comproprietario in caso di sopraelevazione dell'edificio condominiale, va corrisposto nella sola ipotesi di sopraelevazione realizzata mediante la costruzione di nuove opere (nuovi piani o nuove fabbriche) sull'area sovrastante il fabbricato, con conseguente innalzamento dell'originaria altezza dell'edificio, e non anche nel caso in cui il proprietario dell'ultimo piano apporti modificazioni soltanto interne al sottotetto – trasformandolo, come nella specie, in unità abitativa autonoma – contenute negli originari limiti strutturali delle parti dell'edificio sottostanti alla sua copertura.

In senso contrario, appare di recente orientata la magistratura di vertice (v., tra le altre, Cass. II, n. 24327/2011), ad avviso della quale l'indennità prevista dall'art. 1127 c.c. per la costruzione sopra l'ultimo piano dell'edificio è dovuta anche per la trasformazione di locali preesistenti, mediante incrementi delle superfici e delle volumetrie, «indipendentemente dall'altezza del fabbricato», traendo fondamento dall'aumento proporzionale del diritto di comproprietà sulle parti comuni, conseguente all'incremento della porzione di proprietà esclusiva; e ciò sulla scia della pronuncia del massimo consesso deliberante (Cass.  S.U., n. 16794/2007), a tenore della quale, qualora il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio innalzi mura perimetrali, rifacendo il tetto e creando nuove unità abitative sostitutive delle precedenti soffitte esistenti, gli altri condomini del fabbricato hanno diritto ad ottenere dal realizzatore la corresponsione dell'indennità di sopraelevazione di cui sopra, poiché l'indennizzo compete «a prescindere dal fatto che si siano realizzati nuovi piani o nuove fabbriche», avendo l'indennità in questione natura sostanzialmente riparatoria, ed essendo essa finalizzata a compensare gli altri condomini della perdita derivante dalla diminuzione di valore di unità immobiliare della quale i predetti abbiano la proprietà.

Il nuovo discrimen viene colto in senso analogo a quello, in tema di edilizia, per distinguere le ipotesi della ristrutturazione e della ricostruzione da quella della nuova costruzione: si ha la prima solo ove gli interventi abbiano interessato un edificio del quale sussistano e, all'esito di essi, rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, per cui le opere consistano in modificazioni solo interne, nel rispetto delle originarie dimensioni dell'edificio e delle dette sue componenti essenziali, mentre va ravvisata la seconda ove dell'edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, le componenti de quibus e l'intervento si traduca, però, nell'esatto ripristino delle stesse operato senza variazione alcuna rispetto alle dimensioni dell'edificio stesso, in particolare senza aumenti né della volumetria né, pur questa rimanendo immutata, delle superfici occupate in relazione all'originaria sagoma di ingombro; diversamente, si verte nella terza ipotesi.

Invece, secondo l'indirizzo tradizionale – che appare maggiormente conforme alla lettera ed alla ratio del disposto codicistico – i sottotetti, le soffitte, le cantine, i solai vuoti e gli analoghi spazi non praticabili destinati ad isolare il corpo di fabbrica dalla sua copertura costituiscono una pertinenza dell'intero edificio condominiale (o del suo ultimo livello) ove appartengano in via esclusiva al proprietario di questo e non diano luogo a loro volta ad un piano a sé stante, essendo destinati ad una funzione accessoria, quali depositi, stenditoi e camere d'aria a protezione degli alloggi sottostanti dal caldo, dal freddo e dall'umidità.

Dunque, ai fini dell'art. 1127 c.c., la sopraelevazione è costituita solo dalla realizzazione di nuove opere nell'area sovrastante il fabbricato, per cui l'originaria altezza dell'edificio è superata con la copertura dei nuovi piani o con la superficie superiore terminale delimitante le nuove fabbriche (in dottrina, specie in ordine alla sottile distinzione rispetto all'uso, legittimo o meno, della cosa comune, Musolino 2013, 695; Tamburro, 709; Scarpa, 558; De Tilla 2009, 26; Santersiere 2003, 834; Lenzi, 795; Samperi, 2248).

A mero titolo esemplificativo, la ristrutturazione di locali non comporta sopraelevazione, ai sensi dell'art. 1127 c.c., nei casi di modificazione soltanto interne, contenute negli originari limiti dell'edificio senza alcun aumento della sua altezza (Cass. II, n. 7764/1999; Cass. II, n. 1498/1998; Cass. II, n. 5164/1997); ciò non si verifica nemmeno nella fattispecie in cui la costruzione sia adiacente all'attico ma le opere poste in essere sono contenute nei limiti del preesistente sottotetto (Cass. II, n. 19281/2009); stesse considerazioni qualora il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio intervenga con opere di trasformazione del tetto che, per le loro caratteristiche strutturali, siano idonee a sottrarre il bene comune alla sua destinazione in favore degli altri condomini ed attrarlo nell'uso esclusivo del singolo (Cass. II, n. 2865/2008: nella specie, si era in presenza di un ampliamento della superficie dell'appartamento con spostamento di una parete, nonché realizzazione di un balcone, di due ripostigli e di un abbaino); così anche nell'ipotesi di sostituzione del tetto, ad opera del proprietario dell'ultimo piano di un edificio, con una diversa copertura (terrazza) che, pur non eliminando l'assolvimento della funzione originariamente svolta dal tetto stesso, valga ad imprimere al nuovo manufatto, per le sue caratteristiche strutturali e per i suoi annessi, anche una destinazione ad uso esclusivo dell'autore dell'opera (Cass. II, n. 1737/2005; tra le pronunce di merito, v. Trib. Piacenza 8 novembre 2000).

Parimenti, non è sopraelevazione l'ipotesi di modificazione solo interna, contenuta negli originari limiti strutturali, delle parti dell'edificio sottostanti alla sua copertura, nel qual caso non possono per sé venire in rilievo nei rapporti tra i condomini, nell'àmbito della disciplina civilistica della sopraelevazione in questione, in difetto di specifiche pattuizioni al riguardo, la modificazione tra i «volumi tecnici» o i vincoli di destinazione gravanti in virtù del progetto approvato e dell'autorizzazione di relativa attuazione, riguardando la nozione di «volume tecnico» e tali vincoli esclusivamente la regolamentazione pubblicistica dell'attività edilizia (Cass. II, n. 680/1983: nella specie, trattavasi della trasformazione in unità abitabile di locali sottotetto); parimenti, non si ha sopraelevazione a seguito della realizzazione di semplici rialzamenti di piani comuni, in quanto, perché sussista l'ipotesi prevista dall'art. 1127 c.c., è necessario che si tratti di nuovi piani o di nuove fabbriche che implichino costruzioni aventi caratteristiche proprie ed autonome, sufficienti ad ampliare la consistenza dell'edificio e non già meri rialzamenti di piani comuni.

Pertanto, è ravvisabile una sopraelevazione di un edificio condominiale, soggetta al relativo regime legale, solo in presenza di un intervento edificatorio che comporti lo spostamento in alto della copertura del fabbricato (v., tra le altre. Cass. II, n. 12202/2022, secondo cui la sopraelevazione di cui all'art. 1127 c.c. si configura non solo in caso di realizzazione di nuovi piani o nuove fabbriche, ma altresì nei casi in cui il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale trasformi locali preesistenti mediante l'incremento delle superfici e delle volumetrie, indipendentemente dall'altezza del fabbricato, atteso che l'indennità prevista dalla norma trae fondamento dall'aumento proporzionale del diritto di comproprietà sulle parti comuni conseguente all'incremento della porzione di proprietà esclusiva),  mentre va esclusa nel caso di lavori che, pur investendo la struttura ed il modo di essere di tale copertura, non incidano sul posizionamento della stessa.

Affrontando una peculiare fattispecie, si è  puntualizzato (Cass. II, n. 5039/2013) che non costituisce «nuova fabbrica» in sopraelevazione, agli effetti dell'art. 1127 c.c., la c.d. altana (o «belvedere»), struttura tipica dei palazzi veneziani, consistente in una piattaforma o loggetta, di regola in legno, realizzata sulla sommità del fabbricato, la quale, a differenza delle terrazze e dei balconi, normalmente non sporge dal corpo principale dell'edificio, dando luogo ad un intervento che non comporta lo spostamento in alto della copertura, con occupazione della colonna d'aria sovrastante il fabbricato, quanto piuttosto la modifica della situazione preesistente, attuata mediante una diversa ed esclusiva utilizzazione di una parte del tetto comune, con relativo potenziale impedimento all'uso degli altri condomini.

Di recente, si è chiarito (Cass. II, n. 5023/2022) che l'art. 1127 c.c. costituisce norma speciale, la quale presuppone l'esistenza di un edificio, per tale intendendosi la costruzione realizzata almeno in parte fuori terra e sviluppata in senso verticale rispetto al piano di campagna, sulla quale venga eseguita, a cura del proprietario dell'ultimo piano o del lastrico solare di copertura, una sopraelevazione, sicché tale disposizione non è applicabile al manufatto edificato sulla soletta di copertura di un garage interrato, a prescindere dal regime di proprietà dello stesso; inoltre, lo stesso art. 1127, non rientra tra le norme applicabili al c.d. supercondominio, che ricorre quando più condominii, tra loro autonomi, abbiano in comune alcuni beni o spazi a loro volta assoggettati a regime di condominialità, né nella altre ipotesi previste dall'art. 1117-bis c.c., essendo necessaria la prova, da parte di colui che invoca l'indennizzo, che la proprietà sia collocata nella colonna d'aria interessata dall'intervento, e quindi al di sotto dell'area sopraelevata, sul presupposto che tale colonna sia di proprietà condominiale.

Natura del diritto di sopraelevazione

Una volta perimetrati i contorni di tale iniziativa edificatoria, va registrato che gli studiosi hanno a lungo dibattuto sull'individuazione dell'esatta natura del diritto di sopraelevazione.

La dottrina ha elaborato numerose tesi, a volte anche del tutto in contrasto tra di loro: si è spaziato dalla qualificazione di tale diritto come fenomeno assimilabile all'espropriazione forzata, all'individuazione di un'ipotesi di trasferimento consensuale risalente al momento della costituzione del condominio, all'accostamento con il diritto di superficie, all'individuazione di un fenomeno basato sulla fattispecie dell'accessione (tra i contributi sull'argomento, Bordolli 2013, 435; Maio, 72; Cavallaro, 47; Gabrielli, 37; De Franceschi, 992; Boni, 225; Trinchillo, 1129; Trabucchi, 762; Branca, 1940; Montel, 1068).

In giurisprudenza, prevale l'orientamento a favore della definizione di tale diritto come una vera e propria facoltà spettante al proprietario dell'ultimo piano, e, come tale, compresa nel diritto di proprietà sulla porzione esclusiva; si sostiene, infatti, che, nel caso di edificio in condominio, la proprietà della colonna d'aria è condominiale, mentre il diritto di sopralzo spetta, salvo patto contrario, al proprietario dell'ultimo piano o del lastrico solare (v., tra le più remote, Cass. II, n. 947/1965)

Soggetto legittimato

L'art. 1127 c.c. chiaramente individua il soggetto titolare del diritto di realizzare la sopraelevazione: segnatamente, il comma 1 prescrive che il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio può elevare nuovi piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo, e la stessa facoltà spetta a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare.

Dalla norma appare inequivocabilmente che tale diritto non compete generalmente ai condomini, a meno che non siano stati posti in essere specifici accordi: invero, la facoltà di sfruttare, elevando fabbriche, lo spazio aereo sovrastante il tetto, in mancanza di diverse pattuizioni, non spetta ai partecipanti al condominio, bensì esclusivamente al proprietario dell'ultimo piano o al proprietario esclusivo dei lastrici solari (Cass. II, n. 3014/1972).

Pertanto, i soggetti titolari del diritto di sopraelevare sono rispettivamente: a) il proprietario esclusivo del lastrico solare, e b) il titolare del diritto di proprietà sull'ultimo piano dell'edificio; la titolarità tra i due suddetti soggetti non è concorrente bensì gerarchicamente ordinata, per cui solo mancando il proprietario esclusivo del lastrico solare il diritto di sopraelevazione spetta al proprietario dell'ultimo piano.

La ratio della norma sembra rinvenirsi nel fatto che la costruzione realizzata in sopraelevazione non può che spettare al soggetto titolare del bene più logisticamente prossimo; d'altronde, il diritto di sopraelevazione, disciplinato dall'art. 1127, consiste in un'esplicazione del diritto di proprietà sull'ultimo piano dell'edificio o sul lastrico solare dello stesso, il cui titolare, proprio per la posizione di fatto più idonea in cui si trova, è preferito fra tutti i condomini.

La conseguenza di tale impostazione è che, sussistendo tale diritto in capo a tali soggetti ben determinati – proprietario del lastrico solare o dell'ultimo piano – qualora venisse posta in essere abusivamente la sopraelevazione da un soggetto diverso, ossia da chi non ne ha titolo, si realizzerebbe automaticamente il fenomeno dell'accessione a favore (di uno) dei primi.

Quindi, qualora il lastrico solare non sia in proprietà esclusiva di un soggetto ma comune tra tutti i condomini, o l'edificio condominiale sia coperto da un tetto, sembrerebbe escludersi che il diritto di sopraelevazione sia da attribuire in contitolarità a tutti i condomini, nella loro qualità di comproprietari del lastrico o del tetto medesimi.

L'affermazione è confermata dalla Suprema Corte, ad avviso della quale il diritto di sopraelevazione spetta al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio, anche se il lastrico solare sia oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani a norma dell'art. 1117 c.c., salvo che risulti altrimenti dal titolo e salvo che il lastrico solare spetti in proprietà esclusiva ad altri, in quanto il diritto di sopraelevazione a favore del proprietario dell'ultimo piano, ove il titolo non disponga altrimenti, non trova impedimento nella comproprietà dei condomini sul lastrico solare e prevale sulla stessa (Cass. II, n. 1723/1966).

Stabilito che la presenza di un lastrico solare esclusivo (o di una terrazza di proprietà esclusiva o a livello) e, quindi, di un relativo titolare, esclude la facoltà di sopraelevazione in capo al titolare dell'ultimo piano (v., tra le altre, Cass. II, n. 261/1970), appare necessario affrontare le problematiche scaturenti dalle diverse tipologie di intestatari.

Per quanto riguarda il titolare del diritto di proprietà esclusiva sul lastrico, va affermato che gli è attribuita la facoltà di sopraelevazione a prescindere dal fatto che il medesimo sia proprietario anche di altre unità immobiliari facenti parte dello stabile condominiale.

All'ipotesi della proprietà esclusiva del lastrico, inoltre, è apparsa del tutto equiparabile quella della proprietà esclusiva della terrazza a livello, al cui proprietario esclusivo parimenti va attribuita la facoltà di sopraelevare, e non, invece, al proprietario della porzione di piano sottostante alla terrazza (De Tilla 2000, 70).

