Codice Civile art. 1130 - Attribuzioni dell'amministratore 1 .

Adriana Nicoletti

Attribuzioni dell'amministratore 1.

[I]. L'amministratore, oltre a quanto previsto dall'articolo 1129 e dalle vigenti disposizioni di legge, deve:

1) eseguire le deliberazioni dell'assemblea, convocarla annualmente per l'approvazione del rendiconto condominiale di cui all'articolo 1130-bis e curare l'osservanza del regolamento di condominio;

2) disciplinare l'uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a ciascuno dei condomini;

3) riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni;

4) compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio;

5) eseguire gli adempimenti fiscali;

6) curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare, nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza delle parti comuni dell'edificio 2. Ogni variazione dei dati deve essere comunicata all'amministratore in forma scritta entro sessanta giorni. L'amministratore, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, richiede con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di anagrafe. Decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, l'amministratore acquisisce le informazioni necessarie, addebitandone il costo ai responsabili;

7) curare la tenuta del registro dei verbali delle assemblee, del registro di nomina e revoca dell'amministratore e del registro di contabilità. Nel registro dei verbali delle assemblee sono altresì annotate: le eventuali mancate costituzioni dell'assemblea, le deliberazioni nonché le brevi dichiarazioni rese dai condomini che ne hanno fatto richiesta; allo stesso registro è allegato il regolamento di condominio, ove adottato. Nel registro di nomina e revoca dell'amministratore sono annotate, in ordine cronologico, le date della nomina e della revoca di ciascun amministratore del condominio, nonché gli estremi del decreto in caso di provvedimento giudiziale. Nel registro di contabilità sono annotati in ordine cronologico, entro trenta giorni da quello dell'effettuazione, i singoli movimenti in entrata ed in uscita. Tale registro può tenersi anche con modalità informatizzate;

8) conservare tutta la documentazione inerente alla propria gestione riferibile sia al rapporto con i condomini sia allo stato tecnico-amministrativo dell'edificio e del condominio;

9) fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso;

10) redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l'assemblea per la relativa approvazione entro centottanta giorni3.

 

[1] Articolo modificato dall'art. 10, l. 11 dicembre 2012, n. 220. La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013. Il testo precedente recitava: «[I]. L'amministratore deve: 1) eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condomini e curare l'osservanza del regolamento di condominio; 2) disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini; 3) riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni; 4) compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio. [II]. Egli, alla fine di ciascun anno, deve rendere il conto della sua gestione».

[2] L'art. 1, comma 9, d.l. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modif., in l. 21 febbraio 2014, n. 9, ha aggiunto le parole: «delle parti comuni dell'edificio ».

[3] A norma dell'art. 63-bis, comma 1, d.l. 14 agosto 2020, n. 104, conv., con modif., dalla l. 13 ottobre 2020, n. 126, in vigore dal 14 ottobre 2020, il termine di cui al presente numero è sospeso fino alla cessazione dello stato di emergenza da COVID-19, dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 29 luglio 2020.

Inquadramento

Con termine del tutto generico, la nuova versione dell'art. 1130 c.c., introdotta con la legge di riforma n. 220 del 2012, affida all'amministratore del condominio una lunga serie di «attribuzioni» – da intendersi come l'insieme di funzioni e doveri –, che si possono definire integrative e che devono essere, comunque, espletate per garantire la corretta e continuativa gestione condominiale. Con il comma 1 della norma citata, infatti, il legislatore ha fatto un espresso riferimento all'art. 1129 c.c. che, accanto ad un elenco di adempimenti inerenti alla nomina dell'amministratore; ai presupposti ed alle condizioni per la revoca dell'organo amministrativo; alla durata dell'incarico ecc., determina precisi doveri in capo allo stesso, prevedendo anche le conseguenze nei suoi confronti in caso di mancato adempimento. A ciò si vanno ad aggiungere le ulteriori «attribuzioni» che sono contenute nelle «vigenti disposizioni di legge» e che, pur completando il quadro normativo del quale l'amministratore di condominio è diretto soggetto destinatario, esulano dalla normativa codicistica pur facendone idealmente parte integrante. E per questo basti solo pensare alle norme che disciplinano gli impianti comuni e la loro manutenzione e gestione (riscaldamento centralizzato, ascensore, antenna centralizzata, ecc.); che sono state emanate in materia di sicurezza; che hanno per oggetto la prevenzione degli incendi negli stabili; che riguardano il superamento delle barriere architettoniche; che sono relative allo smaltimento dell'amianto negli edifici e così via. Un complesso di prescrizioni che, in considerazione della rilevanza sociale delle materie che ne formano oggetto, prevede responsabilità dirette, anche di carattere penale, a carico dell'amministratore nel caso di violazione delle singole disposizioni. Si può, quindi, affermare che per quanto concerne strettamente il codice civile gli artt. 1129 e 1130 c.c. esauriscono in gran parte i doveri/obblighi dell'amministratore, anche se ulteriori imposizioni (a volte dettate dalla legge in forma negativa) si trovano nelle maglie delle altre disposizioni del codice civile. Corre l'obbligo di rilevare che le specifiche attribuzioni elencate nell'art. 1130 c.c. si estendono anche alle attività ad esse connesse, anche a carattere giudiziario, come previsto dall'art. 1131 c.c., che tratta la rappresentanza sostanziale e processuale dell'amministratore.

Il vincolo di indisponibilità derivante da un sequestro preventivo penale avente oggetto le unità immobiliari di proprietà esclusiva e le parti comuni di un edificio condominiale, per le quali sia nominato un custode giudiziario, in difetto di contraria indicazione contenuta nel provvedimento, ed attesa la funzione tipica di detta misura stabilita dall'art. 321 c.p.p., colpisce sia i diritti e le facoltà individuali inerenti al diritto di condominio, sia le attribuzioni dell'amministratore, sia i poteri conferiti all'assemblea in materia di gestione dei beni comuni, con conseguente nullità della deliberazione da questa approvata nel periodo di efficacia del sequestro.  In effetti, l'affidamento delle parti comuni dell'edificio in condominio ad un custode ha la sua ragion d'essere nell'esigenza - giustificata, appunto, dalle evidenziate ragioni di preventiva cautela penale che determinano il sequestro - di sottrarre ai condomini ed agli organi del condominio la possibilità di continuare a gestire detti beni, esercitando i diritti e le attribuzioni ad essi correlati, con concentrazione delle attività gestorie nelle mani dell'ausiliare del giudice. Si tratta, evidentemente, di vincolo avente carattere di provvisorietà, come si ricava dall'art. 323 c.p.p., ma, finché esso perdura, deve dirsi che l'assemblea rimane priva delle proprie competenze di gestione, con conseguente nullità delle deliberazioni adottate nel periodo di efficacia del provvedimento di sequestro preventivo del condominio. Rimane ovviamente salva la possibilità che il giudice penale limiti in concreto i poteri attribuiti al custode dell'edificio condominiale in sequestro, rendendoli compatibili con una permanente residuale disponibilità gestoria da parte dell'amministratore o dell'assemblea, ciò costituendo oggetto di accertamento di fatto che deve compiersi nel processo di merito ove sorga questione al riguardo (Cass. II, n. 12826I2023; Cass. II, n. 23255/2021). 

Derogabilità della norma

L'art. 1130 c.c., anche nella nuova versione, non è stato richiamato nell'art. 1138, comma 4, c.c. che individua espressamente quali siano le norme del codice che possano subire variazioni, anche per effetto di un regolamento condominiale. Questo dovrebbe bastare per affermare che le disposizioni relative alle attribuzioni dell'amministratore non sono inviolabili.

Tuttavia, si è ritenuto che la nuova disposizione non abbia risolto i contrasti che la vecchia formulazione aveva fatto nascere in merito alla derogabilità o meno del regime che disciplina le dette attribuzioni (Cassano, 183). Si era sostenuto, in passato, da un lato che l'art. 1130 c.c. è pienamente derogabile, nel senso che l'assemblea ed il regolamento possono aumentare o diminuire le funzioni previste da tale norma (Peretti-Griva, 428; Branca, 567). Ugualmente (anche se la dottrina più recente è sempre attinente alla formulazione della norma nella versione ante-riforma) è stato affermato che l'art. 1130 c.c., quantunque esordisca con il verbo «deve», delinea i poteri dell'amministratore e l'alveo giuridico nel quale lo stesso può muoversi. E quanto a ciò l'autore ha sottolineato che le attribuzioni previste dall'art. 1130 c.c. non possono essere derogate se non ed esclusivamente ad opera dell'assemblea condominiale o del regolamento che, in taluni casi, possono esonerare l'amministratore dallo svolgere singole funzioni (Spinoso, 33). Al contrario è stato ritenuto che le attribuzioni dell'amministratore non possono essere diminuite poiché, in tal caso, si configurerebbe un mancato assolvimento del compito affidato al mandatario.

Nel senso della dottrina maggioritaria anche la giurisprudenza, secondo la quale il regolamento condominiale (approvato per contratto o anche in virtù di deliberazione assembleare) può legittimamente sottrarre all'amministratore il potere di decidere autonomamente in ordine al compimento di eventuali atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio, per conferirlo esclusivamente all'assemblea, subordinando alla deliberazione di questa l'esercizio da parte dell'amministratore della relativa azione giudiziaria, attesa la derogabilità da parte del regolamento condominiale, in favore dell'assemblea, della norma di cui all'art. 1130 c.c. sulle attribuzioni dell'amministratore, che ha carattere suppletivo e non imperativo (Cass. II, n. 8719/1997).

In favore della piena derogabilità dell'art. 1130 c.c. può oggi valere, ancora di più che in passato, la considerazione che essendo stato l'amministratore parificato al mandatario (art. 1129, comma 15, c.c.) allo stesso non può che applicarsi l'art. 1708 c.c., concernente il contenuto del mandato, che comprende non solo gli atti per i quali lo stesso è stato conferito, ma anche quelli necessari al loro compimento (in tal senso, quindi, pertinente è il combinato disposto degli artt. 1130 e 1131 c.c.), mentre gli atti che eccedono l'ordinaria amministrazione devono essere indicati espressamente.

Pertanto, le maggiori o minori attribuzioni dell'amministratore (ma anche eventuali modificazioni nell'esplicazione delle stesse) potranno essere deliberate dall'assemblea, previo accordo con l'amministratore stesso, già al momento del conferimento dell'incarico, oppure determinate nel corso della gestione del condominio a seconda delle esigenze correlate.

Nel caso in cui il condominio ovvero un complesso immobiliare condominiale sia stato sottoposto a sequestro preventivo penale ai sensi dell'art. 321 c.p.p., con conseguente nomina di apposito custode per le parti comuni, l'amministratore è privato dei propri poteri derivanti dagli artt. 1130 e 1131 c.c.. Allo stesso modo anche l'assemblea viene privata dei diritti sanciti dall'art. 1135 c.c.. Infatti, l'affidamento al custode delle parti comuni del condominio trova ragione nell'esigenza di porre in essere una preventiva cautela penale che, attraverso il sequestro, sottragga ai condomini ed agli organi del condominio la possibilità di continuare a gestire detti beni, esercitando i diritti e le attribuzioni ad essi correlati, con concentrazione delle attività gestorie nelle mani dell'ausiliare del giudice.   Resta, comunque, impregiudicato il diritto del giudice del sequestro di limitare in concreto i poteri  del custode stesso, rendendoli compatibili con una permanente attività residuale gestoria dell'amministratore e dell'assemblea (Cass. II, n. 23255/2021). 

Esecuzione delle delibere assembleari

La previsione indicata come primo adempimento in capo all'amministratore dall'art. 1130 c.c. mette in luce la netta separazione tra i due organi prìncipi del condominio: da un lato, l'assemblea e, dall'altro, il rappresentante del condominio, che mette in atto, ovvero rende concreta, la volontà espressa dai condomini.

Illustre dottrina aveva sottolineato la caratterizzazione delle funzioni dei due organi evidenziando che l'assemblea, organo eminentemente deliberativo e di controllo, non svolge attività concreta per la realizzazione dei fini e per la tutela degli interessi collettivi in vista dei quali delibera. Una volta manifestata la volontà del gruppo anche in materia che ecceda l'amministrazione ordinaria l'amministratore non può che tradurla in realtà concreta ed effettuale (Branca, 568).

L'amministratore è obbligato a dare attuazione solo alle deliberazioni che hanno per oggetto beni e servizi comuni, rispetto ai quali sono state determinate le sue attribuzioni. Questo vale, naturalmente, anche nel caso del condominio parziale che, pur se costituito da un numero minore di partecipanti in ragione del loro rapporto chiuso con detti beni è, in ogni caso, parte integrante del condominio.

L'obbligo di dare esecuzione alla delibera, tuttavia, non si può ravvisare quando l'ordine provenga da un gruppo di condomini che non costituiscano la maggioranza. In questo caso non si può parlare di deliberazione, ma di manifestazione di volontà di singoli condomini, di cui l'amministratore potrà tenere conto nel momento in cui convocherà un'assemblea, inserendo gli argomenti all'ordine del giorno (De Renzis, 69).

Le deliberazioni assembleari sono caratterizzate dalla loro obbligatorietà nei confronti di tutti i condomini, anche se dissenzienti, astenuti o assenti, (fatto salvo il loro diritto di impugnativa di cui all'art. 1137 c.c.), cui si connette l'aspetto della loro immediata esecutorietà, alla quale deve attendere l'amministratore per effetto dell'art. 1130, n. 1), c.c.

Principio ribadito dalla Corte, anche se in via incidentale e con riferimento a fattispecie particolare. È stato, infatti, precisato, che in materia di condominio, vige il principio dell'esecutività della deliberazione dell'assemblea, pur in pendenza di impugnazione, rimanendo riservato al giudice il potere di sospendere l'esecuzione del provvedimento, a norma dell'art. 1137 c.c.; tuttavia, il credito del condominio nei confronti del singolo condomino, risultante da delibera assembleare impugnata, non è opponibile in compensazione ad estinzione delle reciproche obbligazioni, in quanto portato da un titolo la cui esecutività consente la sola temporanea esigibilità, laddove la compensazione postula il definitivo accertamento dei debiti da estinguere e non opera per le situazioni provvisorie (Cass. II, n. 8525/2013).

Detto obbligo comporta, altresì, che l'amministratore debba essere ritenuto autonomamente legittimato a resistere nelle conseguenti controversie ai sensi del comma 1 del successivo art. 1131 che, nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'articolo precedente o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea, riconosce all'amministratore la rappresentanza dei partecipanti (Cass. II, n. 7401/2012).

Per contro (Trib. Roma 1° agosto 2019, n. 15909annotata da Papanice, 2019 Trib. Milano 5 maggio 2017) l'amministratore non è legittimato a sottoscrivere una transazione per conto del condominio senza che vi sia stata autorizzazione da parte dell'assemblea, trattandosi di atto eccedente l'ordinaria amministrazione e come tale sottratto alle attribuzioni proprie dell'amministratore (nella specie: l'amministratore non aveva dato seguito alla delibera assembleare con la quale era stato stabilito che l'amministratore, a quel specifico fine, dovesse consultare una commissione dei condomini all'uopo nominata). 

La questione, comunque, deve essere valutata caso per caso, perché se dall’esame delle risultanze processuali dovesse emergere che l’accordo transattivo, chiuso dall’amministratore senza relativa autorizzazione dell’assemblea, fosse vantaggioso o comunque non troppo penalizzante per il condominio non si verificherebbe una irregolarità tale da determinare la revoca giudiziale dell’amministratore (Trib. Foggia 06 ottobre 2025, con nota Bordolli, 2025).

Più specificamente, la transazione autonomamente sottoscritta dall'amministratore è un atto esorbitante i limiti del mandato con la conseguenza che, in mancanza di successiva ratifica dell'accordo da parte dell'assemblea, i relativi obblighi rimangono in capo all'amministratore stesso, in base all'articolo 1711 c. c. in tema di mandato. Quindi nei suoi confronti potrà essere rivolta l'eventuale azione risarcitoria da parte dei singoli condomini interessati ( Trib. Napoli 21 marzo 2025, n. 2877, Nicoletti, 2025. Nella specie: a fronte di un accordo transattivo siglato dall'assemblea, l'amministratore aveva aggiunto una clausola penale imposta dalla controparte e consistente nel pagamento, da parte del condominio, di un importo predeterminato per ogni giorno di ritardo nell'adempimento della stessa).

Né è consentito all'amministratore, a fronte di un accordo transattivo approvato dall'assemblea, aggiungere una clausola penale voluta dalla controparte e consistente nel pagamento, da parte del condominio di un predeterminato importo per ogni giorno di ritardo nell'adempimento della stessa ( Trib. Napoli 21 marzo 2025, n. 2877).

In tal senso depone  l'art. 1129, comma 9, c.c., introdotto dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220, il quale comunque obbliga l'amministratore ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati, a meno che non sia stato espressamente dispensato dall'assemblea, con ciò confermando che non rientra, quindi, tra le attribuzioni dell'amministratore il potere di pattuire con i condomini morosi dilazioni di pagamento o accordi transattivi senza apposita autorizzazione dell'assemblea. Ne consegue che non riveste  alcuna decisività, ai fini dell'accertamento di un fatto estintivo della pretesa creditoria azionata in sede monitoria, l'allegazione dell'avvenuta conclusione di una convenzione intervenuta tra un condòmino e l'amministratore del condominio, con la quale il primo si obblighi ad un facere in favore dell'ente, prevedendosi quale corrispettivo di detto facere l'esonero del condomino stesso dal pagamento dei contributi exart. 1123 c.c. Una siffatta iniziativa contrattuale dell'amministratore, senza previa approvazione o successiva ratifica dell'assemblea, non determina, infatti, l'insorgenza di alcun obbligo per il condominio. Né può sostenersi che il condomino abbia fatto ragionevolmente affidamento sull'operato e sui poteri dell'amministratore, giacché i poteri di quest'ultimo e le attribuzioni dell'assemblea sono precisamente delineati dagli artt. 1130 e 1135 c.c. (Cass. VI, n. 24808/2022).  Secondo la giurisprudenza , la ratifica consiste in una manifestazione di volontà del dominus diretta ad approvare l'operato del rappresentante o del mandatario, per la quale non sono richieste formule sacramentali, occorrendo però che la volontà di fare propri gli effetti del negozio già concluso sia manifestata in modo chiaro ed inequivoco, non necessariamente per iscritto, ma anche con atti o fatti che implichino necessariamente la volontà di far proprio il contratto e i suoi effetti (Cass. III, n.  408/2006; Cass. I, n. 6937/2004). Ne deriva l'ammissibilità della ratifica tacita quando dal contegno del dominus o del mandante risulti in modo univoco la volontà di rendere efficace il negozio (Cass. II, n. 35278/2022).

Si rientra in tale ipotesi quando l'assemblea del condominio , in sede di approvazione del consuntivo di lavori eseguiti su parti comuni del fabbricato e di ripartizione della relativa spesa, riconosca "a posteriori" opportunamente e vantaggiosamente realizzati detti lavori, ancorché non previamente deliberati ovvero, a suo tempo, non deliberati validamente, e ciò malgrado ne approvi la relativa spesa, restando, in tal caso, la preventiva formale deliberazione dell'opera utilmente surrogata  (App. Roma 26 gennaio 2023, n. 583).

In ambito condominiale, infatti, non trova applicazione il principio secondo cui l'atto compiuto, benché irregolarmente, dall'organo di una società resta valido nei confronti dei terzi che abbiano ragionevolmente fatto affidamento sull'operato e sui poteri dello stesso, visto il richiamo di cui agli artt. 1130 e 1135 c.c.  (Cass. II, n. 31382/2022).

Nessuna norma impone all'amministratore di attendere, per dare esecuzione alle delibere assembleari, lo spirare del termine di trenta giorni stabilito per l'impugnazione (che decorrono dalla data della riunione, per i condomini dissenzienti ed astenuti, ovvero dalla ricezione del verbale assembleare, per gli assenti). Tuttavia, soprattutto quando oggetto della deliberazione sia l'effettuazione di interventi di particolare rilevanza, tanto economica quanto edilizia, è opportuno che l'amministratore lasci decorrere il tempo di legge per l'impugnativa e, poi, dia corso ai lavori. È una questione di normale prudenza, che consiglia di evitare l'apertura, nel condominio, di cantieri che, poi, potrebbero essere chiusi per effetto di un'eventuale sospensiva della delibera ordinata dall'autorità giudiziaria.

Tale opportunità deve essere presa in considerazione anche con riferimento alla decisione sulla sospensiva (richiesta dal condomino o dai condomini ricorrenti), nel caso di impugnazione della delibera medesima, da parte del giudice designato per la trattazione della controversia, poiché, in caso di accoglimento della relativa istanza, ottenibile in tempo breve, ciò potrebbe costituire un indice probabilistico di revoca del provvedimento assembleare impugnato (Lazzaro in Lazzaro-Di Marzio-Petrolati, , 392).

Parte della dottrina, per contro, ritiene che l'amministratore sia tenuto, comunque, ad attivarsi, senza indugio, per dare esecuzione alla delibera (Lazzaro-Stincardini, 196). È stato anche osservato che l'obbligo dell'amministratore di eseguire le delibere assembleari vale solo per le deliberazioni relative a materie che rientrino nelle attribuzioni dell'assemblea ex art. 1135 e, quindi, nell'ambito dei suoi poteri deliberativi, con esclusione di quelle decisioni che ne esorbitino, ad esempio incidendo sui diritti soggettivi facenti capo ai condomini in quanto proprietari delle unità immobiliari (Nasini, 711).

Presupposto per l'esecuzione della delibera, inoltre, è la sua efficacia, per cui è incontestabile che non si possa dare esecuzione ad una deliberazione dichiarata nulla o annullata con sentenza passata in giudicato (Dogliotti-Figone, 400). 

Allorché l'assemblea, con regolare delibera, conferisca incarico all'amministratore di procedere legalmente nei confronti dell'impresa costruttrice per eliminare i vizi di costruzione e l'amministratore non adempia al mandato, la responsabilità del rappresentante condominiale deve essere valutata secondo le prospettazioni della parte attrice in ordine alla pretesa azione di garanzia che l'amministratore avrebbe dovuto esperire come rimedio nei confronti del costruttore stesso. Il rilievo dell'inadempimento dell'ex amministratore (sussistente in fatto per non avere questi dato seguito alla volontà condominiale senza giustificare la sua inerzia), tuttavia, non costituisce di per sé la prova della sussistenza di un danno effettivo sofferto dal condominio in conseguenza di tale condotta omissiva. Infatti, ciò che conta al riguardo è verificare se l'azione del condominio e/o dei singoli comproprietari avrebbe avuto apprezzabili e qualificate chance di positivo sblocco e quindi di successo giudiziario (Trib.Vicenza, 27 settembre 2021, n. 1785 con nota PAPANICE, 2021).

L'oggetto delle delibere assembleari può essere costituito sia da un semplice facere, che non richiede alcun esborso da parte dei condomini, sia da un'attività che, invece, presuppone un capitolo di spesa.

In questo caso, perché possa parlarsi di piena efficacia della delibera assembleare, è indispensabile che la stessa contenga il preventivo di spesa in relazione all'opera da eseguire o, quanto meno, che l'ammontare della spesa sia determinabile in base ai dati indicati nella stessa delibera, come ad esempio, il genere, l'estensione, il luogo dei lavori e i materiali da usarsi (Cass. II, n. 2217/1971).

A fronte di un preciso obbligo di legge, che impone all'amministratore di procedere all'esecuzione delle deliberazioni assembleari e che, in caso di inerzia, è stato espressamente inserito nella casistica delle gravi irregolarità di cui all'art. 1129, comma 12, n. 2), c.c. che possono portare anche alla revoca giudiziaria del mandatario del condominio, si è posto il problema se questi, con riferimento a tale specifica attribuzione, abbia un margine di discrezionalità che gli consenta di rinviare l'operatività del deliberato.

Secondo una decisione rimasta isolata, in quanto non pare essere stata seguita da successive pronunce, la Corte di cassazione aveva affermato che l'amministratore ha, nei riguardi dei partecipanti al condominio, una rappresentanza volontaria, in mancanza di un ente giuridico con una rappresentanza organica, talché i poteri di lui sono quelli di un comune mandatario, conferitigli, come stabilito dall'art 1131 c.c., sia dal regolamento di condominio sia dalla assemblea condominiale. Pertanto egli è tenuto ad eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condomini con la diligenza del buon padre di famiglia ed, in virtù di tale dovere di diligenza può, talvolta, ritenere conveniente di soprassedere all'esecuzione di una deliberazione, come nel caso in cui questa sia destinata, da lì a breve tempo, ad essere modificata o revocata (Cass. II, n. 2668/1963).

Sempre sul punto, si è espressa la giurisprudenza di merito che ha affrontato la questione sotto il profilo di ritenere giustificata la mancata esecuzione di una delibera da parte del legale rappresentante dell'edificio condominiale, in presenza di determinate condizioni. Si è affermato al riguardo che allorché si verta in tema di revoca giudiziale, deve ritenersi che non integri mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari ex art. 1129, comma 12, n. 2), c.c. il comportamento dell'amministratore condominiale che – a fronte dell'intervenuta sospensione giudiziale di delibera assembleare con cui era stata decisa la chiusura dell'impianto di riscaldamento centralizzatonon sia nelle condizioni di dare immediata attuazione all'accensione del riscaldamento centralizzato stesso, attesa la mancanza di denaro per l'acquisto di combustibile, per avere l'assemblea – con delibera non impugnata sul punto – eliminato dal bilancio preventivo le voci di spesa relative al riscaldamento.

Parimenti, deve ritenersi che non integri motivo di revoca ex art. 1129, comma 12, n. 7) c.c. il comportamento dell'amministratore che – a soli pochi mesi dall'entrata in vigore della riforma che ha introdotto, con l'art. 1130, n. 7), c.c., l'obbligo di tenere il registro dell'anagrafe condominiale, senza però stabilire espressamente un termine – si sia attivato con una lettera ai condomini per richiedere le informazioni necessarie alla tenuta del registro medesimo (Trib. Udine 22 dicembre 2014).

Si ritiene che il problema sia strettamente collegato ad altra questione relativa alla possibilità o meno del controllo delle delibere assembleari da parte dell'amministratore e già al centro di differenti interpretazioni dottrinali.

Per il passato, alcuni autori hanno sostenuto che l'amministratore deve comunque verificare la legittimità, la perfezione e l'efficacia della delibera, che deve essere attinente alle parti ed alle cose comuni, e che l'obbligo dell'amministratore di dare esecuzione alle delibere nasce solo quando il provvedimento è legittimo. In caso contrario, si potrebbe configurare anche una responsabilità tra amministratore e partecipanti al condominio (tra tutti Branca, 568). Altri autori, invece, hanno ritenuto che il rappresentante non ha il potere di sindacare le deliberazioni, non avendone la facoltà discrezionale (Visco, 508; Peretti-Griva, 415).

Di recente alcuni interpreti si sono uniformati a tale ultimo indirizzo (Lazzaro, 391), affermando che l'amministratore non può omettere di dare corso alle deliberazioni assembleari, regolari nella forma, col pretesto, sia pure fondato, del difetto della maggioranza prescritta o della irregolare comunicazione dell'avviso di convocazione. Per altro verso è stato osservato che, per quanto concerne l'amministratore, potrebbero sorgere problemi in forza dell'art. 1130, n. 1), c.c. (obbligo di esecuzione delle deliberazioni) con riferimento alle decisioni inficiate da vizi comportanti la nullità e che potrebbero esplicare efficacia nei confronti dell'attribuzione propria del rappresentante. Solo in questo caso il comportamento dell'amministratore, che dovesse omettere di dare corso alla delibera palesemente nulla, potrebbe definirsi corretto anche se in tal modo si verrebbe ad attribuire al soggetto un potere di controllo sul deliberato assembleare che, per il margine di opinabilità necessariamente intrinseco a tale sindacato, potrebbe avere riflessi negativi per la gestione della cosa comune (Celeste-Scarpa, 253).

Peraltro, si aggiunga che una delibera nulla, che può essere impugnata in qualunque tempo e da chiunque vi abbia interesse (mentre quella annullabile soggiace, per l'impugnativa, ai termini perentori fissati dall'art. 1137 c.c.) di per sé non è vincolante per l'amministratore, rispetto alla sua esecuzione, potendo questi per mero, ma opportuno, scrupolo, indire sempre una nuova assemblea al fine di consentire la rimozione della causa della nullità.

Non di opportunità ma di preciso obbligo di convocare una nuova assemblea per porre rimedio alla situazione di irregolarità è il pensiero di altro autore, il quale – tra l'altro – prospetta due situazioni: l'amministratore erroneamente considera contra legem una delibera perfettamente legittima ovvero, pur a fronte di una conclamata illegittimità nessun condomino intende impugnare la delibera stessa. In entrambi i casi l'amministratore non è tenuto a dar esecuzione alle delibere (Cassano, 186).

In questo quadro, considerando che l'amministratore è mandatario dell'ente condominiale, lo stesso non si può esimere, anche in tale circostanza, dall'adottare una condotta improntata alla diligenza del bonus pater familias, controllando – sia pure nei limiti di cui sopra – che la delibera dell'assemblea non sia palesemente viziata. Con la conseguenza che ove la delibera si presenti sicuramente invalida per contrarietà a norme imperative, all'ordine pubblico ed al buon costume, lo stesso non è sicuramente tenuto ad eseguirla, anche per non incorrere personalmente in responsabilità penali.

Quanto a ciò, infatti, è stato ritenuto preferibile che l'amministratore effettui una valutazione che possa giustificare sia l'opportunità che venga sollecitata, ove necessario, una revisione dell'ordine impartito dal mandante, sia un discrezionale discostarsi dalle direttive ricevute. Concludendo che l'amministratore va considerato diligente quando persegue il soddisfacimento degli interessi del condominio, anche se per il raggiungimento di tale fine sia necessario derogare alle sue istruzioni (Celeste-Scarpa, 253).

Tale corretta impostazione dottrinale trova, peraltro, conforto anche in alcune decisioni della giurisprudenza.

È stato, così, affermato che le delibere che l'amministratore, ai sensi dell'art. 1130, n. 1), c.c., è legittimato ad eseguire, agendo a tal fine anche in giudizio, sono soltanto quelle che rientrano nei poteri deliberativi dell'assemblea e perciò non incidono sui diritti esclusivi dei singoli condomini (Cass. II, n. 278/1997). Mentre l'amministratore si dovrebbe dissociare e non porre in esecuzione una delibera assembleare dalla quale possano derivare la violazione di diritti o di possesso di terzi o dei singoli condomini, poiché la giurisprudenza ha ritenuto in tal caso che se l'assemblea è da considerarsi autore morale del fatto, l'amministratore ne è l'autore materiale (Cass. II, n. 301/1964).

Nel caso in cui l'amministratore abbia eseguito una deliberazione non valida è da escludere che tale comportamento possa integrare un'ipotesi comportante la revoca dell'amministratore, essendo l'anomalia attribuibile solo all'assemblea e potendo, in ogni caso, essere ovviata dall'impugnativa di singoli condòmini (Trib. Firenze 22 aprile 1991).

Convocazione annuale dell'assemblea

L'amministratore è tenuto a convocare annualmente l'assemblea per l'approvazione del rendiconto condominiale ai sensi dell'art. 1130-bis, c.c. Per questo specifico profilo si rinvia al commento della norma. 

Ove l'amministratore commetta errori nella convocazione dell'assemblea omettendo di inviare il relativo avviso ad un condomino, con conseguente annullamento della deliberacondanna del condominio al pagamento delle spese processuali, la successiva domanda di risarcimento dei danni, promossa dal condominio nei confronti dell'amministratore per la restituzione delle spese legali liquidate dal giudice in favore dell'attore, deve essere respinta. Spetta, infatti, all'assemblea e per essa al suo presidente controllare la regolarità degli avvisi di convocazione dandone conto nel verbale, sulla base dell'elenco degli aventi diritto a partecipare alla riunione compilato dall'amministratore, sul quale i presenti apporranno la firma per dimostrare la loro partecipazione alla riunione, personale o per delega (Trib. Modena, 05 maggio 2021, n. 732).

All'assemblea condominiale l'amministratore deve convocare l'effettivo titolare del diritto di proprietà dell'unità immobiliare, indipendentemente dalla avvenuta comunicazione  della eventuale vicenda traslativa ad essa relativa. Su tale obbligo non incide la disciplina in ordine alla tenuta del registro dell'anagrafe condominiale, di cui all'art. 1130, n. 6), c.c., e all'obbligo solidale per il pagamento dei contributi in caso di cessione dei diritti, di cui all'art. 63, comma 5, disp.att.c.c., sull'acquisizione dello status di condomino e sulle conseguenti legittimazioni. L'amministratore, inoltre, resta comunque obbligato ad effettuare i necessari riscontri sui registri immobiliari al fine di garantire che l'avviso di comunicazione raggiunga tutti gli aventi diritto (Cass. II, n. 10824/2023).