In tal senso, la giurisprudenza costantemente sostiene che la terrazza a livello, anche se di proprietà esclusiva, è equiparata, in relazione alla sua funzione di copertura dell'edificio, al lastrico solare in senso stretto e tale è considerata anche nel regime della sopraelevazione (Cass. II, n. 7678/1999).

Poiché la sopraelevazione di edificio condominiale deve intendersi non nel senso di costruzione oltre l'altezza precedente dell'edificio, ma come costruzione di uno o più nuovi piani (o di una o più nuove fabbriche) sopra l'ultimo piano dell'edificio, quale che sia il rapporto con l'altezza precedente del medesimo, anche la costruzione realizzata su terrazza a livello da parte del proprietario dell'adiacente appartamento sito all'ultimo piano dell'edificio condominiale – quando la terrazza assolve, come il lastrico solare, la funzione di copertura della parte sottostante di detto edificio – va considerata come sopraelevazione ed è soggetta al relativo regime legale (Cass. II, n. 12173/1991).

Dunque, subordinatamente al titolare esclusivo del lastrico solare – e nel caso che il lastrico solare sia comune – la facoltà di sopraelevare spetta al proprietario dell'ultimo piano (o porzione di esso); in tale caso, per ultimo piano, si intende l'ultima (nel senso dell'altezza) porzione immobiliare che abbia autonomia strutturale e di destinazione.

In applicazione di tale principio, si è sostenuto che il proprietario dell'ultimo piano di un edificio in condominio può elevare nuovi piani o fabbriche solo nel caso in cui sopra il suo appartamento sussistano manufatti di proprietà comune (come il tetto o il sottotetto non praticabile), che possono essere spostati al termine della sopraelevazione, ma, qualora la soffitta (o il sottotetto) di un edificio in condominio sia di proprietà esclusiva di uno solo dei condomini, essa deve essere considerata, ai fini della sopraelevazione, come ultimo piano, onde, ai sensi dell'art. 1127 c.c., il diritto di sopraelevare l'edificio spetta solo al proprietario di essa (Alvino 1979, 861; Salis 1981, 18).

La titolarità dell'ultimo piano, tuttavia, può esplicarsi in altre conformazioni.

Innanzitutto, può accadere che l'ultimo piano sia in comproprietà indivisa tra più soggetti titolari, e, in questo caso, si ritiene che il diritto sia indivisibile e che, pertanto, vada esercitato in accordo tra i titolari in applicazione delle norme sulla comunione.

Può anche accadere, inoltre, che l'ultimo piano sia distribuito in proprietà separata (per porzioni di esso) tra più soggetti, e, in questa ipotesi, anche la facoltà di sopraelevare sarebbe distribuita separatamente tra i diversi titolari (delle porzioni di piano) i quali, nell'esercitarla, dovrebbero tenere presente la conformazione architettonica del bene; in altri termini, ciascun titolare potrebbe sopraelevare esclusivamente secondo la proiezione verticale della porzione di piano di sua spettanza, avendo cura di attuare il suo diritto in modo da non impedirne il paritario (ed, eventualmente, anche differito) esercizio da parte degli altri titolari (Peratorer, 1120; Polimeno – Tonzuso, 606).

La facoltà di sopraelevare, concessa dall'art. 1127, comma 1, c.c., al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale, deve ritenersi spettante, ove tale piano appartenga pro diviso, a più proprietari, a ciascuno di essi nei limiti della propria porzione di piano con utilizzazione dello spazio aereo sovrastante a ciascuna porzione e nel rispetto dei limiti di cui ai commi 2 e 3 comma stesso art. 1127 (Cass. II, n. 4258/2006).

Eventuale titolo contrario

Secondo l'art.1127, comma 1, c.c., il diritto di sopraelevare può essere escluso da un titolo contrario, il quale sottragga tale facoltà al proprietario esclusivo del lastrico solare o, subordinatamente, a quello dell'ultimo piano dell'edificio.

Resta inteso che la sopraelevazione dell'ultimo piano dell'edificio, da parte del condomino che ne sia proprietario, non è preclusa dall'opposizione, proposta dagli altri condomini, sorretta dalla mera deduzione della violazione delle norme urbanistiche sul divieto di aumentare la volumetria degli immobili, atteso che le disposizioni locali che pongono tale divieto, rispondendo ad interessi pubblici e non essendo dirette a regolamentare i rapporti tra privati, non hanno carattere integrativo delle disposizioni del codice civile in materia di proprietà edilizia (Cass. II, n. 22224/2006; Cass. II, n. 7956/2003).

Nella stessa ottica di distinguere i due piani di indagine, il diritto di sopraelevare nuovi piani o nuove fabbriche spetta anche al proprietario esclusivo del lastrico solare ai sensi e con le limitazioni previste dall'art.1127 c.c., essendo irrilevante a tale fine l'eventuale edificazione in assenza di concessione edilizia (De Tilla 2003, 596; Chinello, 317).

Dunque, per titolo contrario, deve intendersi un negozio di natura contrattuale come quello che ha dato origine al fabbricato – normalmente l'atto costitutivo del condominio – determinando e constatando il verificarsi delle due condizioni previste dalla legge per la nascita (in senso giuridico) del condominio, ossia: a) la costruzione di un edificio diviso per piani orizzontali, e b) la distribuzione di tali piani, o porzioni di piano, in proprietà separata tra più di un soggetto.

Il medesimo effetto di escludere il diritto di sopraelevazione può essere ottenuto anche attraverso un regolamento di condominio formato dall'originario costruttore-venditore ed accettato dai singoli acquirenti, poiché il suddetto regolamento, avendo natura contrattuale, è in grado di incidere, limitandoli, sui diritti esclusivi dei singoli condomini.

La giurisprudenza di legittimità tende a qualificare tale esclusione in termini di servitù: si afferma, infatti, che il diritto di sopraelevare nuovi piani o nuove fabbriche spetta al proprietario esclusivo del lastrico solare o dell'ultimo piano di un edificio condominiale ai sensi e con le limitazioni previste dall'art. 1127 c.c., senza necessità di alcun riconoscimento da parte degli altri condomini, mentre limiti o divieti all'esercizio di tale diritto, assimilabili ad una servitus altius non tollendi, possono essere costituiti soltanto con espressa pattuizione, che può risultare contenuta anche nel regolamento condominiale di tipo contrattuale (Cass. II, n. 15504/2000); in altri termini, il divieto di sopraelevazione sulle terrazze di copertura e sui balconi stabilito contrattualmente nei singoli atti di acquisto degli immobili di proprietà individuale integra una servitù, che si concreta nel dovere del proprietario del fondo servente di astenersi da qualunque attività edificatoria che abbia come risultato quello di comprimere o ridurre le condizioni di vantaggio derivanti al fondo dominante dalla costituzione della servitù (Cass. II, n. 21629/2009, secondo la quale non è possibile subordinare la tutela giuridica di tale servitù all'esistenza di un concreto pregiudizio derivante dagli atti lesivi, dato il carattere di assolutezza di questa situazione giuridica soggettiva).

Nella stessa prospettiva, si è rilevato che, in base all'art. 1127 c.c., disciplinante il regime legale delle sopraelevazioni, è derogabile, come emerge dall'espressa riserva contenuta nel comma 1, da una convenzione preesistente o coeva alla costituzione del condominio; ne consegue che il divieto assoluto di sopraelevazione – nella specie, stabilito dal regolamento di condominio costituente parte integrante del contratto di acquisto dei singoli cespiti – a carico dell'ultimo piano dell'edificio ed a favore tanto delle parti di proprietà comune, quanto delle unità immobiliari in proprietà esclusiva dell'edificio, avendo sostanzialmente natura di servitù altius non tollendi, può essere fatto valere sia dai singoli condomini sia dal condominio (Cass. II, n. 10397/1994; Cass. II, n. 5776/1988).

In argomento, si è avuto modo, di recente, di precisare (Cass. II, n. 35525/2022) che il condomino, il quale si avvalga della facoltà di sopraelevazione ai sensi dell'art. 1127 c.c., è tenuto a corrispondere la relativa indennità, anche quando il titolo di provenienza, risalente al periodo antecedente all'entrata in vigore del codice civile del 1942, abbia esonerato il proprio dante causa dal predetto obbligo alla luce del disposto di cui all'art. 564 dell'abrogato codice civile, atteso che l'esercizio della detta facoltà, essendosi consumato nella vigenza della nuova disciplina, è ad essa soggetto in base al principio del “fatto compiuto”, senza che possa invocarsi il principio della irretroattività della legge ex art. 11 delle preleggi.

Opponibilità ai terzi

A questo punto, è lecito chiedersi come sia opponibile, nei confronti dei terzi, l'esclusione della facoltà di sopraelevare in capo al proprietario dell'ultimo piano o del lastrico solare.

Una volta che si sia formato il titolo con le modalità sopra descritte, la sua efficacia nei confronti dei terzi, ossia di coloro che, al momento della stipulazione del contratto, non sono ancora condomini e che lo diventeranno successivamente, a seguito dell'acquisto di una porzione di piano, sarà ottenuta grazie al meccanismo della trascrizione (Pasquino, 176).

Sul punto, la Suprema Corte ha puntualizzato che la limitazione convenzionale del diritto di sopraelevazione ex art.1127 c.c. – nella specie, mediante clausola degli atti di vendita di appartamenti condominiali da parte del titolare di tale diritto – che ha indubbia natura reale, una volta trascritto il titolo che la prevede, è opponibile al terzo acquirente del bene su cui essa grava, a nulla rilevando la sua mancata riproduzione nell'atto di trasferimento di detto bene (Cass. II, n. 5958/1982).

Allo stesso modo della trascrizione, l'espresso richiamo, nei singoli atti di acquisto, del divieto di sopraelevazione, ottiene l'effetto di far valere tale divieto nei confronti dei terzi, partecipanti ai detti atti di acquisto in veste di acquirenti: in proposito, i giudici di Piazza Cavour hanno statuito che il regolamento, qualora abbia natura contrattuale (in quanto accettato da tutti i condomini), può imporre restrizioni anche ai poteri ed alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti dell'edificio di loro esclusiva proprietà; tali limitazioni vincolano anche gli acquirenti dei singoli appartamenti, indipendentemente dalla trascrizione, qualora essi nell'atto di acquisto, facendo espresso riferimento al regolamento, dimostrino di esserne a conoscenza e di accettarne il contenuto (Cass. II, n. 395/1993: nella specie, si era confermata la decisione dei giudici di merito, i quali avevano ritenuto che la clausola del regolamento, richiamato negli atti di acquisto, che faceva divieto di effettuare qualunque modifica o variazione esterna all'edificio, costituiva titolo per l'esclusione del diritto di sopraelevazione riconosciuto al proprietario dell'ultimo piano dall'art.1127 c.c.).

A tale proposito, tuttavia, va sottolineato che, mentre la trascrizione determina effetti generalizzati (ed una volta per tutte) nei confronti di tutti i possibili terzi, il richiamo negli atti di acquisto produce effetti (volta per volta) esclusivamente nei confronti degli stipulanti (con esiti di assai minore efficacia e praticità).

Ne consegue che la possibilità prevista dal comma 1 dell'art.1127 c.c. che il titolo escluda il diritto di sopraelevazione vale, con identici effetti, sia per la facoltà di sopraelevazione concessa dalla norma al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio, sia per la facoltà di sopraelevazione accordata nell'ultima parte di detto comma al proprietario esclusivo del lastrico solare (Cass. II, n. 1534/1958).

Per il divieto di sopraelevazione, valgono, a contrario, tutte le considerazioni effettuate in positivo riguardo all'esercizio attivo del relativo diritto ed in riferimento alla tipologia della nuova costruzione; così, ad esempio, la costruzione di un comignolo, poiché non costituente un nuovo piano o una nuova fabbrica, non comporta la violazione del divieto assoluto di sopraelevazione (Cass. II, n. 8040/1990, specificando, però, che tale erezione per la fuoruscita del fumo di un camino installato in un'abitazione, costituisce mera modificazione del tetto comune, consentita a termini dell'art. 1102 c.c., purché rispetti i limiti contemplati da tale norma).

Riserva e cessione del diritto

Il titolo contrario innanzi descritto, oltre a determinare l'esclusione del diritto di sopraelevare, può perseguire effetti di diverso tipo, nel senso che può, allo stesso tempo, sia escludere, dal patrimonio del titolare esclusivo del lastrico solare (o dell'ultimo piano), la facoltà di sopraelevare, sia, nel caso di trasferimento della porzione immobiliare la cui titolarità la ricomprende, lasciarla nel patrimonio del cedente.

Nel secondo caso, possono verificarsi due distinte ipotesi: 1) all'atto della costituzione del condominio, l'unico proprietario procede alla vendita del diritto di proprietà sulla porzione immobiliare (lastrico solare o ultimo piano), il quale comprende il diritto di sopraelevare, riservando per sé la facoltà al sopralzo; 2) durante la vita del condominio, il proprietario della porzione immobiliare, la cui titolarità comporta la facoltà di sopraelevare (lastrico solare o ultimo piano), procede alla cessione (vendita, permuta, donazione, ecc.) della porzione stessa, riservandosene per sé il diritto di sopraelevare.

Comunque, tali effetti possono essere ottenuti solo per mezzo di una specifica pattuizione avente tutti i necessari requisiti contrattuali, per cui, in difetto, la vendita della porzione immobiliare comportante la facoltà di sopraelevare (lastrico solare o ultimo piano) determinerà, automaticamente, anche il trasferimento del diritto di sopraelevare; in tal senso si pone una risalente pronuncia, in base alla quale la vendita dell'ultimo piano importa la cessione del diritto di sopraelevare, senza che occorra che tale conseguenza sia specificata in una clausola del contratto e bastando, invece, che la relativa facoltà non formi oggetto di un'esplicita riserva da parte del venditore (Cass. II, n. 1604/1943).

Una simile riserva avrà valore generalizzato all'interno del condominio a prescindere dalla partecipazione al negozio dei proprietari degli altri piani (o porzioni di piano) non titolari del diritto di sopraelevazione (Del Vecchio, 137); questi ultimi non hanno ruolo nella negoziazione del diritto a sopraelevare, in quanto tale diritto è di piena titolarità (e negoziabilità) del proprietario del lastrico solare esclusivo o dell'ultimo piano.

A questo punto, è doveroso interrogarsi se il diritto di sopraelevare possa essere ceduto a terzi, addirittura estranei al condominio.

La giurisprudenza sembra concorde nel ritenere che costituisca naturale conseguenza dell'ammissibilità dell'esclusione o della riserva del diritto di sopraelevare a mezzo di titolo contrario il fatto che il diritto de quo possa essere ceduto a terzi.

In relazione alla categoria dei possibili cessionari, essa si divide in due sotto-insiemi: da una parte, i condomini diversi dal titolare esclusivo del lastrico o dell'ultimo piano – i quali, a norma dell'art. 1127 c.c., sono esclusi da tale facoltà – e, dall'altra parte, i terzi estranei che non fanno parte del condominio; entrambi tali tipi di soggetti possono rendersi cessionari del diritto di sopraelevazione, con l'unica differenza che il cessionario-terzo non entra a far parte del condominio per il solo fatto della cessione ma rimane estraneo ad esso fin tanto che non eserciterà tale facoltà, edificando di fatto il nuovo piano.