L'art. 63-bis, n. 1,  del D.L. 14 agosto 2020, n. 104 (convertito con modificazioni dalla L. 13 ottobre 2020, n. 126) ha sospeso il termine di cui al n.10) dell'art. 1130, c.c., concernente la convocazione dell'assemblea per l'approvazione del bilancio consultivo fino alla cessazione dello stato di emergenza da COVID-19, dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 29 luglio 2020.

Ai fini della domanda di revoca giudiziale dell'amministratore sussiste la grave irregolarità quando questi non convochi l'assemblea per l'approvazione del consuntivo annuale entro il termine di 180 giorni dalla chiusura del relativo esercizio. Non sussiste alcuna responsabilità dell'amministratore quando il suo comportamento sia derivato da forzata sospensione della relativa attività per effetto dei provvedimenti governativi e/o legislativi emessi come normativa di emergenza da COVID-19 (Trib. Palermo 14 gennaio 2022).

Non sussiste, ai fini della revoca giudiziale dell'amministratore, identità di concetto tra l'omessa convocazione dell'assemblea, in termini assoluti, nel termine di centottanta giorni di cui all'art. 1130, comma 10, c.c. e ritardata convocazione. Una parificazione tra le due fattispecie, infatti, determina un ingiustificato irrigidimento del sistema.  Anche da un punto di vista semantico, del resto, la scelta, da parte del legislatore, dell'aggettivo “grave”, per qualificare l'irregolarità giustificante la revoca giudiziale, è indice della riconosciuta possibilità di una graduazione nel giudizio delle irregolarità in termini di maggiore o minore gravità. In altre parole, non tutte le irregolarità imputabili all'amministratore nello svolgimento del suo mandato sono gravi ex art. 1129 c.c. (App. Bologna 05 novembre 2025. Nota Di Rago 2025).

Le modalità di convocazione dell'assemblea sono previste dall'art. 66 disp. att. c.c. (rinvio). Per effetto dell'emergenza da COVID-19, l'assemblea si può svolgere anche da remoto, a condizione che vi sia il consenso della maggioranza dei partecipanti al condominio (modifica introdotta dall'art.63, comma 1 bis, lett. a) e b) d.l. n. 104/2020 conv. in l. n. 126/2020, nonché dall'art. 5-bis d.l. n. 125/2020 conv. in l. n. 159/2020) Anche in questo caso l'amministratore deve inviare l'avviso di convocazione come previsto per le assemblee che si svolgono in presenza (posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o consegna a mano).

 Con particolare riferimento al luogo dello svolgimento dell'assemblea la modifica dell'indicazione contenuta nell'avviso di convocazione deve essere tempestivamente comunicata dall'amministratore ai condomini nel rispetto dei termini di cui all'art. 66 disp.att.c.c. Pertanto, non risulta idonea allo scopo di integrare una valida convocazione il messaggio pec inviato dall'amministratore a brevissima distanza dall'inizio dei lavori, né l'apposizione di un cartello ove sia indicata la diversa sede dell'assemblea ( Trib. Rimini 14 agosto 2023, n. 774 , con nota di Bordolli, 2023 . Fattispecie relativa alla convocazione di assemblea negli spazi condominiali e, poi, svolta nell'appartamento di un condomino).

Per quanto concerne, poi, i destinatari dell'avviso di convocazione , nei termini di cui al citato art. 66, va precisato che l'amministratore deve garantire l'effettività della comunicazione ai singoli condomini. Nel caso di immobile in comproprietà indivisa l' avviso di convocazione dell'assemblea deve essere trasmesso a ciascun comproprietario , posto che tutti i comproprietari sono legittimati ad agire a tutela del bene comune, anche mediante l'impugnazione di delibere assembleari che ritengano pregiudizievoli al condominio o al proprio immobile ( Cass. II, n. 19435/2021). Pertanto, la mancata convocazione da parte dell'amministratore di un coniuge in comunione legale provoca l'annullabilità della delibera, non rilevando l'invio dell'avviso nei confronti del coniuge convivente ( Trib. Messina 5 settembre 2023, n. 1548 ).

 

La disposizione di cui all'art. 1130, n. 1), c.c. si caratterizza per il fatto che il legislatore ha limitato l'attribuzione dell'amministratore alla convocazione dell'assemblea per la chiusura dell'anno di gestione, considerando solo ed esclusivamente la mancata presentazione annuale del rendiconto come grave irregolarità ai fini della revoca giudiziale dell'amministratore stesso (art. 1129, comma 12, n. 1, c.c.). Tuttavia è scontato che, malgrado alcun adempimento sia stato codificato in capo all'amministratore per quanto concerne la convocazione dell'assemblea ai fini della presentazione e dell'approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l'anno, l'aver previsto tale attribuzione in favore dell'assemblea stessa (art. 1135, n. 2, c.c.) non può che ricomprendere anche la necessità che la riunione assembleare sia, comunque, atto dovuto del rappresentante del condominio. Tanto più che, secondo prassi, in una sola riunione assembleare si porta a votazione il bilancio consuntivo del precedente anno di gestione ed il preventivo di quello successivo.

Non sussiste un obbligo, per l'amministratore condominiale, di allegare all'avviso di convocazione anche i documenti giustificativi o i bilanci da approvare, non venendo affatto pregiudicato il diritto alla preventiva informazione sui temi in discussione, fermo restando che ad ognuno dei condomini è riconosciuta la facoltà di richiedere, anticipatamente e senza interferire sull'attività condominiale, le copie dei documenti oggetto di (eventuale) approvazione (Cass. II, n. 21271/2020). Ove tale richiesta non sia stata avanzata, il singolo condomino non può invocare l'illegittimità della successiva delibera di approvazione per l'omessa allegazione dei documenti contabili all'avviso di convocazione dell'assemblea, ma può impugnarla per motivi che attengano esclusivamente alla modalità di approvazione o al contenuto delle decisioni assunte (Cass. II, n. 25693/2018).

Nel caso in cui l'assemblea sia andata  deserta la posizione dell'amministratore è la seguente: 1) anche se la riunione non si è tenuta, perché nessun condomino si è  presentato, appare necessario che l'amministratore attesti, comunque, l'esito negativo della riunione comunicandolo ai condomini; 2) disertare l'assemblea avente ad oggetto l'approvazione del rendiconto, che consente all'amministratore di attivare la procedura ingiuntiva di recupero crediti nei confronti dei condomini morosi, non fermerà il rappresentante dal mettere in campo le azioni necessarie a tal fine; 3) se all'assemblea convocata per decidere in merito alla mediazione passiva non abbia preso parte alcun condomino, l'amministratore dovrà rivolgersi all'organismo competente (art. 71-quater, disp.att.c.c.) per chiedere uno spostamento del termine di svolgimento del primo incontro per consentire di convocare nuovamente l'assemblea; 4) ove la riunione assembleare sia stata indetta per decidere su opere di conservazione delle parti comuni rientranti nelle attribuzioni dell'amministratore (art. 1130, co. 4, c.c.), questi avrà comunque l'onere di intervenire, con il limite di cui all'art. 1135, n. 4, c.c..

Secondo la L. n. 206/2021 (meglio nota come "Riforma Cartabia") il futuro/i decreti legislativi di attuazione dovranno prevedere che l'amministratore è legittimato ad attivare il procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi, fermo restando che l'accordo di conciliazione di cui al relativo verbale, così come la proposta del mediatore devono essere sottoposti all'approvazione dell'assemblea del condominio che delibera con la maggioranza di cui all'art. 1136 c.c. (art. 1, n. 4, lett. H). Da evidenziare che, a fronte di una evidente genericità del dettato legislativo, l'art. 71 ter, disp. att. c.c. ha stabilito che il quorum deliberativo è quello di cui al secondo comma dell'art. 1136.

Cura dell'osservanza del regolamento

Curare l'osservanza del regolamento equivale a dire che l'amministratore deve vigilare ed assicurare che le relative norme siano rispettate da tutti i soggetti che hanno rapporti diretti con il condominio.

Il regolamento (per l'esame e l'approfondimento del quale si rinvia al commento dell'art. 1138 c.c.) costituisce lo strumento essenziale per la vita condominiale, contenendo clausole sull'uso e la destinazione delle parti comuni e dei servizi comuni; disposizioni concernenti l'uso delle proprietà esclusive ed i relativi limiti; nonché norme sulla ripartizione delle spese, sulla tutela del decoro architettonico dell'edificio e, più in generale, sulle modalità di gestione ed amministrazione dello stesso.

Un regolamento di condominio che contenga limitazioni ai diritti dominicali dei singoli condomini, deve necessariamente essere approvato da tutti i partecipanti al condominio ovvero, se predisposto dall'originario unico proprietario, deve essere trascritto nei pubblici registri immobiliari per poter essere opposto ai successivi aventi causa dei proprietari, ove non accettato espressamente negli atti notarili di trasferimento della proprietà dai medesimi.

In tema la Suprema Corte ha costantemente affermato, con decisioni alle quali si sono costantemente attenuti anche i giudici di merito, che il regolamento di condominio predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio, ove accettato dagli iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, assume carattere convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti non soltanto con riferimento alle clausole che disciplinano l'uso ed il godimento dei servizi e delle parti comuni, ma anche a quelle che restringono i poteri e le facoltà dei singoli condomini sulle loro proprietà esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca (Cass. II, n. 3749/1999; Cass. II, n. 4632/1994). Di recente ed in senso conforme altra decisione, secondo la quale la previsione, contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, incidendo non sull'estensione ma sull'esercizio del diritto di ciascun condomino, va ricondotta alla categoria delle servitù atipiche e non delle obbligazioni  propter rem, difettando il presupposto dell'«agere necesse» nel soddisfacimento d'un corrispondente interesse creditorio; ne consegue che l'opponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti va regolata secondo le norme proprie delle servitù e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, mediante l'indicazione, nella nota di trascrizione, delle specifiche clausole limitative, ex artt. 2659, comma 1, n. 2), e 2665 c.c., non essendo invece sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale (Cass. II, n. 21024/2016). Il principio è applicabile anche in materia di supercondominio (Cass. II, n. 14898/2013).

È stato ancora affermato che le norme del regolamento di condominio edilizio che impongono divieti di destinazione ed altre limitazioni similari all'uso delle unità immobiliari di proprietà esclusiva concorrono ad integrare la disciplina delle cose comuni dell'edificio in quanto dirette ad impedire un uso abnorme delle stesse in conseguenza di situazioni e comportamenti che non si esauriscano nello stretto ambito delle proprietà esclusive: ne deriva che anche in caso di violazione di tali prescrizioni l'amministratore del condominio, indipendentemente dal conferimento di uno specifico incarico con deliberazione della assemblea dei condomini (la quale può spiegare rilevanza come mera sollecitazione), ha, a norma dell'art. 1130 c.c., il potere di farne cessare il relativo abuso e, quindi, la relativa legittimazione processuale, senza che possa trovare limiti in autonome iniziative giudiziarie dei singoli condomini (Cass. II, n. 1131/1985).

Il compito dell'amministratore di assicurare il rispetto dello statuto nasce nel momento in cui l'amministratore, a seguito di segnalazioni da parte dei condomini, verifichi che vi siano state violazioni rispetto alle disposizioni ivi contenute. L'amministratore, in caso di accertato comportamento illegittimo da parte dei partecipanti al condominio, deve contestare l'inadempimento, invitando il condomino a desistere dal suo comportamento.

Un valido strumento per ripristinare la situazione di rispetto del regolamento e da utilizzare, una volta applicato nei confronti del condomino, come deterrente per altri comportamenti illegittimi, è l'applicazione della penalità prevista dal modificato art. 70 disp. att. c.c., il quale prevede che a carico del contravventore può essere applicata una sanzione dell'importo compreso tra euro 200 ed euro 800. L'imposizione della sanzione anche nella sua entità, pur se indirettamente finalizzata al raggiungimento dello scopo di cui all'art. 1130, n. 1), c.c., non rientra nelle attribuzioni specifiche dell'amministratore, visto che per effetto dell'art. 1, comma 9, lett. e), d.l. n. 145 del 2013 (convertito nella l. n. 9 del 2014) è rimessa alla decisione dell'assemblea che delibera ai sensi dell'art. 1136, comma 2, c.c.

Il tipico esempio di violazione di una norma del regolamento è costituito dal divieto del parcheggio nel cortile condominiale, là dove il comportamento dovesse rappresentare una forma d'uso degli spazi comuni incompatibile con il godimento dei pari diritti da parte degli altri condomini, oppure dovesse realizzare una violazione in assoluto del divieto stesso. Se la sussistenza di una clausola regolamentare in questo senso giustifica il ricorso all'art. 70 disp. att. c.c., quando mancano  nel regolamento disposizioni specifiche in merito al parcheggio in aree condominiali l'amministratore può attivarsi, unitamente ai condomini, per fare rispettare la destinazione d'uso del bene comune, invocando l'art. 1117-quater c.c. che gli consente di diffidare il soggetto dal proseguire nella violazione e, previo assenso dell'assemblea (che delibera con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 2, c.c.), di intraprendere azione giudiziaria per la cessazione si tale attività.

Malgrado l'art. 70 disp. att. c.c. non sia compreso nell'ambito delle norme dichiarate inderogabili dall'art. 72 disp. att. c.c. vi è chi propende per tale lettura della norma che, testualmente, indica un limite minimo ed uno massimo, con la conseguenza che quello massimo non può essere superato. Sulle modalità di recupero della sanzione, inoltre, si è escluso il ricorso al decreto ingiuntivo che, dovendo avere per oggetto i «contributi» non può essere applicato alla fattispecie in esame, costituita appunto da una sanzione per violazione di norma regolamentare. In ogni caso, anche ammessa la concessione del provvedimento monitorio, lo stesso non potrebbe mai essere esecutivo. Per il recupero l'amministratore, quindi, dovrebbe procedere in via ordinaria, ma senza autorizzazione dell'assemblea (Triola, 434).

È stato, tuttavia, osservato che l'art. 70 disp. att. c.c. ha carattere di norma eccezionale in quanto contempla una cosiddetta “pena privata” che ha come destinatari i condomini. Essa, pertanto non può ritenersi applicabile ai conduttori degli alloggi condominiali, i quali, ancorché si trovino a godere delle parti comuni dell'edificio in base ad un rapporto obbligatorio, rimangono estranei all'organizzazione condominiale. (Cass. II, n.10837/1995; Cass. II, n. 10329/2008).

Per un maggior approfondimento sull'argomento si rinvia al commento dell'art. 70 disp. att. c.c.

Le attribuzioni dell'amministratore in questo ambito non si fermano alla notifica di formale diffida ma, nel persistere della trasgressione, il rappresentante, in forza dell'art. 1131 c.c. che richiama espressamente l'art. 1130 c.c., è legittimato, ad avviare le opportune azioni giudiziarie in via autonoma (ovvero senza che vi sia la necessità di una specifica autorizzazione al riguardo da parte dell'assemblea). È, infatti, pacifico, che il mancato rispetto delle norme regolamentari rappresenta, anche da un punto di vista giudiziario, una modalità per provvedere alla cura del regolamento condominiale. Attività che lo stesso deve svolgere anche se le violazioni si svolgano all'interno delle proprietà esclusive e con riflesso sulla compagine condominiale.

Sul punto la giurisprudenza ha precisato che il provvedimento dell'amministratore condominiale, con il quale, nell'esercizio dei suoi poteri di curare l'osservanza del regolamento di condominio ai sensi dell'art. 1130, comma 1, c.c. e di adottare i provvedimenti obbligatori per i condomini ex art. 1133 c.c., inviti un condomino (nella specie, mediante lettera raccomandata con la fissazione di un termine per l'adempimento) al rispetto del divieto regolamentare di collocazione di targhe senza l'autorizzazione dell'assemblea, sulla facciata dell'edificio, non costituisce atto illecito e non può, quindi, porsi a fondamento di una responsabilità risarcitoria personale dell'amministratore stesso (Cass. II, n. 13689/2011; Cass. II, n. 10347/2011).

In ordine al rispetto delle destinazioni degli immobili come fissate dal regolamento, prima di promuovere un'azione giudiziaria l'amministratore deve intervenire per fare cessare il comportamento di un condomino che, in contrasto con il regolamento condominiale, destini i seminterrati di sua proprietà a discoteca o sala da ballo (Cass. II, n. 2915/1979); oppure locali esclusivi a bar/ristorante (Cass. II, n. 21841/2010). È compito, infatti, dell'amministratore attivarsi per far cessare gli abusi, anche in assenza di previa delibera condominiale, posto che egli è tenuto ex lege a curare l'osservanza del regolamento di condominio al fine di tutelare l'interesse generale al decoro, alla tranquillità e all'abitabilità dell'edificio (Cass. II, n. 14735/2006) pur se si tratti di fare valere clausole che disciplinano l'uso delle parti del fabbricato di proprietà individuale (Cass. II, n. 8883/2005). Sempre con riferimento alla tutela della quiete dei condomini l'amministratore è tenuto a fare rispettare gli orari eventualmente indicati nel regolamento di condominio per l'espletamento di particolari attività all'interno degli appartamenti e, quindi, è tenuto a richiamare i condomini all'osservanza degli orari stabiliti per lo scuotimento dalle finestre delle tovaglie e per la battitura dei tappeti (Cass. II, n. 14735/2006).

Mentre con risalente decisione era stato affermato che a fronte del mutamento di destinazione di un locale in edificio condominiale, che il proprietario esclusivo del locale medesimo realizzi, mediante opere meramente interne, in violazione di vincolo imposto dal regolamento del condominio (nella specie, trasformazione di soffitta in vano abitabile), deve escludersi che i proprietari delle altre porzioni del fabbricato possano conseguire l'eliminazione di dette opere interne, spettando ad essi soltanto il diritto di ottenere l'inibizione del diverso uso, come pregiudizievole al titolare del sottostante appartamento, in dipendenza dei maggiori rumori derivanti dall'uso diuturno da parte degli abitanti, rispetto a quello discontinuo proprio della soffitta (Cass, II, n. 17/1985).

Se l'amministratore per fare rispettare il regolamento di condominio sia tenuto a rivolgersi al locatore, al conduttore o ad entrambi è questione che è stata più volte oggetto di controversie giudiziarie.

Nel caso di violazione di disposizioni legittimamente contenute nel regolamento condominiale che stabiliscano il divieto di destinare singoli locali dell'edificio a determinati usi, il condominio può chiedere nei diretti confronti del conduttore di un appartamento del fabbricato condominiale la cessazione della destinazione abusiva e l'osservanza in forma specifica delle istituite limitazioni, in quanto il conduttore non può trovarsi, rispetto al condominio, in posizione diversa da quella del condomino suo locatore, e ciò alla sola condizione che sia approvata l'operatività della clausola limitativa, o, in altri termini, la sua opponibilità al condomino locatore (Cass. II, n. 15756/2001; Cass. II, n. 4920/2006).

Il condominio, inoltre, può avanzare la stessa domanda sia al conduttore che al proprietario locatore. Peraltro, solo nell'ipotesi di richiesta nei confronti del conduttore, si verifica una situazione di litisconsorzio necessario con il proprietario. Tale situazione non si verifica, invece, nell'ipotesi in cui convenuto in giudizio sia soltanto il proprietario del locale e non anche il conduttore dello stesso, nei confronti del quale non vi sia stata, pertanto, richiesta di cessazione immediata dell'uso cui è adibito il negozio (Cass. II, n. 16240/2003).

Mentre il conduttore di un immobile sito nel fabbricato condominiale può obbligarsi nei confronti del condominio, mediante accordo con lo stesso, a rispettare un regolamento di condominio non impegnativo per il condomino locatore. Tuttavia è necessario che detto impegno sia assunto direttamente tra conduttore e condominio. Infatti, nel caso portato davanti ai giudici di legittimità, la Suprema Corte aveva escluso la configurabilità di detto accordo in presenza di una sottoscrizione unilateralmente apposta dal conduttore sul contratto di compravendita relativo all'unità immobiliare locata e contenente il richiamo al regolamento, non costituendo tale sottoscrizione l'accettazione di una proposta proveniente dal condominio ed a quest'ultimo comunicata (Cass. II, n. 10185/2012).

Non si può, infine, trascurare un richiamo all'art. 1133 c.c. secondo il quale contro i provvedimenti presi dall'amministratore nell'ambito dei suoi poteri, come delineati dagli artt. 1129 e 1130 c.c., i condomini – malgrado la loro obbligatorietà – hanno sempre la possibilità di ricorrere all'assemblea per ottenerne la revisione o l'annullamento, senza pregiudizio del loro diritto di ricorrere all'autorità giudiziaria.

I condomini hanno, altresì, il potere di tutela nei confronti dell'amministratore che, violando l'obbligo di cui all'artt. 1130, n. 1,.c.c.non si attiva per fare rispettare il regolamento di condominio. Si passa dall'invito verbale, alla richiesta scritta ovvero alla diffida. Quindi, i condomini, avvalendosi del diritto di cui all'art. 66, comma 1, c.c., possono chiedere all'amministratore di convocare un'assemblea straordinaria per discutere e tentare di risolvere la questione in via bonaria. A seconda del caso concreto potrà essere anche valutata l'opportunità, se ne sussistono i presupposti, di ricorrere all'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 1105, comma 4, c.c. secondo il quale quando non si prendono i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune si può adire l'autorità giudiziaria. Non è prevista, invece, un'azione diretta nei confronti dell'amministratore inadempiente, né la presentazione di ricorso per la revoca giudiziaria dell'amministratore, poiché l'inerzia del rappresentante per il rispetto del regolamento non è previsto come ipotesi di grave irregolarità ai fini dell'applicabilità dell'art. 1129, commi 11 e 12, c.c. Tuttavia, occorre valutare il caso concreto per accertare se l'inadempimento possa raffigurare un motivo di revoca, in considerazione del fatto che l'elenco di cui alla norma richiamata non è esaustivo (Papanice, 2019).

Disciplina dell'uso delle cose comuni

L'amministratore deve, nell'ambito delle sue specifiche attribuzioni e nell'interesse della collettività, disciplinare l'uso delle cose comuni e la fruizione (nel vecchio testo “prestazione”) dei servizi comuni, come disposto dal novellato n. 2) dell'art. 1130 c.c., così da assicurarne il miglior godimento a «ciascun» condomino (prima della riforma la norma faceva riferimento al miglior godimento di «tutti i condomini»).

Da questa modifica, in apparenza solo lessicale, può trarsi che l'utilità della gestione delle parti comuni si ricollega, tramite l'imputazione degli effetti dell'attività dell'amministratore-mediatore, nella sfera giuridica del condomino-mandante e non più del gruppo dei partecipanti al condominio: l'attenzione dell'amministratore, quindi, sembra rivolgersi essenzialmente verso l'obiettivo del godimento individuale del bene comune e non anche al simultaneo godimento da parte di tutti i condomini (Terzago, 377).

Per consuetudine il regolamento condominale, alla cui osservanza sono obbligati non solo i condomini, ma anche tutti i soggetti che, a qualunque titolo, occupino un posto nella compagine condominiale, riserva una sua parte proprio all'oggetto della norma in questione, le cui prescrizioni debbono essere eseguite dall'amministratore con l'adozione dei provvedimenti più opportuni.

Rispetto alle norme che disciplinano l'uso delle cose e dei servizi comuni, contenute in genere nei regolamenti assembleari, l'amministratore non si limita ad essere un mero esecutore del regolamento stesso, ma svolge un'attività concreta che rappresenta la manifestazione di un certo potere discrezionale (Branca, 571).

In ogni caso la discrezionalità dell'amministratore deve essere limitata, da un lato, dall'esigenza di assicurare l'uso e il godimento dei beni e dei servizi comuni a ciascun condomino in condizioni di parità tra ciascuno dei partecipanti al condominio e, dall'altro, dalla necessità della realizzazione del migliore utilizzo degli stessi beni e i servizi rispetto a tale soggetto.

In assenza del regolamento condominiale, ovvero nell'ipotesi di insufficiente o carente disciplina dello stesso, l'amministratore è tenuto ad emanare provvedimenti per intervenire in ordine all'utilizzazione delle cose e dei servizi comuni: il suo potere-dovere, attribuitogli dall'art. 1130, n. 2), c.c., riveste, peraltro, un carattere del tutto autonomo rispetto agli interventi dell'assemblea, anche se quest'ultima, come organo superiore, può modificare, in sede di ricorso proposto dal singolo o dai singoli condomini, ai sensi dell'art. 1133 c.c., i provvedimenti presi dell'amministratore medesimo.

È stato osservato anche che vi è uno stretto collegamento tra le prime tre attribuzioni affidate all'amministratore dall'art. 1130, nn. 1), 2), e 3), c.c., evidenziando – a questo proposito – l'autonomia gestionale del rappresentante per quanto riguarda l'uso dei beni comuni (lastrici solari, giardini, cortili e strade comuni ecc.). Rispetto ad essi, infatti, l'amministratore è legittimato ad operare senza necessità di autorizzazione dell'assemblea, scegliendo modalità e mezzi per l'attuazione della norma esaminata (ordinando merci; sottoscrivendo contratti; facendo eseguire le necessarie riparazioni ecc.). In ordine ai servizi comuni, invece, (portierato, riscaldamento centralizzato e condizionamento dell'aria, ascensore, ecc.) potendo/dovendo, a seconda delle circostanze, avvalersi di personale dipendente, il medesimo è titolare anche di poteri direttivi, di vigilanza, nonché disciplinari, assumendo in tali casi la qualità di datore di lavoro (si pensi ai portieri, ai pulitori, ai giardinieri), ispezionando all'uopo, ove necessario, anche i locali comuni.

Infatti, il dovere dell'amministratore, ai sensi dell'art. 1130, n. 2), c.c., di controllare e disciplinare il godimento di locali comuni (nella specie: locali destinati ad alloggio del portiere dopo la soppressione del servizio di portierato), implica, in mancanza di diverse disposizioni della assemblea, il diritto di detenere le chiavi dei suddetti locali, per assicurarne l'uso da parte dei singoli condomini in condizioni di parità (Cass. II, n. 5076/1983).

In ogni caso, inoltre, nell'espletamento dell'attività relativa alla disciplina dell'uso del bene comune, il legale rappresentante dell'edificio dovrà operare, quale mandatario del condominio, con la diligenza del bonus pater familias, giustificando specificamente, ove richiesto, che l'attività svolta viene esercitata per assicurare il miglior godimento del bene e dei servizi comuni (Terzago, 378).

Il potere disciplinare dell'amministratore, in ogni caso, non è assoluto, né incondizionato, poiché presenta alcune limitazioni in ragione dell'oggetto cui è diretta l'attività del medesimo.

Detto potere riguarda, come espressamente precisato dalla norma in esame, la disciplina dei beni e dei servizi comuni, talché è illegittimo un provvedimento dell'amministratore che regolamenti l'uso di beni non condominiali, fatta eccezione naturalmente nell'ipotesi in cui l'uso delle proprietà esclusive interferisca con le proprietà comuni.

Circa l'individuazione dei beni comuni può farsi riferimento ai criteri elaborati dalla giurisprudenza in relazione all'art. 1117 c.c., per cui debbono essere ritenute comuni non soltanto le parti che siano effettivamente di proprietà comune dei condomini, ma anche quelle che, pur appartenendo ad estranei o ad un solo condomino, siano tuttavia adibite ad un uso comune a tutti i partecipanti al condominio (Cass. II, n. 2055/1967; massima storica, tuttora valida).

La presunzione di comunione stabilita dal citato art. 1117 c.c., può essere, comunque, superata dal titolo d'acquisto e, in ogni caso, deve essere integrata dall'accertamento in concreto dell'effettiva destinazione del bene in contestazione sull'uso o meno comune.

Infatti, l'art. 1117 c.c. non stabilisce una presunzione legale di comunione per le cose in esso indicate nei nn. 1), 2) e 3); conseguentemente, una volta accertata l'attitudine funzionale di detti beni all'uso collettivo, la proprietà esclusiva può essere provata soltanto con il titolo che può essere costituito o dal regolamento contrattuale o dal complesso degli atti di acquisto delle singole unità immobiliari o anche dall'usucapione (Trib. Genova 9 novembre 2004).

Uso turnario

Assicurare un miglior godimento del bene da parte di ciascun condomino equivale a garantire che vi sia tra i partecipanti, rispetto a quel bene, una uniformità di trattamento.

Quanto a ciò è stato rilevato che il singolo condomino deve essere posto nelle condizioni di utilizzare i beni e i servizi comuni come tutti gli altri condomini, per cui deve ritenersi legittimo ed opportuno, qualora la contemporaneità del godimento non sia in concreto possibile e non vi sia accordo tra i condomini, che l'amministratore fissi un turno per la loro utilizzazione tra tutti i partecipanti alla comunione (De Renzis, 508).

In questo caso mentre l'assemblea, compatibilmente con la natura del bene, è deputata alla scelta di adottare un criterio alternativo di godimento, l'amministratore ha il compito non solo di fare rispettare la delibera assembleare ma anche di disciplinare e, quindi, di regolamentare la nuova modalità d'uso. Il tutto senza che vi sia una sovrapposizione tra l'attribuzione di cui all'art. 1130, n. 1), c.c. (esecuzione delle delibere assembleari) e quella di cui al tema in esame.

Il problema si pone in modo frequente allorché aree condominiali destinate a parcheggio non consentano la sosta contemporanea delle autovetture di tutti i condomini.

La Suprema Corte, anche in tempi recenti, si è espressa sull'uso turnario con nozioni chiare ed uniformi.

Se la natura di un bene immobile oggetto di comunione non ne permette un simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari, l'uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta oppure mediante avvicendamento, a mezzo dell'uso turnario della cosa comune da parte dei comproprietari; è, peraltro estranea al sindacato delle Corte di Cassazione ogni rivalutazione dell'opportunità della deliberazione dell'uso turnario risultando essa fondata su dati ed apprezzamenti di fatto rivolti alla realizzazione degli interessi comuni ed alla buona gestione dell'amministrazione (Cass. II, n. 29747/2017). Invero, l'uso paritetico della cosa comune, che va tutelato, deve essere compatibile con la ragionevole previsione dell'utilizzazione che in concreto faranno gli altri condomini della stessa cosa, e non anche della identica e contemporanea utilizzazione che in via meramente ipotetica e astratta essi ne potrebbero fare (Cass. II, n. 4617/2007).

Per quanto concerne, invece, le prerogative dell'organo deliberante è stato ritenuto che la delibera assembleare che, in considerazione dell'insufficienza dei posti auto compresi nel garage comune in rapporto al numero dei condomini, preveda il godimento turnario del bene e vieti ai singoli partecipanti di occupare gli spazi ad essi non assegnati, anche se gli aventi diritto non occupino in quel momento l'area di parcheggio loro riservata, non si pone in contrasto con l'art. 1102 c.c., ma costituisce corretto esercizio del potere di regolamentazione dell'uso della cosa comune da parte dell'assemblea; né la volontà collettiva espressa in assemblea, la quale, preso atto dell'impossibilità del simultaneo godimento in favore di tutti i comproprietari, escluda l'utilizzazione, da parte degli altri condomini, degli spazi adibiti a parcheggio eventualmente lasciati liberi dai soggetti che beneficiano del turno, neppure comporta una violazione dell'art. 1138 c.c., in quanto non impedisce il godimento individuale del bene comune, ed evita, piuttosto, che, attraverso un uso più intenso da parte di singoli condomini, venga meno, per i restanti, la possibilità di godere pienamente e liberamente della cosa durante i rispettivi turni, senza subire alcuna interferenza esterna, tale da negare l'avvicendamento nel godimento o da indurre all'incertezza del suo avverarsi (Cass. II, n. 12485/2012).

Al contrario non si può parlare di uso turnario ma di violazione dell'art. 1102 c.c. quando, in mancanza di consenso degli altri condòmini o di un loro comportamento inerte, un singolo partecipante abbia installato un impianto di condizionamento dell'aria occupando il 60% della superficie disponibile di un ballatoio comune, in tal modo impedendo l'installazione di analogo apparecchio da parte degli altri condòmini del piano. Né, in senso contrario, può invocarsi il concetto di godimento turnario o differenziato nel tempo e nello spazio, giacché il carattere stabile dell'installazione è destinata ad alterare definitivamente il rapporto di equilibrio tra i condòmini nel godimento dell'oggetto della comunione» (Cass. n. 17400/2017).

Uso di aree condominiali

Rientrano nell'accezione del termine tutti gli spazi, interni ed esterni al condominio, che siano, per titolo o destinazione, comuni (cortili, giardini, aree giochi, zone di disimpegno tra i vari edifici, autorimesse comuni e quant'altro). In tutti questi casi l'amministratore, tramite il potere di cui è titolare, deve garantire che ciascun condomino possa trarre dal bene comune il migliore godimento anche in termini qualitativi.

Si è affermato che l'autonomia dell'amministratore sia tanto ampia da negare qualsivoglia ingerenza dell'assemblea sulle sue decisioni. Tuttavia va precisato che, se l'esercizio dell'attribuzione conferita all'amministratore ai sensi dell'art. 1130, n. 2), c.c. interferisce con i diritti dei condomini, questi non può assumere decisioni unilaterali, avverso le quali potrebbe essere attivato l'art. 1133 c.c.

La presenza di un regolamento di condominio, ovvero di delibere assunte dall'assemblea, sono determinanti per individuare i limiti ai quali l'amministratore si deve attenere nell'esercizio delle sue attribuzioni.

Molto spesso il cortile comune, oltre che per parcheggio di autovetture, viene utilizzato dai condomini per il gioco dei bambini ed in relazione a tale destinazione talora l'insofferenza dei condomini è giustificata dalla immissioni di rumori e schiamazzi. Se il regolamento condominiale vieta il gioco dei bambini nel cortile comune, oppure lo consente in determinate ore del giorno, l'amministratore deve fare rispettare tali disposizioni (De Renzis, 508).

In relazione a tale fattispecie, tuttavia, è stato affermato che anche in caso di divieto, una delibera condominiale che consenta il «gioco bimbi» in orari non molesti, non determina una modifica della normale destinazione del cortile. A maggior ragione, peraltro, ove il regolamento non preveda alcuna specifica disposizione in merito, l'amministratore è legittimato a consentire il gioco dei bambini stessi (App. Milano 26 gennaio 1988).

Sempre con riferimento al cortile comune l'amministratore non ha, in via generale, un potere di disporre il divieto di transito con i veicoli, qualora ciò sia possibile ed utile per i condomini. Ha, invece, il potere di disciplinare tale attività, fissando degli orari per il carico e lo scarico delle merci, limitando la permanenza dei veicoli alla sola sosta temporanea, ove non sia possibile il parcheggio per un numero di automezzi sufficiente a soddisfare le esigenze di tutti i condomini, separando la zona pedonale da quella riservata al transito ed alla sosta delle autovetture (Bucci-Nicoletti-Redivo, 57).

Ne consegue che il provvedimento con il quale l'amministratore del condominio di edificio, esorbitando dai suoi poteri, leda i diritti dei singoli condomini sulle cose comuni (nella specie, il diritto di transitare con veicoli sul cortile comune, per accedere alle aree di rispettiva pertinenza, previsto dal regolamento condominiale), e affetto da radicale nullità (Cass. II, n. 472/1976).

In tema di passaggio carrabile su aree comuni la deliberazione dell'assemblea condominiale che autorizza il passaggio carrabile di alcuni condomini, già titolari di un diritto di passaggio di passaggio pedonale, su di un viale comune del fabbricato, regola l'uso del bene comune, demandato all'amministratore, al quale possono tuttavia sostituirsi, in qualità di mandanti, tali condomini, costituendo la loro posizione un diritto personale a loro favore, se adottata a maggioranza, purchè non comprima i diritti ad essi appartenenti per convenzione o per effetto dell'acquisto delle unità immobiliari o per legge (Cass, II, n. 3424/1998).

Per quanto concerne le zone condominiali destinate al parcheggio l'amministratore può, senza sconfinare dalle sue attribuzione, installare nelle aree di manovra cartelli con il segnale di divieto di sosta; prendere provvedimenti – anche in sede giudiziaria – nei confronti dei condomini che parcheggino le proprie autovetture al di fuori delle zone consentite; diffidare ed eventualmente agire in giudizio nel caso in cui non siano rispettati i tempi nell'uso turnario; fare valere il divieto espresso nel regolamento di condominio di parcheggiare le auto od i motocicli in parti in cui impediscano il passaggio di altri utenti, e così via.

L'assemblea condominiale, inoltre, può validamente deliberare con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 2, c.c. (e non con l'unanimità ex art. 1138 c.c.) la specifica destinazione dei posti auto disponibili nel cortile dell'edificio, per assicurare ai condomini il miglior godimento e la migliore utilizzazione dei detti posti auto, senza che ne derivi una violazione del principio del godimento paritario per l'impossibilità di assicurare a ciascun condomino un posto macchina, in quanto il pari uso della cosa comune non postula necessariamente il contemporaneo uso da parte di tutti i compartecipi della comunione, che resta affidato alla concreta regolamentazione per ragioni di coesistenza (Cass. II, n. 12873/2005).

In questo caso i poteri dell'amministratore, previsti dall'art, 1130, nn. 1) e 2), c.c. si sovrappongono.

È inoltre possibile recintare una zona verde comune al fine di evitare che la medesima venga arbitrariamente calpestata. In questo caso il deliberato dall'assemblea condominiale a difesa della proprietà comune, non può essere ricondotto nell'ipotesi di innovazione funzionale al miglior uso della cosa comune, né può essere considerata una innovazione capace di creare pregiudizio alla medesima: piuttosto, configura una semplice sistemazione della cosa comune che rientra nell'ordinaria amministrazione dell'amministratore. Viceversa, sono innovazioni vietate – se non approvate nei termini di legge – tutte quelle opere che alterano nella sostanza la destinazione o la funzionalità del bene comune, turbando così l'equilibrio fra gli interessi dei comunisti» (Cass. II, n. 4508/2015).

La disciplina dell'uso delle cose comuni stabilita dall'art. 1130, n. 2), c.c. non si ferma all'atto materiale che la rappresenta, ma comprende anche l'attività giudiziaria necessaria per la sua tutela.

Ne consegue che l'amministratore, che intenda agire in giudizio, in rappresentanza del condominio, per ristabilire la disciplina dell'uso di un bene ritenuto comune, non necessita ex art. 1131, comma 1, c.c., sotto il profilo della legittimazione (Trib. Genova 9 maggio 2012).

Altre fattispecie sull'uso delle cose comuni

La demolizione di una struttura che fa parte dei beni comuni del condominio, effettuata su iniziativa dell'amministratore e senza l'autorizzazione dell'assemblea, integra un'attività illegittima, non rientrando tra le attribuzioni dell'amministratore quella di eliminare un bene comune condominiale, neppure nell'ipotesi in cui l'abbattimento renda possibile un eventuale accesso di mezzi di soccorso o antincendio. Tale ultima ipotesi potrebbe – semmai – consentire all'amministratore, in caso di urgenza, di procedere a lavori di manutenzione straordinaria ex art. 1135 c.c., salvo riferirne alla prima assemblea, ma giammai di eliminare totalmente la struttura comune o di apportare modifiche strutturali incidenti sul decoro architettonico (Cass. II, n. 1382/2007; Cass. II, n. 6567/2006, ove si precisa che nel potere-dovere dell'amministratore di disciplinare l'uso delle cose comuni non può ritenersi ricompreso anche quello di vietarne del tutto l'utilizzo).

Piuttosto ampi i poteri dell'amministratore con riferimento alle modalità d'uso del portone condominiale.

In tema di controversie tra condomini, ai sensi dell'art. 7 c.p.c., appartengono alla competenza per materia del giudice di pace le cause relative alla misura ed alle modalità di uso dei servizi di condominio, tra le quali rientra la lite che riguardi l'installazione di apertura automatica del portone di ingresso dello stabile mediante citofoni installati nelle singole unità immobiliari, nonché l'adozione dell'uso della chiave per l'utilizzo dell'ascensore, giacché non viene messo in discussione il diritto stesso del condomino ad un determinato uso delle cose comuni, essendo controversa soltanto la regolamentazione della misura e modalità d'uso dei suddetti servizi (Cass. II, n. 4256/2006). La controversia relativa alla chiusura o apertura del portone dell'edificio condominiale, e quindi al modo e al tempo di esercizio del godimento del bene comune, rientra nella competenza esclusiva del giudice di pace ex art. 7, n. 2), c.p.c. (Trib Brescia 11 gennaio 2001).

Nel caso di incendio sviluppatosi nell'ambito di un edificio condominiale privo di servizio di portierato, il semplice fatto che tale incendio sia stato provocato ad opera di soggetto estraneo, introdottosi nell'edificio attraverso il portone di ingresso lasciato incautamente aperto, non è di per sé sufficiente ad escludere la responsabilità del condominio in ordine all'origine dell'incendio, qualora si accerti che, per le particolari circostanze in cui è stato in concreto posto in essere l'atto illecito del terzo, il compimento di tale atto è stato reso possibile dall'assenza di idonea custodia da parte del condominio (Trib. Milano 11 agosto 1997).

L'apposizione di una serratura manuale al portone di ingresso di un edificio condominiale in sostituzione di un preesistente sistema di apertura elettrocomandata, configura un'innovazione vietata ex art. 1120 c.c. in quanto, costringendo a scendere le scale per aprire il portone, determina o può determinare un'evidente compressione alla facoltà di godimento della cosa comune e della stessa proprietà esclusiva nei confronti di chi soffre di gravi limitazioni fisiche» (Trib. Milano 11 marzo 1997).

L'installazione ex l. n. 13 del 1989 di una piattaforma mobile idonea al sollevamento dal livello giardino al livello del piano della hall, pur comportando l'avanzamento di quaranta cm. verso l'esterno di una struttura metallica con la creazione di un nuovo scalino esterno al portone, non determina alcuna innovazione né con riferimento alla funzione propria dell'atrio e del portone d'ingresso, né in relaziona al del decoro architettonico dell'edificio, la cui tutela deve essere contemperata anche con altre esigenze nella specie particolarmente rilevanti in quanto connesse ai principi di eguaglianza e di solidarietà anche costituzionalmente protetti» (Trib. Milano 7 maggio 1992).

È da ritenersi lecita l'installazione di una telecamera nel pianerottolo comune che consenta la sola diretta osservazione del portone di ingresso e dell'area antistante la porta d'ingresso alla singola unità immobiliare; mentre non è ammissibile l'installazione di apparecchiature che consentano di osservare le scale, gli anditi ed i pianerottoli comuni, in quanto ciò comporta una possibile lesione e compressione dell'altrui diritto alla riservatezza (Trib. Milano 6 aprile 1992).

L'installazione di un impianto di campanello e citofono, per consentire il collegamento con l'esterno di un appartamento in edificio condominiale e l'apertura del portone di quest'ultimo, non integra imposizione di servitù a carico della proprietà condominiale, ma configura un uso del bene comune, legittimo nei limiti in cui non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso» (Cass. II, n. 3795/1982).

Non rientra nelle attribuzioni dell’amministratore la concessione in godimento di spazi comuni se non tramite apposita delibera assembleare. L’uso indiretto del bene comune, infatti, è possibile se approvato dall’assemblea con deliberazione a maggioranza, essendo necessario vagliare se sia possibile o meno un uso diretto del bene comune da parte di tutti i condomini (App. Genova 13 giugno 2024, n. 839. Fattispecie concernente l’installazione, sulla facciata del condominio, di uno “schermo ledwall” destinato a pubblicizzare attività svolte da soggetti terzi estranei al condominio, previo versamento di un canone fisso mensile. Nota Bordolli 2024).

Gli animali in condominio

La questione concernente la detenzione di animali ha assunto particolare rilevanza con la riforma del 2012 che, sollecitata dalla copiosa giurisprudenza sulle problematiche condominiali, con l'art. 1138, comma 5, c.c., ha stabilito che le norme del regolamento del condominio non possono vietare o detenere animali domestici.

Qualunque divieto alla detenzione di animali previsto da un previgente regolamento condominiale deve intendersi caducato ex art. 1138, ultimo comma, c.c. (aggiunto dalla legge di riforma del condominio), configurandosi una forma di nullità sopravvenuta delle clausole contrarie al nuovo disposto normativo» (Giudice pace di Pordenone 21 luglio 2016).

L'operatività di tale divieto, che riguarda diritti inerenti alle proprietà esclusive, in ogni caso, si deve conciliare, quanto alla estrinsecazione del corrispondente diritto, con la disciplina dell'uso delle cose comuni, che deve anche garantire il rispetto di un comportamento civile da parte dei proprietari di animali.

L'amministratore, nell'ambito delle sue attribuzioni ed in mancanza di una clausola regolamentare specifica, non può, senza motivazione, vietare l'uso dell'ascensore ai proprietari accompagnati dal proprio animale. Tuttavia se siano stati accertati validi motivi per fare scattare tale divieto (ad esempio, la cabina viene sporcata dagli escrementi delle bestie) l'amministratore può fare scattare il divieto, che può essere anche generalizzato nel momento in cui non sia stato possibile individuare l'autore del comportamento pregiudizievole.

Qualora, invece, vi sia una clausola regolamentare espressa che sia costantemente violata, l'amministratore, previa formale diffida notificata al trasgressore, potrà ricorrere all'applicazione dell'art. 70 disp. att. c.c., tenendo conto che l'entità della sanzione deve essere sempre decisa dall'assemblea.

L'amministratore, invece, può apporre un cartello con divieto a fare circolare l'animale in determinate aree condominiali, come ad esempio giardini recintati, aiuole con piante e fiori, zone destinate ai giochi dei bambini.

Altro problema è costituito dalla circostanza se nelle zone condominiali il cane debba circolare obbligatoriamente con il guinzaglio.

Qui si pone una questione di sicurezza che costituisce un aspetto sostanziale del miglior godimento del bene comune, che ha trovato tutela nell'art. 1130, n. 2, c.c..

Il Ministero della salute, con ordinanza 6 agosto 2013, prorogata con pari provvedimento del 13 luglio 2016, ha dettato norme comportamentali per i proprietari di cani che devono adottare determinate misure, quali l'utilizzo del guinzaglio a lunghezza non superiore ad mt. 1.50 quando l'animale è condotto nelle aree urbane e nei luoghi aperti al pubblico.

Come affermato dalla Corte, in tema di condominio negli edifici, il diritto di cui è titolare ciascun condomino di usare e godere delle cose di proprietà comune a suo piacimento trova limite nel pari diritto di uso e di godimento degli altri condomini; pertanto, l'usare degli spazi comuni di un edificio in condominio facendovi circolare il proprio cane senza le cautele richieste dall'ordinario criterio di prudenza può costituire una limitazione non consentita del pari diritto che gli altri condomini hanno sui medesimi spazi, se risulti che la mancata adozione delle suddette cautele impedisce loro di usare e godere liberamente di tali spazi comuni (Cass. II, n. 14353/2000). E sempre la Corte ha affermato che si intende aperto al pubblico il luogo cui ciascuno può accedere in determinati momenti ovvero il luogo al quale può accedere una categoria di persone che abbia determinati requisiti. Devono, pertanto, essere considerati luoghi aperti al pubblico l'androne di un palazzo e la scala comune a più abitazioni (Cass. II, n. 28853/2009).

Dal coordinamento di tali principi deriva che la nozione di luogo aperto al pubblico può essere esteso al condominio in generale, con la conseguenza che in esso trova spazio applicativo l'ordinanza del Ministero della salute. L'amministratore, quindi, ben potrà diffidare i condomini – anche senza che vi sia stato un evento dannoso, ma in via del tutto cautelativa – a dotare il proprio cane di guinzaglio.

Vigilanza sui servizi comuni

L'amministratore deve assicurare anche la fruizione dei servizi comuni mediante un'attività di controllo, sorveglianza e custodia con la quale, ancora una volta, deve essere il garante del loro utilizzo in condizioni di parità da parte di ciascun condomino. Nel contempo il rappresentante del condominio deve assicurare lo svolgimento regolare dei servizi, anche con riguardo alle interferenze delle proprietà esclusive sulla loro operatività.

Infatti tra le incombenze spettanti all'amministratore del condominio ai sensi dell'art. 1130, n. 2, c.c., rientrano la vigilanza sulla regolarità dei servizi comuni anche per quanto attiene alle interferenze con i singoli appartamenti, nonché il dovere di eseguire verifiche e di impartire le necessarie provvidenze intese a mantenere integra la parità del godimento dei beni comuni da parte di tutti i condomini. Pertanto ben può essere disposta la sostituzione negli impianti di termosifone centrale esistente, esistenti nei singoli appartamenti, dei bocchettoni liberamente manovrabili con detentori fissi, quando tale rimedio sia volto a disciplinare l'uso del servizio da parte dei singoli condomini (Principio consolidato. Cass. II, n. 10144/1996; Cass. II, n. 1216/1960).

L'amministratore, quindi, in relazione a questo suo potere-dovere di vigilanza, è tenuto ad eseguire le verifiche necessarie al buon funzionamento dei servizi comuni, nonché a disporre gli indispensabili (o, quanto meno gli opportuni) provvedimenti per mantenere integra la parità di godimento tra tutti i condomini dei beni e dei servizi comuni potendo anche, in via d'urgenza, chiedere al giudice competente, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., di adottare le misure idonee a fare cessare l'uso non consentito della cosa comune.

Ascensore

L'impianto di risalita viene preso in considerazione per il profilo concernente il suo utilizzo improprio da parte dei condomini.

È stato affermato che l'amministratore potrà limitare l'uso stesso qualora tale disciplina sia diretta ad evitare abusi od un uso anomalo tale da compromettere la sicurezza dell'impianto o la possibilità per gli altri condomini di fruire del servizio in condizioni di comodità e di normalità: sarà invece illegittimo il provvedimento che comporti una limitazione irrazionale non ispirata a tali criteri (Bucci-Nicoletti-Redivo, 57).

In questo ambito integra una molestia possessoria la regolamentazione da parte dell'amministratore dell'uso delle parti e dei servizi comuni, anche se adottata nel convincimento di agire nel legittimo esercizio delle attribuzioni a lui devolute dall'art. 1130, n. 2), c.c. Quindi è illegittimo il divieto di usare l'ascensore per il trasporto di materiale edilizio, ove non si accerti che tale uso risulti concretamente dannoso, sia compromettendo la buona conservazione delle strutture portanti e del relativo abitacolo, sia ostacolando la tempestiva e conveniente utilizzazione del servizio da parte degli altri condomini, in relazione alla frequenza giornaliera del suddetto uso particolare e agli inconvenienti che possono derivarne al decoro dell'edificio, tenuto conto delle cautele che vengono o meno adoperate in ciascun caso concreto per la custodia del materiale trasportato, del numero degli utenti che normalmente si servono dell'ascensore per accedere alle varie unità immobiliare, nonché di ogni altra circostanza rilevante per accertare le eventuali conseguenze pregiudizievoli che, in ciascun caso concreto, possono realmente derivare dal su indicato uso particolare dell'ascensore (Cass. II, n. 686/1982).

Parimenti e contestualmente alla precedente decisione era stato affermato che anche nel condominio degli edifici trova applicazione, relativamente ai beni comuni, il principio, desumibile dall'art. 1102 c.c., che consente al singolo condomino di usare della cosa comune anche per un suo fine particolare, con conseguente possibilità di ritrarre dal bene una specifica utilità aggiuntiva rispetto a quelle generali ridondanti a favore degli altri condomini, con il solo limite che non ne derivi una lesione del pari diritto spettante a questi ultimi. Da tanto consegue che in difetto di specifiche limitazioni stabilite dal regolamento di condominio, l'uso dell'ascensore per il trasporto di materiale edilizio può essere legittimamente inibito al singolo condomino solo dopo un accertamento, concreto e specifico, della sussistenza di un danno nei confronti dei condomini (Cass. II, n. 2117/1982).

Anche se non strettamente collegato all'art. 1130, n. 2), c.c. assume, tuttavia, rilevanza la questione concernente l'installazione dell'impianto di risalita in edificio condominiale, tanto ad opera del condominio, quanto dei condomini che agiscano in forza dell'art. 1121, c.c.. In questo caso vale, comunque e sempre, il rispetto dell'uso pacifico che i condomini devono poter fare del bene comune.

È stato, in particolare, affermato che in sede di verifica, ex art. 1120, comma 2, c.c., circa l'attitudine dell'opera di installazione di un ascensore a recar pregiudizio all'uso o godimento delle parti comuni da parte dei singoli condomini, è necessario tenere conto del principio di solidarietà condominiale, secondo il quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé il contemperamento, al fine dell'ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali, di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all'eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto, peraltro, di un diritto fondamentale che prescinde dall'effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati. La solidarietà, peraltro, costituisce principio generale di applicazione erga omnes e ad hoc: così, è consentita l'installazione di un ascensore, in quanto diretto ad eliminare le barriere architettoniche, mediante delibera assunta con maggioranza speciale in deroga a quella qualificata codicistica; è, quindi, legittima, e va pertanto confermata la sentenza di merito con cui, accertata la presenza di condomini con problematiche di salute, l'adozione della delibera a maggioranza degli intervenuti rappresentanti la metà del valore dell'edificio, accertata l'assenza di pregiudizi al passaggio di una persona, anche seduta ed accompagnata, ed al decoro architettonico nonché di ostacoli all'eventuale passaggio di mezzi di soccorso e quindi, la correttezza giuridica della ratio decidendi, nonché l'assoluta esaustività e congruità logico-formale della stessa (Cass. II, n. 16486/2015).

Mentre nel caso dell'installazione dell'ascensore, effettuata ai sensi dell'art. 1120, comma 1, c.c., si ricade nell'ambito di una decisione tipicamente condominiale, quando sia il condomino od un gruppo di condomini ad avvalersi del diritto sancito dall'art. 1121 c.c. (impianto suscettibile di utilizzazione separata, che consente una decisione unilaterale con spese a carico solo di coloro che intendano installare l'impianto e salvaguardia del diritto dei restanti condomini di partecipare all'innovazione), l'amministratore non può esimersi dal dovere di investire l'assemblea della questione.

In tema di condominio, l'installazione di un ascensore, al fine dell'eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata da un condomino su parte di un cortile e di un muro comuni, deve considerarsi indispensabile ai fini dell'accessibilità dell'edificio e della reale abitabilità dell'appartamento, e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell'art. 1102 c.c., senza che, ove siano rispettati i limiti di uso delle cose comuni stabiliti da tale norma, rilevi, la disciplina dettata dall'art. 907 c.c. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, neppure per effetto del richiamo ad essa operato nell'art. 3, comma 2, l. 9 gennaio 1989, n. 13, non trovando detta disposizione applicazione in ambito condominiale (Cass. II, n. 14809/2014).

Riscaldamento

Assicurare che ciascuno e tutti i condomini possano beneficiare nel modo migliore dell'impianto di riscaldamento, passa per alcuni interventi che l'amministratore, a seconda della loro complessità, può eseguire direttamente oppure tramite ricorso all'assemblea del condominio.

La quantità di calore erogata dall'impianto di riscaldamento centralizzato deve essere uniforme in tutte le unità immobiliari.

L'impianto comune, quindi, deve essere strutturato in modo da assicurare, nelle ore di accensione, un pari grado di calore a tutti gli appartamenti che compongono uno stabile (Mistò, 107; Dogliotti-Figone, 141). In caso contrario è necessario che il condominio, e per esso l'amministratore, adotti tutti gli accorgimenti tecnici per il raggiungimento di tale risultato. Qualora il carente riscaldamento di un appartamento, poi, dipenda da una inadeguatezza nell'organizzazione e conduzione del servizio sarà ugualmente indispensabile un intervento diretto dell'amministratore, tramite personale tecnico e senza la necessità di una delibera assembleare (Celeste-Nicoletti, 17).

A proposito di riscaldamento insufficiente, con decisione risalente, cui non sono seguite ulteriori pronunce sul punto, è stato affermato che ogni condomino ha il diritto di ottenere che l'impianto di riscaldamento sia strutturato in modo da assicurare, nelle ore di accensione, un uniforme riscaldamento di tutti gli appartamenti e ciò attraverso opportuni accorgimenti tecnici, quali una differenziazione delle superfici radianti, in rapporto alla posizione, struttura, esposizione e volumetria di ogni appartamento. Se, peraltro, le caratteristiche di posizione, struttura ed esposizione di un appartamento (nella specie, attico) siano tali da determinare nelle ore di interruzione del funzionamento dell'impianto un calo della temperatura più accentuato che negli altri appartamenti, al di fuori di qualsiasi deficienza nell'organizzazione e conduzione del servizio, il condomino interessato ha diritto di ottenere una maggiore fruizione del servizio comune – nei limiti stabiliti dalle norme generali regolanti il funzionamento degli impianti termici – purché ciò sia consentito dalle caratteristiche dell'impianto e possa effettuarsi senza pregiudizio o disagio per gli altri condomini, restando a carico del richiedente la maggiore spesa derivante dal protratto o più inteso funzionamento dello impianto (anche in relazione all'eventuale deterioramento) e quella che possa rendersi necessaria per la messa in opera di strumenti o l'adozione di accorgimenti tecnici atti ad evitare un eccesso di calore negli altri appartamenti (Cass. II, n. 3775/1981).

Tale disfunzione si può determinare per un difetto nella generale distribuzione dell'acqua nell'appartamento di un condomino, talché non si ha la medesima erogazione di calore assicurata negli altri appartamenti. In questo caso, in forza dell'art. 1130, n. 2, c.c. e per la parte specifica della fruizione dei servizi comuni, l'amministratore deve informare l'assemblea sollecitando gli interventi necessari per eliminare ogni vizio o difetto di funzionamento, con l'eventualità di dovere risarcire il condomino danneggiato (Trib. Milano 26 gennaio 1989).

Altra anomalia che può caratterizzare l'impianto di riscaldamento è la sua rumorosità, che deve essere rimossa con l'adozione di interventi tecnici idonei a ricondurre il funzionamento dello stesso nei limiti della norma, con l'eliminazione di rumori e delle vibrazioni provenienti dalle strutture che alimentano la rete del riscaldamento condominiale.

A ciò deve provvedere l'amministratore trattandosi di attività che rientra nell'ambito delle attribuzioni a lui riservate dall'art. 1130, n. 2), c.c. Vi è, quindi, una diretta responsabilità del rappresentante condominiale che non adotti le misure idonee a superare la situazione che impedisce una normale fruizione del servizio. Tale obbligo sussiste non solo nei confronti dei condomini, ma anche del conduttore, dal momento che l'art. 844 c.c., norma di riferimento in materia di immissioni, inserita tra quelle relative alla proprietà ma applicabile in via analogica anche alle situazioni condominiali, ha natura sociale ed è finalizzata a tutelare i diritti della salute.

È pacifico in giurisprudenza e in dottrina che deve considerarsi illegittimo un provvedimento dell'amministratore che consenta il funzionamento del riscaldamento centralizzato in periodo invernale solo a giorni alterni o addirittura che non consenta l'attivazione del servizio nel periodo freddo (De Renzis-Ferrari-Nicoletti-Redivo, 509).

Servizio di portierato

Il corretto funzionamento del servizio di portierato è assicurato tramite i controlli che l'amministratore esercita sul portiere, dipendente del condominio che viene assunto dal rappresentante. L'amministratore, infatti, è tenuto a vigilare che il portiere svolga scrupolosamente le mansioni a lui affidate e quando vi siano rimostranze da parte dei condomini nei confronti del suo operato, dopo attento accertamento dei fatti, sarà tenuto ad applicare i provvedimenti disciplinari previsti dal contratto collettivo per i dipendenti degli edifici.

Tali provvedimenti sono graduati in ragione della gravità dell'inadempimento: lievi mancanze portano ad un rimprovero verbale o scritto; l'applicazione di una multa (nei limiti di quattro ore del salario e da versare dall'amministratore alla C.R.I.) consegue alla recidiva nelle mancanze ovvero all'assenza ingiustificata dal lavoro; la sospensione dal servizio e dalla retribuzione è determinata da violazioni tali da non provocare il licenziamento, ma più gravi di quelle che comportano le precedenti sanzioni (ad esempio nel caso in cui il soggetto sia sottoposto a procedimento penale non colposo). Per i provvedimenti disciplinari più gravi l'amministratore è tenuto ad agire con tempestività, contestando al dipendente fatti precisi.

Il provvedimento più grave che l'amministratore può prendere nei confronti del portiere è il licenziamento al quale si può arrivare, ad esempio, quando il lavoratore in servizio sia in ripetuto stato di ubriachezza, oppure allorché si allontani dal posto di lavoro, senza giustificazione e senza permesso, per più di tre giorni lavorativi od ancora quando vengano a mancare le condizioni che rendano possibile la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Il potere dell'amministratore di licenziare il portiere non esclude il potere dell'assemblea dei condomini – che sia stata invitata dall'amministratore a ratificarne l'operato – di «revocare» il licenziamento stesso (Cass. II, n. 4437/1985).

Va, difatti, ricordato che, per quanto i provvedimenti presi dall'amministratore nell'ambito dei suoi poteri siano obbligatori per tutti i condomini, l'art. 1133 c.c. prevede che, contro tali atti, sia ammesso il ricorso all'assemblea senza il pregiudizio di un eventuale ricorso all'autorità giudiziaria.

Per altri profili la giurisprudenza di legittimità, con riferimento a fattispecie ben anteriore alla novella del 2012, aveva affermato che in virtù dell'istituto della prorogatio l'amministratore di un condominio di un edificio, cessato dalla carica per scadenza del termine previsto dall'art. 1129 c.c. o per dimissioni, continua ad esercitare tutti i poteri previsti dall'art. 1130 c.c., attinenti alla vita normale ed ordinaria del condominio, fino a quando non sia stato sostituito con la nomina di altro amministratore; pertanto, l'amministratore deve continuare a provvedere, durante la gestione interinale, all'adempimento delle incombenze ed attribuzioni previste dall'art. 1130 c.c. e così a riscuotere i contributi condominiali e ad erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni, compreso quello di portierato, con la conseguenza che, in caso di ritardata presentazione delle denunce contributive e di ritardato pagamento dei contributi previdenziali dovuti per il portiere, l'amministratore è tenuto a rivalere il condominio delle somme da quello versato all'Inps a titolo di sanzioni amministrative (Cass. II, n.3588/1993).

Ciò significa che l'amministratore di condominio può essere chiamato a responsabilità diretta , per avere materialmente concorso, con atti o comportamenti, alla commissione delle infrazioni ( Cass. II , n. 4561/2023 ). La gestione del rapporto di lavoro del custode del condominio rientra certamente tra gli atti di gestione della cosa comune e tenuta della contabilità demandata all'amministratore di condominio proprio dall'art. 1130 c.c., che riserva all'amministratore i compiti di erogare le spese occorrenti per l'esercizio dei servizi comuni e di eseguire gli adempimenti fiscali (termine da intendersi in senso lato). Nell'ambito di tali mansioni, dunque, l'amministratore di condominio è obbligato principale in qualità di rappresentante di ente privo di personalità giuridica (Trib. Torino 5 marzo 2024, n. 573 ).

Resta da vedere se permanga la validità di tale principio alla luce dell'entrata in vigore dell'art. 1129, comma 8, c.c., secondo il quale l'amministratore cessato dalla carica è abilitato solo ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi dei condomini. Anche perché non è detto che il periodo che intercorre tra le dimissioni dell'amministratore e l'entrata in carica del nuovo sia tanto breve da non interferire con adempimenti a carico dell'amministratore (come quelli oggetto della massima richiamata) che si rivelino, invece, in concreto urgenti.

Anche per quanto concerne l'alloggio del portiere sussistono, in capo all'amministratore, determinate attribuzioni che, in senso lato, si possono ricondurre all'ipotesi legislativa di cui all'art. 1130, n. 2), c.c.

Ad avviso della Corte, infatti, l'amministratore del condominio, a cui spetta ai sensi degli artt. 1130 e 1131 c.c. la disciplina della gestione e dell'uso delle cose comuni, nonché dell'esercizio del servizio comune di portierato, può, anche senza deliberazione dell'assemblea dei condomini, agire per il rilascio dell'immobile adibito ad alloggio del portiere, che sia deceduto, da parte del coniuge del medesimo, che detenga l'immobile senza titolo (Cass. II, n. 7162/1991), oppure, anche senza deliberazione della assemblea dei condomini, agire per il rilascio dell'alloggio detenuto senza titolo dal portiere licenziato (cui l'alloggio stesso era stato concesso ad integrazione della retribuzione), dipendendo tale rilascio dalla risoluzione di un rapporto obbligatorio assunto per la gestione del servizio comune ed essendo il recupero di detto alloggio essenziale per l'ulteriore espletamento dello stesso servizio (Cass. II, n. 4780/1985). Ed ancora, il dovere dell'amministratore, ai sensi dell'art. 1130, n. 2), c.c., di controllare e disciplinare il godimento di locali comuni (nella specie: locali destinati ad alloggio del portiere dopo la soppressione del servizio di portierato) implica, in mancanza di diverse disposizioni della assemblea, il diritto di detenere le chiavi dei suddetti locali, per assicurarne l'uso da parte dei singoli condomini in condizioni di parità (Cass. n. 5076/1983).

Impianto idrico e impianto fognario

Ai sensi dell'art. 1117, comma 1, n. 3), c.c. si è in presenza di impianti che, se il contrario non risulta dal titolo, sono di proprietà comune, compresi i relativi collegamenti, fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini.

Il potere/dovere dell'amministratore di assicurare la fruibilità di detti impianti coincide, necessariamente, con il godimento del relativo servizio e si ferma alla parte condominiale dei medesimi che, tuttavia, sono posizionati anche all'interno delle proprietà esclusive dove sono allocate le rispettive colonne di adduzione e di scarico dell'acqua.

Si è posto il problema se nelle attribuzioni dell'amministratore debba rientrare anche quella concernente il controllo sulla qualità dell'acqua fornita al condominio.