Detta cessione può avvenire in base ad uno qualsiasi dei negozi idonei a trasferire un diritto immobiliare, nel senso che il diritto di sopraelevazione può essere venduto, permutato, donato, assegnato in divisione, fatto oggetto di un lascito testamentario; il negozio di cessione, inoltre, in quanto avente ad oggetto un diritto sostanzialmente immobiliare, dovrà rivestire la forma scritta (art. 1350 c.c.) ed adempiere alla formalità della trascrizione (art. 2645 c.c.).

La cedibilità del diritto di sopraelevare è ammessa, quindi, senza contrasti in giurisprudenza, la quale ribadisce che il diritto di sopraelevazione è un diritto esclusivo del proprietario dell'ultimo piano o del lastrico solare, e, come esplicazione del diritto di proprietà, può formare oggetto autonomo di un negozio di trasferimento a favore di altro condomino o di terzi (v., tra le altre, la remota Cass. II, n. 947/1947, cit.).

In quest'ultima ipotesi, ossia nel caso di cessione in proprietà ad un terzo del lastrico solare e del diritto di sopraelevazione, effettuata da chi ne era titolare anteriormente alla costituzione del condominio, si è messo in luce (Cass. II, n. 18822/2012) non solo che il lastrico solare rimane escluso dalla presunzione legale di proprietà comune, ma, nel caso di sopraelevazione, il nuovo lastrico rimane di proprietà del titolare del precedente lastrico, indipendentemente dalla proprietà della costruzione; il diritto di superficie, salvo che il titolo non ponga limiti di altezza al diritto di sopraelevazione, non si esaurisce con l'erezione della costruzione sul lastrico, né il nuovo lastrico si trasforma in bene comune, poiché il titolare della superficie, quando eleva una nuova costruzione, anche se entra automaticamente nel condominio per le parti comuni ad esso, ha un solo obbligo, nei confronti dello stesso, di dare un tetto all'edificio, restando però sempre titolare del diritto di sopralzo, che è indipendente dalla proprietà della  costruzione (cui adde, da ultimo, Cass. II, n. 7563/2019).

Si è aggiunto, in argomento, che il diritto di sopraelevazione, attribuito dalla legge, salvo patto contrario, al proprietario dell'ultimo piano o del lastrico solare di un edificio in condominio, è un bene diverso dalla colonna di aria sovrastante, in quanto, mentre questa appartiene ai condomini del suolo su cui sorge l'edificio, esso è un diritto esclusivo del proprietario dell'ultimo piano o del lastrico solare e, come esplicazione del diritto di proprietà, può formare oggetto autonomo di un negozio di trasferimento a favore di altro condomino o di terzi, così come è distinto dal diritto di acquisto della comunione dell'area, sicché i due diritti possono formare oggetto di distinti e diversi rapporti giuridici, e nella vendita (o donazione) del diritto di sopraelevazione non può necessariamente ritenersi compresa la vendita (o donazione) della quota dell'area edificata, e ciò anche nel caso di vendita (o donazione) effettuata dall'unico originario proprietario del fabbricato (Cass. II, n. 1633/1971).

Come per la riserva – v. supra – anche nel caso della cessione del diritto di sopraelevare, il titolo avrà valenza generalizzata all'interno del condominio, a prescindere dalla partecipazione al negozio di tutti gli altri condomini, non titolari del diritto (contra, isolato, Trib. Roma 28 giugno 1961, il quale ha, invece, ritenuto necessario il consenso di tutti i partecipanti al condominio).

Il riconoscimento della cedibilità del diritto di sopraelevazione comporta riflessi sulla sua qualificazione giuridica: infatti, si ritiene che il diritto di sopraelevazione, avulso dalla proprietà dell'immobile sottostante (lastrico solare o ultimo piano), non potrebbe qualificarsi che come diritto di superficie.

Notevole conseguenza di tale impostazione è che tale diritto, se non esercitato entro vent'anni, sarebbe oggetto ad estinzione per prescrizione, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 954 c.c. (Cass. II, n. 947/1965, in un'ipotesi in cui il diritto di sopraelevazione spettava al proprietario dei piani inferiori perché se lo era riservato vendendo ad un terzo l'ultimo piano).

Secondo le regole generali, le parti potrebbero condizionare l'efficacia del negozio di cessione del diritto di sopraelevazione ad una condizione sospensiva o risolutiva; in argomento, si è precisato che il diritto di sopraelevazione, che il proprietario di un edificio si sia riservato per sé e per i suoi aventi causa, vendendo ad altri l'ultimo piano dell'edificio stesso, costituisce niente altro che un diritto di superficie, in quanto con esso viene praticamente concessa la possibilità a chi non è proprietario dell'ultimo piano di costruire sull'area soprastante e di far sua l'opera costruita, la quale spetterebbe altrimenti, per diritto di accessione, al proprietario dell'ultimo piano; ora, anche se il diritto di superficie è un diritto reale, non v'è nessuna disposizione di legge che vieti che la sua costituzione sia sottoposta a condizione sospensiva o risolutiva, né, per quanto in particolar modo riguarda quest'ultima, può opporsi che essa contrasti con la natura del diritto di superficie, in quanto è la stessa legge (art. 953 c.c.) che dispone che tale diritto possa essere costituito anche a tempo determinato.

A ben vedere, il cessionario del diritto di sopraelevazione, una volta realizzata la costruzione del nuovo piano, verrebbe, a sua volta, ad essere titolare egli stesso di un ulteriore diritto di sopraelevazione derivante, appunto, dalla proprietà di tale nuovo piano (il quale, ovviamente, sarebbe l'ultimo).

Il negozio di cessione, tuttavia, potrebbe escludere tale effetto, limitando il trasferimento alla facoltà di costruire e mantenere ad una sola costruzione, ed impedendo contemporaneamente che il cessionario abbia l'ulteriore diritto di sopraelevazione.

Ad avviso di una pronuncia di merito (App. Caltanissetta 22 gennaio 1969), infatti, colui il quale ha avuto concesso dal proprietario di un fabbricato il diritto di eseguire una costruzione all'ultimo piano, non può esercitare il diritto di sopralzo – che l'art. 1127 c.c. attribuisce al proprietario dell'ultimo piano – perché il suo diritto di proprietà è già limitato dal contenuto del diritto superficiario, che lo facoltizza soltanto «a mantenere» la costruzione concessagli.

Nel caso di titolarità del diritto di sopraelevare in capo ad un soggetto terzo estraneo al condominio, si è sottolineato che l'esercizio di tale diritto, attuato mediante l'effettiva costruzione di un nuovo piano, determini l'automatica conseguenza di far acquistare la qualità di condomino al soggetto sopraedificante.

Modalità di realizzazione

Particolare rilevanza assumono le possibili modalità di realizzazione della sopraelevazione: il titolare del diritto di sopraelevazione, infatti, è titolare di ben determinati diritti e sottoposto a specifici obblighi i quali, nel loro complesso, danno forma al relativo esercizio e ne individuano, al contempo, l'estensione ed i confini (Salciarini, 855).

In primo luogo, va chiaramente affermato che la realizzazione della sopraelevazione costituisce pieno ed esclusivo diritto del proprietario esclusivo del lastrico solare o dell'ultimo piano, e che il suo esercizio non è affatto sottoposto ad autorizzazione preventiva dell'assemblea o al riconoscimento da parte degli altri condomini, i quali ultimi possono solo opporsi nei casi previsti dai commi 2 e 3 dell'art. 1127 (Cass. II, n. 15504/2000; Cass. II, n. 338/1970); parimenti, non è dovuta, da parte del titolare del diritto di sopraelevazione, la comunicazione dell'inizio delle operazioni di costruzione.

Dal punto di vista quantitativo, ci si interroga se il diritto di sopraelevazione sia limitato alla costruzione di un solo nuovo piano.

La giurisprudenza prevalente è per la negativa, nel senso che il diritto contemplato dall'art. 1127 può ben contemplare la realizzazione anche di più piani sovrapposti, e, eventualmente, anche in tempi diversi; infatti, in assenza di apposita pattuizione, il diritto di sopraelevazione non è limitato in altezza ed attribuisce al suo titolare la proprietà di tutti i piani sopraelevati (Cass. II, n. 1844/1993: nella specie, si trattava di una sopraelevazione di tre piani, anziché dell'unico prevedibile, ma non espressamente pattuito; Cass. II, n. 959/1961, ad avviso della quale il diritto di sopraelevazione comprende la facoltà di costruire più piani anziché un solo piano).

Si mostra, invece, del tutto isolata la posizione adottata da quella pronuncia (Cass. II, n. 4078/1975), che sembra sostenere la tesi opposta, laddove afferma che il diritto di sopraelevazione spettante al proprietario dell'ultimo piano o del lastrico solare, a norma dell'art. 1127, è diverso dal diritto di superficie su edificio costruito o costruendo, attribuito ad un terzo dai condomini di quest'ultimo; infatti, mentre il primo incontra i limiti fissati dalla citata norma, il secondo è soggetto soltanto alle condizioni stabilite nel contratto; inoltre, quest'ultimo diritto, qualora abbia ad oggetto la costruzione di tutti i possibili piani che siano compatibili con la solidità dell'edificio, può essere esercitato anche per gradi, in tempi diversi, discendendone che l'acquirente del diritto di superficie il quale, in seguito alla costruzione di uno soltanto dei suddetti piani, abbia acquistato il diritto di sopraelevare ulteriormente nei limiti del citato art. 1127, è legittimato a chiedere l'accertamento giudiziario del diverso e più ampio diritto di sopraelevazione derivantegli dal contratto costitutivo della superficie.

Specularmente, ma in accordo all'impostazione prevalente, si ritiene che sia consentita una sopraelevazione solo parziale, rilevando, la parzialità, esclusivamente in ordine alla misura dell'entità della relativa indennità dovuta da chi ha assunto l'iniziativa.

In altri termini, nella costruzione del nuovo piano, il condomino sopraelevante non sarebbe costretto a replicare esattamente la proiezione verticale del suo ultimo piano (o del suo lastrico solare esclusivo), ma ben potrebbe edificare secondo una ridotta superficie della proiezione stessa (Cass. II, n. 28/1968, secondo la quale è lecita la sopraelevazione che non si estenda a tutta la superficie del tetto dell'edificio, salvo che ne pregiudichi l'aspetto architettonico).

Nel realizzare la sopraelevazione, il proprietario del lastrico solare o dell'ultimo piano ha il diritto di utilizzare tutte le parti comuni, siano esse in piena proprietà condominiale oppure meramente asservite al godimento comune (App. Venezia 27 marzo 1958, secondo la quale il diritto di sopraelevazione contiene in sé quello di utilizzare, per il servizio del nuovo piano, tutte le parti comuni dell'edificio, e quelle altre parti che, pur essendo di proprietà esclusiva di un solo condomino, già siano state destinate all'uso comune).

Sempre riguardo alle parti comuni, il condomino che sopraeleva può apportare alle stesse tutte le modificazioni necessarie per l'attuazione pratica del suo diritto, e, in applicazione di tale principio, viene riconosciuta la facoltà di effettuare tutte le demolizioni e le ricostruzioni necessarie.

Sul punto, particolarmente interessante si rivela la pronuncia secondo la quale, riguardo alle modificazioni della cosa comune, implicitamente rimanda all'art. 1102: infatti, il sopraedificante può, come ogni condomino, apportare alla cosa comune le modificazioni necessarie al miglior godimento di essa, anche se attuate in vista dell'esercizio del diritto di sopraelevazione (Cass. II, n. 1981/1973).

Allo stesso modo, il titolare del diritto di sopraelevazione può utilizzare i muri comuni aventi funzione portante a favore del costruendo nuovo piano; in quest'ordine di concetti, l'esercizio del diritto di sopraelevazione implica, come sua naturale esplicazione, non soltanto l'utilizzazione del muro perimetrale comune a livello del nuovo piano, ma anche l'apertura di varchi per l'accesso o l'uso di quelli già esistenti, essendo naturale funzione dei muri comuni non soltanto quella di sorreggere il fabbricato, ma anche quella di fornire di accessi gli appartamenti di proprietà individuale (Cass. II, n. 2574/1968).

L'utilizzazione dei muri comuni può essere attuata, altresì, dal proprietario della terrazza a livello, il quale, nel realizzare la sopraelevazione, può utilizzare dette strutture come muri perimetrali della nuova costruzione (Cass. II, n. 261/1970, secondo cui il proprietario di un piano attico aveva diritto di sopraelevare, per trasformarlo in un vano, il muro perimetrale purché non danneggiasse gli altri condomini).

Sempre in esplicazione del suo diritto, al sopraelevante è consentito prolungare la scala comune fino alla nuova costruzione, trattandosi di una costruzione accessoria che si rende necessaria per la situazione dei luoghi; in quest’ottica, si è, di recente, statuito che il condomino, il quale ha diritto di sopraelevare, ha facoltà di apportare le modifiche necessarie alla scala comune, mediante le indispensabili demolizioni e le successive ricostruzioni a livello più elevato (Cass. II, n. 31302/2024).

In sede di sopraelevazione, è parimenti consentito demolire il tetto e, ove sia presente, demolire anche la soffitta ad esso sottostante, con conseguente, ed ovvio, obbligo di ricostruzione; al riguardo, una pronuncia di merito (App. Genova 14 luglio 1950) ha affermato che il diritto di sopraelevazione implica, in particolare, quello di demolire il tetto e di appoggiarsi sull'ultimo soffitto orizzontale, sicché, qualora trattasi di edificio con il tetto inclinato, formante un locale o soffitta con il piano orizzontale sottostante, il proprietario dell'ultimo piano, sempre che il diritto di sopraelevazione competa a lui e non al proprietario della soffitta, è abilitato a sopprimere questa, salvo l'obbligo di provvedere, a sue cure e spese, alla costruzione di altra soffitta equivalente in occasione del rifacimento del tetto sopra il nuovo piano rialzato.

In relazione alla struttura di copertura, si ritiene che il soggetto che sopraeleva abbia la facoltà di trasformare il tetto spiovente in lastrico solare o, anche in una terrazza, realizzando, al contempo, locali (mansarda o sottotetto) a suo servizio, prima non esistenti (Cass. II, n. 146/1993, la quale ribadisce che la realizzazione di una terrazza con una mansarda o sottotetto praticabile ad uso esclusivo del proprietario del piano adiacente in sostituzione del tetto preesistente rientra tra le facoltà previste dall'art. 1127 c.c.; in senso parzialmente difforme, v. Cass. II, n. 3199/1983).

Il condomino che sopraeleva ha l'obbligo di ricostruire al di sopra della sopraelevazione le parti comuni, ma può sostituire il precedente sistema di copertura (tetto) con un altro (lastrico solare), sempre che non rechi danno (Cass. II, n. 144/1968); nel medesimo senso alcune pronunce di merito, per le quali il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio, poiché titolare della facoltà di sopraelevare ex art. 1127, può anche trasformare il tetto spiovente di copertura del fabbricato in lastrico solare di uso esclusivo (App. Messina 18 novembre 1985; Trib. Roma 18 luglio 1962).