La Circolare del Ministero della salute, in data 10 giugno 2004, avente ad oggetto un chiarimento sulla portata della norma contenuta nell'art. 5 del d.lgs. n. 31 del 2001, ha escluso qualsivoglia obbligo di controllo da parte dell'amministratore di condominio in questo senso. La nota del Ministero ha testualmente affermato che «per quanto concerne gli edifici ad uso esclusivamente abitativo, l'amministratore del condominio ovvero, in assenza di questo, i proprietari non hanno l'obbligo di effettuare le attività ed i controlli previsti dagli artt. 7 ed 8 del decreto in oggetto, bensì quello derivante dall'attività di controllo dello stato di adeguatezza e di manutenzione dell'impianto».

Non per questo, tuttavia, si deve ritenere che la responsabilità dell'amministratore e per esso del condominio sulle condutture idriche comuni e sulla loro efficienza e salubrità sia esclusa. Infatti, tale obbligo permane in capo all'amministratore ai sensi dell'art. 2051 c.c., qualora emerga che le caratteristiche dell'acqua, dal contatore (punto di consegna) all'utenza risultino alterate e tale alterazione possa dipendere, ad esempio, dalle condizioni di vetustà delle tubazioni. In questo caso il rappresentante del condominio, in forza delle sue attribuzioni, dovrà convocare l'assemblea ponendo la questione all'ordine del giorno. Sarà, quindi, necessario svolgere una perizia per accertare se le condizioni delle condutture sia tale da determinare, ad esempio, la presenza di particelle sospese nell'acqua in quantitativo superiore alla norma, oppure se il problema non sia a monte, ovvero causato proprio dall'ente erogatore. In tal caso potrà essere richiesto l'intervento della ASL di competenza (Celeste-Nicoletti, 109).

Per quanto concerne gli scarichi fognari, ai fini di assicurare la corretta fruizione del servizio condominiale, è compito dell'amministratore accertare che tra impianto esclusivo ed impianto condominiale non si generino interferenze tali da procurare un danno al bene comune.

L'allaccio di nuovi scarichi nella colonna condominiale di smaltimento delle acque luride configura un uso più intenso della cosa comune, poiché è evidente che se una colonna di scarico è originariamente destinata a servire un determinato numero di bagni, le eventuali nuove immissioni implicano un sovraccarico della sua utilizzazione. Non per questo, tuttavia, si deve astrattamente escludere il maggior utilizzo del bene da parte del condomino, poiché ai fini di un eventuale divieto ciò che rileva è lo squilibrio che si potrebbe determinare tra la nuova utilizzazione e quella fino a tale momento esercitata (Celste-Nicoletti, 112).

Ed invero ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un'utilità maggiore e più intensa di quella tratta eventualmente in concreto dagli altri proprietari, purché non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso, e senza che tale uso più intenso sconfini nell'esercizio di una vera e propria servitù (Cass. II, n. 22341/2009). Allorché il condominio voglia negare l'autorizzazione a nuovi allacci in fogna è onere dello stesso dimostrare che anche una sola utenza incide nella funzionalità dell'impianto, non potendo opporsi che il divieto all'allaccio sia finalizzato ad impedire un mutamento di destinazione della unità immobiliare (Cass. II, n. 21832/2007). In ogni caso il potere dell'amministratore del condominio di disciplinare l'uso dei beni comuni è finalizzato ad assicurare che i condomini possano farne uso in modo paritario e non comprende anche il potere di vietarne del tutto l'utilizzazione; va pertanto ritenuto esente da responsabilità in relazione all'illecito amministrativo previsto dall'art. 6, comma 2, d.l. n. 79/1995, conv. con l. n. 172 del 1995, l'amministratore di un condominio in cui risulti in funzione uno scarico fognario privo di autorizzazione, che abbia provveduto a convocare tempestivamente l'assemblea per le determinazioni del caso, senza poi adottare alcuna misura diretta a vietare ai condomini stessi di usufruire dell'impianto fognario (Cass. II, n. 6567/2006).

Impianti di ricezione TV ed altri flussi informativi

L'art. 1122-bis c.c. nel testo introdotto dalla recente riforma sul condominio non sembra accordare all'assemblea alcun potere di veto nei confronti del condòmino che voglia installare impianti non centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e ciò anche nel caso in cui le opere da realizzare richiedano la necessità di modificazioni di parti comuni, prescrivendo in tal caso la norma in commento, al comma 3, unicamente l'obbligo in capo al condòmino che intenda porre in essere le relative opere di previa comunicazione del contenuto di esse all'amministratore ai fini della successiva convocazione dell'assemblea (Trib. Milano 26 febbraio 2015).

È stato evidenziato che il diritto in questione si inquadra nell'alveo dei principi costituzionali e trova il suo fondamento nell'art. 21 Cost., in quanto corollario del diritto di manifestazione del pensiero realizzabile con qualsiasi mezzo. È un diritto personale e non reale che ha acquistato, con il tempo, una autonomia nella tutela giurisdizionale dei diritti della persona costituzionalmente garantiti (Celeste-Nicoletti, 123; Mistò, 282).

Pur nel pieno rispetto del diritto così configurato, l'installazione di un impianto di ricezione autonoma su parte condominiale non si sottrae al rispetto delle norme dettate dal codice civile. Ciò significa che è salvo il diritto del condomino come sancito dall'art. 1102 c.c. ma, l'amministratore è, in ogni caso, sempre tenuto a vigilare a che l'impianto di rice-trasmissione non interferisca su altro e similare impianto centralizzato, offuscandone, anche in parte ed in senso peggiorativo, il segnale di ricezione. Situazione che abilita l'amministratore ad assumere i provvedimenti necessari per ricondurre la situazione nell'ambito della legittimità, ricorrendo anche in via giudiziaria a tutela dei condomini.

Nel caso di impianto privato installato su area condominiale, a seguito di comunicazione da parte dell'interessato all'amministratore quando siano necessarie modificazioni alla cosa comune, l'assemblea può intervenire per prescrivere adeguate modalità alternative per la realizzazione dell'intervento. Obiettivo primario, infatti, rimane quello sia di garantire la res communis da eventuali danni, sia di assicurare il pacifico godimento del bene da parte di ciascun condomino (Bosso, 10).

In questo caso il potere dell'amministratore di disciplinare l'uso delle cose comuni viene superato da quello dell'assemblea.

Impianto elettrico

La fruizione dell'impianto elettrico condominiale passa per la sua messa a norma rispetto alle leggi vigenti, a partire dal punto di consegna della fornitura da parte del gestore. Si tratta di obbligo previsto anche a seguito della necessità di inserire nel registro dell'anagrafe condominiale, sancito dall'art. 1130, n. 6), c.c., tutti i dati relativi alle condizioni di sicurezza delle parti comuni, dalle quali non possono essere esclusi gli impianti.

Il singolo condomino non è titolare, nei confronti del condominio, di un diritto di natura sinallagmatica relativo al buon funzionamento degli impianti condominiali (nella specie, l'impianto elettrico comune), che possa essere esercitato mediante un'azione di condanna della stessa gestione condominiale all'adempimento corretto della relativa prestazione contrattuale, trovando causa l'uso dell'impianto che ciascun partecipante vanta nel rapporto di comproprietà delineato negli art. 1117 ss. c.c. Ne consegue che il condomino non ha azione per richiedere la messa a norma dell'impianto medesimo, potendo al più avanzare, verso il condominio, una pretesa risarcitoria nel caso di colpevole omissione nella sua riparazione o adeguamento, ovvero sperimentare altri strumenti di reazione e di tutela, quali, ad esempio, le impugnazioni delle deliberazioni assembleari ex art. 1137 c.c., i ricorsi contro i provvedimenti dell'amministratore ex art. 1133 c.c., la domanda di revoca giudiziale dell'amministratore ex art. 1129, comma 11, c.c., o il ricorso all'autorità giudiziaria in caso di inerzia agli effetti dell'art. 1105, comma 4, c.c. (Cass. II, n. 16608/2017). È tutelabile in via cautelare atipica ex art. 700 c.p.c. il diritto dei condomini di un edificio nel caso in cui un comproprietario abbia installato sul piano di calpestio del sottotetto comune una rete di tubazioni relativa all'impianto elettrico, idrico e termico a servizio del sottostante appartamento in dispregio della normativa dettata in materia di sicurezza. Nella fattispecie è stato ravvisato concreto pericolo di nocumento all'integrità fisica dei restanti condomini esposti al rischio di folgorazione a causa delle tubazioni prive di rivestimento isolante e dei fili elettrici giuntati senza misure protettive» (Trib. Ariano Irpino 20 giugno 2000). 

L'adeguamento dell'impianto elettrico condominiale alle prescrizioni di cui alla legge n. 46/1990costituisce intervento urgente di straordinaria manutenzione , per cui non ha rilevanza che i relativi lavori non siano stati preventivamente deliberati dall'assemblea condominiale. L'amministratore, quindi, secondo il disposto dell'art. 1135, n. 4, c. c., può ordinare lavori che esulano dalla ordinaria amministrazione solo se rivestano un carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne alla prima assemblea (Cass. II, n. 14300/2020, con nota di GALLUCCI, 2020).

L'intero condominio deve essere dotato di un impianto di illuminazione che non lasci zone d'ombra, questo a garanzia di ciascun condomino. A tal fine potranno essere installati impianti elettrici di illuminazione di sicurezza con l'indicazione delle vie di fuga, ad alimentazione autonoma, centralizzata o localizzata che, per durata e livello di illuminamento, consenta un ordinato sfollamento, oppure il temporizzatore luci, spesso utilizzato in quegli spazi condominiali (scale, corridoi, cantine, autorimesse condominiali e box individuali) dove la sosta è richiesta per un breve periodo di tempo. Questo sistema, che permette di chiudere ed aprire il contatto per un tempo pre-impostato, si rivela particolarmente utile poiché consente lo spegnimento automatico della luce evitando inutili sprechi di energia. Stesso risultato può essere conseguito con l'installazione di sensori di movimento che, rilevando la presenza di persone, mettono in funzione le luci nelle varie zone dello stabile (Celeste-Nicoletti, 96).

Vi sono dubbi se l'amministratore possa prendere iniziative in questo ambito, anche se l'installazione di queste apparecchiature sono finalizzate a consentire il miglior uso della cosa comune, per cui potrebbero ricadere nell'ambito di applicazione dell'art. 1130, n. 2), c.c. Appare, quindi, opportuno che la decisione sia demandata all'assemblea, che può deliberare con la maggioranza semplice di cui all'art. 1136, comma 3, c.c. ovvero maggioranza dei partecipanti alla riunione, pari ad un terzo delle quote millesimali.

In ordine ai servizi comuni, nel caso di abusivo allaccio di un condomino alla  rete elettrica condominiale per uso esclusivo, l'amministratore di uno stabile, sebbene possa assumere la posizione di legale rappresentante del condominio, non ha di regola, salve le ipotesi nelle quali sia anche condomino, alcuna posizione di possesso o detenzione qualificata con i beni appartenenti ai singoli condomini, né con i beni condominiali. Da ciò consegue che, essendo il condominio uno strumento collegiale degli interessi comuni dei condomini, attraverso i quali deve esprimersi la volontà, la presentazione di una querela in relazione ad un reato commesso in danno del patrimonio condominiale presuppone uno specifico incarico conferito all'amministratore dall'assemblea dei condomini (Cass. pen., IV, n. 36545/2021).

Più di recente, in analoga fattispecie ( sottrazione di acqua da parte di un condomino nel tratto che andava dal contatore unico condominiale ai contatori destinati a gruppi di condomini), è stato affermato che l'amministratore è legittimato a sporgere querela anche senza l'autorizzazione assembleare . Le attribuzioni affidate all'amministratore dal novellato art. 1130 c.c., infatti, sono tutte finalizzate a garantire l'interesse generale del condominio e, quindi, anche quello di non vedersi gravato di un consumo di acqua avvenuto abusivamente, in quanto il consumo condominiale si accresce se prelevato dal singolo con modalità fraudolente (Cass. pen. V, 1 agosto 2023, n. 33813).

Riscossione dei contributi ed erogazione delle spese per la manutenzione ordinaria

L'art. 1130, n. 3), c.c. dispone che rientra nelle attribuzioni dell'amministratore la riscossione dei contributi e l'erogazione delle spese necessarie per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni. La norma ha un oggetto limitato al carattere ordinario delle spese, poiché quelle straordinarie devono essere approvate dall'assemblea dei condomini, come sancito dall'art. 1135, n. 4), c.c.

Quanto al testo della norma si è precisato che l'erogazione delle spese già disposte riguarda l'esterno, cioè i rapporti con i terzi ai quali devono essere pagate. Prima, però, esse devono essere riscosse dall'amministratore dal gruppo dei condomini che le dovranno versare rispettando i criteri indicati dall'art. 1123 c.c., salvo patto contrario (Branca, 577). Quanto alla necessità, da parte dell'amministratore, di rilasciare quietanza di quanto versato dal condomino (non solo per le spese ordinarie, ma anche per quelle straordinarie) si è affermato che costituirebbe adempimento dovuto in ogni caso, anche se il pagamento sia avvenuto tramite bonifico bancario. In tal caso, infatti, la ricevuta pervenuta dalla banca attesterebbe solamente che l'attività richiesta (esecuzione del bonifico) è stata eseguita così come richiesta esaurendosi, in pratica, nell'ambito del rapporto tra istituto bancario e cliente (GALLUCCI, 2019).

La nascita dell'obbligazione di spesa ordinaria coincide con il compimento effettivo dell'attività gestionale mirante alla manutenzione, alla conservazione, al godimento delle parti comuni dell'edificio o alla prestazione di servizi nell'interesse comune. L'obbligo insorge, ex lege, non appena si compia l'intervento nel nome di un'esigenza collettiva apprezzata dall'organo – l'amministratore – nelle cui attribuzioni rientra «erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni». Sebbene queste spese siano normalmente precedute dal preventivo annuale approvato dall'assemblea, la loro erogazione effettiva non è mera esecuzione della delibera assembleare: sia perché per le attività comprese nell'ordinaria gestione condominiale l'appostazione di una somma nel bilancio preventivo ha la mera finalità di convalidare la congruità delle spese che il condominio prevede di dovere sostenere. Per le opere di manutenzione straordinaria e per le innovazioni, le quali debbono essere preventivamente determinate dall'assemblea nella loro quantità e qualità e nell'importo degli oneri che ne conseguono, la delibera condominiale che dispone l'esecuzione degli interventi assume valore costitutivo della relativa obbligazione in capo a ciascun condonino. In tal caso, l'obbligo di contribuire alle spese discende, non dall'esercizio della funzione amministrativa rimessa dell'amministratore nel quadro delle appostazioni di somme contenute nel bilancio preventivo, ma, direttamente, dalla delibera dell'assemblea (Cass. II, n. 24654/2010; Cass. II, n. 857/2000).

L'amministratore , proprio perché è un mandatario dei condomini, non può validamente porre in essere una ricognizione di debito cui non sia stato espressamente autorizzato dal condominio ove si tratti di lavori di straordinaria manutenzione (così Cass. n. 9389/2019), in tal modo accettando la contabilità proveniente dall'appaltatore. ( Cass. II, n. 30266/2024 ).

Autore autorevole evidenziava che le spese di manutenzione e di esercizio sono, non solo quelle impiegate ma anche quelle disposte dall'amministratore del condominio. Infatti, se è vero che normalmente tali spese sono precedute dal preventivo annuale approvato dall'assemblea, è altrettanto vero che il rappresentante del condominio ha il potere di decidere, di volta in volta, quanto della somma preventivata si deve impiegare per l'una piuttosto che per l'altra cosa, per un servizio piuttosto che per un altro (Branca, 575). 

Nelle spese disposte dall'amministratore, finalizzate all'ordinaria attività amministrativa e che, in ogni caso, devono essere oggetto di approvazione da parte dell'assemblea in sede di bilancio consuntivo, possono rientrare anche quelle attinenti alla derattizzazione e disinfestazione delle zone condominiali. Secondo un risalente orientamento giurisprudenziale (Cass.  n. 5068/1986), infatti,  quando l'amministratore provvede ad erogare spese in base ai suoi poteri e non come esecutore delle delibere assembleari, tali esborsi devono essere oggetto di approvazione nella fase del rendiconto, giacché solo con questo  si accertano le spese e si approva lo stato di ripartizione definitivo che legittima l' amministratore ad agire contro i condomini per il recupero delle quote poste a loro carico. La conseguenza di tale orientamento sarebbe che l'amministratore potrebbe, di sua iniziativa, incaricare una ditta per la esecuzione dell'intervento di deslattizzazione e derattizzazione, restando all'assemblea  un potere di controllo finale. Va da sé che tale controllo  non può spingersi a bocciare una scelta di gestione ordinaria in maniera arbitraria, pena l'invalidazione di quella decisione per eccesso di potere (GALLUCCI, 2021). Sull'attribuzione di cui l'amministratore è titolare ex lege si rileva un contrasto giurisprudenziale in merito alla circostanza se il rappresentante del condominio abbia un potere di spesa al di fuori della volontà dell'assemblea.

In passato, infatti, era stato affermato che nel condominio degli edifici anche le spese di manutenzione ordinaria e quelle fisse relative ai servizi comuni essenziali richiedono la preventiva approvazione dell'assemblea dei condòmini essendo questa espressamente richiesta dall'art. 1135, n. 2), c.c. per tutte le spese occorrenti durante l'anno e non solo per le spese di straordinaria manutenzione alle quali si riferisce il citato art. 1135 (Cass. II, n. 4831/1994). In senso contrario di recente la stessa Corte, la quale ha dichiarato che l'erogazione delle spese di manutenzione ordinaria e di quelle relative ai servizi comuni essenziali non richiede la preventiva approvazione dell'assemblea, trattandosi di esborsi cui l'amministratore provvede in base ai suoi poteri e non come esecutore delle delibere dell'assemblea; la loro approvazione è, invece, richiesta in sede di consuntivo, giacché solo con questo si accertano le spese e si approva lo stato di ripartizione definitivo, che legittima l'amministratore ad agire contro i condomini morosi per il recupero delle quote poste a loro carico (Cass. II, n. 454/2017; Cass. II, n. 5068/1986). Mentre è stato anche affermato che in sede di rendiconto consuntivo l'assemblea, di regola, provvede ad erogare l'approvazione delle spese di manutenzione ordinaria e quelle relative ai servizi comuni essenziali (Cass. II, n. 4430/2017). 

Quando sia necessario assicurare alla collettività condominiale di poter contare su di una liquidità economica per fare fronte a maggiori oneri economici che si sarebbero dovuti affrontare, una volta terminato il periodo in relazione al quale era stato approvato il preventivo, l'amministratore, solo a seguito di delibera assembleare, può richiedere ai condomini pagamenti provvisori, con riserva di successivo conguaglio sulla base del bilancio approvato e con riferimento ai valori millesimali attribuiti a ciascuna proprietà individuale (Cass. II, n. 12638/2020).

La legittimazione dell'amministratore, conseguente ai poteri speciali di cui agli artt. 1130, nn. 3 e 4 e 1135, comma 2, c.c., comporta che gli atti dallo stesso compiuti in tale ambito sono dotati di efficacia anche nel caso in cui, riferito di essi alla prima assemblea, vi sia il dissenso nella maggioranza dei condomini, fatto salvo, ove ne sia data la prova dell'an e nel quantum, l'accertamento della mala gestio e il risarcimento del danno che l'operato dell'amministratore abbia cagionato al condominio (Cass.II, n. 5522/2020).

Con riferimento alle forniture ordinarie e ripetitive, l'erogazione delle spese non richiede la preventiva approvazione dell'assemblea dei condomini, in quanto trattasi di esborsi (contributi, utenze, premi assicurativi, spese per il riscaldamento, ecc.) dovuti a scadenze. L'amministratore di condominio vi provvede in forza dei poteri a lui attribuiti dall'articolo in esame e non come esecutore di delibere dell'assemblea, con la conseguenza che non occorre alcuna preventiva autorizzazione. L'approvazione dell'assemblea, invece, è richiesta in sede di consuntivo, giacché solo con questo si accertano le spese e si approva lo stato di ripartizione definitivo che legittima l'amministratore ad agire contro i condomini morosi per il recupero delle quote poste a suo carico (Bosco, 9).

Gli interventi di manutenzione ordinaria non alterano la consistenza e la struttura del bene e, comunque, sono tali da non implicare un'attività gravosa, dovendo ricondursi nell'ordinaria attività di diligenza che è finalizzata alla conservazione del bene. Spesso, per identificare la nozione di intervento di manutenzione ordinaria si fa riferimento alle l. n. 457 del 1978 e sue successive modifiche.

L'ordinaria amministrazione consiste non solo nelle piccole riparazioni ma anche in quelle riparazioni necessarie a mantenere le cose comuni in uno stato tale da assicurare il normale godimento e a provvedere ad una continua e costante efficienza degli impianti tecnologici. Si pensi al rifacimento dell'intonaco interno delle pareti delle scale o alla sostituzione delle parti non funzionanti dell'impianto elettrico: si tratta di attività che l'amministratore deve porre in essere tempestivamente al fine di evitare che i condomini subiscano un disagio. Poiché la manutenzione delle parti comuni spetta al condominio, quale ente giuridico rappresentato dall'amministratore, i singoli condomini sono tenuti a collaborare o ad astenersi da comportamenti che impediscano il corretto svolgimento delle riparazioni (Cassano, 194).

Secondo parte della giurisprudenza il carattere di «norma generale» dell'art. 31, l. n. 457/1978 (contenente per l'appunto «norme generali per il recupero del patrimonio edilizio e urbanistico esistente»), non autorizza l'automatica sovrapposizione delle definizioni, ivi contenute, di «interventi» di ordinaria e straordinaria manutenzione con le nozioni di ordinaria e straordinaria manutenzione rilevanti nell'ambito dei rapporti tra privati. Ne consegue che non assume rilievo, ai fini della qualificazione di un intervento ordinario, la circostanza che il medesimo sia stato ritenuto tale dalla legislazione urbanistica (Cass. II, n. 27540/2013: nella specie il rifacimento delle facciate di un edificio non è stato ritenuto intervento ordinario sia per l'importanza dello stesso, sia per la sua natura episodica nell'arco di una gestione pluriennale).

Per la Suprema Corte, inoltre, in tema di condominio negli edifici, il criterio discretivo tra atti di ordinaria amministrazione, rimessi all'iniziativa dell'amministratore nell'esercizio delle proprie funzioni e vincolanti per tutti i condomini ex art. 1133 c.c., ed atti di amministrazione straordinaria, al contrario bisognosi di autorizzazione assembleare per produrre detto effetto, salvo quanto previsto dall'art. 1135, comma 2, c.c., riposa sulla «normalità» dell'atto di gestione rispetto allo scopo dell'utilizzazione e del godimento dei beni comuni, sicché gli atti implicanti spese che, pur dirette alla migliore utilizzazione delle cose comuni o imposte da sopravvenienze normative, comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere economico rilevante, necessitano della delibera dell'assemblea condominiale (Cass. II, n. 10865/2016). In passato si era ancora precisato che il criterio distintivo tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione adottati da un'assemblea condominiale va desunto dall'intensità degli effetti dell'atto nel senso che, ove detti effetti riflettono la conservazione e il miglioramento del patrimonio e la regolamentazione e la disponibilità delle vendite, l'atto deve considerarsi di ordinaria amministrazione, mentre, quando gli effetti incidano direttamente sul patrimonio, per via di modificazioni o trasferimenti idonei ad alternarne la consistenza, con perdita o diminuzione di esso, l'atto deve considerarsi di straordinaria amministrazione; rientra pertanto nella prima categoria la delibera assembleare con la quale è temporaneamente previsto un accantonamento dei canoni locativi dei locali in comproprietà, inidonea come tale ad incidere sulla struttura e sulla consistenza del patrimonio comune (Cass. n. 1553/1988).

Le spese occorrenti per l'esercizio dei servizi condominiali si riferiscono agli oneri concernenti: il salario del portiere ed assimilati, unitamente ai contributi obbligatori; quelli relativi ai canoni e consumi della luce, del telefono e dell'acqua comune; quelli inerenti al funzionamento delle fognature condominiali, nonché quelli necessari per il funzionamento dell'ascensore, del riscaldamento e condizionamento centralizzati, ecc.

L'assunzione dell'obbligo di erogazione di tali spese rientra, ai sensi dell'art. 1130, n. 3), c.c., fra le attribuzioni proprie dell'amministratore del condominio, senza che al riguardo occorra alcuna delibera dell'assemblea dei condomini e restando, altresì, escluso che questi siano litisconsorti necessari del giudizio, relativo a dette spese, in corso fra un terzo e l'amministratore, attesi i poteri di rappresentanza a questo spettanti ai sensi dell'art. 1131, comma 1, c.c. (Cass. S.U., n. 4126/1988).

Sussiste una responsabilità diretta dell'amministratore per i danni subiti dal condominio in caso di interruzione della fornitura del gas operata nei mesi invernali dall'ente erogatore ed addebitabile alla morosità dei condomini. In tal caso l'amministratore, per dimostrare di avere espletato il proprio mandato con la diligenza richiesta dalla legge, deve documentare di essersi attivato per il recupero delle somme dovute (nella specie: conseguire i decreti di ingiunzione provvisoriamente esecutivi a mente dell'art. 63 disp.att.c.c.). Il danno è in re ipsa, considerato che nei mesi invernali la mancata erogazione del servizio di riscaldamento centralizzato obbliga i partecipanti al condominio a ricorrere a fonti di energia alternative (Trib. Roma 15 maggio 2018, n. 9877).

L'entrata in vigore della l. n. 220/2012 , che ha modificato l'art. 63 disp.att.c.c., non incide sull'obbligo dell'amministratore di promuovere il recupero forzoso dei crediti di natura condominiale, sussistendo tale obbligo anche nel regime normativo previgente. Il compito dell'amministratore, infatti, è quello di prevenire il rischio di non potere più recuperare dai morosi  quanto dovuto  per oneri ordinari e straordinari ( Cass. III, n. 36277/2023. Nella fattispecie il condomino debitore era una società che era stata definitivamente cancellata dal registro delle imprese).

Fattispecie di attività ordinaria dell'amministratore

Con riferimento agli impianti comuni l'individuazione delle opere di manutenzione ordinaria è dettata dalle relative disposizioni legislative proprie delle rispettive materie.

Per l'impianto termico sono considerate ordinarie le operazioni previste nel libretto d'uso e manutenzione degli apparecchi, che possono essere effettuate sul luogo, utilizzando strumenti ed attrezzature di corredo agli apparecchi e componenti stessi e che comportino l'impiego di attrezzature e di materiali di consumo d'uso corrente. Per quanto concerne l'ascensore la manutenzione consiste nell'attività conseguente ai periodici controlli che vengono effettuati per verificare il regolare funzionamento dell'impianto e dei suoi dispositivi (ad esempio: dispositivi meccanici ed elettrici; porte dei piani e serrature; funi e catene; pulizia e lubrificazione delle parti, ecc.).

Il rifacimento delle facciate dell'edificio non rientra nella manutenzione ordinaria considerata l'importanza dell'intervento, nonché la sua natura episodica nell'arco di una gestione condominiale pluriennale (Cass. II, n. 27540/2013). Ugualmente non è manutenzione ordinaria la sostituzione della caldaia termica (bruciatore), se quella esistente è obsoleta o guasta (Cass. II, n. 238/2000). Diversamente rientrano nell'ambito della manutenzione/amministrazione ordinaria: la riparazione del portone dello stabile e del citofono (App. Firenze 19 settembre 2012); la sistemazione del tetto e la ripulitura del canale di gronda (Cass. II, n. 10754/2011).

In ordine al potere dell'amministratore di concludere o sottoscrivere contratti è stato affermato che:

la conclusione del contratto di locazione di un appartamento condominiale è da considerarsi atto di amministrazione ordinaria, essendo possibile conseguire la finalità del «miglior godimento delle cose comuni» anche attraverso l'accrescimento dell'utilità del bene mediante la sua utilizzazione indiretta (locazione, affitto); ne consegue che, ove l'amministratore del condominio abbia locato il bene condominiale anche in assenza di un preventivo mandato che lo abilitasse a tanto, deve ritenersi valida la ratifica del suddetto contratto di locazione disposta dall'assemblea dei condomini con deliberazione adottata a maggioranza semplice (Cass. II, n. 10446/1998)). Rientra ancora nelle attribuzioni dell'amministratore la stipula dei contratti necessari per provvedere, nei limiti della spesa approvata dall'assemblea, tanto all'ordinaria manutenzione, quanto alla prestazione dei servizi comuni: detti contratti sono, pertanto, vincolanti per tutti i condomini ai sensi dell'art. 1131 c.c. (Cass. II, n. 3159/1993), mentre la sottoscrizione di una polizza assicurativa è un atto che eccede le ordinarie attribuzioni dell'amministratore, in quanto non è finalizzata alla mera funzione conservativa dello stabile, ma ha lo scopo di evitare un pregiudizio economico ai proprietari. Ne consegue che può essere stipulata solo con il consenso dell'assemblea che delibera con la maggioranza di cui all'art. 1136, commi 2 e 4, c.c. (Trib. Treviso 25 gennaio 2017; Trib. Salerno 31 maggio 2022, n. 1904, con nota Carrato, 2022). Tale autorizzazione, tuttavia, non deve necessariamente preesistere alla sottoscrizione del contratto ben potendo essere oggetto di successiva ratifica tacita qualora il premio sia stato pagato dall’amministratore ed i relativi rendiconti, comprensivi della spesa, siano stati approvati da parte dell’assemblea, senza che tale questione sia stata posta specificamente all’ordine del giorno (Cass. III, n. 15872/2010).  A maggior ragione, la necessità della preventiva delibera non appare configurabile nella espressione della volontà diretta ad escludere un rinnovo tacito, non preventivamente deliberato dalla assemblea. La comunicazione da parte dell’amministratore di non aver interesse al rinnovo tacito della polizza è espressione dei poteri dell’amministratore di conservazione delle prerogative condominiali, dovendo essere l’assemblea di condominio a esprimersi alla scadenza contrattuale in ordine alla opportunità di stipulare una nuova garanzia assicurativa, valutando in regime concorrenziale le opzioni possibili, le garanzie e l’ammontare dei relativi premi (Trib. Roma 5 maggio 2022, n.  6889). L'amministratore del condominio non può, senza espressa autorizzazione dell'assemblea dello stesso, contrarre mutui in nome di quest'ultimo ancorché per il pagamento delle spese di gestione, atteso che il potere di rappresentanza del predetto amministratore può essere esercitato nei limiti delle facoltà conferitegli (artt. 1131 e 1388 c.c.) e quindi nell'ambito delle attribuzioni indicate dall'art. 1130 c.c., con la conseguenza che il contratto con il quale il condominio abbia concesso un mutuo all'amministratore (a tanto non autorizzato dall'assemblea) per provvedere alle spese occorrenti alla manutenzione delle parti comuni non è efficace nei confronti del condominio (Cass. II, n. 1734/1990). 

Nel caso di un contratto di fornitura per il riscaldamento, la natura sostanziale e formale dell'assemblea condominiale non può essere alterata dal fatto che gli intervenuti all'assemblea si siano qualificati utenti e non condomini o conduttori di immobili dello stabile, trattandosi di un dato nominale e formalistico.  Infatti, le disposizioni in materia di condominio attribuiscono all'assemblea le decisioni sui beni comuni ed all'amministratore il compito di attuarle e l'attività di gestione degli stessi e di tenuta della contabilità delle spese hanno carattere vincolante, delineando un sistema di organizzazione rigida, non derogabile se non nei limiti previsti espressamente dalla legge (art. 1138 c.c.). Pertanto, non sono ammesse e consentite forme organizzative alternative per la gestione ed amministrazione dei beni comuni. In tale quadro il contratto di fornitura, anche se si assume essere stato stipulato dagli utenti del servizio in via autonoma come tali e non dal condominio, non può che essere riferito al condominio e per esso all'amministratore, il quale è l'unico soggetto a dare attuazione alla deliberazione assembleare (Cass. II, n. 13583/2022).

Sempre in materia di contratti si è, poi, posto il problema se l'amministratore del condominio sia titolato per sottoscrivere contratti pluriennali.

È stato evidenziato che la gestione del condominio è annuale, visto che ai sensi dell'art. 1135 c.c. l'assemblea dei condomini provvede: all'approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l'anno e alla relativa ripartizione tra i condomini, all'approvazione del rendiconto annuale dell'amministratore (art. 1130 c.c.) e all'impiego del residuo attivo della gestione. Da ciò consegue che l'amministratore deve fare attenzione a stipulare un contratto pluriennale senza l'autorizzazione dell'assemblea (Bosco, 10).

Sul punto si è ritenuto che la legge riconosce all'amministratore (art. 1130, n. 3, c.c.) un autonomo potere di erogare le spese occorrenti alla manutenzione ordinaria dell'edificio, l'assemblea invece provvede – tra l'altro – alle opere di straordinaria manutenzione. Ebbene la giurisprudenza ha chiarito che la distinzione tra le due ipotesi si fonda da un lato sulla qualificazione giuridica del rapporto e dall'altro anche in base al valore economico del medesimo. È evidente che il contratto di manutenzione degli ascensori rientra sotto entrambe i profili nella previsione di cui all'art. 1130, n. 3, c.c., senza considerare che in occasioni analoghe la giurisprudenza di merito ha espressamene ammesso che esso rientri tra le attribuzioni proprie dell'amministratore. Quanto alla sua «ultrattività» rispetto alla durata del mandato, va precisato che il controllo dei condomini su tali atti avviene anno per anno, con l'approvazione dei bilanci (Trib. Arezzo 14 febbraio 2012).

Atti conservativi delle parti comuni

L'amministratore condominiale è tenuto, per effetto della nuova versione dell'art. 1130, n. 4), c.c., a compiere gli atti conservativi delle parti comuni, mentre nella precedente formulazione della norma si parlava di atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni. La modifica introdotta dalla l. n. 220 del 2012, in ogni caso, pur ampliando genericamente i poteri-doveri dell'amministratore, non sembra possa comportare un rilevo sostanziale significativo.

Con questa disposizione di legge, in particolare, viene attribuito all'amministratore il potere-dovere di porre in essere tutte le azioni, materiali e giudiziarie (cautelari, possessorie e, talora, perfino petitorie), atte a prevenire od a fare cessare comportamenti in senso lato pregiudizievoli per le parti comuni dello stabile condominiale. Relativamente alla legittimazione attiva o passiva del legale rappresentante dello stabile ad intraprendere le azioni derivanti dall'obbligo in esame si rinvia necessariamente per un approfondimento in merito, al commento dell'art. 1131 c.c.

Nella sostanza è stato affermato che ad ogni diritto spettante all'amministratore sul piano materiale corrisponde, sul piano processuale, la facoltà di esercitare le relative azioni: sotto il primo profilo l'amministratore può intervenire presso i condomini per indirizzarli al corretto uso delle cose comuni e, qualora rilevi delle scorrettezze, operare in modo da porvi rimedio, mentre sotto il profilo processuale l'amministratore può assumere iniziative giudiziarie di natura cautelare, quali procedimenti di urgenza, azioni possessorie, denuncia di nuova opera e di danno temuto (Nardone).

Per la Suprema Corte l'amministratore del condominio non è legittimato a stipulare il contratto d'assicurazione del fabbricato se non sia stato autorizzato da una deliberazione dell'assemblea dei partecipanti alla comunione. Infatti, la disposizione dell'art. 1130, n. 4), c.c., obbligando l'amministratore ad eseguire gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio, ha inteso chiaramente riferirsi ai soli atti materiali (riparazioni di muri portanti, di tetti e lastrici) e giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi) necessari per la salvaguardia dell'integrità dell'immobile, tra i quali non può farsi rientrare il contratto di assicurazione, perché questo non ha gli scopi conservativi ai quali si riferisce la suddetta norma avendo, viceversa, come suo unico e diverso fine, quello di evitare pregiudizi economici ai proprietari dell'edificio danneggiato (Cass. III, n. 15872/2010; Cass. II, n. 8233/2007) . L'autorizzazione alla stipula deve essere approvata con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, commi 2 e 4, c.c. anche se il contratto sia di durata ultranovennale giacchè, pur eccedendo l'ordinaria amministrazione, non rientra nell'ambito delle innovazioni , per le quali soltanto l'art. 1136, comma 5, c.c. prevede una maggioranza ancora più qualificata (Cass. III, n. 16011/2010). Alla stessa conclusione si perviene nel caso in cui il regolamento di condominio preveda l'obbligo, per lo stabile, di avere un'assicurazione. Tale clausola, infatti, non può espropriare l'assemblea del proprio legittimo potere decisionale, con la conseguenza che il condominio non è tenuto a pagare all'Istituto il premio di assicurazione, mentre la responsabilità ricade sull'amministratore il quale ha agito alla stregua di un falsus procurator  (Trib. Torino 31 maggio 2018).

Ove l'amministratore non abbia rinnovato la polizza di assicurazione del fabbricato e si sia verificato, all'interno dello stesso, un incendio (nella specie l'incendio si era propagato all'interno di un appartamento per effetto di causa addebitabile esclusivamente al proprietario dell'immobile), non sussiste alcuna responsabilità in capo al medesimo amministratore a fronte della mancata attivazione della polizza, ove questa non coprisse la fattispecie di danno per il quale era stato chiesto il risarcimento (App. Messina 13 maggio 2021, n. 222. Annotata da Acquaviva, 2021).

 

Sussiste, invece, la responsabilità del rappresentante condominiale il quale non abbia stipulato l'assicurazione deliberata in sede assembleare, procedendo il giorno successivo al verificarsi di infiltrazioni in proprietà privata , derivanti dalla rottura di una tubazione condominiale il cui danno era coperto dall'assicurazione stessa ( Trib. Padova 31 maggio 2024, n. 1040)

I costi della polizza  di assicurazione devono essere considerati costi per la prestazione di un servizio nell'interesse generale e, quindi, salvo diversa convenzione, devono essere ripartiti tra tutti i condomini in base ai millesimi di proprietà (art. 1123, comma 1, c.c.) e devono essere sostenuti per intero dal condomino/proprietario e non dal suo inquilino, il quale è tenuto a rimborsare al locatore gli oneri previsti dall'art. 9, comma 1, della l. n. 392/1978.

Ugualmente l'amministratore non è legittimato a sottoscrivere autonomamente un nuovo contratto di fornitura del gas, oppure concordare con il gestore del servizio diverse condizioni economiche, che siano più onerose per il condominio. Mentre l'amministratore deve controllare l'esatta esecuzione del contratto di fornitura in essere, rientrando tale attività nell'ambito dei suoi poteri

In ordine alla vigilanza, alla cura ed alla conservazione dei beni comuni, dottrina e giurisprudenza si sono più volte pronunciate, fornendo – quest'ultima – soluzioni ed indicazioni specifiche sulle possibili, o meglio probabili, controversie che possano sorgere al riguardo.

La conservazione delle cose comuni si attua sia difendendone l'integrità con atti materiali (ad esempio intervenendo su di un muro per evitarne la caduta), sia agendo in giudizio contro turbative o spogli o minacce di terzi. Con riferimento alla precedente versione dell'art. 1130, n. 4), c.c. (...«atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni») si era, già in tempi lontani, specificato che questi non erano solo quelli che si esauriscono in esse, ma i diritti si estendono anche ad altre cose, quali, ad esempio, le servitù che spettano a favore del condominio, cioè delle parti comuni, ed a carico dei terzi. Il tutto evidenziando l'interpretazione estensiva da dare alla norma, che poteva essere applicata anche all'ipotesi di edificio minacciato nel suo insieme, cioè nella sua stabilità, sicurezza o decoro architettonico (Branca, 582). Il potere-dovere del legale rappresentante del condominio di tutelare i beni comuni dell'edificio condominiale, anzitutto, non è limitato agli atti conservativi urgenti, ma deve intendersi esteso a tutti gli atti miranti a mantenere l'esistenza, la pienezza e l'integrità dei diritti dei condomini (Lazzaro, 415). Si è fatta anche una distinzione tra atti di conservazione materiale delle parti comuni, quando siano minacciati da fatti naturali e atti conservativi dei diritti sulle cose comuni che siano minacciate da atti umani. In questi rientrerebbero tutte le attività di carattere giuridico che l'amministratore è legittimato ad esperire di propria iniziativa, in via stragiudiziale o giudiziale (siano essi terzi estranei o condomini) che attentino all'integrità delle cose comuni (Nasini, 713). L'amministratore diligente, quindi, in forza dello svolgimento del proprio mandato può, anche nel caso in cui sia stato formalmente sollecitato dai condomini (anche se ciò non è necessario) compiere attività che, tenendo in conto il miglior risultato con l'impiego del mezzo meno oneroso ma parimenti efficace, portino ad ottenere il risultato finale della tutela del bene comune, senza la necessità di ricorrere all'autorità giudiziaria (Pignatelli, 533).

L'interpretazione estensiva fornita dalla dottrina è stata, peraltro, confermata dalla giurisprudenza, con la quale si è affermato che oltre ad intervenire per evitare pregiudizi a questa o a quella parte comune, l'amministratore ha il potere-dovere di compiere atti per la salvaguardia dei diritti concernenti l'edificio condominiale dal lui gestito ed unitariamente considerato. Ha, infatti, precisato la Corte che, in considerazione del diritto e dell'obbligo del condominio di provvedere alla riparazione ed alla manutenzione finalizzata alla protezione delle cose comuni, anche per evitare danni alle proprietà esclusive ed a soggetti terzi, in mancanza di collaborazione dei condomini al riguardo, l'amministratore è legittimato ad agire in giudizio in rappresentanza del condominio stesso, per far valere tale diritto, sia in sede cautelare, sia di merito. (Cass. II, n. 3522/2003; Cass. II, n. 3366/1995). Tale potere-dovere dell'amministratore comprende non solo la facoltà di chiedere giudizialmente le misure cautelari, ma anche di chiedere il risarcimento dei danni qualora l'istanza appaia connessa con la conservazione dei diritti sulle parti comuni e risulti consequenziale all'impedimento frapposto alla tempestiva esecuzione di quanto legittimamente richiesto (Cass. II, n. 10474/1998). L'amministratore è legittimato, altresì, alla conclusione di un contratto pluriennale che affidi ad una ditta specializzata la “manutenzione ordinaria” degli ascensori posti all'interno dell'edificio. La stipula del contratto di manutenzione in questione rientra a pieno titolo, anche per gli interventi straordinari,  tra i tipici compiti che l'amministratore deve rispettare ai sensi dell'art. 1130, n. 4, c.c. (Trib. Teramo 13 settembre 2019, n. 779).

In sostanza l'amministratore ha il compito di provvedere non solo alla gestione del bene comune, ma anche di intervenire al fine di una sua corretta custodia, con il conseguente obbligo di vigilare, affinché il suo eventuale comportamento omissivo non danneggi i terzi e gli stessi condomini. Va anche precisato in tema che detto obbligo non viene meno neppure in caso di conferimento in appalto a terzi di lavori su parti comuni, a meno che il compito di vigilare non venga affidato ad un soggetto diverso dall'amministratore stesso (ovvero, di norma, ad un direttore dei lavori).

Nell'ambito degli atti conservativi è stata fatta rientrare anche l'azione volta all'ottenimento del rispetto di norme di ordine pubblico, nonché di quelle relative all'edilizia antisismica, di talché è stata riconosciuto all'amministratore l'obbligo di intervenire tempestivamente in caso di loro violazione, anche, se del caso, in via giudiziaria, ai fini della demolizione della sopraelevazione dell'ultimo piano, costruito da un condomino in violazione delle prescrizioni e cautela fissate dalla speciali disposizioni previste sia dalla normativa per l'ordine pubblico, sia da quella antisismica (Cass. II, n. 18207/2017; Cass. II, n. 13611/2000).

Anche la rimozione di gravi difetti di costruzione, che possono porre in pericolo la sicurezza dell'edificio, rientra nel novero degli atti conservativi, il cui potere è attribuito all'amministratore di condominio si sensi del n. 4 dell'art. 1130 c.c. (Cass. II, n. 17484/2006). Tale valutazione è stata, peraltro, confermata, come si dirà tra breve in relazione all'appalto, anche dalla giurisprudenza più recente.

L'intervento dell'amministratore, peraltro, deve riguardare pacificamente, non solo le singole parti e beni comuni, ma deve avvenire anche quando l'edificio sia minacciato dal punto di vista della stabilità, della sicurezza e del decoro architettonico.

In ordine al contratto d'appalto concluso dal condominio, la giurisprudenza si è più vote pronunciata fornendo soluzioni e chiarimenti da considerarsi ormai esaustivi al riguardo.

Si è affermato che nel caso di appalto di lavori a terzi, il controllo dei beni comuni (si pensi di norma al direttore dei lavori) nell'interesse del condominio deve considerarsi attribuito all'amministratore quando, da un lato, l'appaltatore non sia posto in una condizione di esclusivo custode delle cose sulle quali si effettuano i lavori(Cass. II, n. 29918/2023) e, dall'altro, l'assemblea non affidi l'anzidetto compito ad una figura professionale diversa dallo stesso amministratore. In questo caso quest'ultimo deve curare che i beni comuni non arrechino danno agli stessi condomini o a terzi, cagionati dalla propria negligenza, dal cattivo uso dei propri poteri e, in genere, da qualsiasi inadempimento degli obblighi legali o regolamentari (Cass. II, n. 25251/2008, in fattispecie relativa ad insidia, quale buca nel cortile condominiale creata dall'impresa cui erano stati appaltati i lavori di manutenzione dell'immobile condominiale).

Da questo deriva di frequente la corresponsabilità dell'amministratore, per i danni patiti da singoli condomini o da terzi, con l'impresa appaltatrice.

L'amministratore, inoltre, sempre in argomento, dovendo compiere gli atti conservativi delle parti comuni, è direttamente ed autonomamente legittimato a promuovere azione di responsabilità nei confronti del costruttore ai sensi dell'art. 1669 c.c. a tutela dell'edificio nella sua unitarietà, ma, comunque, non ad agire per il risarcimento dei danni subiti dalla singole unità immobiliari, in difetto di un espresso mandato rappresentativo dei singoli condomini interessati (Cass. II, n. 22656/2010; Cass. II, n. 17484/2006). Ed ancora si è affermata l'illegittimità della demolizione di una struttura facente parte dei beni condominiali, effettuata su iniziativa dell'amministratore, senza autorizzazione dell'assemblea, non rientrando tra le attribuzioni dell'amministratore quella di eliminare un bene comune, neppure nel caso in cui l'abbattimento renda possibile un eventuale accesso di mezzi di soccorso o antincendio (ipotesi che consentirebbe semmai – e solo in caso di urgenza – al legale rappresentante del condominio di procedere a lavori di manutenzione straordinaria ai sensi dell'art. 1135 c.c., salvo l'obbligo di riferirne alla prima assemblea, da convocarsi senza indugio). Ciò, comunque, esclude che l'amministratore possa procedere all'eliminazione totale della struttura comune od apportarvi modifiche strutturali incidenti sul decoro architettonico dell'edificio (Cass. II, n. 1382/2007 in fattispecie riguardante l'abbattimento della pensilina sovrastante il cancello d'ingresso dello stabile). 

L'intervento di video-ispezione delle colonne/tubature condominiali e similari non è considerato, di per sé, un atto conservativo essendo finalizzato ad indagare una situazione attuale. Al più si può parlare di un atto preliminare presupposto alla realizzazione di un eventuale atto conservativo (App. Milano 5 aprile 2024, n. 1038. Fattispecie relativa a video-ispezione di canna/e fumarie).

Inoltre si è affermato dalla Suprema Corte che chi non sia né amministratore, né condomino, ove inviti un prestatore d'opera ad eseguire lavori in uno stabile condominiale, sia in qualità di «nuncius», sia quale rappresentante senza potere, non diventa titolare del rapporto contrattuale con il predetto prestatore d'opera, in quanto il rappresentante senza potere non risponde nei confronti dell'altro contraente a titolo contrattuale, ma solo a titolo di responsabilità per danni, mentre il «nuncius», agendo quale mero strumento di trasmissione della dichiarazione altrui, è privo di qualsiasi potere di rappresentanza» (Cass. II, n. 6721/2004).

L'amministratore non può [n.d.a. poteva] senza autorizzazione dell'assemblea concludere un contratto avente ad oggetto il conferimento di incarico per verificare la possibilità di effettuare l'efficientamento energetico del fabbricato e di usufruire del c.d. superbonus fiscale del 110%, non rientrando tale attività nell'ambito di cui all'art. 1130, n. 4, c.c. (Trib. Pavia 30 gennaio 2024, n. 238).

Sempre restando in tema, la Suprema Corte, pur ribadendo il principio dell'autonomia dei poteri dell'amministratore circa il compimento dei predetti atti conservativi, ha anche affermato il carattere suppletivo e non imperativo del disposto di cui all'art. 1130, n. 4), c.c., chiarendo che il regolamento condominiale, contrattuale o meno, può legittimamente sottrarre all'amministratore il potere di decidere autonomamente in ordine al compimento di eventuali atti conservativi inerenti le parti comuni dell'edificio, per conferirlo esclusivamente all'assemblea, subordinando alla deliberazione di questa, l'esercizio da parte dell'amministratore, della relativa azione giudiziaria, attesa la derogabilità da parte del regolamento condominiale a favore dell'assemblea, della norma di cui all'art. 1130 c.c. sulle attribuzioni dell'amministratore, che ha carattere suppletivo e non imperativo» (Cass. II, n. 8719/1997: principio valido anche dopo l'entrata in vigore della riforma di cui alla l. n. 220 del 2012).

Si può concludere sul punto precisando che la giurisprudenza, ormai consolidata e sempre uniforme al riguardo, ha affermato che le azioni reali intraprese dal condominio nei confronti dei singoli condomini o contro terzi, dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti comuni dello stabile condominiale, esulano dagli atti meramente conservativi di cui all'art. 1130, n. 4), c.c. (per i quali l'amministratore è autonomamente legittimato ad agire) e possono esperirsi solo previa autorizzazione dell'assemblea, con deliberazione adottata con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136 c.c.» (Cass. II, n. 2570/2016; Cass. II, n. 40/2015; Cass. II, n. 4944/2013, Cass. II, n., 840/1998; Cass. S.U., n. 1552/1986).

Non può qualificarsi come azione a difesa della proprietà o, comunque, incidente sulla condizione giuridica dei beni comuni il giudizio con il quale il condominio si limiti  a denunciare la molestia consistente nel parcheggio abusivamente effettuato, in varie occasioni, da un terzo su spazi comuni condominiali - specificamente il cortile- senza svolgere alcuna deduzione in ordine a pretesi diritti vantati dall'autore di tale comportamento sui beni del condominio interessati dalla predetta condotta. Trattasi, invece, di iniziativa giudiziaria riconducibile nell'ambito degli “atti conservativi” a tutela dei diritti sulle parti comuni dell'edificio,

 legittimamente esperita dall'amministratore del condominio, nell'esercizio del potere rappresentativo al medesimo spettante ex artt. 1130 n. 4, 1131 cod. civ., pur in assenza di delibera autorizzativa dell'assemblea condominiale (App. Milano 28 dicembre 2021, n. 3763).

Lo stesso giudice di legittimità ha affermato che in tema di condominio l'amministratore, tenuto a compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio ai sensi dell'art. 1130 n. 4 c.c., può esercitare, senza necessità di esplicita autorizzazione dell'assemblea, qualsiasi attività di vigilanza e difesa diretta a preservare l'integrità e la sicurezza del bene comune (Cass. II, n. 4338/2013).

Ciò significa che il legale rappresentante dello stabile condominiale è tenuto ad intervenire immediatamente in presenza di ogni attività di singoli o di terzi che possa ledere l'integrità o la sicurezza dei beni e degli impianti comuni. Questo avviene attraverso diffide inviate al fine di far cessare il comportamento lesivo predetto ovvero legate all'invito ad un pronto ripristino di una situazione deteriorata, nonché a mezzo di denunce all'autorità amministrativa nell'ipotesi di abusivismi oppure di delibere dell'assemblea convocata all'uopo ecc. Il tutto possibilmente prima di dover agire in giudizio contro i contravventori e gli inadempienti.

Ciascun condomino ha il diritto non soltanto di conoscere il contenuto, ma anche di prendere visione e di ottenere il rilascio di copia, dall'amministratore, dei documenti attinenti all'adempimento degli obblighi da questo assunti per la gestione collegiale di interessi individuali, quali quelli finalizzati al compimento di atti conservativi relativi alle parti comuni (diffida inoltrata per far cessare la realizzazione di lavori abusivi su aree condominiali). Tutto ciò senza avere l'onere di specificare ulteriormente le ragioni della richiesta, purché l'esercizio di tale diritto non risulti di ostacolo all'attività di amministrazione, non sia contraria ai principi di correttezza e non si risolva in un onere economico per il condominio, dovendo al più i costi relativi alle operazioni compiute gravare esclusivamente sui condomini richiedenti. L'amministratore di condominio, come ogni altro soggetto che esercita una gestione o svolge un'attività nell'interesse di altri, ha, invero, il dovere di soggiacere al controllo di questi e, quindi, di portare a conoscenza, secondo il principio della buona fede, gli atti posti in essere, per far conoscere a ciascun condomino il risultato della propria attività, in quanto influente nella sfera patrimoniale altrui (Cass. VI, n. 5443/2021).

Rientra nell'ambito conservativo anche l'attività che l'amministratore deve svolgere nel campo di adeguamento alle prescrizioni concernenti la prevenzione antincendi, compiendo tutti gli adempimenti previsti dalle norme in vigore e future, come ad esempio quanto stabilito dal d.m. 25 gennaio 2019 contenente modifiche ed integrazioni all'allegato del decreto 16 maggio 1987, n. 246 concernente le norme di sicurezza antincendi per gli edifici di civile abitazione.   

L'amministratore, pertanto, svolge attività ordinaria quando, in base alla normativa vigente,  per richiedere il certificato di prevenzione incendi o per provvedere al suo rinnovo si rivolge direttamente ad un tecnico specializzato senza il preventivo assenso dell'assemblea (Trib. Avellino 20 febbraio 2022, n. 332). 

In tale ambito, integra il reato di cui all'art. 20, d.lgs. 8 marzo 2006, n.139 la condotta dell' amministratore di condominio che, in relazione ad un edificio adibito a civile abitazione di altezza superiore a 24 metri, ometta di presentare la segnalazione certificata di inizio di attività ai fini antincendio o la richiesta di rinnovo periodico della conformità antincendio, rientrando la sua attività tra quelle soggette ai controlli antincendio, elencate dall'Allegato I del d.P.R. 1 agosto 2011, n. 151, anche in ragione del dato di comune esperienza rappresentato dalla detenzione e dall'impiego, nei condomini, di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti (Cass. pen, III, n. 34586/2021).

Adempimenti fiscali

Con l'entrata in vigore della riforma del condominio il legislatore non ha potuto fare a meno di prendere in considerazione un aspetto della professione dell'amministratore altamente rilevante, poiché reso ancora più complesso dalle innumerevoli normative, sempre in divenire, che caratterizzano anche l'attività di gestione di un condominio. L'art. 1130, n. 5), c.c., infatti, per la prima volta ha fatto riferimento ai c.d. «adempimenti fiscali» ai quali deve attendere l'amministratore nell'esercizio del suo mandato e la cui inosservanza può portare alla sua revoca.

Come chiarito dal Dossier del Servizio studi del Senato (n. 398 dell'ottobre 2012), si tratta, infatti, di adempimenti che si traducono nell'obbligo: di tenere la «contabilità e di rispondere a eventuali richieste degli Uffici finanziari in relazione a dati, notizie e documenti relativi alla gestione condominiale» (art. 32, comma 1, n. 8-ter, d.P.R. n. 600 del 1973); «di comunicare annualmente all'anagrafe tributaria l'ammontare dei beni e servizi acquistati dal condominio e i dati identificativi dei relativi fornitori» (art. 7, comma 9, d.P.R. n. 605 del 1973); di operare la «ritenuta d'acconto Irpef sui pagamenti effettuati dal condominio nonché sui compensi professionali percepiti dallo stesso amministratore» (artt. 23 e 25, d.P.R. n. 600 del 1973). Tutti incombenti, quindi, che un amministratore di condominio era già da tempo tenuto ad eseguire sulla base di normative preesistenti (Nucera, 434).

Novità, sono state introdotte in tema con recenti provvedimenti ministeriali.

Ai fini della elaborazione della dichiarazione dei redditi da parte dell'Agenzia delle entrate, a partire dai dati relativi al 2016, gli amministratori di condominio devono trasmettere in via telematica all'Agenzia delle Entrate, entro il 28 febbraio di ciascun anno, una comunicazione contenente i dati relativi alle spese sostenute nell'anno precedente dal condominio con riferimento agli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica effettuati sulle parti comuni di edifici residenziali, nonché con riferimento all'acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici finalizzati all'arredo delle parti comuni dell'immobile oggetto di ristrutturazione. Nella comunicazione devono essere indicate le quote di spesa imputate ai singoli condomini (art. 2 d.m. 1 dicembre 2016).

L'obbligo riguarda tutti gli amministratori di condominio, ivi compresi gli amministratori del proprio condominio. Mentre sono esclusi i condomìni privi di amministratore, riguardando l'adempimento direttamente tale soggetto. Dall'obbligo di comunicazione sono escluse le spese personali dei condomini. Il termine «quote di spesa imputate» deve essere interpretato nel senso delle quote effettivamente addebitate ai condomini e non degli esborsi da questi effettuati. A tale proposito, poiché è pacifico che quanto alle spese le stesse, come il relativo stato di ripartizione, viene deliberato dall'assemblea mentre, in questo caso, l'amministratore è semplice esecutore delle delibere condominiali, è stato ritenuto che, con riferimento alla comunicazione prevista dal decreto ministeriale, l'amministratore non potrà fare altro che riferire le decisioni assunte dall'assemblea dei condomini. Nel caso di interventi di manutenzione straordinaria, che comprendono varie fasi successive (approvazione dei lavori e relativa spesa, costituzione del «fondo speciale», fase di esecuzione con eventuali varianti in corso d'opera e variazione dei costi e fase di chiusura della contabilità), il contenuto della comunicazione resa dall'amministratore avrà, presumibilmente, carattere provvisorio fino al momento della definizione della situazione condominiale (Scalettaris, 389 e ss.).

Sempre l’Agenzia delle Entrate, con due provvedimenti in data 30 aprile 2018 (n. 89757 e circolare n. 8/E) ha dettato le linee guida per l’emissione e la conservazione delle fatture elettroniche, aventi ad oggetto cessione di beni e prestazione di servizi. Si tratta di adempimenti obbligatori a partire dal 1° gennaio 2019 allorché tutti i contribuenti, soggetti passivi IVA, nei quali rientrano gli amministratori di condominio, saranno chiamati ad emettere solo fatture nel nuovo formato.

Quando l'edificio condominiale è dotato di autorimessa comune, alla quale si accede dalla strada pubblica, il condominio, relativamente al c.d. «passo carrabile» deve pagare al Comune, con cadenza annuale, la tassa per l'occupazione di suolo pubblico, in quanto concessionario intestatario (COSAP). Per i beni immobili di proprietà condominiale (ad esempio: appartamento del portiere; garage condominiale; lavanderie, ecc.), che abbiano un autonomo accatastamento, l'amministratore deve versare le imposte patrimoniali sugli immobili (IMU e TASI).

È stato avanzato un dubbio se la dichiarazione ai fini IMU e la relativa quota da versare spetti all'amministratore ovvero ai singoli condomini. Quanto a ciò si è rilevato che la ratio del sistema e gli ampi termini del mandato portano a credere che la presentazione della dichiarazione continuerebbe a far capo dell'amministratore, con collocazione della relativa spesa nella tabella di ripartizione tra i condomini in base ai rispettivi millesimi di proprietà. Uno specifico incarico in tal senso da parte dell'assemblea sarebbe, comunque, opportuno per evitare contestazioni tra mandante e mandatario circa eventuali responsabilità per omissione del relativo pagamento (Lazzaro, 421). Per tale adempimento l’amministratore è autorizzato ad effettuare i prelievi dalle disponibilità finanziarie del condominio, attribuendo le quote ai singoli titolari dei diritti con addebito nel rendiconto annuale (Tarantino, 2019).

La nuova IMU introdotta dalla manovra finanziaria 2020 nulla ha cambiato rispetto al passato in tema di imputabilità della dichiarazione in capo all’amministratore per conto del condominio. Il tutto per quanto concerne il prelievo a tale fine effettuato dall’amministratore dal conto corrente condominiale (l. n. 388/2000, art. 19), considerando che le parti condominiali comuni alle quali sono attribuite rendite catastali autonome non possono essere considerati beni di proprietà dei singoli condomini come se fossero pertinenze. 

In caso di locazione di appartamento condominiale ad uso abitativo l'amministratore è obbligato alla sua registrazione ed al pagamento della relativa tassa, nella misura contrattualmente prevista.

La mancata registrazione del contratto di locazione di immobili è causa di nullità dello stesso; il contratto di locazione di immobili, quando sia nullo per la (sola) omessa registrazione, può comunque produrre i suoi effetti con decorrenza ex tunc, nel caso in cui la registrazione sia effettuata tardivamente; è nullo il patto con il quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullità vitiatur sed non vitiat, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall'avvenuta registrazione (Cass. S.U., n. 23601/2017).

Quando il condominio affronta spese quali manutenzione ordinaria e straordinaria; ristrutturazione edilizia; restauro e risanamento conservativo, eliminazione delle barriere architettoniche; riqualificazione e risparmio energetico, l'amministratore deve promuovere la relativa pratica che consente ai condomini, per la durata del periodo indicata dalla legge per l'anno di riferimento ed in relazione alla somma complessiva dei lavori, la detrazione d'imposta IRPEF nella propria dichiarazione dei redditi per la quota parte a suo carico. Trattasi di adempimento che è previsto per l'amministratore, per cui il condominio che ne sia privo, se vuole giovarsi di tale agevolazione, deve nominare necessariamente un legale rappresentante.

Essendo il condominio sostituto d'imposta, sullo stesso grava l'obbligo di operare la ritenuta d'acconto ogni volta che debba corrispondere compensi a chi abbia prestato opere o servizi, con diritto di rivalsa.

Con decorrenza dal 1° gennaio 2019 gli adempimenti collegati all’emissione ed alla ricezione delle fatture elettroniche aventi ad oggetto cessione di beni e prestazione di servizi, obbligatori per tutti i contribuenti soggetti passivi IVA, si applicano anche agli amministratori di condominio (Schena, 2018).

Il condominio è ancora datore di lavoro di tutti quei soggetti che svolgono mansioni alle sue dipendenze (portiere, pulitore, giardiniere, guardiano della piscina, vigilante, ecc.). Lo stesso deve rispondere delle obbligazioni nascenti dal relativo contratto primo fra tutti il pagamento del salario e degli oneri contributivi (INPS E INAIL) connessi alla prestazione.

Per consentire ai condomini di accedere ai benefici fiscali di cui al c.d. “decreto rilancio” (l. n. 77/2020 di conversione del d.l. n. 34/2020), il condominio, tramite l’amministratore, ha diritto ad ottenere dall’Amministrazione di poter visionare ed estrarre copia dei documenti relativi al progetto edilizio del fabbricato, indicati con sufficiente precisione, quando dimostri di avere un interesse giuridico qualificato e specifico alla consultazione.

Il fatto che il deposito dell’istanza sia avvenuto presso un ufficio diverso da quello competente non può essere considerato di ostacolo al diritto di accesso del ricorrente, poiché l’Amministrazione Comunale è, comunque, tenuta a trasmetterla al Dipartimento competente ai sensi dei principi della leale collaborazione e trasparenza sanciti dalla l. n. 241/1990 (TAR Lazio, II bis, n. 11139/2021, con nota di BORDOLLI, 2021).

Tenuta dei registri condominiali

Prima dell'entrata in vigore della riforma del 2012 le norme del codice civile non prevedevano che l'amministrazione del condominio dovesse essere ufficializzata in appositi e separati registi del condominio, né che l'amministratore, là dove tale obbligo sussistesse, fosse tenuto all'osservanza di determinate formalità concernenti la formazione e la cura della documentazione e delle attività riguardanti il condominio stesso. La normativa dell'epoca, infatti, rinviava all'uopo soltanto al regolamento condominiale che, secondo il disposto di cui all'art. 1138 c.c., richiamava, in particolare, le disposizioni «relative all'amministrazione».

Soltanto un riferimento espresso contemplava la necessità di tenuta del registro delle assemblee, secondo il dettato dell'art. 1136 c.c., che doveva essere custodito dall'amministratore mentre, in ordine alla conservazione dei documenti utili alla redazione del rendiconto, vi era un obbligo di archiviare le scritture contabili idonee a registrare gli atti di gestione ed i relativi documenti giustificativi di spesa (Lazzaro, 410; Lazzaro-Stincardini, 212).

Per effetto delle novità concernenti l'art. 1130 c.c. l'amministratore è oggi chiamato a svolgere nuovi funzioni di carattere meramente amministrativo/compilativo, che consistono nella redazione di quattro registri che, nel loro complesso, rappresentano la catalogazione di tutti i dati concernenti la vita condominiale.

Infatti, per individuare non solo gli effettivi proprietari o comproprietari delle proprietà esclusive, ma anche tutti gli altri soggetti che – a vario titolo – sono in diretto contatto con le proprietà immobiliari che fanno parte dell'edificio, l'amministratore deve provvedere ad aggiornare il registro dell'anagrafe condominiale al quale, evidentemente, il legislatore ha inteso conferire un'importanza ed un rilievo particolare nell'ambito della complessa attività amministrativa, visto che i dati che devono essere in questo inseriti si dimostrano essenziali per svariati aspetti della vita condominiale (superamento del problema del condomino apparente e funzione essenziale per la conoscibilità dei nomi dei condomini morosi da parte dei creditori insoddisfatti).