Oltre alle strutture portanti e di servizio, il titolare del diritto di sopraelevazione può utilizzare gli impianti comuni estendendone la funzionalità alla nuova costruzione; ad esempio, riguardo all'impianto di scarico, si è precisato che il sopraedificante è legittimato, come ogni condomino, ad apportare alla cosa comune le modificazioni necessarie al miglior godimento di essa, anche se attuate in vista dell'esercizio del diritto di sopraelevazione (Cass. II, n. 1981/1973).

Parallelamente all'insieme di diritti come sopra delineati, il condomino che sopraeleva è tenuto al rispetto di ben determinati obblighi.

Innanzitutto, tale soggetto è tenuto a non sacrificare in alcun modo i diritti degli altri condomini: in tale prospettiva, si afferma che la sopraelevazione debba essere realizzata considerando, quale sua estensione massima in senso orizzontale, la proiezione della porzione dell'ultimo piano o del lastrico solare, nel senso che il perimetro di tali porzioni costituisce il limite estremo del perimetro della realizzanda sopraelevazione, sicché al condomino che sopraeleva non è consentito occupare la colonna d'aria corrispondente (non alla sua proprietà) ma, per esempio, ai vani comuni.

Infatti, in tema di limiti spaziali, il diritto di sopraelevazione, concesso dall'art. 1127 c.c. al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale, è commisurato alla proprietà esclusiva dell'ultimo piano dell'edificio stesso, conseguendone che, se l'appartamento sito all'ultimo piano confini con il vano della scala comune anche al proprietario di un appartamento sito su una verticale diversa, colui che sopraeleva non può occupare con la sua opera anche l'area di detto vano, salvo che non risulti diversamente dal titolo (Cass. II, n. 669/1979).

Sempre nella medesima ottica, il soggetto che ha assunto la suddetta iniziativa è obbligato a ricostruire, con le stesse caratteristiche preesistenti, i locali comuni eventualmente demoliti in sede di costruzione del nuovo piano; a tale proposito, la giurisprudenza di merito (Trib. Roma 27 marzo 1958) ha avuto modo di precisare che chi esegue la sopraelevazione ha l'obbligo di ripristinare sulla nuova superficie da lui costruita la situazione precedentemente sussistente a favore del condominio e, quindi, è tenuto a ricostruire non solo il lastrico ma anche i locali adibiti ad uso comune.

L'rt. 1127 c.c. riconosce, in capo al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio o al proprietario esclusivo del lastrico solare, il diritto di elevare nuovi piani o nuove fabbriche, ma chi si avvale di tale diritto, se utilizza per la sopraelevazione fabbriche già esistenti di proprietà comune od esclusiva di altri condomini, è tenuto a ricostituire la loro proprietà sulle fabbriche di nuova costruzione, corrispondenti nella loro consistenza a quelle che ha utilizzate; così, per espressa disposizione dell'ultimo comma del citato art. 1127, chi fa la sopraelevazione deve ricostruire il lastrico solare, di cui tutti o parte dei condomini avevano il diritto di usare; in altre parole, il diritto di sopraelevazione non comprende anche il diritto di espropriare definitivamente gli altri condomini dei loro diritti sulle fabbriche esistenti, che possano essere utilizzate per la sopraelevazione, neppure corrispondendo loro un'adeguata indennità (App. Torino 16 febbraio 1955).

Tale obbligo vale, in particolare, anche per i locali nei quali sono installati i serbatoi di acqua, i quali devono essere ricostruiti dal condomino che sopraeleva ripristinando, al contempo, la medesima preesistente servitù di passaggio necessaria per accedervi (Trib. Roma 24 maggio 1960).

Allo stesso modo, per chi sopraeleva, resta l'obbligo di ricostruire la copertura dell'edificio (eventualmente demolita in sede di costruzione del nuovo piano) secondo le medesime funzionalità preesistenti; pertanto, se il preesistente lastrico solare di copertura era accessibile e destinato al godimento di tutti i condomini, tale situazione deve essere conservata anche a seguito della sopraelevazione.

A tale proposito, la Suprema Corte (Cass. II, n. 939/1976) ha sostenuto che è illegittima la sopraelevazione dell'ultimo piano dell'edificio condominiale quando il lastrico solare ricostruito da chi ha effettuato la sopraelevazione non sia accessibile ai condomini (in relazione alle necessità derivanti dalla sua specifica funzione) direttamente dalle scale, come lo era il lastrico preesistente, ma soltanto passando attraverso locali di proprietà esclusiva facenti parte del nuovo piano.

Anche le altre strutture comuni vanno ricostruite secondo le preesistenti utilità fornite agli altri condomini; sul punto, si è anticipato che il diritto di sopraelevazione comprende il diritto di prolungare la scala comune, ma gli altri condomini hanno il diritto – di natura personale e prescrittibile nel termine di dieci anni dall'ultimazione della costruzione – a che la nuova rampa di scala sia costruita secondo le caratteristiche delle rampe preesistenti (Cass. II, n. 2436/1973).

Nel particolare caso, poi, che la ricostruzione dei beni o degli impianti comuni, effettuata dal condomino che sopraeleva, comporti un ampliamento delle utilità dagli stessi fornite, queste sono automaticamente acquisite a favore di tutti i condomini.

Infatti, se la modificazione apportata dal titolare del diritto di sopraelevazione al tetto comune e la trasformazione di questo in lastrico solare comporti la possibilità di un godimento maggiore rispetto alla cosa originaria, tutti i condomini acquisiscono il diritto di usufruire di tale godimento, poiché nessuno di costoro va escluso dalla maggiore utilizzazione (Cass. II, n. 1263/1967).

Conseguenze dell'iniziativa edificatoria

Una volta realizzata la costruzione in sopraelevazione, il titolare del relativo diritto – nonché del diritto di proprietà sulla nuova fabbrica – entra a far parte del condominio, qualora non ne faccia già parte in quanto proprietario di altra porzione di piano o del lastrico solare.

Dal punto di vista patrimoniale, va sottolineato che, in tal caso, si realizzi un vero e proprio spostamento reciproco di diritti immobiliari tra il condomino che sopraeleva e gli altri condomini: infatti, il primo acquista automaticamente il diritto di comunione – pro indiviso secondo la quota millesimale di spettanza – su tutte le preesistenti parti dell'edificio, comprese nell'elenco di cui all'art. 1117 c.c.

In tale preciso senso, si è chiarito che i proprietari dei piani (o delle porzioni di piano) risultanti entrano a far parte del condominio ipso facto e ipso iure e, conseguentemente, ai sensi dell'art. 1117 c.c., acquistano senz'altro un diritto di comunione su tutte le parti di edificio ivi menzionate, ancorché comprese nei piani preesistenti, salva contraria disposizione del titolo, comunque non desumibile dal silenzio o da eventuali pretermissioni di questo, specie per le entità immobiliari condizionanti l'esistenza e la conservazione del fabbricato (suolo, strutture di copertura, muri perimetrali, tramiti di accesso, ecc.), trattandosi di entità di cui fruiscono necessariamente tutti i condomini e per le quali, pertanto, può escludersi il regime di comproprietà solo se il titolo precisi il minor diritto succedaneo (servitù, diritto d'uso, ecc.) a base di siffatta fruizione (Cass. II, n. 2889/1984).

Specularmente a ciò, si verifica, a favore degli altri condomini, l'automatico acquisto della comproprietà sulle parti comuni realizzate, dal condomino che sopraeleva, in sede di costruzione della nuova fabbrica (ad esempio, muri portanti, vano scala, tetto, ecc.); in pratica, mano a mano che si elevano i nuovi piani, si avvera, per addizione, un incremento delle cose comuni a spese di chi sopraeleva, il quale è tenuto a sopportare le spese di tutte le opere che, pur essendo destinate a divenire comuni, siano rese necessarie dalla sopraelevazione (Cass. II, n. 918/1966).

A seguito della sopraelevazione, si potrebbero determinare conseguenze anche nei confronti del rapporto tra il valore delle singole porzioni di piano ed il valore dell'intero edificio, segnatamente per quel che concerne possibilità di una revisione delle tabelle millesimali.

In proposito, la giurisprudenza di merito (Trib. Roma 21 novembre 1966) era concorde nel ritenere implicita la notevole alterazione tra i valori prevista dalla predetta norma, facendone discendere la necessità della revisione tabellare; nella stessa lunghezza d'onda, si è sostenuto che, con la sopraelevazione, i valori proporzionali dei vari piani o porzioni di piano venivano a subire un notevole mutamento in seguito all'alterazione del rapporto originariamente esistente fra detti valori.

Più recentemente, tuttavia, si era ritenuto che la «notevole» alterazione doveva essere accertata caso per caso, e che neppure nell'ipotesi della costruzione di un piano nuovo a seguito di sopraelevazione la si potesse presupporre a priori; in altri termini, la sussistenza di una sopraelevazione non implicava necessariamente la revisione delle tabelle millesimali, le quali ex art. 69, n. 2), disp. att. c.c. – al cui commento si rinvia – potevano essere rivedute e modificate (anche nell'interesse di un solo condomino) solo se fosse notevolmente alterato il rapporto originario dei valori dei singoli piani o porzioni di piano (Cass. II, n. 9579/1991).

Va rammentato che il nuovo testo della suddetta norma contempla sempre la «sopraelevazione» come presupposto integrante le mutate condizioni di una parte dell'edificio che possono dar luogo alla revisione delle tabelle millesimali, ma subordina l'approvazione di tale modifica, da parte della maggioranza di cui al comma 2 dell'art. 1136 c.c., alla sola ipotesi in cui sia «alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell'unità immobiliare».

Limiti alla sopraelevazione

Come sopra rilevato, il diritto di sopraelevazione non è soggetto ad una previa autorizzazione da parte dell'assemblea, la quale, peraltro, non deve neanche essere preventivamente informata della realizzazione della nuova costruzione; quindi, la facoltà di sopraelevare viene esercitata dal titolare in maniera libera e diretta, secondo i diritti e gli obblighi ad essa connessi, ma ciò non vuol dire che la realizzazione della nuova fabbrica sia del tutto svincolata dal rispetto di ben precise condizioni.

Invero, l'art. 1127 c.c. pone – secondo un meccanismo di opposizione ex post – una triplice serie di condizioni negative al verificarsi delle quali i condomini (non sopraelevanti) possono impedire la realizzazione della nuova fabbrica; invero, i commi 2 e 3 di tale disposto prevedono che la sopraelevazione non sia ammessa se le «condizioni statiche» dell'edificio non la consentono, e che condomini possono opporsi alla sopraelevazione se questa pregiudica «l'aspetto architettonico» dell'edificio o diminuisce notevolmente «l'aria o la luce» dei piani sottostanti.

Pertanto, le condizioni poste dalla norma codicistica riguardano: 1) la compatibilità della sopraelevazione con le condizioni statiche dell'edificio, 2) il pregiudizio dell'aspetto architettonico dell'edificio, e 3) la diminuzione dell'aria o della luce dei piani sottostanti.

Come vedremo esaminando le predette condizioni, trattasi di limiti di differente intensità sui quali il consenso dei condomini può agire diversamente (sul versante dottrinale, in termini generali, Bordolli 2012, 628; Musolino 2007, 144; De Tilla 1996, 748).

Condizioni statiche dell'edificio

Il comma 2 dell'art. 1127 c.c. prescrive che «la sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell'edificio non la consentono»: il tenore della norma chiaramente rivela che si tratta di un divieto assoluto, e la ratio di una tale impostazione fonda le sue ragioni nell'intenzione di evitare il prodursi anche di un semplice pericolo per la stabilità e la sicurezza del fabbricato.

In tale prospettiva, si pone il problema se il consenso dei condomini, nella forma dell'unanimità, possa superare il divieto posto dalla norma codicistica.

A tale proposito, si è ritenuto che il consenso dei condomini possa superare il limite derivante dall'incompatibilità statica dell'edificio non in assoluto, ma esclusivamente a patto che tale consenso sia finalizzato a permettere al condomino sopraelevante la realizzazione di opere di consolidamento, conseguendone, più precisamente, che il consenso da solo – vale a dire, senza le suddette opere di consolidamento – e seppur unanime, non è in grado di superare il predetto limite (Colonna, 3375; Alvino 1977, 1782; Salis 1978, 209).

Un'attenta lettura della giurisprudenza di legittimità in argomento è in grado di chiarire l'esatto àmbito della fattispecie: infatti, si è puntualizzato che l'art. 1127 c.c. sottopone il diritto del proprietario dell'ultimo piano alla sopraelevazione a tre limiti, dei quali il primo (condizione statica) introduce un divieto assoluto, cui è possibile ovviare se, con il consenso unanime dei condomini, il proprietario sia autorizzato all'esecuzione delle opere di rafforzamento necessarie a rendere idoneo l'edificio a sopportare il peso della nuova costruzione (v., tra le altre, Cass. II, n. 3532/1986).

Inoltre, assai più precisamente, la Suprema Corte ha ricostruito i termini della fattispecie, ponendo il consenso dei condomini in sola correlazione con la realizzazione delle opere di consolidamento, e non con la realizzazione della sopraelevazione, ed estremamente interessanti e puntuali si rivelano le affermazioni riguardanti la forma (scritta o meno) di tale consenso; invero, si è affermato che il consenso unanime di tutti i condomini è, invece, richiesto per la preventiva esecuzione delle opere di consolidamento, eseguite le quali, risorge il diritto del proprietario dell'ultimo piano di eseguire il sopralzo non condizionato all'assenso, concorde o maggioritario, degli altri comunisti; tale consenso non richiede la forma scritta, non implicando un atto di disposizione di diritti reali, sia nel caso in cui i lavori di consolidamento impongano l'introduzione o il passaggio nelle parti dell'edificio di proprietà esclusiva, sia nel caso in cui tali lavori siano da effettuarsi solo nell'àmbito delle parti comuni dello stesso stabile, salvo, in quest'ultima ipotesi, che i suddetti lavori rendano la parte comune inservibile per l'uso anche di un solo comproprietario (Cass. II, n. 1300/1977).

Sempre in ordine alle opere di consolidamento necessarie per supplire all'incompatibilità statica dell'edificio, si pone l'ulteriore problema se il titolare del diritto di sopraelevazione possa realizzarle senza il preventivo consenso degli altri condomini.

A tale proposito, è il caso di ricordare che la normativa previgente, ossia l'art. 12 del r.d.l. 15 gennaio 1934, n. 56, prevedeva tale possibilità, la quale, peraltro, non è stata riprodotta nel testo dell'art. 1127 c.c., e sulla scorta di tale esclusione testuale, si è affermato l'orientamento in base al quale tale facoltà sarebbe esclusa (v., tra le prime pronunce, Cass. II, n. 2996/1963, ad avviso della quale, in difetto di consenso unanime degli altri condomini, colui che intende sopraelevare non può ovviare a tale divieto procedendo direttamente alle opere di rafforzamento e di consolidamento).