Sullo stesso piano sono stati considerati gli altri tre registri, ovvero quello dei verbali assembleari (peraltro già esistente nel vigore del precedente regime legislativo), quello di nomina e revoca degli amministratori e, da ultimo, quello di contabilità.

Il registro dell'anagrafe condominiale

Il registro dell'anagrafe condominiale, oggetto dell'art. 1130, n. 6), c.c., rappresenta la vera novità, introdotta dalla riforma del 2012, che risponde alla necessità di certificare una gestione amministrativa del condominio corretta, ordinata e trasparente, anche per i terzi, ed ha risolto (sempre che l'amministratore sia diligente nell'aggiornamento dei dati ivi contenuti) i problemi più ricorrenti in ambito condominiale: individuazione dei soggetti da convocare alle assemblee condominiali; conoscenza degli effettivi proprietari e degli occupanti delle varie unità immobiliari secondo le indicazioni contenute nella norma e certezza dei soggetti obbligati verso il condominio per il pagamento degli oneri condominiali.

Prima dell'entrata in vigore della novella, peraltro, non esisteva alcuna norma che imponesse all'amministratore di verificare presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari (oggi Agenzia del Territorio) la qualità dei soggetti cui trasmettere l'avviso di convocazione dell'assemblea, tanto è vero che era onere dell'acquirente dell'unità assumere iniziative, magari anche con l'alienante, per far conoscere all'amministratore di essere il nuovo proprietario, non avendo questi l'obbligo di verificare i registri immobiliari (Cass. II, n. 985/1999; Cass. II, n. 5307/1998). In senso contrario veniva, poi, affermato che l'amministratore di condominio, al fine di assicurare una regolare convocazione dell'assemblea, è tenuto a svolgere le indagini suggerite dall'ordinaria diligenza per rintracciare i condomini non più presenti al precedente recapito onde poter comunicare a tutti l'avviso di convocazione (Cass, II, n. 15283/2000), mentre con altra decisione (Cass. II, n. 6926/2007) sempre i giudici di legittimità tornavano sulle precedenti posizioni, decidendo che in tema di convocazione dell'assemblea condominiale, l'amministratore, il quale sia a conoscenza del decesso di un condomino, non è tenuto ad inviare alcun avviso ai di lui eredi, fino a quando questi non gli manifestino la loro qualità (nella fattispecie l'amministratore aveva comunicato l'avviso di convocazione impersonalmente agli eredi del condomino defunto presso il domicilio di uno di loro, per cui poteva presumersi, in considerazione della comunanza di interessi e dello stretto legame di parentela, che la comunicazione stessa fosse stata portata a conoscenza anche degli altri eredi).

Il registro è considerato uno strumento privatistico, meramente interno al condominio, di cui il legislatore del 2012 ha ritenuto di consentire la consultazione ai terzi che vi abbiano interesse, plausibilmente per agevolare i rapporti dei soggetti estranei alla compagine condominiale con un soggetto collettivo i cui dati non sono agevolmente desumibili aliunde, ma a cui non può essere riconosciuta alcuna funzione o pretesa di ufficialità né, in alcun modo, può o deve sostituire gli strumenti di pubblicità immobiliare previsti ex lege per accertare la titolarità dei diritti reali su beni immobili, di talché il terzo creditore che abbia accesso ai registri di anagrafe, ben potrà e dovrà verificare i dati ivi reperiti con gli strumenti di pubblicità erga omnes previsti dagli artt. 2643 c.c. e ss. (Trib. Massa 21 marzo 2022).

L'amministratore deve aggiornare il registro dell'anagrafe condominiale, che deve contenere le generalità sia dei singoli proprietari e comproprietari, sia dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, il loro codice fiscale; la loro residenza o domicilio; i dati catastali di ogni unità immobiliare. Trattasi, all'evidenza, di dati di carattere personale, le cui variazioni devono essere comunicate per scritto all'amministratore entro sessanta giorni dall'avvenuto mutamento del soggetto avente titolo. L'amministratore, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, deve in ogni caso richiedere, con lettera raccomandata, le informazioni necessarie all'aggiornamento del registro dell'anagrafe condominiale.

Nel caso di separazione o divorzio con assegnazione della casa ad uno dei due coniugi, il coniuge assegnatario deve essere inserito nell'anagrafe condominiale. Occorre distinguere due ipotesi: la prima, in cui l'immobile sia in comproprietà tra i due soggetti ed allora non vi sono problemi, poiché entrambi sono condomini e, quindi, già iscritti nel registro. Nel caso in cui, invece, solo uno dei coniugi sia il condomino, questi è tenuto a comunicare all'amministratore la variazione.

Nonvi è unicità nella qualificazionedel diritto spettante al coniuge, che  non sia già titolare del diritto di proprietà, sulla casa coniugale. Si è ritenuto, infatti, che con il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa in sede di separazione o divorzio, il soggetto diventi titolare  di un diritto personale di godimento e non di un diritto reale (Cass. I, n. 4719/2006). Secondo altro orientamento nella specie si costituirebbe un diritto reale di abitazione (Cass. II, n. 9998/2017).

Decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, l'amministratore è tenuto ad acquisire presso gli uffici competenti tutte le informazioni necessarie, addebitandone il costo ai responsabili.

Perplessità sono state espresse sull'imposizione di una sanzione risarcitoria a carico del responsabile, anche se è stato riconosciuto che la stessa deve essere letta nel senso che il condomino deve rispondere dei danni causati alla gestione condominiale per effetto del suo rifiuto o delle sue resistenze alla regolare ed aggiornata tenuta del registro dell'anagrafe del fabbricato (Terzago, 403).

Questa procedura, per conservare tutta la sua efficacia normativa, dovrebbe presupporre, comunque, un controllo periodico (anche se, ovviamente, non con cadenze frequenti) dell'anagrafe condominiale da parte dell'amministratore, il quale dovrebbe chiedere ai condomini conferma dei dati in suo possesso.

Secondo il dettato dell'art. 1130, n. 6), c.c. il registro in questione deve contenere anche ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza delle parti comuni dell'edificio. Si tratta, di modifica introdotta dal legislatore sul testo licenziato nel 2012, che aveva creato incertezze interpretative. La mancanza delle parole «parti comuni dell'edificio», in effetti, aveva fatto pensare, che i dati si dovessero riferire anche alle parti di proprietà esclusiva ed, in particolare, ai relativi impianti per i quali sono necessarie le certificazioni di avvenuti controlli ordinari.

Per gli impianti anteriori al 13 marzo 1990non sussiste un obbligo generale di rilascio di dichiarazioni di conformità o rispondenza. Tale obbligo ricorre solo al verificarsi di interventi successivi di rifacimento, modifica o adeguamento. L'anagrafe condominiale ex art. 1130, n. 6, c.c. riguarda esclusivamente dati in possesso dell'amministratore sullo stato di sicurezza impiantistica, ma non impone al condominio di formare, produrre o aggiornare documentazione che per legge non debba esistere (Trib. Nocera Inferiore novembre , n. 3295. Fattispecie relativa ad immobile costruito nel 1966).

In merito all'aggiornamento costante del registro la Suprema Corte ha affermato che deve essere annullata la delibera adottata dall'assemblea di condominio, laddove la raccomandata con la relativa convocazione risulta tornata al mittente in quanto il destinatario, risulta trasferito, dovendosi ritenere che l'amministratore di condominio sia obbligato a tenere aggiornato l'apposito registro di anagrafe condominiale, nel quale annotare le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio dei medesimi, nonché dei dati catastali di ciascuna unità immobiliare e di ogni altra informazione relativa alle condizioni di sicurezza (Cass. II, n. 8516/2017). Ad avviso della giurisprudenza di merito non integra motivo di revoca, si sensi dell'art. 1129, comma 12, n. 7), c.c. il comportamento dell'amministratore che – a soli pochi mesi dall'entrata in vigore della riforma che ha introdotto tale disposizione di legge con l'obbligo di tenere il registro dell'anagrafe condominiale, senza però stabilire espressamente un termine al riguardo – si sia attivato con una lettera ai condomini per richiedere le informazioni necessarie alla tenuta del registro medesimo (Trib. Udine 19 luglio 2016). 

Del resto sono i condomini che hanno l'obbligo di comunicare, tempestivamente, all'amministratore ogni variazione dei loro dati, compreso, quindi, anche il trasferimento di residenza o di proprietà. Se non si effettuano tali comunicazioni all'amministratore, le comunicazioni inviate al vecchio indirizzo si considerano validamente effettuate. L'amministratore non ha l'obbligo di indagare per ogni assemblea il nuovo indirizzo del condòmino o il subentro di nuovo condomino (Trib. Roma, 19 novembre 2025 n. 16178; Trib. Rieti  3 giugno 2024 n. 359).

Ai fini dell'invio dell'avviso di convocazione dell'assemblea, così come del verbale di assemblea, non può essere ritenuto responsabile l'amministratore che lo abbia inviato all'indirizzo risultante dal registro dell'anagrafe condominiale se il condomino, trasferito in altro e diverso domicilio, non ne abbia comunicata la variazione (Trib. Palermo 18 ottobre 2022, n. 4179).

Alcuna responsabilità ex art. 2043 c.c. può essere imputata alla parte, che abbia tempestivamente trasmesso all'amministratore del condominio una copia autentica dell'atto di vendita stipulato con i nuovi condomini, per mancata mancata convocazione alle assemblee nelle quali si sia discusso di un giudizio risarcitorio nel quale il condominio sia interessato. Mentre è imputabile l'amministratore il quale, sebbene informato dalla cedente in ordine alla vendita dell'immobile , abbia omesso di convocare i nuovi proprietari e di comunicare loro le deliberazioni adottate, così di fatto impedendo agli stessi acquirenti l'eventuale esercizio del diritto di dissenso e di rivalsa di cui all'art. 1132 c.c. ( Trib. Foggia 14 novembre 2024, n. 2636).

 

In merito alla consultabilità del registro da parte dei condomini, alla necessità di avervi un interesse concreto, ed al rifiuto dell'amministratore si evidenziano due decisioni di merito che si sono espresse in modo contrastante.

Secondo la prima sentenza l'art. 1129, comma 2, c.c., che prevede il diritto di ogni interessato di prendere visione del registro dell'anagrafe condominiale, contiene una limitazione del diritto stesso a soggetti «interessati» che esclude un incondizionato ed illimitato diritto dei comunisti a prendere visione del documento in questione. L'amministratore, dal canto suo deve individuare il giusto punto di equilibrio tra le esigenze di tutela della privacy dei condomini, al rispetto della cui normativa è tenuto, e l'esigenza di informazione degli altri comunisti in ordine a questioni di carattere condominiale, adottando un approccio di prudenza onde scongiurare possibili responsabilità derivanti dalla violazione dei principii menzionati. È stato, peraltro, osservato che il registro dell'anagrafe condominiale è uno solo e che non vi è nessuna norma che prevede la predisposizione di due registri, di cui uno redatto secondo le norme sul condominio ed il secondo privo di alcuni dati più sensibili e, quindi, consultabile dai condomini (App. Milano 19 luglio 2016).

Con altro provvedimento di segno opposto (Trib. Chieti 31 gennaio 2018) si è affermato che la mancata consegna ad un condomino del registro di anagrafe condominiale, dallo stesso richiesto, costituisce violazione dell'art. 1129 c.c. L'esercizio di detto diritto non è subordinato all'esplicitazione dell'interesse sotteso alla domanda, in quanto evidentemente implicito nella qualità di condomino (nella fattispecie si era trattato di opposizione a decreto ingiuntivo per consegna di cosa ex art. 633 c.p.c. promossa dal condominio nei confronti della destinataria del provvedimento de quo. Opposizione per questo preciso motivo rigettata).

La funzione del registro

L'anagrafe condominiale istituita dal legislatore del 2012 costituisce un vero e proprio dossier del fabbricato, non a contenuto strutturale (da non confondersi con il desueto fascicolo del condominio) ma personale, per i dati relativi ai soggetti ivi registrati, dei quali sono memorizzate le informazioni essenziali che consentono la loro identificazione, e catastale quanto a tutte le unità immobiliari che costituiscono lo stabile.

La sua funzione è soprattutto informativa, non intende schedare le persone (fisiche o giuridiche) che in vario modo sono parte del condominio e consente di individuare, nel rispetto della  privacy, i partecipanti al condominio per rendere più agevole sia i rapporti interni tra gli stessi e l'amministratore, sia quelli esterni con i terzi.

Si è posta la questione se  in considerazione della finalità del registro vi debbano essere inseriti anche i nominativi ed i dati di coloro che occupano gli immobili per periodi di tempo limitati, come nel caso degli appartamenti concessi in locazione ad uso vacanze (c.d. affitti brevi”). Al di là degli obblighi dei proprietari, previsti dalle norme vigenti  in materia fiscale e di sicurezza (ultimo provvedimento l.n. 58/2019 di conversione del d.l. n. 34/2019, entrato in vigore il 30 giugno 2019), l'obbligo per queste fattispecie, che si possono consumare nel giro di pochi giorni, non sussiste in capo all'amministratore per l'impossibilità di rispettare i termini previsti dall'art. 1130, n. 6, c.c. (Orefice, 2019).  

Il registro, in forza del suo costante aggiornamento sulle variazioni che ciclicamente riguardano i partecipanti alla vita condominiale in tutte le forme previste dall'art. 1130, n. 6), c.c., realizza un valido apparato di pubblicità-notizia, soprattutto per quanto concerne le titolarità delle singole unità immobiliari, con definitivo superamento della questione del condomino apparente.

Questi è stato identificato in quel soggetto che, con il suo comportamento (nella specie: assidua partecipazione alle assemblee, in quanto apparentemente legittimato alla ricezione dell'avviso di convocazione; regolare effettuazione a proprio nome del pagamento degli oneri condominiali; costante interazione con l'amministratore dell'edificio e con gli altri condomini) e senza che il legale rappresentante fosse stato messo nella condizione di conoscere la diversa titolarità dell'unità abitativa, aveva indotto lo stesso a ritenere, in buona fede che fosse questi il reale proprietario di quell'immobile, che in realtà apparteneva ad altro soggetto.

Tale situazione anomala aveva dato vita a numerosi contenziosi giudiziari che avevano determinato contrastanti orientamenti giurisprudenziali, poi composti agli inizi degli anni 2000.

Infatti, veniva affermato che in caso di azione giudiziale dell'amministratore di condominio per il recupero della quota di spesa di competenza di un'unità immobiliare di proprietà esclusiva, legittimato passivo è esclusivamente il proprietario di detta unità e non chi possa apparire tale, non sussistendo le condizioni per l'operatività del principio dell'apparenza del diritto, avuto riguardo sia al fatto che tale istituto è strumentale essenzialmente ad esigenze di tutela dei terzi in buona fede, non riscontrabili nei rapporti tra il condominio e singoli condomini, sia alla natura processuale dell'istituto, sia al sistema delle garanzie del credito» (Cass. S.U., n. 5035/2002).

A tale pronuncia si sono uniformate tutte le successive decisioni di merito e di legittimità precisando, da un lato, che nelle assemblee condominiali devono essere convocati solo i condòmini, cioè i veri proprietari e non pure coloro che si comportano come tali senza esserlo. Nei rapporti tra il condominio ed i singoli condomini partecipanti ad esso, infatti, mancano le condizioni dell'operatività del principio dell'apparenza del diritto, volto essenzialmente alla tutela dei terzi in buona fede; i terzi, rispetto al condominio, pertanto, non possono mai essere ritenuti condomini (Cass. II, n. 8824/2015) e, dall'altro, che in caso di azione proposta da soggetti terzi rispetto al condominio e volta all'adempimento delle obbligazioni contratte dall'amministratore per conto del condominio medesimo, passivamente legittimati sono i proprietari effettivi delle unità immobiliari e non anche coloro che possano apparire tali, poggiando la responsabilità «pro quota» dei condomini sul collegamento tra il debito e la titolarità del diritto reale condominiale, emergente dalla trascrizione nei registri immobiliari; né, onde invocare l'«apparentia iuris» e garantire l'affidamento del terzo creditore, può negarsi rilievo a tale dato pubblicitario, giacché il principio dell'apparenza si applica solo quando sussistono uno stato di fatto difforme dalla situazione di diritto ed un errore scusabile del terzo in buona fede circa la corrispondenza del primo alla seconda, assumendo essa rilievo giuridico solo per individuare il titolare di un diritto, ma non per fondare una pretesa di adempimento nei confronti di chi non sia debitore (Cass. II, n. 23621/2017).

L'amministratore del condominio, in ogni caso ed al fine di assicurare una regolare convocazione dell'assemblea, è tenuto asvolgere le indagini suggerite dalla diligenza dovuta per la natura dell'attività esercitata, onde poter comunicare a tutti l'avviso della riunione, prevalendo su ogni apparenza di titolarità il principio della pubblicità immobiliare e quello dell'effettività (Cass. VI, n. 4026/2021).

Si aggiunga, altresì, che il registro dell'anagrafe condominiale è anche finalizzato a fornire un pronto riscontro alle richieste dell'amministrazione tributaria (come previsto dalla novella dell'istituto condominiale), sia a consentire ai terzi creditori del condominio di soddisfare, sia pur in misura parziale (cfr. al riguardo il precedente paragrafo), i propri crediti nei confronti dei condomini morosi i cui nominativi, se richiesti, dovranno essere comunicati loro dall'amministratore dello stabile.

I dati concernenti le unità immobiliari e le parti comuni

Nella specie si tratta dei dati catastali e di quelli relativi alla sicurezza delle parti comuni.

Per quanto concerne i dati catastali è stata evidenziata la pubblicità dei relativi documenti, reperibili presso gli uffici competenti per territorio, mentre la loro consultazione è riservata al proprietario o suo delegato. Alla comunicazione non deve essere allegato alcun documento, mentre è stato ritenuto che i proprietari devono dichiarare, sotto propria responsabilità, la data dell'accatastamento, il foglio, il mappale, il subalterno e il numero dei vani del loro appartamento, senza fare alcun riferimento alla rendita catastale, costituendo questa un dato esclusivamente fiscale. In caso di falsa dichiarazione relativa a detti dati, il condomino dichiarante non deve rispondere ex art. 483 c.p. (rubricato «Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico) trattandosi di dichiarazione rivolta ad un privato. In ogni caso ove il condominio possa provare di aver subito un danno dalla falsa dichiarazione del condomino, questi può essere multato con una sanzione pecuniaria civile da 200 a 12.000 euro, come disposto dall'art. 4, comma 4, lett. a) del d.lgs n. 7/2016 (Tortorici, 21).

L'amministratore del condominio, infatti, configura un ufficio di diritto privato assimilabile [n.d.a. prima della riforma] al mandato con rappresentanza, con la conseguente applicabilità, nei rapporti tra l'amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato (Cass. II, n. 10815/2000; Trib. Milano 22 ottobre 2013).

Per quanto concerne poi le condizioni di sicurezza, il termine «parti comuni» non può che essere interpretato in senso estensivo.

Con la novella del 2012, l'amministratore, quale rappresentante legale dell'edificio, viene a rispondere direttamente di una dichiarazione inidonea o della incompleta raccolta dei dati circa le sopravvenute condizioni di sicurezza,.

Il legislatore, facendo espressa menzione delle «condizioni di sicurezza delle parti comuni dell'edificio», non ha voluto riferirsi soltanto alla struttura dello stabile (scale, cortile ecc.), ma anche agli impianti in esso collocati (ad esempio, all'ascensore e alla centrale termica). Anche in questo caso, comunque, può ritenersi che debbono essere riportati nel registro esclusivamente i dati, senza necessità di allegazione dei relativi documenti. I dati, in ogni caso, devono essere supportati dalla relativa documentazione in possesso dell'amministratore. A titolo meramente esemplificativo: la dichiarazione di conformità degli impianti elettrici con la data del suo rilascio e, per quanto concerne l'ascensore, la comunicazione della data del contratto con la ditta manutentrice (Tortorici, 22).

Ribadito che la comunicazione dei dati che attestano la sicurezza, come previsto dalla modifica apportata all'art. 1130, n. 6, c.c. dal d.l. n. 145 del 2013 (convertito in l. n. 9 del 2014), concerne le parti comuni dello stabile, è stato osservato da fonti governative che quanto ai dati relativi alla sicurezza, questa deve essere intesa in senso ancora più esteso, rientrando nell'accezione del termine anche la «sicurezza statica» del fabbricato, che deve emergere da elementi descrittivi della documentazione condominiale. L'amministratore, quindi, dovrebbe operare in questo senso tutte le volte che nel condominio venissero effettuati lavori sulle parti comuni, aggiornando i dati contenuti nel registro, e ove questo non fosse fatto dall'amministratore in carica al tempo degli interventi sarebbe onere del rappresentante del condominio che gli subentra.

Il registro dell'anagrafe condominiale non include i dati sulla sicurezza di parti ed impianti di proprietà esclusiva.

A questo proposito è stato osservato, molto opportunamente, che gli interventi od omissioni, apportati agli impianti privati, se potenzialmente lesivi delle parti comuni, coinvolgono l'amministratore ai sensi dell'art. 1122 c.c. se a sua conoscenza; in caso contrario, la mancata iscrizione nel registro dell'anagrafe condominiale ed il verificarsi di un evento dannoso ai beni condominiali, non può essere imputato al medesimo (Tortorici, 22). Il punto di partenza per comprendere tale esclusione dal registro dell'anagrafe, va individuato nel precedente testo dell'art. 1122-bis c.c., originariamente rubricato «interventi urgenti a tutela della sicurezza negli edifici», che prevedeva la possibilità per l'amministratore, in situazione di ragionevole sospetto di violazione delle norme sulla sicurezza, di richiedere l'accesso anche alle proprietà individuali. Il venir meno di tale norma, sostituita da prescrizione legislativa ben più blanda, ha comportato la sottrazione di «poteri inquisitori» dell'amministratore sulla situazione di sicurezza del condominio. Pertanto, se da un lato nel registro dell'anagrafe condominiale sarà annotato il riferimento dei documenti o relativi agli impianti tecnologici o alle parti comuni, sicuramente lo stesso registro non potrà contenere le autocertificazioni dei condomini relativi ai rispettivi impianti (Benedetti 2017, 8).

I dati personali dei condomini

L'obbligo della prima comunicazione dei dati, che andranno a costituire il registro dell'anagrafe condominiale, e di tutte le relative variazioni successive è a carico dei partecipanti al condominio e si considera assolto quando, entro il termine di legge (60 giorni dal mutamento del soggetto o dei soggetti interessati), sia stata inviata all'amministratore la relativa notizia (meglio se tramite raccomandata con avviso di ricevimento).

Va rilevato che anche l'art. 63, comma 5, disp. att. c.c., prevede un simile adempimento a carico di chi cede diritti su unità immobiliari, stabilendo che il cedente resta solidalmente obbligato con il suo avente causa per i contributi maturati sino al momento in cui è trasmessa all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto. È evidente, pertanto, che nel caso di compravendita di un immobile l'adempimento imposto dal citato art. 65 risponde anche alla necessità richiesta per formare il registro dell'anagrafe.

Con nota del Garante della privacy, n. 434/2017 è stato chiarito che il condomino può dare notizia all'amministratore di condominio dell'avvenuto trasferimento di un diritto, come nel caso di compravendita di una unità immobiliare, oltre che tramite la trasmissione delle copia autentica dell'atto di cessione (come previsto dalla nuova normativa), anche mediante la cosiddetta dichiarazione di stipula rilasciata dal notaio rogante, purché essa risulti provvista di tutte le indicazioni utili all'amministratore ai fini della tenuta del registro dell'anagrafe condominiale.

La soluzione di equipollenza di tale dichiarazione alla copia autentica del rogito appare più che corretta, in quanto la dichiarazione anzidetta, poiché effettuata da un pubblico ufficiale, fornisce uguale autenticità e certezza ai fini della prova del mutamento del soggetto-condomino e rappresenta una alternativa efficace alla predetta copia.

Tuttavia, è stato osservato che resta fermo, comunque, che se la tenuta del registro dell'anagrafe del condominio non comporta di per sé, l'allegazione del titolo di proprietà, all'amministratore non possono bastare informazioni non documentate sulla titolarità delle singole unità immobiliari, dovendo il legale rappresentante dello stabile sempre verificare la conformità di detti dati alle reali risultanze del Registri Immobiliari. La copia autentica del rogito, pertanto, è sempre opportuna per una buona amministrazione del condominio (Scarpa 2015).

Per quanto riguarda, poi, la nozione di dati personali la Suprema Corte ha precisato che, ai sensi dell'art. 4 d.lgs. n. 196 del 2013, dato personale oggetto di tutela è qualunque informazione, relativa a persona fisica o giuridica, ente o associazione che siano identificati o identificabili – anche indirettamente – mediante riferimento a qualsiasi altra informazione ed in tale nozione sono riconducibili i dati dei singoli partecipanti al condominio, raccolti ed utilizzati per le finalità di cui agli artt. 1117 ss. c.c.; tuttavia, ragioni di buon andamento e di trasparenza giustificano una comunicazione di questi dati a tutti i condomini, non solo da parte dell'amministratore in sede di rendiconto annuale in assemblea o nell'ambito delle formazioni periodiche trasmesse nell'assolvimento degli obblighi scaturenti dal mandato ricevuto, ma anche su richiesta di ciascun condomino, il quale è investito di un potere di vigilanza e di controllo sull'attività di gestione delle cose, dei servizi e degli impianti comuni, che lo facoltizza a richiedere in ogni tempo all'amministratore informazioni sulla situazione contabile del condominio, comprese quelle che riguardano eventuali posizioni debitorie degli altri partecipanti (Cass, II, n. 1593/2013). Già in precedenza, peraltro, era stato affermato che «ove vi sia stata una divulgazione di dati personali, non si realizza necessariamente una violazione della relativa legge, dovendosi, comunque, effettuare una comparazione tra gli interessi coinvolti; tale valutazione comparativa è riservata al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità se motivata in modo adeguato e corretto» (Cass. II, n. 18421/2011).

Rispetto alla singola unità immobiliare devono essere presi in considerazione anche i comproprietari. In questo caso l'obbligo della comunicazione dei dati all'amministratore incombe su tutti i condomini e su ciascuno di essi. La ratio che si pone a fondamento di tale dovere è sostanzialmente identica a quella che sancisce l'obbligo solidale degli stessi per quanto concerne il pagamento degli oneri condominiali.

Infatti, per questo particolare aspetto, la Corte ha affermato che i comproprietari di un'unità immobiliare sita in condominio sono tenuti in solido nei confronti del condominio, al pagamento degli oneri condominiali, sia perché detto obbligo di contribuzione grava sui contitolari del piano o della porzione di piano intesa come cosa unica e i comunisti stessi rappresentano, nei confronti del condominio, un insieme, sia in virtù del principio generale dettato dall'art. 1294 c.c. (secondo il quale, nel caso di pluralità di debitori, la solidarietà si presume), alla cui applicabilità non è di ostacolo la circostanza che le quote dell'unità immobiliare siano pervenute ai comproprietari in forza di titoli diversi (nella fattispecie, attraverso due distinti testamenti); trattandosi di un principio informatore della materia,inoltre, il giudice di pace è tenuto al rispetto di esso, anche quando decide secondo equità ai sensi dell'art. 113, comma 2, c.p.c. (Cass. II, n. 21907/2011).

Nel silenzio della legge in ordine alla modalità della comunicazione de qua si ritiene che la stessa, nel caso di comproprietà su di un medesimo immobile, possa essere anche contenuta in un unico documento, purché firmato da tutti i comproprietari, i quali dovranno allegare copia del proprio documento d'identità.

Gli oneri per l'intervento forzato dell'amministratore per la ricerca dei nominativi (presso l'ufficio dei registri immobiliari) è spesa individuale i cui costi devono essere, per legge, sostenuti dai soggetti interessati. Si tratta, a questo proposito, solo dei costi vivi poiché l'attività rientra nell'ambito dell'ordinaria amministrazione. Nulla vieta, tuttavia, che l'amministratore, nel contratto relativo all'assunzione dell'incarico abbia indicato una voce specifica di compenso e le modalità per il relativo calcolo.

I dati relativi ai titolari di diritti reali

Passando, poi, ai titolari dei diritti reali, che la nuova disciplina prevede debbano essere inseriti nel registro de quo, si deve fare riferimento agli usufruttuari ed ai titolari dei diritti di uso e di abitazione.

Per quanto concerne l'usufrutturario, l'art. 67, commi 6, 7 e 8, disp. att. c.c. ha dato nuovo vigore alla sua posizione in seno al condominio, tanto è vero che ha stabilito espressamente la solidarietà con il proprietario per il pagamento dei contributi di natura condominiale, ampliando l'area di sua competenza per esprimere il voto in sede assembleare.

In questo senso, si è espressa la giurisprudenza di merito successiva all'entrata in vigore della novella del 2012, la quale ha precisato che, in tema di legittimazione passiva del nudo proprietario in relazione a decreto ingiuntivo per spese di manutenzione ordinaria che competono all'usufruttuario, qualora l'obbligazione per le spese sia insorta solo dopo l'entrata in vigore del nuovo art. 67, va ritenuta esistente la solidarietà tra il nudo proprietario e l'usufruttuario per i crediti condominiali, dovendosi, quindi, rigettare l'opposizione e confermare il decreto ingiuntivo nei confronti del nudo proprietario, ben potendo lo stesso rivalersi con l'usufruttuario delle spese di manutenzione a lui di competenza (Trib. Milano 26 febbraio 2016). Là dove la Corte, prima della novella, aveva affermato che qualora un appartamento sito in condominio sia oggetto di usufrutto, l'usufruttuario è tenuto alle spese di amministrazione e di manutenzione ordinaria del condominio, mentre il nudo proprietario non vi è tenuto, neppure in via sussidiaria o solidale; peraltro, ove il nudo proprietario agisca nei confronti dell'usufruttuario per il rimborso di spese attinenti ai servizi comuni da lui sostenute, nel relativo giudizio è consentito all'usufruttuario di contestare il debito sul rilievo del mancato godimento di tali servizi (Cass. II, n. 2236/2012).

Con espresso riferimento alla questione in esame si evidenzia che, per quanto la durata dell'usufrutto sia legata alla vita dell'usufruttuario (art. 979 c.c.), per tutto il tempo del godimento del bene a tale titolo, questi ne ha ampia disponibilità potendo locare il bene, ovvero cedere il diritto a terzi, anche per un certo periodo (art. 980 c.c.).

Tanto è vero che se, dopo la cessione con atto inter vivos di una quota di usufrutto non congiuntivo, il cessionario muore, il diritto si trasmette mortis causa agli eredi del cessionario e perdura fino a quando si mantenga in vita l'originario cedente (Cass. II, n. 8911/2016).

L'obbligo di comunicazione dei dati personali dell'usufruttuario all'amministratore ricade sul nudo proprietario, ma questo non esime il titolare del diritto dal supplire all'inerzia del primo, tanto più in considerazione della posizione che l'usufruttuario ha assunto in seno al condominio. In effetti, in caso di eventuali danni derivanti dalla mancata comunicazione si può configurare una responsabilità solidale dei due soggetti verso l'ente.

In caso di locazione del bene oggetto di usufrutto, ovvero di cessione dell'usufrutto a terzi l'obbligo in questione è tutto dell'usufruttuario.

Il diritto d'uso si sostanzia nel diritto di servirsi del bene che ne forma oggetto e, se fruttifero, di raccogliere i frutti per quanto occorre ai bisogni suoi e della famiglia, in considerazione della condizione sociale del titolare del diritto (art. 1021 c.c.).

Si tratta di un diritto reale di natura temporanea, al quale non può attribuirsi carattere di perpetuità, nonché di carattere personale, essendone vietata la cessione a terzi ai sensi dell'art. 1024 c.c., salvo espressa pattuizione di deroga ad opera delle parti (Cass. II, n. 4599/2006). Si estingue con la morte dell'usuario e, non essendo trasferibile mortis causa, è inapplicabile, in favore degli eredi subentrati nel godimento del bene, la successione nel possesso ai sensi dell'art. 1146 c.c. (Cass. II, n. 17491/2012).

Con riferimento all'ambito condominiale è stato affermato che l'uso esclusivo su parti comuni dell'edificio riconosciuto al momento della costituzione di un condominio in favore di un'unità immobiliare in proprietà esclusiva, al fine di garantirne il migliore godimento, non è riconducibile al diritto reale d'uso previsto dall'art. 1021 c.c. e, pertanto, oltre a non mutarne le modalità di estinzione, è tendenzialmente perpetuo e trasferibile ai successivi aventi causa dell'unità immobiliare cui accede (Cass. II, n. 24301/2017).

Il diritto di abitazione, disciplinato dall'art. 1022 c.c. dispone che chi ha il diritto d'abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia.