Per più precisi riferimenti anche alla disciplina previgente del r.d.l. 15 gennaio 1934, n. 56, si pone quella pronuncia per la quale l'art. 1127 c.c. ha carattere innovativo rispetto al corrispondente citato art. 12, in quanto inibisce al proprietario dell'ultimo piano di sopraelevare se le condizioni statiche in atto dell'edificio siano sfavorevoli e la sopraelevazione richieda opere di rafforzamento e di consolidamento delle strutture essenziali (Cass. II, n. 2708/1996); ne consegue che le condizioni statiche dell'edificio rappresentano un limite all'esistenza stessa del diritto di sopraelevazione, e non già l'oggetto di verificazione e di consolidamento per il futuro esercizio dello stesso, limite che si sostanzia nel potenziale pericolo per la stabilità del fabbricato derivante dalla sopraelevazione, «il cui accertamento costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato» (così, di recente, Cass. II, n. 2000/2020; Cass. II, n. 21491/2012).

In tale prospettiva, la giurisprudenza giunge a qualificare la compatibilità statica dell'edificio, ai sensi del comma 2 dell'art. 1127 c.c., come un vero e proprio limite al sorgere del diritto a sopraelevare, e non come una condizione da verificare ex post; se in relazione a tale limite la sopraelevazione non è possibile, il condomino che intende eseguirla, in mancanza del consenso unanime dei condomini, non può ovviare al divieto relativo mediante la diretta esecuzione di opere di rafforzamento e di consolidamento, specie quando queste non possono essere effettuate se non mediante l'invasione della sfera di godimento esclusivo dei partecipanti al condominio; pertanto, le condizioni statiche dell'edificio rappresentano un limite al sorgere del diritto di sopraelevazione e non l'oggetto di un onere di verificazione (Cass. II, n. 2712/1976).

A tale proposito, tuttavia, sembra preferibile un'impostazione intermedia, in base alla quale al singolo condomino sono sempre consentite le modificazioni della cosa comune secondo i limiti e le condizioni poste dall'art. 1102 c.c., anche perché non si vede la ragione per cui, nel caso della sopraelevazione, debba essere impedito al condomino sopraelevante l'esercizio delle facoltà ordinariamente previste da detta norma codicistica.

Tale orientamento è espresso in una datata pronuncia (Cass. II, n. 134/1966), ad avviso della quale l'idoneità delle condizioni statiche costituisce un limite all'esistenza più che all'esercizio del diritto, ma ciò non esclude il coordinamento della disposizione medesima con le norme fondamentali sulla comunione in generale; perciò, atteso che sono consentite ad ogni condomino e non possono inibirsi al solo sopraedificante le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune (art. 1102 c.c.), questa attività non può essere inibita al titolare del diritto di sopraelevare anche se è attuata per rendere possibile ed agevolare il sopralzo.

A corollario di quanto sopra, va ricordato che si è ricondotto nell'alveo del divieto di cui sopra la sopraelevazione realizzata in violazione delle norme antisismiche (Rufo Spina, 2186): si è, infatti, sostenuto che la sopraelevazione realizzata dal proprietario dell'ultimo piano di edificio condominiale, in violazione delle prescrizioni e cautele tecniche fissate dalle suddette norme speciali, è riconducibile nell'àmbito della previsione dell'art. 1127, comma 2, c.c., in tema di sopraelevazioni non consentite dalle condizioni statiche del fabbricato.

Nello specifico, si è condivisibilmente ritenuto – sulla scia di Cass. II, n. 8643/2012 – che l'art. 1127, comma 2, c.c., che vieta la sopraelevazione qualora le condizioni statiche dell'edificio non la consentano, vada interpretato non nel senso che la sopraelevazione è vietata solo se le strutture dell'edificio non permettono di sopportarne il peso, ma nel senso che il divieto sussiste anche nel caso in cui le strutture dell'edificio siano tali che, una volta elevata la nuova fabbrica, non consentono di sopportare l'urto di forze in movimento, quali le sollecitazioni di origine sismica; pertanto, se le leggi antisismiche prescrivono particolari cautele tecniche da adottarsi nella sopraelevazione di edifici, esse sono da considerarsi integrative della norma codicistica, e la loro inosservanza determina una presunzione di pericolosità della sopraelevazione che può essere vinta esclusivamente mediante la prova, incombente sull'autore della nuova fabbrica, che non solo la sopraelevazione, ma anche la struttura sottostante sia idonea a fronteggiare il rischio sismico (v., altresì, Cass. II, n. 31032/2024; Cass. II, n. 2000/2020; Cass. II, n. 23256/2016); in questa lunghezza d'onda, si è legittimato il proprietario dell'ultimo piano, in caso di opposizione dei condomini interessati, a dimostrare la stabilità strutturale dell'edificio in condizioni di quiete o, nelle zone sottoposte a rischio sismico, l'adeguatezza della struttura del fabbricato al grado di sismicità della zona, in modo da sopportare la sopraelevazione (Cass. II, n. 3196/2008, la quale – in una fattispecie relativa ad una sopraelevazione sul lastrico solare eseguita a Napoli, senza il rispetto delle cautele imposte dalla l. n. 64 del 1974 – ha affermato che il divieto di sopraelevazione, per inidoneità delle condizioni statiche dell'edificio, previsto dall'art. 1127, comma 2, c.c., va interpretato non nel senso che la sopraelevazione è vietata soltanto se le strutture dell'edificio non consentono di sopportarne il peso, ma nel senso che il divieto sussiste anche nel caso in cui le strutture son tali che, una volta elevata la nuova fabbrica, non consentano di sopportare l'urto di forze in movimento quali le sollecitazioni di origine sismica, sicché, qualora le leggi antisismiche prescrivano particolari cautele tecniche da adottarsi, in ragione delle caratteristiche del territorio, nella sopraelevazione degli edifici, esse sono da considerarsi integrative dell'art. 1127, comma 2, c.c., e la loro inosservanza determina una presunzione di pericolosità della sopraelevazione che può essere vinta esclusivamente mediante la prova, incombente sull'autore della nuova fabbrica, che non solo la sopraelevazione, ma anche la struttura sottostante sia idonea a fronteggiare il rischio sismico).

Coerentemente, quindi, l'art. 1127, comma 2, c.c., il quale fa divieto al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale di realizzare sopraelevazioni precluse dalle condizioni statiche del fabbricato e consente agli altri condomini di agire per la demolizione del manufatto eseguito in violazione di tale limite, impedisce di costruire sopraelevazioni che non osservino le specifiche disposizioni dettate dalle leggi antisismiche, fondandosi la necessità di adeguamento alla relativa normativa tecnica su una presunzione di pericolosità, senza che abbia rilievo, ai fini della valutazione della legittimità delle opere sotto il profilo del pregiudizio statico, il conseguimento della concessione in sanatoria relativa ai corpi di fabbrica elevati sul terrazzo dell'edificio, atteso che tale provvedimento prescinde da un giudizio tecnico di conformità alle regole di costruzione (Cass. II, n. 10082/2013, aggiungendo che non ha rilievo dirimente, ai fini della valutazione della legittimità delle opere sotto il profilo del pregiudizio statico, il conseguimento della concessione edilizia relativa ai corpi di fabbrica elevati sul terrazzo dell'edificio).

In senso conforme, si è, da ultimo, ribadito (Cass. II, n. 2115/2018) che l'art. 1127, comma 2, c.c. – il quale fa divieto al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale di realizzare sopraelevazioni precluse dalle condizioni statiche del fabbricato e consente agli altri condomini di agire per la demolizione del manufatto eseguito in violazione di tale limite – impedisce altresì di costruire sopraelevazioni che non osservino le specifiche disposizioni dettate dalle leggi antisismiche, fondandosi la necessità di adeguamento alla relativa normativa tecnica su una presunzione di pericolosità, senza che abbia rilievo, ai fini della valutazione della legittimità delle opere sotto il profilo del pregiudizio statico, il conseguimento della concessione in sanatoria relativa ai corpi di fabbrica elevati sul terrazzo dell'edificio, atteso che tale provvedimento prescinde da un giudizio tecnico di conformità alle regole di costruzione.

Infine, qualora venga realizzata una sopraelevazione, nonostante le condizioni statiche dell'edificio non lo consentano, in quanto in violazione di norme antisismiche ed in conseguente pregiudizio della stabilità, gli altri condomini hanno diritto alla c.d. rimessione in pristino, con conseguente demolizione della nuova fabbrica (Cass. II, n. 4958/1981).

A fronte di tale opera, deve riconoscersi, altresì, la facoltà del condominio di ottenere una condanna alla demolizione del manufatto e, quindi, la legittimazione alla relativa azione dell'amministratore del condominio medesimo, vertendosi in materia di «atti conservativi» relativi alle parti comuni dell'edificio ex art. 1130, n. 4), e 1131 c.c. (Terzago 1987, 267).

Riguardo alla legittimazione processuale dell'amministratore in ordine a tale particolare fattispecie, si sostiene che questi sia legittimato, senza necessità di autorizzazione dell'assemblea, ad instaurare il giudizio per la demolizione della sopraelevazione dell'ultimo piano dell'edificio, costruita dal condomino in violazione delle prescrizioni e delle cautele fissate dalle norme speciali antisismiche, perché tale atto, diretto a conservare l'esistenza delle parti comuni condominiali, rientra negli atti conservativi che, ex art. 1130, n. 4), c.c., risultano a lui attribuiti (Cass. II, n. 13611/2000); in senso conforme, si è statuito che lo stesso amministratore è legittimato, senza necessità di autorizzazione dell'assemblea dei condomini, ad instaurare il giudizio per la demolizione della sopraelevazione dell'ultimo piano dell'edificio, costruita dal condomino alterandone l'estetica della facciata, perché tale atto, diretto a conservare l'esistenza delle parti comuni condominiali, rientra fra quelli conservativi dei diritti di cui all'art. 1130, n. 4), c.c. (Cass. II, n. 18207/2017; sul versante passivo, è stata ravvisata un'ipotesi di litisconsorzio necessario da Cass. II, n. 9902/2010; in ordine alla posizione del condomino, sempre sul versante processuale, v. Cass. II, n. 5958/1982).

Per completezza, in merito alla demolizione del nuovo piano illegittimamente sopraelevato, si è precisato (Cass. II, n. 6611/1982) che non si configura l'ipotesi dell'ultimo comma dell'art. 2933 c.c. il quale, in relazione all'esecuzione forzata degli obblighi di non fare, afferma testualmente che «non può essere ordinata la distruzione della cosa e l'avente diritto può conseguire solo il risarcimento dei danni, se la distruzione della cosa è di pregiudizio all'economia nazionale»: in tal senso si pone la giurisprudenza sull'art. 1127, secondo la quale l'art. 2933 c.c., relativo all'esecuzione forzata degli obblighi di fare, vietando la distruzione della cosa ove sia pregiudizievole all'economia nazionale, si riferisce, per quanto attiene a quest'ultima, alle fonti di produzione e di distribuzione della ricchezza del Paese e non trova riscontro nella demolizione parziale o totale di un edificio.

Aspetto architettonico

La realizzazione della sopraelevazione è sottoposta, altresì, ad un limite d'ordine prettamente estetico: il comma 3 dell'art. 1127, infatti, dispone che i condomini possono impedire la costruzione di un nuovo piano «se questa pregiudica l'aspetto architettonico dell'edificio».

In relazione a tale limite, è opportuno, preliminarmente, rilevare che esso sussista anche per quei fabbricati i quali non abbiano particolare valore architettonico, poiché il limite estetico è costituito non dal mancato abbellimento, bensì dall'alterazione dell'aspetto architettonico dell'edificio, salvaguardati anche per quelli che non rivestono peculiari pregi artistici (De Tilla 2004, 196).

È significativo che l'art. 1127 c.c. utilizzi una locuzione («aspetto architettonico») parzialmente difforme da quella utilizzata dall'art. 1120, ultimo comma, c.c. («decoro architettonico»).

Ad avviso della giurisprudenza, la diversa terminologia utilizzata si spiega con un'impostazione della norma sulla sopraelevazione improntata a minor rigore; in altri termini, l'esercizio del diritto di sopraelevazione non sarebbe subordinato al rispetto, più restrittivo, delle linee architettoniche dell'edificio, ma dovrebbe soltanto evitare che si verifichi un peggioramento dell'aspetto dell'immobile nel suo complesso, sottolineando, però, che l'una nozione non possa prescindere dall'altra, dovendo l'intervento edificatorio in sopraelevazione comunque rispettare lo stile del fabbricato e non rappresentare una rilevante disarmonia in rapporto al preesistente complesso, tale da pregiudicarne l'originaria fisionomia (Cass. II, n. 23256/2016, precisando che l'intervento edificatorio in sopraelevazione deve rispettare lo stile del fabbricato e non rappresentare una rilevante disarmonia in rapporto al preesistente complesso, tale da pregiudicarne l'originaria fisionomia ed alterare le linee impresse dal progettista percepibile da qualsiasi osservatore, e aggiungendo che il giudizio relativo all'impatto della sopraelevazione sull'aspetto architettonico dell'edificio va, in ogni modo, condotto esclusivamente in base alle caratteristiche stilistiche visivamente percepibili dell'immobile condominiale nonché verificando l'esistenza di un danno economico valutabile; Cass. II, n. 10048/2013: nella specie, si era cassata la sentenza di merito che aveva ritenuto lesivo del decoro architettonico dell'edificio, ma compatibile con l'aspetto architettonico dello stesso, un manufatto sopraelevato, occupante gran parte del terrazzo dell'ultimo piano e ben visibile dall'esterno; Cass. II, n. 13426/2003, ad avviso della quale tale pregiudizio consiste in un'incidenza di particolare rilievo della nuova opera sullo stile architettonico dell'edificio che, essendo immediatamente apprezzabile ictu oculi ad un'osservazione operata in condizioni oggettive e soggettive di normalità da parte di persone di media preparazione, si traduce in una diminuzione del pregio estetico e, quindi, economico del fabbricato).

In questa lunghezza d'onda, si è rilevato che il diritto di eseguire una costruzione sopra l'ultimo piano di un edificio, previsto a favore del proprietario di detto piano, dall'art. 1127, non è subordinato alla possibilità che la sopraelevazione mantenga o ripeta le preesistenti linee architettoniche dell'edificio, ma soltanto alla regola – la cui eventuale violazione va accertata con indagine di fatto in relazione ai singoli casi – di non pregiudicare il decoro dell'edificio medesimo o di non peggiorarne l'aspetto esterno secondo il comune senso estetico (Cass. II, n. 2267/1980; cui adde Cass. II, n. 2865/2008, la quale ha sottolineato che il giudizio relativo all'impatto della sopraelevazione sull'aspetto architettonico dell'edificio va condotto esclusivamente in base alle caratteristiche stilistiche visivamente percepibili dell'immobile, inteso come struttura dotata di un aspetto autonomo, al fine di verificare se la nuova opera si armonizzi con dette caratteristiche o se ne discosti in maniera apprezzabile; Cass. II, n. 1025/2004); nel senso che si debba tenere conto, ai fini della valutazione di compatibilità con le caratteristiche stilistiche dell'immobile, pure delle previsioni del regolamento condominiale di natura contrattuale, eventualmente più restrittive, v., da ultimo, Cass. II. n. 10848/2019).