Ha natura reale e si costituisce mediante testamento, usucapione o per contratto, richiedendo «ad substantiam» la forma di atto pubblico o della scrittura privata, ai sensi dell'art. 1350, n. 4), c.c. (Cass. II, n. 4562/1990). Si estende sia a tutto ciò che concorre ad integrare la casa che ne è oggetto, sotto forma di accessorio o pertinenza (balconi, verande, giardino, rimessa, ecc.), giacché l'abitazione non è costituita soltanto dai vani abitabili, ma anche da tutto quanto ne rappresenta la parte accessoria, sia, in virtù del combinato disposto degli art. 983 e 1026 c.c., alle accessioni (Cass. II, n. 2335/1981).

Malgrado per espressa previsione legislativa (art. 1026 c.c.) all'uso e all'abitazione si applichino le norme in materia di usufrutto, in quanto compatibili, in occasione della formazione del registro dell'anagrafe condominiale, pur tenendo conto della circostanza che l'estensione di entrambi i diritti è più limitata rispetto a quella che caratterizza il diritto di usufrutto, per il richiamo legislativo in questione, l'obbligo della comunicazione dovrebbe pesare in solido sul nudo proprietario e sul titolare degli stessi diritti, con pari conseguenze in ordine alle responsabilità per eventuali danni patiti dal condominio per effetto dell'inadempimento.

Con riferimento allo specifico caso del pagamento degli oneri condominiali la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, ove un appartamento sia oggetto di diritto reale di abitazione, gravano sul titolare di quest'ultimo le spese di amministrazione e di manutenzione ordinaria, mentre cadono a carico del nudo proprietario quelle per riparazioni straordinarie, trovando applicazione, giusta l'art. 1026 c.c., le disposizioni dettate dagli artt. 1004 e 1005 c.c. in tema di usufrutto (Cass. II, n. 9920/2017 in fattispecie anteriore alla riforma del 2012).

Dati e titolari di diritti personali di godimento

Il conduttore, il comodatario ed il titolare di un contratto di leasing, sono i soggetti che a tale titolo debbono essere inseriti nel registro dell'anagrafe condominiale.

La figura del conduttore è stata nuovamente ignorata dal legislatore del 2012, anche se in una prima lettura del progetto di riforma delle norme condominiali, in forza di alcune norme, questi veniva espressamente chiamato a partecipare alla vita del condominio: infatti, l'art. 1117-quater c.c. aveva previsto che anche il conduttore poteva chiedere all'amministratore di intervenire in caso di attività contraria alle destinazioni d'uso delle parti comuni; l'art. 1122-bis c.c. aveva stabilito che l'amministratore, a fronte di un ragionevole sospetto di difetto di sicurezza quanto ad interventi effettuati dai condomini, su richiesta anche del conduttore poteva sollecitare l'accesso alle parti di proprietà esclusiva ed, infine, l'art. 67 disp.att.c.c. aveva allargato la compagine assembleare al conduttore, quando oggetto della delibera fossero argomenti attinenti all'ordinaria amministrazione e godimento delle cose e dei servizi comuni (Meo 2013).

Il conduttore, quindi, ancora oggi rimane nei confronti del condominio in una sorta di «limbo», se non fosse per alcuni limitati diritti, che gli sono stati riconosciuti dall'art. 10 della l. n. 392/1978, che consente loro di partecipare all'assemblea dei condomini con diritto di voto, in luogo del proprietario dell'appartamento locatogli, per un numero limitato di questioni, mentre l'art. 9, concernente il pagamento degli oneri accessori (secondo un numero di questioni indicate specificatamente), rimane norma interna tra le parti del contratto.

L'estraneità del conduttore rispetto al condominio comporta che l'amministratore non potrà mai richiedere un decreto ingiuntivo nei confronti del medesimo (neppure per quelle spese in ordine alla quali ha, comunque, il diritto di voto in assemblea), poiché il credito dell'ente riguarda soltanto il condomino moroso, a nulla rilevando che, di fatto, spesso il conduttore versa gli oneri posti a suo carico dal contratto e dalla legge.

Il conduttore è un detentore qualificato del bene locatogli e non è stato considerato dal legislatore tra i soggetti che devono essere registrati ai fini dell'anagrafe condominiale.

Se tale registro ha lo scopo di identificare tutti i soggetti che risiedono, ovvero hanno il domicilio in una unità immobiliare facente parte dello stabile condominiale, allora anche l'amministratore deve prendere atto formalmente di tale presenza e lo potrà fare nel momento in cui sarà il proprietario a darne notizia.

È stato a questo proposito obiettato che visto il silenzio della legge sul punto non è chiaro per quale motivo l'amministratore sia tenuto a trattare i dati del conduttore. Una risposta plausibile sarebbe quella che estendere il censimento a soggetti, come i conduttori, che sono estranei alla compagine condominiale dovrebbe servire per avere un'immediata conoscenza degli autori di violazioni al regolamento di condominio che, come noto, deve essere rispettato anche dagli inquilini (meo 2013)

Seguendo questa logica, inoltre, i successori nel contratto, ai sensi dell'art. 6 della l. n. 392/1978 e della successiva l. n. 431 del 1998 (leggi relative alle locazioni abitative) e dell'art. 37 della stessa normativa (riguardante le locazioni non abitative) debbono essere considerati successori «iure proprio», talché cancellato il conduttore originario, non facente più parte del rapporto di locazione, saranno i successori a dover essere inseriti nel registro dell'anagrafe condominiale.

  Nel caso delle c.d. “locazioni in nero”, fenomeno molto diffuso tra i condòmini che affittano i propri immobili a più soggetti (ad esempio: agli studenti) senza registrare il contratto di durata superiore ai trenta giorni e senza comunicare all'amministratore del condominio il nominativo degli occupanti, si pone il problema per il rappresentante dell'ente condominiale di come procedere per aggiornare il registro dell'anagrafe condominiale, nel rispetto dell'art. 1130, comma 1, n. 6, c.c. In tale ipotesi l'amministratore non è un vigilante tenuto ad identificare tutti i soggetti che occupano le unità immobiliari dell'edificio, a meno che non emergano motivi specifici  legati alla gestione ed alla sicurezza delle parti comuni. E questo potrebbe avvenire nel caso in cui i condomini dovessero lamentare che da un appartamento, nel quale siano presenti stabilmente una o più persone, provengono continui rumori che arrecano disturbo alla quiete dei residenti (Orefice, 2019).

L'utilizzatore di un'unità immobiliare in leasing non è titolare di un diritto reale ma di un diritto personale derivante da un contratto ad effetti obbligatori, che rimette il perfezionamento dell'effetto traslativo ad una futura manifestazione unilaterale di volontà del conduttore (Cass. II, n. 27162/2018). Se a tale soggetto, per effetto dell'art. 1137 c.c., è inibita l'impugnativa delle delibere assembleari egli, in ogni caso, deve essere iscritto nel registro dell'anagrafe condominiale come previsto dall'art. 1130, n. 6, c.c.

Infine, anche il comodatario, quale titolare di un diritto di godimento dell'immobile, deve essere individuato nel registro in esame.

L'anagrafe del supercondominio

L'amministratore del supercondominio è tenuto a formare, curare e ad aggiornare il registro dell'anagrafe condominiale, dal momento che il novellato art. 1117-bis c.c. ha previsto che le norme disciplinanti il condominio si applicano, in quanto compatibili, anche al supercondominio, istituto oramai costantemente riconosciuto, da dottrina e giurisprudenza, quale destinatario dell'intera normativa contenuta nel codice civile.

Le modalità per dare vita e tenere aggiornato il registro dell'anagrafe del supercondominio sono le stesse previste per il condominio semplice, così come non ne differisce il contenuto. Sicuramente le operazioni sono più complesse, visto che il numero dei partecipanti, spesso molto elevato, potrebbe creare ostacoli nella ricerca delle informazioni quando non siano gli stessi partecipanti a fornirle. Le notizie utili possono essere attinte direttamente dai singoli super-condomini, oppure reperite tramite gli amministratori dei vari edifici che compongono il supercondominio. In questo caso i singoli amministratori, pur non obbligati espressamente dalla nuova disciplina a dare riscontro a tale richiesta, hanno l'obbligo di farlo, essendo tale comportamento dovuto di riflesso per effetto del disposto di cui all'art. 1129, comma 12, n. 7), c.c., che considera grave irregolarità, ai fini della revoca dell'amministratore, l'inosservanza della formazione dei registri condominiali.

Per la giurisprudenza di merito più recente, infatti (Trib. Napoli 9 febbraio 2018) è annullabile la delibera condominiale allorchè sia stata impugnata per mancata convocazione di un condomino e nel corso del giudizio sia emerso che la mancata convocazione sia conseguente alla omissione, da parte dell'amministratore del supercondominio, di aggiornamento dell'anagrafe condominiale.

Privacy e condominio

L'attività che l'amministratore deve svolgere per la gestione del condominio richiede il trattamento di una mole di dati sensibili, concernenti sia le notizie relative ai partecipanti al condominio ed alle proprietà individuali (persone fisiche o giuridiche), sia la documentazione inerente allo stato patrimoniale e contabile dell'ente (pagamenti, morosità, entrate ed uscite sul conto corrente comune, riserva liquida del condominio, ecc.).

Per un profilo di carattere generale, l'entrata in vigore di una serie di norme, che costituiscono il cosiddetto codice della privacy  (l. n. 675/1996; il d.lgs n. 196/2003 modificativo della stessa; il d.lgs. n. 51/2018 e, ultimo in ordine di tempo, il d.lgs. n. 101/2018 entrato in vigore il 19 settembre 2018) hanno, nel loro complesso, la finalità di assicurare che il trattamento di tali informazioni avvenga nel rispetto delle libertà e della dignità dei vari soggetti interessati, con particolare riferimento alla riservatezza, alla identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali.

Da questo principio fondamentale non poteva, pertanto, essere escluso il condominio, dal momento che i dati trattati dall'amministratore sono determinanti per il corrente esercizio della sua attività.

Prima dell'entrata in vigore della riforma si era posto il problema se fosse necessario il consenso del condomino al trattamento dei dati.

In senso negativo parte della dottrina per due ordini di motivi: da un lato, la normativa sulla privacy che esclude tale benestare quando il trattamento «è necessario per l'esecuzione di obblighi derivanti da un contratto del quale è parte l'interessato». Nel condominio, infatti, il rapporto di mandato consente il trattamento dei dati raccolti per l'espletamento dello stesso contratto intercorrente tra le parti ed avente ad oggetto l'amministrazione delle cose comuni. Per altro verso, trattandosi di dati provenienti da pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque, un diniego dell'interessato avrebbe avuto scarsa rilevanza (Salciarini, 195).

Diversa, invece, la questione concernente la comunicazione del numero dell'utenza telefonica del condomino.

Gli estremi identificativi delle utenze telefoniche, intestate ai singoli condomini o ai loro familiari, non possono essere annoverati tra quelli oggetto di necessaria ed obbligatoria comunicazione all'interno del condominio, in quanto gli stessi non rappresentano elementi utili a determinare i diritti o gli oneri sulla cosa comune, né è rinvenibile alcun obbligo di legge in tal senso (come da parere del Garante 19 maggio 2000).

La nozione di trattamento dei dati si riferisce a qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuate anche senza l'ausilio di strumenti elettronici e concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, la consultazione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto, l'utilizzo, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca dati.

Tale definizione, trasportata nell'ambito condominiale comprende tutte quelle operazioni nella cui esecuzione l'amministratore classifica ed elabora i dati, sia che riguardino le persone, sia i beni di loro proprietà. Tra queste vi rientrano, in via esemplificativa, l'anagrafe condominiale (ovvero la raccolta dei nomi e dei dati anagrafici dei proprietari e, se conosciuti, dei conduttori, usufruttuari ed utilizzatori a diverso titolo delle unità immobiliari), la situazione patrimoniale e/o debitoria dei singoli in riferimento alle spese comuni in relazione tabelle millesimali, l'indicazione della consistenza e delle caratteristiche delle singole unità immobiliari (Nicoletti, 329)

In ambito condominiale, inoltre, i termini generali cui ricorre il legislatore ai fini della normativa della privacy assumono rilevanza per la comunicazione a terzi – da intendersi l'atto di divulgare a cura dell'amministratore, o di soggetto da questo incaricato del trattamento dei dati (come, ad esempio, un collaboratore) – di riferimenti personali dei condomini o di altre persone che abbiano con il condominio un rapporto diretto. Non meno importante è la diffusione dei dati che si sostanzia nel mettere a disposizione del pubblico o, comunque, di un numero indeterminato di soggetti, in qualunque forma i dati in possesso dell'amministratore (Celeste-Nicoletti 274).

La questione della conoscibilità, al di fuori dell'ambito stretto della cerchia dell'amministratore (collaboratori di studio), era stata già ad oggetto di pronunce giurisdizionali che avevano fissato principi chiari nel senso voluto dalle norme in ambito di tutela della privacy.

Era stato, infatti, affermato che, ai sensi dell'art. 4 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, «dato personale», oggetto di tutela, è «qualunque informazione» relativa a «persona fisica, giuridica, ente o associazione», che siano «identificati o identificabili», anche «indirettamente mediante riferimento a qualsiasi altra informazione» ed in tale nozione sono riconducibili i dati dei singoli partecipanti ad un condominio, raccolti ed utilizzati per le finalità di cui agli art. 1117 ss. c.c.; tuttavia ragioni di buon andamento e di trasparenza giustificano una comunicazione di questi dati a tutti i condomini, non solo su iniziativa dell'amministratore in sede di rendiconto annuale, di assemblea, o nell'ambito delle informazioni periodiche trasmesse nell'assolvimento degli obblighi scaturenti dal mandato ricevuto, ma anche su richiesta di ciascun condomino, il quale è investito di un potere di vigilanza e di controllo sull'attività di gestione delle cose, dei servizi e degli impianti comuni, che lo facoltizza a richiedere in ogni tempo all'amministratore informazioni sulla situazione contabile del condominio, comprese quelle che riguardano eventuali posizioni debitorie degli altri partecipanti (Cass. II, n. 1593/2013).

Ed in precedenza, sempre la Corte, aveva dichiarato che la disciplina del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, prescrivendo che il trattamento dei dati personali avvenga nell'osservanza dei principi di proporzionalità, di pertinenza e di non eccedenza rispetto agli scopi per i quali i dati stessi sono raccolti, non consente che gli spazi condominiali, aperti all'accesso di terzi estranei rispetto al condominio, possano essere utilizzati per la comunicazione di dati personali riferibili al singolo condomino; ne consegue che – fermo restando il diritto di ciascun condomino di conoscere, anche di propria iniziativa, gli inadempimenti altrui rispetto agli obblighi condominiali – l'affissione nella bacheca dell'androne condominiale, da parte dell'amministratore, dell'informazione concernente le posizioni di debito del singolo condomino costituisce un'indebita diffusione di dati personali, come tale fonte di responsabilità civile ai sensi degli artt. 11 e 15 del citato codice.

Trattasi di iniziativa che va al di là della giustificata comunicazione e che non è necessaria ai fini dell'amministrazione comune, pur restando fermo il diritto di ciascun

condomino di conoscere, anche su propria iniziativa, gli inadempimenti altrui nei confronti della collettività condominiale (Trib. Taranto 07 aprile 2025, n. 826).

In questo senso si era mosso anche il Garante della privacy che, con più pareri (8 luglio 2010; 18 maggio 2006 e 12 dicembre 2001), aveva evidenziato che l'utilizzo di spazi condominiali accessibili ai terzi è giustificato «per la comunicazione di avvisi di carattere generale utili ad una più efficace comunicazione di eventi di interesse comune», là dove è necessario affidare a «forme di comunicazione individualizzata, o alla discussione in assemblea, la trattazione di affari che importi il trattamento di dati personali riferiti a condomini individuati specificatamente.

Parere in perfetta linea con la lettera e lo spirito del codice della privacy, per il quale tutti i destinatari della normativa, ivi compreso l'amministratore, sono abilitati al trattamento delle sole informazioni personali pertinenti e necessarie alle attività di gestione ed amministrative e dei singoli partecipanti della collettività condominiale (ovvero dei proprietari, dei comproprietari e degli usufruttuari). Così come, rientrano in via analogica nei soggetti passivi delle norme richiamate anche i conduttori, i cui dati, per effetto della riforma del 2012, devono essere raccolti dall'amministratore e parimenti trattati.

La privacy in relazione al registro dell'anagrafe condominiale

La modifica introdotta dall'art. 1130, n. 6, c.c. ha spostato l'attenzione sulla questione concernente la creazione del registro dell'anagrafe condominiale, soggetto a continuo aggiornamento da parte dell'amministratore e contenente una serie di dati che non interessano più solo pochi soggetti, ma si estendono ad altre categorie di persone quali i titolari di diritti reali e di godimento (conduttori, comodatari, coniuge assegnatario della casa coniugale ecc.). Non solo, ma la riforma di cui alla l. n. 220/2012 ha imposto all'amministratore l'obbligo di fornire ai creditori del condominio (appaltatori, fornitori) l'elenco dei condomini morosi (art. 63, comma 1, disp. att. c.c.).

Ancora una volta il Garante ha fissato chiarimenti e linee guida sul modus operandi dell'amministratore. Il condomino deve comunicare le informazioni richieste che consentano all'amministratore di identificare e contattare tutti i soggetti indicati dall'art. 1130, n. 6), c.c., ma non deve fornire prove documentali delle informazioni rese per la tenuta del registro dell'anagrafe condominiale. Egli può chiedere all'amministratore copia integrale, senza oscuramenti, degli atti e dei documenti bancari del conto corrente condominiale.

L'amministratore, dal canto suo, può chiedere tutti i dati identificativi relativi ai singoli immobili, ma non può, invece, chiedere la documentazione attestante la proprietà (atto di compravendita) perché, in tal caso, eccederebbe dai limiti delle sue attribuzioni. l'amministratore può chiedere di inserire nel registro i dati concernenti le condizioni di sicurezza degli impianti individuali (newsletter n. 387/2014).

In merito alla consegna del rogito notarile a prova della proprietà, si rileva, che si appalesa un'evidente incongruenza o meglio contraddittorietà tra la news del Garante e quanto stabilito nella riforma dell'istituto condominiale dall'art. 63, comma 5, disp. att. c.c., ove si prevede espressamente che, in caso di cessione di diritti sulle unità immobiliari, il cedente, deve inviare all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto.

Tale chiarimento è stato interpretato come un'amnesia del Garante, il quale non si è coordinato con la disposizione del codice civile in materia di successione nei diritti tra proprietari. A questo proposito è stato ricordato che il Consiglio Nazionale del Notariato, nello studio n. 906-2013/C, aveva chiarito che l'obbligo di comunicare all'amministratore di condominio l'avvenuta variazione dei dati presenti nel registro dei beni condominiali, non grava sul notaio rogante ma sulle parti contraenti, le quali ben possono incaricare lo stesso notaio, per cui la prova documentale resta l'elemento essenziale per l'aggiornamento del registro dell'anagrafe condominiale (Meo 2014).

La formazione dei registri assume, pertanto, una natura meramente compilativa, non essendo consentita la raccolta di documenti, poiché eccedenti rispetto alla loro funzione nell'ambito dell'attività gestionale ed amministrativa.

La questione, comunque, successivamente era stata portata all'attenzione del Garante, il quale aveva ribadito che l'amministratore condominiale non può pretendere dal condomino la copia autentica dell'atto di trasferimento del singolo immobile, confermando che le informazioni debbono essere raccolte e trattate nel rispetto del codice della privacy, per cui i condomini e gli altri titolari dei diritti di godimento e di quelli reali sull'unità immobiliare non hanno alcun obbligo di allegare atti o copie di essi a dimostrazione della veridicità delle dichiarazioni rese, mentre la richiesta informativa dell'amministratore deve limitarsi alla sola comunicazione dei dati da inserire per legge nel registro in questione (newsletter n. 106/2015). Un orientamento che non è stato di recente confermato, essendo stato affermato che il condomino può dare notizia all'amministratore del condominio dell'avvenuto trasferimento delle proprietà ovvero di un diritto reale o di godimento, come nel caso di compravendita di un'unità immobiliare, oltre che tramite la trasmissione della copia autentica dell'atto di cessione, anche mediante la cosiddetta dichiarazione di avvenuta stipula rilasciata dal notaio rogante, purché essa risulti provvista di tutte le indicazioni utili e necessarie all'amministratore ai fini della tenuta del registro dell'anagrafe condominiale (newsletter n. 434/2017).

Si concorda con tale ultima soluzione, che appare decisamente la più corretta in quanto fornisce una interpretazione della normativa introdotta dalla riforma, ed è sicuramente più aderente alla lettera della legge ed alla ratio che l'ha ispirata ed, infine, elimina il rilevato contrasto con l'art. 63 disp. att. c.c.

Da registrare una decisione di merito (Trib. Chieti 30 gennaio 2018) con la quale è stato riconosciuto il diritto del condomino di prendere visione ed ottenere la consegna del registro dell'anagrafe condominiale, in virtù del disposto dell'art. 1129, n. 6), c.c.. In tal senso è stato accolto il ricorso del condomino, ai sensi dell'art. 633 c.p.c. per la consegna di cose, rivolto nei confronti del condominio il quale, tramite il proprio amministratore, non aveva dato corso a tale richiesta. Il Tribunale, inoltre, nell'accogliere la richiesta del ricorrente aveva evidenziato che l'esercizio di tale diritto non è subordinato all'esplicitazione di un interesse concreto, trattandosi di diritto implicito nella condizione di condomino. 

E’, quindi, illegittimo il rifiuto dell’amministratore al condomino che, formalmente, chieda copia del registro dell’anagrafe, opponendo motivi di difesa della privacy (Trib. Palermo 10 giugno 2021, n. 2514, annotata da TOSATTI, 2021).

Per quanto concerne, invece, il problema della sicurezza il Garante (newsletter cit. n. 387/2014) non ha fatto altro che riprendere il dato testuale della norma, come modificato in senso riduttivo rispetto alla prima stesura, che prevedeva che nel registro venissero anche indicati i dati concernenti la sicurezza delle proprietà individuali.

Sussiste chiaramente un problema di responsabilità dell'amministratore che non abbia fedelmente riportato nel registro dell'anagrafe condominiale, ai fini della sicurezza, i dati relativi alle parti ed agli impianti condominiali.

La Suprema Corte, con decisioni che possono essere applicate in via analogica anche all'amministratore del condominio, si è dimostrata particolarmente rigorosa in tema di reati attribuibili a chi fornisca dati falsi relativamente a quanto previsto dalla legge, ed ha affermato che integra il delitto di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico la falsa attestazione del legale rappresentante di una società circa il possesso, da parte di quest'ultima di un requisito indispensabile per la partecipazione ad una gara per la partecipazione ad un appalto pubblico, a nulla rilevando che tale attestazione sia contenuta in un'autocertificazione con sottoscrizione non autenticata, ma ritualmente prodotta a corredo dell'istanza principale, unitamente alla fotocopia di un documento di identificazione, in conformità del modello legale vigente (Cass. pen.S.U., n.35488/2007); che integra il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico e non quello di falso in atto pubblico per induzione, la condotta del privato, parte di un contratto di compravendita immobiliare, che dichiari falsamente al notaio rogante la conformità urbanistica dell'immobile, tacendo che lo stesso è stato oggetto di abusi edilizi (Cass. pen. II, n. 11628/2011) ed ancora che integra il reato di falsità in scrittura privata – previsto dall'art. 485 c.p.c. – la condotta di colui che forma falsamente e consegna al committente una dichiarazione di conformità di un impianto termoidraulico alla normativa vigente, obbligatoria per legge, facendola apparire come proveniente dal soggetto abilitato al suo rilascio (Cass. pen. II, n. 35441/2009).

Il registro delle assemblee condominiali

Il registro delle assemblee condominiali è l'unico registro che, prima della riforma, l'amministratore fosse tenuto a curare e conservare. L'ultimo comma dell'art. 1136 c.c., infatti, prevedeva, molto semplicemente, che venisse redatto un processo verbale delle deliberazioni dell'assemblea da trascriversi in un registro tenuto dall'amministratore.

Il nuovo art. 1130, n. 7), c.c. specifica, invece, che in detto registro siano anche annotate: le eventuali mancate costituzioni dell'assemblea; le deliberazioni, nonché le brevi dichiarazioni rese dai condomini che ne hanno fatto richiesta ed, infine, che ad esso sia allegato il «regolamento condominiale, se adottato».

Il verbale delle assemblee diviene così un registro vero e proprio, nel quale si raccoglie la storia delle decisioni nel tempo del condominio, con pagine possibilmente da numerare e magari da vidimare da uno o più condomini nominati alla prima assemblea. Esso deve essere sempre compilato e conseguentemente annotato sul registro da parte di almeno uno dei condomini presenti, anche quando l'assemblea non abbia potuto tenersi per mancanza del quorum costitutivo, oppure qualora i condomini abbiano deciso di rinviarla ad altra data senza assumere alcuna deliberazione. L'annotazione, presumibilmente, può avvenire anche all'inizio dell'assemblea in seconda convocazione, considerato che questo è il momento preciso in cui si accerta l'impossibilità di procedere alla riunione (Lazzaro, 425).

Va anche sottolineato che l'omessa o la carente tenuta del registro esaminato comporta ormai necessariamente una grave irregolarità, tale da portare alla revoca giudiziale del legale rappresentante dell'edificio (art. 1129, n. 7, c.c.).

Per quanto concerne poi l'allegazione del regolamento adottato al registro, si rileva che la norma non può che riferirsi al regolamento contrattuale (da intendersi tale predisposto dall'originario costruttore-venditore e recepito nei singoli atti d'acquisto oppure approvato all'unanimità dai condomini) e non anche a quello assembleare, in ordine al quale dispone l'art. 1138 c.c.

Tale atto fa corpo unico con il registro che, cronologicamente, regola la vita condominiale ed è estremamente utile per una sua facile consultazione in ordine alle regole in esso contenute, prima e durante la riunione dell'assemblea dei partecipanti al condominio (Lazzaro, 426).

Il registro della contabilità

Altra rilevante novità della riforma va ravvisata nel disposto dell'art. 1130, n. 7), c.c., concernente il registro di contabilità, nel quale devono essere annotati in ordine cronologico ed entro trenta giorni da quello dell'effettuazione, i singoli movimenti in entrata ed in uscita. La norma prevede anche la possibilità di tenere il registro con modalità informatiche.

Si tratta, nella specie, di un documento di facile e rapida consultazione che, là dove fosse curato in modalità informatica, potrebbe consentire ai condomini e, più in generale, a tutti gli aventi diritto, un diretto controllo, in tempo reale, della situazione contabile e dell'entità delle riserve a disposizione del condominio (Lazzaro, 427, Orefice,).

Tale obbligo gestionale è rilevante sia ai fini della trasparenza amministrativa, sia per le evidenti ripercussioni sul rendiconto e sulla contabilità. Il limitato tempo di trenta giorni per annotare i movimenti sul registro dà la possibilità di effettuare un immediato riscontro tra spese ed incassi indicati sull'estratto conto e, poi, riportati in tale fascicolo. Per quanto concerne i controlli da parte dei condomini si è parlato di una sorta di «microsistema» di verifiche e riscontri che sono esercitabili nel corso della gestione (Rosselli, 116).

Appare chiaro uno stretto collegamento tra l'obbligo di tenuta di tale registro e gli altri doveri in capo all'amministratore di aprire, curare ed utilizzare il conto corrente intestato al condominio e di presentare il rendiconto all'assemblea (già sostanzialmente riconosciuti dalla giurisprudenza prima della novella del 2012 ed oggi ribaditi chiaramente ed espressamente dallo stesso legislatore della riforma agli artt. 1130, n. 3), e 1130-bis c.c.

La giurisprudenza anteriore alla novella aveva concordemente affermato che per una valida deliberazione di approvazione del cosiddetto rendiconto, ovvero del bilancio consuntivo, nonché di quello preventivo, non era necessario presentare all'assemblea una contabilità redatta con forme rigorose ed analitiche (analoghe a quelle previste relativamente ai bilanci della società), essendo a tal fine sufficiente che essa fosse idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci attinenti agli incassi ed alle spese sostenute per la gestione delle cose comuni, con le relative quote di suddivisione degli oneri tra i partecipanti al condominio. Né veniva stabilito che entrate ed uscite fossero trascritte nel verbale della riunione dell'assemblea, avendo questa la facoltà di procedere all'approvazione dei bilanci sinteticamente, sulla base della documentazione giustificativa delle spese fornita dall'amministratore (Cass. II, n.1405/2007; Cass. II, n.9099/2000).

Da tale documentazione doveva, comunque, trarsi prova non solo della quantità e qualità delle somme incassate e degli esborsi erogati, ma anche di tutti gli altri elementi che consentissero di vagliare le modalità con cui l'incarico era stato eseguito e se l'operato di chi rendeva il conto fosse stato adeguato a criteri di buona amministrazione (Terzago, 410).

La problematica deve ormai ritenersi decisamente superata, grazie alla riforma dell'istituto condominiale che, con l'art. 1130-bis c.c., ha dettato norme molto specifiche ed analitiche sulle modalità ed i contenuti di redazione del rendiconto condominiale. Oltre al registro di contabilità, infatti, il rendiconto deve essere composto da un riepilogo finanziario; da una nota sintetica esplicativa della gestione (contenente anche l'indicazione dei rapporti in corso e delle questioni pendenti), mentre l'assemblea ha sempre il potere di nominare un revisore dei conti al fine di verificare la contabilità condominiale.

Costituendo il registro esaminato sostanzialmente una scrittura contabile, nonché considerando che oggi l'incarico di amministratore del condominio può essere conferito anche ad una società (art. 71-bis disp. att. c.c.), si è affermato che al rappresentante debba essere applicato (anche nel caso di amministratore persona fisica) il disposto dell'art. 2219 c.c., in base al quale le scritture debbono essere tenute secondo le norma di un'ordinata contabilità, «senza spazi in bianco, senza interlinee e senza trasporti in margine» e che «non vi possono essere abrasioni, mentre, ove sia necessaria qualche cancellazione, questa deve eseguirsi in modo che le parole cancellate siano leggibili» (Lazzaro, 427).

Con particolare riferimento alla natura e funzione del conto corrente condominiale, che rappresenta uno degli elementi di riferimento fondanti per la formazione del registro di contabilità si segnala l'impostazione di alcuni giudici di merito.

Il conto corrente condominiale (previsto obbligatoriamente dall'art. 1129 c.c.) non è altro che un conto sul quale vanno ad affluire le somme versate da tutti i condomini e va escluso che su di esso possa ritenersi impressa una specifica destinazione; di conseguenza, qualora il condominio – per il tramite dell'amministratore pro tempore – non abbia assolto all'onere probatorio di fornire la prova (ad esempio, attraverso la produzione del registro di contabilità previsto dall'art. 1130 c.c. o degli estratti conto bancari) che su detto conto non vi siano somme di pertinenza di condomini morosi (in riferimento all'obbligo di preventiva escussione di questi ultimi imposto dall'art. 63 delle disposizioni di attuazione del codice civile) dette somme debbono ritenersi pignorabili, e il relativo saldo può essere assegnato a soddisfazione del credito vantato dal creditore procedente (Trib. Catania 24 maggio 2014).

La non corretta ed ordinata tenuta del registro è considerata grave irregolarità ai fini della revoca dell'amministratore ex art. 1129, comma 12, n. 7), c.c.

Nel merito è stata ravvisata una mancata regolare tenuta del registro contabile nel caso in cui alcune pagine rechino lo stesso numero, ripetuto più volte. Tale ripetizione ingenera il sospetto che detto registro possa essere stato integrato ad arte dall'amministratore e concretizza la certezza di una tenuta del registro non conforme ai canoni di diligenza ex art. 1176 c.c., che ci si deve attendere da un professionista qualificato come l'amministratore (Trib. Milano 2 dicembre 2016).

Più recente altra decisione, con la quale si è affermato che le deliberazioni assembleari devono essere impugnate a pena di decadenza, entro il termine di trenta giorni dal momento della loro adozione, laddove ad impugnarle sia un condomino dissenziente e presente al momento della decisione del'assemblea (art. 1137 c.c.). Tale regola vale solo nell'eventualità che la delibera risulti affetta da vizio di annullabilità, giacché nel caso in cui essa risulti viziata da nullità, l'azione di impugnazione non è soggetta a detto termine decadenziale. Nella fattispecie, relativa ad impugnazione della delibera assembleare per omessa tenuta del registro di contabilità e per l'assenza di documenti giustificativi di spesa, si tratta di vizio concernente la correttezza formale dell'atto di rendiconto ovvero di censure, quale quella concernente la non corretta tenuta dei registri contabili condominiali, che possono disvelare una grave irregolarità dell'amministratore nella gestione del condominio, con conseguente operatività del termine decadenziale di trenta giorni dall'adozione della delibera (Trib. Roma 18 gennaio 2018).