Il concetto è stato, più recentemente, ribadito con ulteriori specificazioni: in proposito, si è chiarito che, in materia di condominio di edifici, il codice civile, nel riferirsi, quanto alle soprelevazioni (art. 1127, comma 3), all'aspetto architettonico dell'edificio, e, quanto alle innovazioni (art. 1120, comma 4, c.c.), al decoro architettonico dello stesso, adotta nozioni di diversa portata, intendendo per aspetto architettonico la caratteristica principale insita nello stile architettonico dell'edificio, sicché l'adozione, nella parte sopraelevata, di uno stile diverso da quello della parte preesistente comporta normalmente un mutamento peggiorativo dell'aspetto architettonico complessivo, percepibile da qualunque osservatore, e denotando per decoro architettonico una qualità positiva dell'edificio derivante dal complesso delle caratteristiche architettoniche principali e secondarie, onde una modifica strutturale di una parte anche di modesta consistenza dell'edificio o un'aggiunta quantitativa diversa dalla sopraelevazione, pur non incidendo normalmente sull'aspetto architettonico, può comportare il venir meno di altre caratteristiche influenti sull'estetica dell'edificio e così sul suddetto decoro architettonico incorrendo nel divieto ex art. 1120 c.c. (Cass. II, n. 1947/1989: nella specie, trattavasi di veranda costruita sulla terrazza di un edificio condominiale; Cass. II, n. 8861/1987; v., Cass. II, n. 17350/2016, ad avviso della quale, peraltro, le nozioni di aspetto architettonico ex art. 1127 c.c. e di decoro architettonico ex art. 1120 c.c., pur differenti, sono strettamente complementari e non possono prescindere l'una dall'altra, sicché anche l'intervento edificatorio in sopraelevazione deve rispettare lo stile del fabbricato, senza recare una rilevante disarmonia al complesso preesistente, sì da pregiudicarne l'originaria fisionomia ed alterarne le linee impresse dal progettista; anche Cass. II, n. 33104/2021, riferisce a concetti differenti ma “complementari" ad ogni buon conto, ad avviso di Cass. II, n. 15675/2020, la relativa valutazione, demandata al giudice di merito, è sottratta al sindacato della Corte di Cassazione, se congruamente motivata, senza peraltro obbligo di espressa motivazione sulla sussistenza del pregiudizio economico, quando questo sia da ritenersi insito in quello estetico). 

Affinando i concetti, si è, di recente, chiarito (Cass. II, 29584/2021) che il concetto di “aspetto architettonico” dell'edificio, come tutti quelli elaborati dalle scienze idiografiche (qual è, appunto, l'architettura), che non poggiano su leggi generalizzabili, ma studiano oggetti singoli, non è connotato dall'assolutezza dell'inferenza induttiva tipica delle scienze che, al contrario, elaborano frequenze statistiche direttamente rilevanti per l'accertamento del fatto litigioso; si tratta, perciò, di nozione che la legge configura con disposizione delineante un modulo generico, il quale richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante l'accertamento della concreta ricorrenza, nella vicenda dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo, ponendosi sul piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e, come tale, incensurabile in cassazione, se privo di errori logici o giuridici.

E ancora, il pregiudizio all'aspetto architettonico dell'edificio che i condomini possono addurre a norma dell'art. 1127, comma 3, c.c. ad impedimento della sopraelevazione da parte del proprietario dell'ultimo piano può consistere in una diminuzione del valore dell'immobile diversamente dalla semplice alterazione, prevista dall'art. 1120, comma 4, c.c., comunque impeditiva dell'innovazione eseguita specificamente sulla cosa comune, e la relativa valutazione del giudice può risultare implicitamente nella stessa descrizione degli elementi di contrasto dell'eseguita sopraelevazione rispetto all'edificio (Cass. II, n. 4613/1988).

Particolarmente interessante risulta anche la pronuncia, in base alla quale la facoltà di opporsi ad una sopraelevazione, che abbia determinato un pregiudizio dell'aspetto architettonico, è soggetta a termini; infatti, diversamente dall'ipotesi in cui le condizioni statiche dell'edificio condominiale non ne consentano la sopraelevazione – nel qual caso, mancando il presupposto dello stesso diritto di sopraelevare, la relativa azione di accertamento negativo è imprescrittibile – il diritto dei condomini di opporsi alla sopraelevazione eseguita dal proprietario dell'ultimo piano in violazione dell'art. 1127, comma 3, c.c. e ad ottenere la restitutio in integrum, perché comportante alterazione dell'aspetto architettonico dell'edificio, può esercitarsi entro la prescrizione ventennale (Cass. II, n. 17035/2012; Cass. II, n. 10334/1998).

A quanto sopra, va aggiunto che il pregiudizio estetico, per assurgere ad impedimento dell'esercizio del diritto di sopraelevazione, non deve limitarsi al solo àmbito puramente formale, ma deve incidere (economicamente) sulla valutazione del bene determinandone una diminuzione; infatti, i condomini possono opporsi, ai sensi dell'art. 1127, comma 3, c.c., alla sopraelevazione del proprietario esclusivo del lastrico solare o dell'ultimo piano di un edificio condominiale, se il nuovo piano o la nuova fabbrica non soltanto ne alteri il decoro architettonico, come previsto per il divieto di innovazioni della cosa comune dall'art. 1120, comma 4, c.c., ma ne determini un pregiudizio economico, e cioè ne derivi una diminuzione del valore dell'immobile (Cass. II, n. 15504/2000).

Dalla differente intensità del limite estetico previsto dall'art. 1127 c.c., sia rispetto alle condizioni per la realizzazione delle innovazioni di cui all'art. 1120 c.c., sia riguardo al concorrente limite della compatibilità statica, ed anche dal riconoscimento della prescrizione della facoltà di opposizione da parte dei condomini innanzi illustrato, ne consegue che, relativamente alla sopraelevazione, il consenso dei condomini diversamente può agire per il superamento di detto limite estetico.

Quindi, se si afferma che l'incompatibilità statica non può essere superata dal semplice consenso unanime dei condomini, parimenti si ritiene che, nel caso dell'aspetto architettonico, la volontà degli stessi sia in grado di ovviare all'impedimento derivante dal pregiudizio.

Anche nel caso della violazione del limite del pregiudizio estetico, i condomini possono attivarsi per ottenere la rimessione in pristino (demolizione) e l'eventuale risarcimento del danno; in quest'ottica, si è opportunamente puntualizzato l'esatto àmbito temporale dell'azione giudiziale di opposizione, rilevando che, a norma dell'art. 1127, comma 3, c.c., il diritto dei condomini di opporsi alla sopraelevazione che sia suscettibile di pregiudicare l'aspetto architettonico dell'edificio – il cui accertamento è demandato al giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato – può essere esercitato non solo prima dell'inizio della sopraelevazione ma anche dopo che la stessa sia effettuata, con facoltà di domandare, nella seconda ipotesi, la riduzione in pristino ed il risarcimento del danno conseguente al pregiudizio derivato (Cass. II, n. 6611/1982).

Aria e luce dei piani sottostanti

Il terzo, ed ultimo, limite nell'effettuazione della sopraelevazione è costituito dal divieto di diminuzione di luce e aria a carico dei piani sottostanti; il comma 3 dell'art. 1127 c.c., testualmente, dispone che «i condomini possono opporsi ... alla sopraelevazione, se questa ... diminuisce notevolmente l'aria o la luce dei piani sottostanti».

Sul punto, però, si registrano poche pronunce giurisprudenziali e l'elaborazione interpretativa è quasi integralmente di origine dottrinale.

In proposito, si è affermato che la diminuzione di aria e luce rileva, impedendo la sopraelevazione, anche nel caso: a) che pregiudicato sia soltanto uno degli appartamenti sottostanti, b) che gli appartamenti pregiudicati non debbano essere necessariamente sottostanti ma possono situarsi anche in posizione contigua, e c) che, avendo la norma qualificato come «notevole» la diminuzione di aria e luce, nel diverso caso di diminuzione non notevole, non solo la sopraelevazione sarebbe consentita ma l'eventuale pregiudizio per gli appartamenti sottostanti non sarebbe nemmeno risarcibile.

Va ribadito che tale tipologia di limite – come quello estetico – ha carattere relativo e può essere ovviato con il consenso unanime degli altri condomini; in tale prospettiva, si pone la pronuncia che ha avuto modo di precisare che la norma dell'art. 1127 c.c. sottopone il diritto del proprietario dell'ultimo piano a tre limiti dei quali il primo (condizioni statiche) introduce un divieto assoluto, cui è possibile ovviare se con il consenso unanime dei condomini il proprietario sia autorizzato all'esecuzione delle opere di rafforzamento e di consolidamento necessarie a rendere idoneo l'edificio a sopportare il peso della nuova costruzione, mentre gli altri due limiti (segnatamente, la diminuzione di aria e luce ai piani sottostanti) presuppongono l'opposizione facoltativa dei singoli condomini controinteressati (Cass. II, n. 3532/1986).

Il pagamento dell'indennità.

Ratio

Particolare importanza riveste l'ultimo comma dell'art. 1127 c.c., nella parte in cui prescrive che chi fa la sopraelevazione deve corrispondere agli altri condomini «un'indennità» pari al valore attuale dell'area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e detratto l'importo della quota a lui spettante.

La previsione dell'indennità da parte della norma codicistica e, in particolare, la sua giustificazione giuridica, è stata oggetto di un'accesa disputa giurisprudenziale che ha comportato la formulazione di pronunce discordanti tra di loro.

Tuttavia, l'opinione che rappresenta l'orientamento prevalente è quella che ravvisa, in tale corresponsione dell'indennità da parte del condomino che sopraeleva, il prodursi di una compensazione (in termini monetari) della perdita economica derivante dalla sottrazione della colonna d'aria sovrastante l'edificio (ed occupata dal nuovo piano) verificatasi a danno dei condomini non sopraelevanti (tra i contributi dottrinari in subiecta materia, si segnalano: Musolino 2012, 638; Bova, 1054; Izzo 2008, 654; Pugliese, 1132; Tamma, 483; Ferorelli, 1600; Cimatti, 42; Triola, 924).

Tale tesi si ritrova confermata anche in pronunce più risalenti nelle quali viene puntualizzato che la colonna d'aria sovrastante l'edificio condominiale appartiene in proprietà a tutti i condomini, in quanto comproprietari del suolo su cui l'edificio sorge, per cui, nel momento in cui essi ne vengono in parte privati, a seguito della sopraelevazione eseguita dal proprietario dell'ultimo piano o del lastrico solare, sorge in loro favore il diritto ad essere indennizzati della relativa perdita (Cass. II, n. 4233/1975); in altre parole, l'indennità a carico di chi sopraeleva trova la sua ratio nell'utilizzazione della colonna d'aria, corrispondente alla proiezione in altezza, e cioè in senso verticale, del suolo su cui è costruito l'edificio, nonché nel godimento delle parti e dei servizi comuni, ed ha il suo presupposto giuridico nella comunione dell'area costituente la base dello stabile, il cui valore, ripartito pro quota fra i condomini, è ricompreso in quella di ciascun piano o porzione di piano (Cass. II, n. 4093/1974).

In conseguenza di ciò, si ribadisce che lo spazio sovrastante all'edificio costituisce un bene giuridico autonomo e ben determinato il quale, conseguentemente, può essere oggetto di separata valutazione economica e, quindi, anche di negoziazione (Cass. II, n. 4220/1983, puntualizzando che, nel caso di edificio in condominio, la proprietà della colonna d'aria è condominiale, mentre il diritto di sopraelevazione spetta al proprietario dell'ultimo piano o del lastrico solare).

Di diverso avviso risulta un'altra pronuncia di legittimità (Cass. II, n. 22032/2004), secondo la quale lo spazio non costituisce oggetto di diritti e, quindi, non può costituire oggetto di proprietà autonoma rispetto alla proprietà del suolo, in quanto esso è un mezzo necessario per l'esistenza e l'esercizio del diritto di proprietà; se ne ricava che anche la c.d. colonna d'aria sovrastante l'edificio non costituisce oggetto di diritti e non può costituire oggetto di proprietà autonoma rispetto alla proprietà dell'ultimo piano dell'edificio o alla proprietà esclusiva del lastrico solare; il concetto di c.d. colonna d'aria va inteso, quindi, come diritto in capo al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio o al proprietario esclusivo del lastrico solare di utilizzare, senza alcuna limitazione, il suddetto spazio sovrastante mediante la sopraelevazione (in senso conforme, v., da ultimo, Cass. II, n. 12202/2022, aggiungendo che ciò peraltro non comporta l'esonero dall'obbligo di corrispondere agli altri condòmini l'indennità prevista dall'art. 1127 c.c., salvo che non vi sia rinunzia a quest'ultima da parte di tutti i proprietari dei piani sottostanti).

Ad ogni buon conto, appare utile sottolineare che il principio che la colonna d'aria sia bene autonomo si applichi anche alla (del tutto simile) situazione del cortile condominiale, in relazione alla quale suole rilevarsi che, nell'individuazione delle cose comuni contemplate dall'art. 1117 c.c., per cortile deve intendersi lo spazio scoperto, e quindi la superficie calpestabile, con la sovrastante colonna d'aria, la cui primaria funzione è quella di assicurare aria e luce alle unità immobiliari che su di essa si affacciano (Cass. II, n. 714/1998).

Conseguenza della qualificazione in termini di bene autonomo della colonna d'aria sovrastante l'edificio è che si ritiene possibile su di essa una specifica riserva (e, quindi, anche, cessione), la quale, se effettuata a favore del soggetto titolare del diritto di sopraelevare, determina la non debenza dell'indennità per la sopraelevazione; in quest'ordine di concetti, si è statuito che, qualora colui che sopraeleva sia per titolo proprietario esclusivo non solo dell'ultimo piano o del lastrico solare, ma anche della colonna d'aria soprastante, non è concepibile un indennizzo per l'utilizzazione di un bene che è proprio di chi lo usa a suo vantaggio mediante la sopraelevazione e che, per essergli stato attribuito in proprietà esclusiva di fronte agli altri condomini dell'edificio, non ammette possibilità di sfruttamento da parte di costoro (Cass. II, n. 5556/1988); conforme anche la giurisprudenza più risalente, secondo la quale, quando dal titolo risulta che chi sopraeleva è proprietario esclusivo non solo del lastrico solare, ma anche dell'area soprastante – il che è concepibile, data l'autonomia di quest'ultimo bene – non può parlarsi di indennizzo, perché il proprietario dell'area suddetta, sopraedificando non fa che legittimamente usare di una cosa completamente sua, già attribuitagli in proprietà di fronte agli altri condomini e, quindi, non priva questi ultimi di alcun diritto (Cass. II, n. 1970/1960).

Sembra, invece, offrire una diversa impostazione il recente intervento del supremo organo di nomofilachia (Cass.  S.U., n. 16794/2007), il quale, chiamato a dirimere il contrasto formatosi sul punto, ha rilevato che, nel caso in cui, in un condominio, il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio innalzi mura perimetrali, rifacendo il tetto e creando nuove unità abitative sostitutive delle precedenti soffitte esistenti, gli altri condomini del fabbricato hanno diritto ad ottenere dal realizzatore la corresponsione dell'indennità di sopraelevazione prevista dall'art. 1127, comma 4, c.c., e ciò perché – ai fini che qui interessano – l'indennizzo compete a prescindere dal fatto che si siano realizzati nuovi piani o nuove fabbriche, «avendo l'indennità in questione natura sostanzialmente riparatoria, essendo essa finalizzata a compensare gli altri condomini della perdita derivante dalla diminuzione di valore di ogni piano o porzione di piano del quale i predetti abbiano la proprietà», a nulla valendo l'eventuale aumento degli oneri condominiali, in capo al proprietario dell'ultimo piano, scaturente dall'ipotetica rettifica delle tabelle millesimali dell'edificio.

In buona sostanza, quel che rileva, ai fini dell'applicazione del diritto a sopraelevare e, al contempo, dell'obbligo di corresponsione dell'indennità dell'art. 1127 c.c., è la maggiore utilizzazione dell'area sulla quale sorge l'edificio, implicante che, rimanendo sempre lo stesso il valore del suolo (dividendo), con l'aumento del numero dei piani o, in ogni caso, dei volumi utilizzabili (divisore), necessariamente diminuisce il valore di ogni quota relativa al piano o porzione di piano (quoziente), onde l'indennità dovuta da colui che sopraeleva agli altri condomini ha propriamente lo scopo di ristabilire la situazione economica precedente, mediante la prestazione dell'equivalente pecuniario della frazione di valore perduta, per effetto della sopraelevazione, da ogni singola quota relativa a piano o porzione di piano; ne consegue che, indiscussa l'inapplicabilità della norma in esame nell'ipotesi di pura e semplice ristrutturazione interna, tale da non comportare alcuna alterazione nella superficie e nella volumetria degli spazi interessati, la fattispecie dalla stessa regolata va ravvisata in ogni ipotesi di incremento delle dette superficie e volumetria, indipendentemente dal fatto che esso dipenda o meno dall'innalzamento dell'altezza del fabbricato (ad esempio, ferma l'altezza del colmo del tetto, ove l'incremento di superficie effettivamente utilizzabile e di volumetria si realizzino mediante la trasformazione dello spiovente da rettilineo con pendenza unica a spezzato con pendenze diverse, o mediante l'ampliamento della base con la costruzione di uno sporto e la consequenziale estensione del tetto).

L'esclusione dell'indennità, tuttavia, non potrebbe farsi derivare dalla mera riserva del diritto di sopraelevare a favore di un determinato soggetto, in quanto, per ottenere tale esclusione, è necessario che l'eliminazione dell'obbligo di corrispondere l'indennità risulti esplicitamente in sede di tale riserva; in quest'ottica, si è statuito che il semplice acquisto del diritto di sopraelevare non basta, di per sé, ad escludere l'obbligo del pagamento dell'indennità di sopraelevazione, rappresentando la stessa un corrispettivo ulteriore in favore dei condomini cui compete, del tutto distinto ed autonomo rispetto a quello pagato per l'acquisto del diritto stesso, a meno che non risulti dal relativo atto negoziale che si è tenuto conto di detta indennità nella determinazione del prezzo di acquisto (Cass. II, n. 3344/1959).

Oltre a ciò, si ritiene che l'indennità per la sopraelevazione sia giustificata dalla maggiore utilizzazione delle parti comuni operata dal sopraelevante, il quale, prima della costruzione del nuovo piano, utilizzava i beni condominiali nella più limitata veste di proprietario dell'ultimo piano o del lastrico solare esclusivo.

In tale ordine di idee, si pongono quelle pronunce, in base alle quali l'indennità di sopraelevazione si giustifica con la maggiore utilizzazione oggettiva che il sopraelevante fa delle parti comuni, quali le fondazioni, i muri maestri, le scale, le tubazioni dell'acqua, ecc. (Cass. II, n. 1844/1993; cui adde Cass. II, n. 4093/1974, ad avviso della quale l'indennità di sopraelevazione trova la sua ragione giustificativa nell'utilizzazione della colonna d'aria, corrispondente alla proiezione in altezza, e cioè in senso verticale, del suolo su cui è costruito l'edificio, nonché nel godimento delle parti e dei servizi comuni).

In una pronuncia, si è implicitamente affermato il concetto che l'indennità debba essere commisurata all'utilità effettiva della costruzione realizzata – la quale, evidentemente, è data dalla sua consistenza –precisando che l'acquirente dell'area edificabile, sovrastante l'appartamento sito all'ultimo piano di un edificio condominiale, e del corrispondente diritto di sopraelevazione di un piano, con facoltà di sistemare la nuova copertura dell'edificio a terrazza (e non a tetto), senza obbligo di indennizzo a favore dei condomini sottostanti, legittimamente utilizza la superficie sovrastante al piano edificato in parte costruendovi un lavatoio ed in parte come terrazzo, ma è obbligato a corrispondere l'indennità di sopraelevazione in relazione alla maggiore utilità così realizzata (Cass. II, n. 3076/1974).

È doveroso, però, riportare la diversa opinione in base alla quale l'indennità per la sopraelevazione costituirebbe compensazione per la perdita di valore del suolo; secondo tale diverso orientamento, l'art. 1127 c.c. trova giustificazione nell'occupazione, da parte di chi sopraeleva, dell'area comune su cui sorge il fabbricato, ossia nella maggior utilizzazione di detta area, sicché, rimanendo sempre lo stesso il valore del suolo (dividendo), con l'aumento del numero dei piani (divisore) necessariamente diminuisce il valore di ogni quota piano (quoziente), onde l'indennità dovuta da colui che sopraeleva agli altri condomini ha propriamente lo scopo di ristabilire la situazione economica precedente, mediante la prestazione dell'equivalente pecuniario della frazione di valore perduta, per effetto della sopraelevazione, da ogni singola quota-piano (Cass. II, n. 1697/1982).

In questa linea interpretativa, sembra porsi un altro arresto della magistratura di vertice (Cass. II, n. 6643/2000), a parere del quale, in tema di sopraelevazione di un edificio condominiale, l'art. 1127 c.c., delinea una responsabilità da atto lecito, poiché, purché non ostino le condizioni statiche dell'edificio o che non sia compromesso l'aspetto architettonico dell'edificio stesso o che non sia diminuita notevolmente la fruibilità della luce e dell'aria da parte dei piani sottostanti, il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio ed il proprietario esclusivo del lastrico solare hanno il diritto di sopraelevare, con l'onere di corrispondere un'indennità agli altri condomini; tale responsabilità si configura non in ogni caso di sopraelevazione, intesa come pura e semplice costruzione oltre l'altezza precedente del fabbricato, bensì solo nel caso di costruzione di uno o più piani o di una o più nuove fabbriche sopra l'ultimo piano dell'edificio, quale che sia il rapporto con l'altezza precedente; ne deriva che, se la mera costruzione oltre l'altezza precedente del fabbricato non comporta la responsabilità da atto lecito prevista dall'art. 1127 c.c., a fortiori in essa non è ravvisabile una responsabilità da atto illecito, salvo che non risultino violati altri, specifici diritti di condomini, per la cui individuazione soccorrono i limiti posti dai commi secondo e terzo della medesima disposizione.

Soggetto debitore

Riguardo all'indennità di sopraelevazione, appare necessario puntualizzare alcuni principi relativi al lato soggettivo del rapporto nascente dalla sopraelevazione.

Sotto il profilo passivo – ossia ex parte debitoris – va rilevato, innanzitutto, che il soggetto debitore dell'indennità è colui che realizza la sopraelevazione, a prescindere dal fatto se sia esso il proprietario dell'ultimo piano, del lastrico solare esclusivo o della terrazza a livello: si è, infatti, ribadito che l'indennità prevista dal comma 4 dell'art. 1127 c.c. deve ritenersi dovuta agli altri condomini non solo per l'ipotesi della sopraelevazione del lastrico solare di un edificio in condominio, ma anche nel caso di sopraelevazione di una terrazza a livello eseguita dal proprietario di essa e dell'appartamento adiacente da cui vi si accede (Cass. II, n. 4274/1974).

A tale proposito, si ritiene pacificamente che si tratti di un'obbligazione di natura personale, e non propter rem – vale a dire collegata con la titolarità del bene – con la rilevante conseguenza che l'obbligo di pagare l'indennità non si trasmette all'eventuale acquirente del nuovo piano realizzato; pertanto, l'indennità de qua sarà dovuta (solo) dal soggetto che ha esercitato il diritto a sopraelevare, e non dai suoi eventuali aventi causa, a qualsiasi titolo.

Coerentemente, se chi sopraeleva è un terzo che ha acquistato il diritto di sopraelevare dal proprietario dell'ultimo piano (o del lastrico solare), sarà costui ad essere obbligato al pagamento.

Importante, a questo punto, si rivela la qualificazione di tale obbligo secondo lo schema dell'obbligazione di valore o di valuta.

In proposito, prevale l'opinione riferita alla prima alternativa, in relazione, appunto, al valore della colonna d'aria occupata dalla sopraelevazione, con la rilevante conseguenza che la relativa somma è soggetta alla rivalutazione monetaria che compensi la svalutazione compiutasi nel periodo compreso dalla realizzazione della costruzione e la successiva liquidazione dell'indennità (Cusano, 251).

Il principio può dirsi consolidato, e più volte ribadito, e corrisponde all'affermazione in base alla quale l'indennità di sopraelevazione di cui all'art. 1127 c.c., che costituisce un debito di valore (soggetto alla rivalutazione monetaria), deve essere calcolata assumendo come base unicamente il valore attuale del suolo nella parte di esso corrispondente al piano di sopraelevazione, supposto come completamente libero, senza cioè che possa operarsi alcuna diminuzione di esso in considerazione delle strutture del fabbricato e dei limiti che ne derivino, né della sua maggiore o minore vetustà (Cass. II, n. 9032/1987).

La determinazione dell'indennità dovuta, ai sensi dell'art. 1127, comma 4, c.c., per la sopraelevazione dell'edificio condominiale va operata con riferimento al tempo della sopraelevazione, tenendo conto, peraltro, della svalutazione monetaria verificatasi fino al tempo della concreta liquidazione (Cass. II, n. 12292/2003; Cass. II, n. 4861/1981; di recente, v. Cass. II, n. 8096/2014, aggiungendo che non trova applicazione la regola dettata dall'art. 1224 c.c. per i debiti di valuta, secondo cui gli interessi legali sono dovuti dalla costituzione in mora, essi spettando, invece, dal giorno di ultimazione della sopraelevazione; conforme, Cass. II, n. 7028/2019, che ha cassato con rinvio la decisione del giudice del merito che aveva fatto decorrere gli interessi dalla data di inizio dei lavori; parzialmente difforme si rivela Cass. II, n. 10098/1990, secondo cui l'indennità di sopraelevazione dà luogo alla produzione di interessi legali a seguito di ritardo nel pagamento e, affinché ciò si verifichi, occorre un atto di formale messa in mora, a norma dell'art. 1282 c.c., dalla cui data inizieranno a decorrere detti interessi.

La corresponsione dell'indennità, inoltre, non esclude che siano dovuti ulteriori maggiori somme per il risarcimento di danni derivanti dalle operazioni di costruzione, i quali, peraltro, dovranno essere risarciti a parte secondo le regole generali (Alvino 1982, 1647).

Un'interessante precisazione proviene, di recente, dai magistrati di Piazza Cavour (Cass. II, n. 23256/2016), ad avviso dei quali la sola azione promossa dai condomini per ottenere il risarcimento dei danni contro il proprietario dell'ultimo piano, che abbia eseguito una sopraelevazione in spregio al disposto dell'art. 1127 c.c., deduce un credito risarcitorio autonomo e distinto rispetto a quello inerente l'indennità prevista dal comma 4 di tale norma, la quale suppone l'accertata insussistenza dei presupposti del risarcimento, sicché la domanda proposta per far valere il primo credito non può comportare un implicito esercizio del secondo (in senso conforme, v., altresì, Cass. II, n. 1694/1975).

In tale ordine di idee, si sostiene che il condomino che ha eseguito la sopraelevazione dell'edificio in condominio è tenuto al risarcimento delle diminuzioni patrimoniali conseguenti a carico degli altri condomini per il diverso sistema di copertura dell'edificio che egli abbia, lecitamente, adottato (Salis, 1967, 858).

Condomini creditori

Sotto il profilo attivo – ossia ex parte creditoris – stante l'acclarata natura «personale» dell'obbligazione di pagare l'indennità di sopraelevazione, si ritiene che il soggetto legittimato attivamente alla richiesta di tale indennità sia colui che era condomino al tempo della sopraelevazione o, eventualmente, i suoi aventi causa (inter vivos o mortis causa) del relativo diritto di credito, e non colui che sia divenuto successivamente proprietario della singola unità immobiliare (Cass. II, n. 1263/1999).

Si ritiene pacificamente, inoltre, che creditori dell'indennità siano tutti i comproprietari facenti parte della compagine condominiale a prescindere dalla posizione delle loro proprietà esclusive e, in particolare, del fatto che dette porzioni ricadano, o meno, nella proiezione verticale dell'area della sopraelevazione (Todorova, 661); a tale proposito, si sostiene che nessuna limitazione pone la legge nei confronti dei condomini aventi diritto all'indennità, per cui appare arbitrario restringere il numero dei detti condomini a coloro le cui proprietà immobiliari restino comprese nella proiezione verticale (verso il basso) dei limiti della nuova costruzione.

Il diritto all'indennità, poi, spetta ai condomini in quanto singoli, e non alla collettività (o ente) condominiale; tale principio è confermato dall'affermazione secondo la quale il diritto all'indennità compete, per la propria quota, a ciascuno dei condomini, per cui, essendo autonomo il diritto dell'un condomino rispetto a quello analogo degli altri, non sussiste unicità del rapporto e, conseguentemente, non può parlarsi di litisconsorzio necessario nei confronti di tutti i condomini (Cass. II, n. 3344/1959).

Come per qualsiasi diritto di credito, è naturalmente consentito ai condomini ai quali spetta l'indennità di rinunciare alla stessa, anche singolarmente (Cass. II, n. 1055/1967, cit., secondo cui i singoli condomini possono rinunciare, anche ognuno per proprio conto, all'indennizzo che loro compete in caso di sopraelevazione dell'edificio (nella giurisprudenza di merito, si segnala App. Firenze 1° marzo 1966, per la quale l'indennità prevista dall'art. 1127 c.c., può ben essere oggetto di rinuncia contrattuale da parte degli aventi diritto, ma tale rinuncia non si estende automaticamente al diritto d'uso del lastrico solare ricostruito il quale, già in precedenza alla sopraelevazione, era destinato al godimento comune).

Puntualizzando il concetto, si è aggiunto (Cass. II, n. 12880/2005) che l'indennità prevista dall'ultimo comma dell'art. 1127 c.c. trae fondamento dalla considerazione che, per effetto della sopraelevazione, il proprietario dell'ultimo piano aumenta, a scapito degli altri condomini, il proprio diritto sulle parti comuni dell'edificio che, ai sensi dell'art. 1118, comma 1, c.c., è proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli appartiene.

Pertanto, il legislatore ha inteso compensare in parte i condomini, assumendo a parametro il valore del suolo occupato, che costituisce l'unica parte comune suscettibile di valutazione autonoma, conseguendone che un titolo attributivo al proprietario dell'ultimo piano o del lastrico solare della proprietà esclusiva della colonna d'aria non è idoneo ad esonerare dall'obbligo di pagamento dell'indennità prevista per la sopraelevazione, poiché al titolo in questione potrebbe essere riconosciuta solo la più limitata efficacia di rinuncia da parte degli altri condomini alla (futura ed eventuale) indennità di cui all'art. 1127 c.c., rinuncia che, essendo priva di effetti reali, non impegnerà gli aventi causa a titolo particolare dagli originari stipulanti (Izzo 2006, 578).

A tale riguardo, va precisato che, qualora un soggetto si rendi acquirente di una porzione di piano assumendo conseguentemente la qualità di condomino, in costanza dei lavori di sopraelevazione, a costui è dovuta l'indennità per la parte non ancora edificata; relativamente a tale fattispecie, un magistrato toscano ha avuto modo di puntualizzare che la qualità di condomino all'epoca della sopraelevazione, cioè la qualità di soggetto che, per effetto della sopraelevazione medesima, ha subìto una riduzione del proprio diritto di proprietà sull'area edificata, costituisce condizione essenziale perché a tale soggetto sia riconosciuto l'indennizzo ex art. 1127 c.c. (Trib. Firenze 26 ottobre 1963).

Infine, l'obbligazione nasce al compimento dell'opera e non solo all'inizio dei lavori per la sua realizzazione; in tale ordine di idee, la giurisprudenza di merito ha puntualizzato che il diritto all'indennità di sopraelevazione sorge a favore di chi sia condomino al momento in cui l'opera è completata nelle sue strutture essenziali (Trib. Monza 25 febbraio 1982: nella specie, i muri perimetrali del sopralzo erano stati innalzati prima che l'attore acquistasse la proprietà di un piano dell'edificio, ma il completamento delle strutture essenziali dell'opera, con la costruzione del tetto, si era avuto a condominio già costituito).

Quantificazione

L'art. 1127 c.c. individua il criterio di calcolo dell'indennità di sopraelevazione riferendosi al «valore attuale dell'area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e detratto l'importo della quota... spettante» al condomino che sopraeleva.

Nonostante questa apparente chiarezza, il criterio di calcolo dell'indennità ha dato luogo a contrasti in giurisprudenza.

In primo luogo, è stato precisato che l'art. 1127 c.c. intende il valore dell'area (da occuparsi) come quello corrispondente al valore del suolo su cui sorge l'edificio, per la parte corrispondente alla proiezione verticale della nuova costruzione; in altri termini, detto valore sarebbe determinato da due variabili: il valore del terreno edificabile (sul quale è stato realizzato l'edificio) nella quantità di superficie determinata dall'area geometrica della porzione edificata.

In quest'ordine di concetti, è stato rilevato che l'indennità di sopraelevazione deve essere calcolata assumendo come base unicamente il valore attuale del suolo corrispondente al piano costruito in sopraelevazione, supposto come completamente libero, intendendo tale valore come quello della proiezione verticale della nuova fabbrica, indipendentemente, quindi, dal valore del lastrico solare o dell'eventuale sottotetto inglobato nella porzione sopraelevata, e soprattutto senza alcun riferimento alla maggiore o minore vetustà della copertura dell'edificio condominiale, in quanto tali dati e parametri esulano totalmente dal criterio postulato dal legislatore per la quantificazione dell'indennità in riferimento al solo valore del suolo su cui sorge l'edificio condominiale (Cass. II, n. 9032/1987).

Segnatamente, nel caso di sopraelevazione di un solo piano, la determinazione dell'indennità prevista dall'art. 1127 c.c. deve essere effettuata assumendo come elemento base del calcolo il valore del suolo sul quale insiste l'edificio o la parte di esso che viene sopraelevata, dividendo, poi, il relativo importo per il numero dei piani, compreso quello di nuova costruzione, e detraendo, infine, dal quoziente così ottenuto la quota che spetterebbe al condomino che ha eseguito la sopraelevazione – quota da calcolarsi in relazione al piano o parte di piano o più piani di proprietà di detto condomino prima della sopraelevazione – e, infine, ripartendo il risultato residuo tra i proprietari degli altri piani preesistenti (Cass. II, n. 12292/2003, secondo la quale è errato dividere quest'ultima somma tra tutti i condomini).

Invece, nel caso di sopraelevazione di più piani, il quoziente ottenuto dividendo il valore del suolo per il numero complessivo dei piani preesistenti e di quelli di nuova costruzione deve essere moltiplicato per il numero di questi ultimi, e l'ammontare dell'indennità è rappresentato dal prodotto così ottenuto, diminuito della quota che, considerando il precedente stato di fatto e di diritto, spetterebbe al condomino che ha eseguito la sopraelevazione (così, di recente, Cass. II, n. 8096/2014; cui adde Cass. II, n. 1084/1976, la quale ha ritenuto errato il diverso criterio secondo cui l'indennità andrebbe considerata piano per piano iniziando dal primo e calcolando il nuovo piano sovrastante come se si trattasse di un piano già costruito).

Per determinare il valore del terreno – come innanzi illustrato – occorre, secondo le usuali regole peritali, fare riferimento al valore delle aree adiacenti considerate secondo le precipue qualità immobiliari.

Invero, nel caso di costruzione sopra l'ultimo piano dell'edificio, l'indennità da corrispondersi agli altri condomini, da parte di chi fa la sopraelevazione, deve essere riferita al valore del suolo edificatorio, ossia al prezzo a cui si potrebbe vendere l'area se non fosse ancora edificata; all'uopo, l'area da valutarsi, ai fini della suddetta indennità, è solo quella su cui sorge la parte di fabbricato che si sopraeleva, determinabile mediante la proiezione verticale dei limiti della nuova costruzione, mentre i condomini da indennizzare sono quelli sottostanti compresi, sia pure in parte, entro i limiti di tale proiezione; ai fini, poi, della stima, utile elemento può essere offerto dal valore delle aree viciniori e da ogni altro apprezzabile indice quale l'accessibilità e l'ubicazione della zona, tenuto presente che il valore dell'area deve essere determinato al momento in cui si fa la costruzione (Cass. II, n. 3181/1956).

Il suolo va supposto considerato completamente libero – v. supra – presupponendo l'inesistenza dello stabile condominiale; in tale ordine di idee, si è affermato che, nel calcolo dell'indennità di sopraelevazione, prevista dall'art. 1127, occorre far riferimento al suolo al momento della sopraelevazione, come se non fosse ancora edificato, senza cioè che possa operarsi alcuna diminuzione di esso in considerazione della struttura del fabbricato e dei limiti che ne derivano (Salis 1973, 441).

Sotto il profilo temporale, la determinazione dell'indennità dovuta, ai sensi del comma 4 dell'art. 1127 c.c., per la sopraelevazione dell'edificio condominiale va rapportata al momento in cui è stata realizzata tale iniziativa, e così, in concreto, ridotto il diritto di comunione dai detti proprietari sull'area edificabile (Cass. II, n. 3453/1962), tenendo conto, peraltro, della svalutazione monetaria verificatasi fino al tempo della concreta liquidazione (Cass. II, n. 4861/1981).

Inoltre, dal punto di vista del criterio aritmetico di calcolo, la norma prescrive, inequivocabilmente, che il valore dell'area – come sopra delineato – si divida per il numero totale dei piani dell'edificio (compresa la sopraelevazione) e, al numero così ottenuto, venga sottratta la quota corrispondente alla somma tra la quota relativa alla sopraelevazione e l'ulteriore quota relativa alla porzione di piano eventualmente appartenente al titolare del diritto di sopralzo, e in tal modo, ottenendo la somma che il condomino sopraelevante dovrà corrispondere agli altri condomini.

A fronte di ciò, tuttavia, la giurisprudenza sembra preferire il diverso criterio di calcolo in base al quale il valore dell'area dovrebbe essere diviso per il numero dei piani totali (sempre compresa la sopraelevazione) sottraendo dal risultato la quota che spetterebbe a chi ha edificato (se ed) in quanto proprietario di uno o più porzioni di piano (diversi ed ulteriori dalla sopraelevazione) o del lastrico solare.

In tale ultimo senso, si è statuito che l'indennità posta a carico del condomino che costruisce sopra l'ultimo piano dell'edificio si calcola dividendo il valore dell'area che sarà occupata dalla sopraelevazione per il numero dei piani del fabbricato, compresi quelli o quello da sopraelevare; dal quoziente così ottenuto, poi, va detratto l'importo corrispondente alla quota del condomino che ha eseguito la sopraelevazione, quota da calcolarsi in relazione ai piani, al piano o alla parte di piano di proprietà di detto condomino prima dell'effettuata sopraelevazione, ed il risultato di tali operazioni costituirà l'ammontare dell'indennità da ripartirsi fra tutti i proprietari degli altri piani preesistenti dell'edificio (Cass. II, n. 630/1972, cit.).

L'indennità di sopraelevazione, infatti, tecnicamente corrisponde al valore del suolo, diviso per il numero dei piani (compresa la sopraelevazione), detratta la quota spettante a chi fa la sopraelevazione, quota da calcolarsi in relazione alla porzione di piano prima dell'effettuata sopraelevazione (App. Napoli 27 dicembre 1994).

In pratica, la differenza tra i due criteri risiederebbe nel fatto che, nel secondo, non verrebbe detratta la quota relativa al piano sopraelevato con conseguente aumento dell'indennità a carico del debitore – ossia il condomino che sopraeleva – il quale potrebbe giovarsi di una minore compensazione.

Al riguardo, appare opportuno precisare che la detrazione de qua occorre effettuarla anche per il proprietario esclusivo del lastrico solare: invero, quest'ultimo partecipa ai diritti ed agli obblighi della comunione delle cose e dei servizi dell'edificio che derivano dalla disciplina del condomino edilizio anche se non sia proprietario di un piano o di una porzione di piano; pertanto, partecipando quest'ultimo alla comunione del suolo su cui l'edifico insiste, deve regolarmente operarsi la detrazione dell'importo della quota di comproprietà a lui spettante per determinare l'indennità che egli è tenuto a corrispondere, in caso di sopraelevazione, agli altri condomini, a mente dell'art. 1127 (Cass. II, n. 1084/1976, cit.).

In tale prospettiva, se chi ha edificato la sopraelevazione non era in precedenza condomino per essere proprietario dell'ultimo piano (o del lastrico solare), ma era il mero titolare del diritto di sopralzo, la somma dovuta sarà maggiore, in quanto non potrà essere compensata la quota al medesimo spettante come condomino.

Inoltre, il suddetto calcolo dovrà essere commisurato allo stato dei luoghi, determinandosene, da ciò, la conseguenza che, ad esempio, i piani con altezza inferiore andranno corrispondentemente valutati; in particolare, va considerato che i c.d. ammezzati o mezzanini devono essere calcolati – sia pure come mezzi piani – ai fini della determinazione dell'indennità di sopraelevazione, semprechè abbiano, sul piano strutturale e funzionale, connotazioni di autonomia e di indipendenza e non siano astretti alle altre unità immobiliari da intimi vincoli pertinenziali (Cass. II, n. 4274/1974).

Secondo lo stesso principio, ai fini del calcolo dell'indennità per la sopraelevazione di un edificio in condominio, non si tiene conto, nella divisione del valore del suolo per il numero dei piani, del piano delle cantine, le quali non costituiscono un piano autonomo e distinto, ma sono meri accessori dei vari piani o appartamenti, non dotati di autonomia, il cui valore è compreso in quello del piano o dell'appartamento cui sono legate dal vincolo di accessorietà o di pertinenza; nel suddetto calcolo, non occorre nemmeno tener conto delle soffitte di proprietà esclusiva, anche se siano abitabili, ove le stesse vengano ricostruite e conservate al proprietario dopo la sopraelevazione (Cass. II, n. 1055/1967, cit.).

Qualora il sopraelevante utilizzi strutture preesistenti, queste si considerano facenti parte della porzione sopraelevata, con la conseguenza che concorrono nel determinare l'estensione della proiezione al suolo; in senso contrario, ma corrispondente, non concorrono a determinare l'estensione della proiezione le semplici strutture provvisorie, che non costituiscono, appunto, volumi utili ma semplice protezione del manufatto di copertura.

Conformemente a tale impostazione, si è opinato che, in caso di sopraelevazione eseguita su terrazzo di edificio condominiale, l'indennità spettante, ai sensi dell'art. 1127 c.c., ai condomini proprietari delle unità immobiliari sottostanti, è correttamente calcolata in base alla superficie occupata dalla nuova fabbrica, compresa la porzione di essa già occupata da preesistenti manufatti di proprietà condominiale inglobati nella nuova costruzione, e senza tenere conto, invece, della porzione di terrazzo esterno protetta soltanto da tende o altro materiale (c.d. pensiline), ancorché riservata ad uso esclusivo del condomino sopraelevante (Cass. II, n. 1263/1999).

Resta inteso che, quanto alla divisione dell'indennità all'interno delle quote assegnate ai singoli piani, secondo le regole generali, la somma debba essere ripartita secondo la quota millesimale di spettanza dei rispettivi proprietari.

Sul versante processuale, si è, da ultimo, puntualizzato (Cass. II, n. 35525/2022) che la quantificazione, in sede giudiziale, dell'indennità di sopraelevazione ex art. 1127 c.c. non fa stato nei confronti dei condomini che non abbiano partecipato al processo, né colui che ha eseguito la sopraelevazione può opporla ai cond o mini che non abbiano partecipato al processo, atteso che il diritto di ciascun condomino alla predetta indennità è autonomo e si distingue da quello degli altri sia per causa petendi (il diritto di proprietà delle singole unità immobiliari), sia per petitum (il quantum determinato per ciascuno), mentre la partecipazione di più condomini al medesimo processo rinviene la propria disciplina nel c.d. litisconsorzio facoltativoex art. 103 c.p.c., che lascia impregiudicate le posizioni dei condomini non partecipanti al processo, che non possono vedersi opporre l'indennità così come calcolata, pena la violazione dell'art. 2909 c.c..

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