Anche l’omessa esibizione del registro di contabilità configura comportamento illegittimo dell’amministratore che rende la delibera annullabile. Il rifiuto dell’amministratore, infatti, concreta una evidente e grave violazione del diritto del condomino a verificare la contabilità condominiale ed a consentire una partecipazione informata all’assemblea. L’obbligo del rappresentante dell’Ente, che discende anche dalle regole generali in materia di mandato (art. 1713 c.c.) è ancora più pregnante quando riguardi l’assemblea deputata ad approvare il bilancio, tenendo conto che il registro di contabilità rappresenta documento fondamentale per il controllo e la verifica delle poste del rendiconto alle effettive entrate ed uscite eseguite nel periodo di esercizio. In tal modo la violazione commessa dall’amministratore ha viziato il processo di formazione della volontà collegiale (Trib. Roma 2 ottobre 2018).

Il registro di nomina e revoca degli amministratori

Ancora al fine di garantire trasparenza, correttezza ed effettivo controllo della gestione del condominio, l'amministratore è tenuto a curare la tenuta del registro di nomina e revoca degli amministratori, il cui scopo è quello di consentire ai soggetti terzi ed agli stessi condomini di individuare con maggiore facilità chi sia il soggetto passivamente legittimato, tanto nel caso sorga una controversia giudiziale con il condominio, quanto qualora sia necessario accertare la persona alla quale rivolgersi per qualunque questione (contratti, pagamenti, danni, ecc.) che interessi lo stabile dal medesimo gestito.

In detto registro devono essere annotate, in ordine cronologico, le date di nomina e di revoca di tutti gli amministratori che si sono succeduti nel condominio nonché, nel caso di intervento dell'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 1129, comma 1, c.c. (nomina) e comma 11 (revoca), gli estremi del corrispondente decreto.

Il tutto al fine di potere verificare eventuali periodi di interregno nel susseguirsi dei diversi rappresentanti dell'ente condominiale (Lazzaro, 426).

Quando nomina o revoca siano avvenute contestualmente durante l'assemblea le date relative alla delibera ovviamente coincidono con il giorno della riunione assembleare mentre, se è trascorso tempo tra la data della delibera di nomina e quella dell'accettazione dell'incarico da parte del designato, dovranno indicarsi le date delle assemblee relative ai due momenti qui richiamati.

Nell'ipotesi, invece, che la nomina o la revoca sia state disposte dall'autorità giudiziaria, come accennato, nel registro dovranno essere indicati gli estremi del provvedimento di nomina o di revoca e la data in cui il provvedimento è divenuto esecutivo.

Nel registro devono essere annotati i dati anagrafici e professionali dell'amministratore nominato; il suo codice fiscale ed il locale ove è depositata la documentazione condominiale (con le ore ed i giorni di accesso alla stessa, previa richiesta dell'interessato), mentre, nel caso l'edificio sia amministrato da una società, è opportuno che, oltre alla denominazione ed alla sede dalla stessa, siano indicati anche i nomi dei dipendenti ai quali il condominio viene affidato.

Ed ancora, nell'ipotesi di amministratore coperto da polizza assicurativa da responsabilità civile per gli atti compiuti in esecuzione del suo mandato, sarà sempre opportuno che gli estremi di detta polizza di assicurazione individuale siano annotati nel registro in esame (così Lazzaro, 426).

La Suprema Corte sempre sul punto ha affermato che alla nomina dell'amministratore di condominio di un edificio è applicabile la disposizione dell'art. 1392 c.c., secondo cui, salvo che siano prescritte forme particolari e solenni per il contratto che il rappresentante deve concludere, la procura che conferisce il potere di rappresentanza può essere verbale o anche tacita, di talché essa può risultare, indipendentemente da una formale investitura da parte dell'assemblea e dall'annotazione nello speciale registro di cui all'art. 1129 c.c., dal comportamento concludente dei condomini che abbiano considerato l'amministratore tale a tutti gli effetti, pur in assenza di una formale nomina assembleare, rivolgendosi abitualmente a lui in detta veste, senza mettere in discussione i poteri di gestione e di rappresentanza del condominio (Cass. II, n. 22427/2016).

La responsabilità civile dell'amministratore

Il rapporto di mandato con rappresentanza tra il condominio e l'amministratore impone che questi, ai sensi dell'art. 1710 c.c., esegua il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia. Se, poi, il mandato è gratuito, l'eventuale responsabilità per colpa del mandatario è valutata con minor rigore.

La giurisprudenza ha precisato che l'adempimento del mandato esige e ricomprende non solo il diligente compimento, da parte del mandatario, degli atti per i quali il mandato stesso è stato conferito, ma anche degli atti preparatori e strumentali, nonché di quelli ulteriori che, dei primi, costituiscano il necessario complemento, e comporta altresì il dovere di informare tempestivamente il mandante della eventuale mancanza o inidoneità dei documenti occorrenti all'esatto espletamento dell'incarico (Cass. II, n. 2149/2000).

Allorché l’assemblea abbia conferito all’amministratore il mandato di seguire tutte le pratiche inerenti il passaggio di proprietà, sino alla vendita di un bene condominiale gestendo, quindi, la fase contrattualistica funzionale e propedeutica alla compravendita, vi è una responsabilità contrattuale dell’amministratore per non avere curato di esperire, con la dovuta diligenza, l’incarico affidatogli.

In mancanza di precise conoscenze/competenze nella materia oggetto del mandato l’amministratore, usando la normale diligenza, si deve astenere dall’assumere determinati impegni, salvo assumerne le conseguenze (Trib. Busto Arsizio, 21 ottobre 2021, n. 1494).

L'amministratore deve svolgere le attribuzioni conferitegli dalla legge, dal regolamento e dall'assemblea, con perizia, onestà e diligenza osservando non solo le norme del codice civile, ma anche le disposizioni contenute nelle leggi speciali che riguardano il condominio, nonché ponendo in esecuzione i provvedimenti emessi dall'autorità giudiziaria, le ordinanze del sindaco e così via.

Illustre dottrina aveva osservato che l'eventuale responsabilità dell'amministratore verso il condominio non influisce sull'essenza dell'organo gestorio. Quello che conta è vedere e giustificare il contegno dell'amministratore, poiché il fondamento sta nella circostanza che chi ha avuto un incarico deve assolverlo con la diligenza richiesta al buon padre di famiglia. L'amministratore è, dunque, responsabile sia quando eccede i limiti delle sue attribuzioni, sia quando usa male i poteri-doveri conferitigli dalla legge, sia quando non adempie a quello che la legge o il regolamento gli impongono di fare (Branca, 587).

Nell'espletamento delle attribuzioni di cui all'art 1130 c.c.l'amministratore, che è un rappresentante dei partecipanti al condominio deve indirizzare la propria attività alla tutela degli interessi del gruppo. La violazione di tale suo dovere, se lo rende responsabile dei danni subiti dal gruppo dei condomini, si esaurisce nei rapporti interni con il condominio, e, pertanto, non esclude o diminuisce l'eventuale responsabilità del condominio medesimo nei confronti di altri soggetti, compreso tra questi il singolo condomino, distinto dal gruppo e come tale rimasto danneggiato per la difettosità di parti comuni dell'edificio, da considerarsi nella custodia del condominio agli effetti dell'art 2051 c.c. (Cass. II, n. 859/1981). Il rappresentante del condominio ha il compito di provvedere non solo alla gestione delle cose comuni, ma anche alla custodia di esse, col conseguente obbligo di vigilare affinché non rechino danni a terzi od agli stessi condòmini. Quest'obbligo non viene meno neanche nell'ipotesi in cui il condominio appalti a terzi lavori riguardanti le parti comuni dell'edificio condominiale, a meno che il compito di vigilare su tali lavori non venga affidato a persona diversa dall'amministratore. Ne consegue che l'amministratore stesso è responsabile del danno alla persona patito da uno dei condòmini, in conseguenza dell'inciampo in una insidia (nella specie, buca nel cortile condominiale) creata dall'impresa cui erano stati appaltati lavori di manutenzione dell'immobile condominiale (Cass. II, n. 25251/2008).

L’amministratore, invece, non ha alcuna legittimazione passiva a rispondere degli effetti pregiudizievoli derivati all’edificio da interventi dei singoli condomini. Al massimo il rappresentante dell’ente di gestione sarebbe legittimato passivamente in relazione all’azione volta all’accertamento della sua inerzia nell’agire a tutela del decoro architettonico, ma la domanda deve essere rivolta direttamente nei confronti di tale soggetto (Cass. II, n. 29905/2018).

Da ciò discende che la responsabilità personale dell'amministratore si configura nel momento in cui sia dimostrato che lo stesso, nell'esecuzione del mandato, ha operato con negligenza. Va, peraltro, evidenziato, che la prerogativa dell'assemblea di riesaminare i provvedimenti presi dall'amministratore, nonché il ricorso all'autorità giudiziaria (art. 1133 c.c.), non possono avere alcun effetto nei riguardi dell'amministratore se questi ha agito secondo i canoni della buona fede.

Infatti, sul punto la Corte ha affermato che a norma dell'art. 1133 c.c., l'amministratore di condominio ha il potere di assumere provvedimenti obbligatori nei confronti dei condomini, i quali possono impugnarli davanti all'assemblea e, ricorrendone le condizioni, davanti all'autorità giudiziaria; pertanto, poiché l'amministratore è tenuto a garantire il rispetto del regolamento di condominio allo scopo di tutelare la pacifica convivenza, qualora egli inviti uno dei condomini al rispetto delle leggi o del regolamento vigenti, non è configurabile, a suo carico, alcun atto di turbativa del diritto altrui nel caso in cui egli abbia agito, secondo ragionevole interpretazione, nell'ambito dei suoi poteri-doveri di cui agli artt. 1130 e 1133 c.c. (Cass. II, n. 10347/2011; Cass. 13689/2011).

L'entrata in vigore della riforma, che ha ampliato e potenziato i doveri dell'amministratore, non può che avere come conseguenza fisiologica un aumento della sua responsabilità nei confronti della compagine condominiale, dei singoli condomini ed anche dei terzi.

Ed è stato acutamente osservato che può allora fondatamente sostenersi che proprio con la recente riforma della disciplina del condominio il ruolo dell'amministratore sia transitato da un tipico munus di rappresentanza ad un rinvigorito onus di responsabilità: la l. n. 220/2012 ha ritenuto, invero, di imputare all'amministratore una responsabilità pressoché illimitata quale conseguenza delle relazioni giuridiche tra il condominio ed i terzi. Infatti, come rilevato dall'autore, la figura dell'amministratore ha assunto, nell'ambito dell'organizzazione condominiale un ruolo primario e complesso che può costituire fonte colpevole di responsabilità, in ragione sia dei nuovi e numerosi obblighi gravanti sull'amministratore, sia degli obblighi già a carico dello stesso (Scarpa 2016, 19). Peraltro, non possono farsi specifiche distinzioni tra responsabilità di un amministratore professionista e semiprofessionista, non potendo rilevare, a tali fini, l'esercizio più o meno saltuario di un'attività, mentre una valutazione parzialmente diversa può essere fatta per quanto attiene la diligenza richiesta all'amministratore condomino, esentato dalla stessa legge dal possesso dei requisiti di professionalità e per questo motivo soggetto ad una responsabilità verso i mandanti sicuramente più tenue ed aderente a quella del buon padre di famiglia ex art. 1710 (Del Torre, 606). Secondo altra dottrina la responsabilità dell'amministratore verso i terzi danneggiati è personale, se questi opera al di fuori dell'ambito delle sue attribuzioni mentre è ravvisabile in capo al condominio nel caso contrario. In tal caso l'ente si potrà rifare personalmente sul proprio rappresentante (Nasini, 634).

La responsabilità contrattuale

Il rapporto di mandato che lega l'amministratore al condominio è l'elemento fondante della responsabilità contrattuale.

L'amministratore è responsabile verso il condominio tanto per gli inadempimenti che costituiscono lo stretto oggetto del mandato, quanto per le violazioni delle norme che lo riguardano in senso lato (codice civile ed ulteriori disposizioni legislative riferibili al condominio), senza trascurare che tra il condominio ed il suo rappresentante viene sottoscritto un libero accordo, che può contenere anche il conferimento di obbligazioni che vadano al di là di quelle canoniche previste dalle norme che disciplinano l'istituto.

A livello solo esemplificativo la responsabilità personale dell'amministratore è configurabile in tutti i casi in cui egli commetta irregolarità tali da determinarne la revoca; allorché si sia manifestato palesemente incompetente nell'esercizio del mandato, anche con riferimento alla redazione di bilanci manifestamente errati e tali da comportare danni al condominio (occorre, infatti, ricordare che ai sensi dell'art. 1130-bis c.c. l'assemblea può sempre nominare un revisore dei conti per effettuare i controlli contabili); quando abbia promosso ovvero si sia costituito in un giudizio esorbitante dalle sue attribuzioni senza essersi premunito dell'autorizzazione dell'assemblea e, malgrado il rinvio del giudice all'espletamento di tale adempimento, non abbia provveduto ad acquisire la necessaria ratifica al suo operato (in tal caso l'amministratore, a fronte di esito negativo della lite, sarà chiamato dal condominio a rispondere personalmente non solo per il pagamento delle spese processuali, ma anche dell'eventuale danno patito dal rappresentato); se non abbia avvisato l'assemblea della lite pendente e non si sia costituito in giudizio, ovvero ne abbia dato notizia con un ritardo tale da incorrere in preclusioni processuali, che abbiano potuto influire sull'esito finale del giudizio; oppure ancora se con tale comportamento omissivo abbia impedito all'assemblea di tentare di risolvere la questione in via transattiva; se abbia impedito ai condomini, che ne abbiano fatto richiesta, di conoscere la situazione patrimoniale ed economica del condominio. Trattasi di comportamenti che, pacificamente, violano il disposto delle norme che disciplinano le modalità di gestione del condominio da parte dell'amministratore e così via.

La violazione, da parte dell'ex amministratore, dell'obbligo di informativa di cui all'art. 1131, comma 3, c.c., costituisce indubbiamente una condotta omissiva, contraria ai doveri di diligenza del buon padre di famiglia richiesta dalla legge al rappresentante condominiale. Tuttavia, per far valere un diritto risarcitorio connesso a tale obbligo è necessario che venga dimostrato il nesso di causalità giuridica tra l'inadempimento ascritto all'amministratore per violazione del citato art. 1131 c.c.e la perdita, rispetto alla quale si chiede il risarcimento (Trib. Palermo 16 ottobre 2023, n. 4538. Nella specie, il condominio lamentava di essere venuto a conoscenza della propria condanna solo dopo la notifica della sentenza in forma esecutiva, in uno con l'atto di precetto).   

Più specificamente, invece, è stato affermato che non può porsi a carico dell'amministratore una responsabilità risarcitoria personale (ex art. 1133 c.c.) per il provvedimento con il quale il medesimo, nell'esercizio dei suoi poteri di curare l'osservanza del regolamento di condominio, ai sensi dell'art. 1130, n. 1), c.c., e di adottare provvedimenti obbligatori per i condomini, abbia invitato un condomino (nella specie, mediante lettera raccomandata con determinazione di un termine per l'adempimento) al rispetto del divieto regolamentare di collocazione di targhe, senza autorizzazione, sulla facciata dell'edificio (Cass. II, n. 13689/2011; Cass. II, n. 10347/2011). L'amministratore del condominio, che è responsabile dei danni cagionati dalla sua negligenza, dal cattivo uso dei poteri e in genere di qualsiasi inadempimento degli obblighi legali o regolamentari, non può essere ritenuto responsabile, ancorché sia tenuto a far osservare il regolamento condominiale, dei danni cagionati dall'abuso dei condomini nell'uso della cosa comune, non essendo dotato di poteri coercitivi e disciplinari nei confronti dei singoli condomini – salvo che il regolamento di condominio, ai sensi dell'art. 70 disp. att. c.c., preveda la possibilità di applicazione di sanzioni nei confronti dei condomini che violano le norme da esso stabilite sull'uso delle cose comuni – né obbligato a promuovere azione giudiziaria contro i detti condomini in mancanza di una espressa disposizione condominiale o di una delibera assembleare (Cass. II, n. 8804/1993). L'azione promossa dal condominio contro l'amministratore dello stesso, diretta a fare valere la responsabilità dello stesso per omesso versamento all'ente previdenziale dei contributi a carico del condominio che gli siano stati corrisposti dai condomini, è da qualificare come azione di risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale all'obbligo dell'amministratore di eseguire il mandato conferitogli con la diligenza del buon padre di famiglia a norma dell'art. 1710 c.c. Tale azione è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. (Cass. II, n. 3233/1982). Non vi è da parte dell'amministratore violazione dell'obbligo della diligenza del buon padre di famiglia per la mancanza di copertura assicurativa in relazione all'incendio del tetto dell'edificio, quando sia in grado di dimostrare di essersi comunque attivato nella raccolta dei fondi, anche mettendo in mora gli inadempienti, e malgrado ciò le casse condominiali siano rimaste vuote (Cass. II, n. 24920/2017). Nella fattispecie l'amministratore si deve adoperare presso i condomini per ottenere, nel più breve tempo possibile – anche eventualmente a rata già scaduta – il denaro necessario per il pagamento, al fine di rendere il periodo di inattività della polizza assicurativa il più breve possibile essendo notoria che tale copertura si riattiva nel momento del pagamento del premio, anche se effettuato in ritardo, fino alla scadenza successiva (App. Roma 2 maggio 2018) L'amministratore non è responsabile per le violazioni commesse dai condomini in relazione al conferimento dei rifiuti nel caso di raccolta differenziata. Non compete, infatti, all'amministratore l'obbligo di controllare se il deposito dei rifiuti negli appositi contenitori sia avvenuto in modo corretto da parte dei condomini, essendo essi stessi i titolari del rapporto di servizio con l'ente comunale. In questo caso, pertanto, l'amministratore è solo il soggetto che, formalmente, riceve la notifica del verbale di contestazione e conseguente  sanzione a carico del condominio, il cui importo dovrà essere addebitato ai condomini in base alle rispettive quote millesimali (T.A.R. Catania, 22 luglio 2019).  

La responsabilità dell’amministratore non richiede la malafede (dolo) ma è sufficiente anche un atto commesso per colpa, incuria, distrazione, inerzia: in tali casi l’amministratore può essere revocato e tenuto al risarcimento del danno. Tuttavia, il risarcimento è tutt’altro che scontato e non scaturisce automaticamente dalla violazione di una norma di legge atteso che anche in caso di non perfetta esecuzione degli obblighi previsti dal contratto dell’amministratore di condominio, al fine di ottenere un risarcimento, è necessario che l’inadempimento si sia tradotto in un pregiudizio a carico del condominio. L’amministratore, pertanto, potrà andare esente da responsabilità se prova di avere eseguito correttamente  il suo incarico e se prova che in ogni caso il danno non è imputabile al suo comportamento (Trib. Palermo 10 ottobre 2024, n. 4878).

L'amministratore di condominio, infatti, svolge l'incarico, riconducibile alla figura del mandato ( art. 1129, comma 15, c.c. ), di gestione ed amministrazione dei beni comuni, oltre che di tenuta della contabilità ( art. 1130 c. c.. ), e nell'ambito solo di tali attribuzioni ha la rappresentanza dei condomini verso l'esterno ( art. 1131 c. c. ). Ciò comporta che l'amministratore di condominio può essere chiamato a rispondere, anche nei confronti di terzi, per atti propri, sia commissivi che omissivi, ma non per gli atti posti in essere dai condomini. Nessuna norma di legge o principio in materia autorizza la conclusione di imputare a titolo di responsabilità solidale all'amministratore di condominio violazioni poste in essere dai singoli condomini, né  l'art. 6 legge n. 689 del 1981 né, ancora,  il regolamento per la gestione dei rifiuti urbani (nella specie: del comune di Roma) che fa espressamente obbligo agli utenti ed all'amministratore di custodire ed utilizzare correttamente i contenitori assegnati al condominio. Gli obblighi di custodia e di utilizzazione, infatti, confermano che la responsabilità dell'amministratore per la loro violazione può configurarsi soltanto in via diretta e non in via solidale, per il mancato o non corretto adempimento dei doveri di custodia e di utilizzazione., essendo la norma regolamentare finalizzata a colpire fatti propri, senza prospettare alcun collegamento a carico dell'amministratore in termini di solidarietà con l'autore della non corretta utilizzazione (Cass. II, n. 4561/2023).

Non sussiste una responsabilità contrattuale dell'amministratore per avere convocato l'assemblea in modo difforme da quanto previsto dall'art. 66 disp.att.c.c.. Infatti, se incombe sull'amministratore, quale mandatario del condominio, l'obbligo di espletare tale adempimento, l'assemblea– tramite l'operato del suo presidente - è tenuta a controllare la regolarità degli avvisi di convocazione e darne conto tramite verbalizzazione, sulla base dell'elenco degli aventi diritto a partecipare alla riunione eventualmente compilato dall'amministratore, trattandosi di una delle prescrizioni di forma richieste dal procedimento collegiale, la cui inosservanza importa l'annullabilità della delibera, in quanto non presa in conformità alla legge (Cass. II, 29878/2019. Sentenza relativa a fattispecie ricadente nel regime antecedente alla l.n. 220/2012, che non prevedeva alcuna formalità in merito).

La responsabilità personale dell'amministratore sussiste anche nel caso in cui abbia agito in eccesso di potere, ad esempio allorché il medesimo abbia dato corso ad un carico di spese accessorie che, con la normale diligenza, avrebbe potuto evitare, oppure qualora abbia provocato danni o perdite economiche.

In ambito condominiale l'eccesso di potere ha due fonti: da un lato, la violazione dell'espressa volontà assembleare da parte del mandatario e, dall'altro, il perseguimento di uno scopo diverso da quello fissato dall'art. 1130 c.c. Per individuare se via stato o meno un eccesso di potere da parte dell'amministratore, il preciso punto di partenza è l'oggetto del mandato, il cui corretto espletamento deve essere valutato in relazione allo specifico dettaglio contenuto nella norma relativa alle attribuzioni dell'amministratore (Terzago, 434). Per potersi parlare di eccesso di mandato occorre anche esaminare l'interesse complessivo dei condomini e soltanto se il comportamento dell'amministratore non sia riconducibile nell'ambito dell'incarico si è in presenza di un sicuro travalicamento del mandato stesso (Tamburrino, 29).

Limitate decisioni della Corte, anche se risalenti, chiariscono il punto della questione. È stato, infatti, affermato che gli atti, con i quali l'amministratore disponga opere sulla cosa comune, in eccesso ai propri poteri e con lesione dei diritti dei condomini, sono affetti da nullità assoluta, la cui deducibilità non è soggetta ai termini di decadenza degli artt. 1133 e 1137 c.c. (Cass. II, n. 12851/1991) e che l'amministratore di un condominio agisce travalicando i suoi poteri allorché, senza apposita autorizzazione, abbia esposto il condominio ad un onere di spesa superiore a quello cui poteva impegnarlo (nella specie, associando altro avvocato a quello designato dall'assemblea). Resta ferma, in tal caso, la ratifica dell'operato del rappresentante da parte dell'assemblea con effetto retroattivo (Cass. II, n. 849/1967), in assenza della quale l'amministratore potrà essere chiamato dai condomini a risarcire il condominio della maggiore spesa affrontata.

È ravvisabile ancora un'ipotesi di eccesso di potere e, quindi, di responsabilità diretta dell'amministratore verso il condominio, allorché il rappresentante sottoscriva un contratto senza esserne stato autorizzato dall'assemblea  (Cass. II, n. 33057/2018).

Il comportamento colposo nell'ambito del contratto di appalto

Anche per la figura dell'amministratore assume rilevanza la colpa che, tuttavia, si deve escludere quando un fatto sia conseguenza di caso fortuito o forza maggiore e, come tale, non prevedibile o non evitabile. Ugualmente non si può parlare di colpa allorché l'amministratore si sia comportato usando la normale prudenza e diligenza ed abbia rispettato le norme di legge e di regolamento. Come nel caso in cui l'amministratore abbia portato in assemblea la proposta di lavori straordinari ed essi non siano stati approvati. La disposizione contenuta nell'art. 1710, comma 2, c.c., per effetto del quale la colpa del mandatario viene valutata con minore rigore se l'incarico è gratuito, è applicabile anche all'istituto del condominio, anche se la questione deve essere valutata alla luce del caso concreto, prendendo in considerazione l'importanza dell'inadempimento nonché la conseguenza diretta ed immediata che tale comportamento abbia avuto nella sfera dei condomini (De Renzis, 204).

Il caso più comune di comportamento colposo è collegato alla sottoscrizione da parte dell'amministratore e per conto del condominio di un contratto di appalto avente ad oggetto lavori sulle parti comuni dell'edificio.

L'iniziativa contrattuale dell'amministratore il quale, senza previa approvazione o successiva ratifica dell'assemblea, disponga l'esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria dell'edificio non determina l'insorgenza di alcun obbligo di contribuzione dei condòmini al riguardo, giacché i poteri dell'amministratore e dell'assemblea sono delineati con precisione dagli artt. 1130 e 1335 c.c., che limitano le attribuzioni del primo all'ordinaria amministrazione, mentre riservano alla seconda le decisioni in materia di amministrazione straordinaria; né il terzo può invocare l'eventuale carattere urgente della prestazione commissionatagli dall'amministratore, valendo tale presupposto a fondare, ex art. 1135, ultimo comma, c.c., il solo diritto dell'amministratore al rimborso delle spese nell'ambito interno al rapporto di mandato (App. Milano 24 ottobre 2025, n. 2842; Cass. II,  n. 20136/2017).

Appaltatore è colui che, con l'organizzazione dei mezzi necessari e con la gestione a proprio rischio assume il compimento di un'opera o di un servizio dietro un corrispettivo. Egli agisce in piena autonomia ed è responsabile dei danni derivati a terzi per l'esecuzione dei lavori commissionatigli. Tuttavia, è possibile configurare una responsabilità solidale del condominio (quale soggetto appaltante) ed anche personale dell'amministratore, allorché emerga che questi ha agito in violazione dei propri doveri come stabiliti dall'art. 1710 c.c.

Si può ravvisare, in tal caso, tanto l'ipotesi di culpa in eligendo, quanto quella di culpa in vigilando.

Si parla di culpa in eligendo allorché il committente, nel scegliere la ditta alla quale affidare i lavori sulle parti comuni dell'immobile, abbia agito in modo non diligente e non abbia effettuato i necessari controlli sull'affidabilità, anche economica, dell'appaltatore; sulle sue capacità tecniche ed organizzative; sulla regolarità della sua posizione in relazione alle leggi vigenti in materia amministrativa e penale, ecc. Qualora il condominio per la scelta dell'impresa si sia affidato esclusivamente all'amministratore, sarà questi a rispondere personalmente per colpa.

L'autonomia dell'appaltatore comporta che, di regola, tale soggetto deve ritenersi unico responsabile dei danni derivati a terzi dall'esecuzione dell'opera (nella specie i danni derivanti dall'esecuzione di lavori di riparazione del tetto di un edificio in condominio). Una corresponsabilità del committente può configurarsi in caso di specifica violazione di regole di cautela nascenti ex art. 2043 c.c. dal precetto di «neminem laedere», ovvero in caso di riferibilità dell'evento al committente stesso per «culpa in eligendo» per essere stata affidata l'opera ad un'impresa assolutamente inidonea, ovvero quando l'appaltatore in base a patti contrattuali sia stato un semplice esecutore degli ordini del committente ed abbia agito quale «nudus minister» attuandone specifiche direttive (Cass. II, n. 13131/2006; Cass. II, n. 11371/2006; Cass. II, n. 11478/2004). Successivamente sempre sul punto della responsabilità del committente è stato precisato che il condomino, che abbia riportato danni alle parti di proprietà esclusiva dall'esecuzione di lavori condominiali, può ottenere dal condominio il relativo risarcimento «per errore nella scelta dell'appaltatore» (c.d. culpa in eligendo) solo provando che al momento della scelta l'impresa appaltatrice presentava caratteristiche tali da evidenziarne l'assoluta inidoneità a compiere l'opera oggetto di appalto (Cass. II, n. 25173/2007).

Anche se l'amministratore potrebbe essere chiamato a rispondere in prima persona dei danni subiti da terzi a seguito di lavori di carattere condominiale la questione deve essere affrontata con riferimento al caso concreto.

Ad avviso di certa giurisprudenza di merito è stato ritenuto che in tema di ricostruzione di edificio condominiale, nessuna responsabilità può attribuirsi all'amministratore per presunte difformità dell'opera realizzata rispetto al progetto approvato, quando i poteri di rappresentanza del medesimo siano limitati all'esazione dei contributi per la ricostruzione, all'individuazione dell'impresa appaltatrice, alla stipula del contratto di appalto nonché al materiale pagamento delle somme all'appaltatore (nel caso di specie un condomino aveva lamentato la diminuzione di cubatura e superficie e la diversa ubicazione dell'unità immobiliare esclusiva ricostruita rispetto a quella preesistente la demolizione). Eventuali difformità dell'opera realizzata vanno, invece, imputate all'impresa appaltatrice, giusta la previsione dell'art. 1667 c.c. (Trib. Ariano  Irpino 23 agosto 2004). Nella fattispecie, tra l'altro, era stato nominato un consiglio di amministrazione con poteri tassativi e del tutto estranei al profilo tecnico ed alla realizzazione del progetto approvato nel corso dell'assemblea.

La culpa in vigilando si configura tutte le volte in cui sia mancata da parte dell'amministratore un'opera di costante controllo sull'esecuzione dei lavori.

Hanno affermato i giudici di legittimità che l'amministratore del condominio ha il compito di provvedere non solo alla gestione delle cose comuni, ma anche alla custodia di esse, col conseguente obbligo di vigilare affinché non rechino danni a terzi od agli stessi condòmini. Quest'obbligo non viene meno neanche nell'ipotesi in cui il condominio appalti a terzi lavori riguardanti le parti comuni dell'edificio condominiale, a meno che il compito di vigilare su tali lavori non venga affidato a persona diversa dall'amministratore. Ne consegue che l'amministratore stesso è responsabile del danno alla persona patito da uno dei condòmini, in conseguenza dell'inciampo in una insidia (nella specie, buca nel cortile condominiale) creata dall'impresa cui erano stati appaltati lavori di manutenzione dell'immobile condominiale (Cass. II, n. 25251/2008). 

E' principio pacifico che in tema di (possibile) risarcimento danni per l'esecuzione di lavori su parti comuni di un edificio condominiale, poiché il condominio è un ente di gestione privo di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, il condòmino che ritenga di essere stato danneggiato da un'omessa vigilanza da parte del condominio nell'esecuzione dei lavori dovrà rivolgere la propria pretesa risarcitoria nei confronti dell'amministratore, in qualità di rappresentante del condominio, il quale, a sua volta, valuterà se agire in rivalsa contro l'amministratore stesso in proprio (Cass. II, n. 17984/2024).

Altra questione affrontata dalla giurisprudenza ha riguardato l'individuazione del soggetto responsabile nel caso in cui, nel corso di lavori condominiali, all'interno di abitazioni private siano stati commessi furti causati dalla presenza di ponteggi esterni.

In tale eventualità vi è stata una tendenza a ritenere che l'appaltatore debba rispondere dei danni subiti da terzi ai sensi dell'art. 2043 c.c. se, trascurando le più elementari norme di diligenza e perizia e così la doverosa adozione di cautele idonee ad impedire l'uso anomalo delle dette impalcature e violando il principio del «neminem laedere», abbia colposamente creato un agevole accesso ai ladri, ponendo in essere le condizioni del verificarsi del danno. Nella specie, la Corte aveva cassato la sentenza di merito, che aveva ritenuto insussistente la responsabilità civile dell'impresa senza adeguatamente considerare la rilevanza di circostanze quali la mancanza di un'idonea illuminazione dei ponteggi e la mancata rimozione delle scalette mobili, che dal primo piano portavano ai piani superiori, essendo il furto avvenuto al terzo piano trascurando le più elementari norme di diligenza e perizia e così la doverosa adozione di cautele idonee ad impedire l'uso anomalo delle dette impalcature (Cass. II, n. 2844/2005).

Successivamente sempre la Corte si è espressa in modo più estensivo, affermando che in tema di furto consumato da persona introdotta in un appartamento avvalendosi dei ponteggi installati per i lavori di rifacimento della facciata dell'edificio condominiale, deve essere affermata oltre alla responsabilità, ai sensi dell'art. 2043 c.c., dell'imprenditore che per tali lavori si avvale dei ponteggi ove, violando il principio del neminem  laedere, egli abbia collocato tali impalcature omettendo di dotarle di cautele atte ad impedirne l'uso anomalo una corresponsabilità del condominio/committente ex art. 2051 c.c., atteso l'obbligo di vigilanza e custodia gravante sul soggetto che ha disposto il mantenimento della struttura (Cass. II, n. 6435/2009; Cass. II, n. 26900/2014).

Afferma, ancora, la Corte che l'art. 2051, che disciplina la responsabilità per le cose in custodia,  è estraneo alla culpa in vigilando per cui nel caso di furto in appartamento da ponteggio occorre valutare, in termini di caso fortuito, la sequenza causale che ha portato al furto nel senso di accertare se vi sia stata una colpevole inerzia dell'impresa (ancorché sollecitata) nel predisporre cautele o nel rimuovere la struttura (Cass. VI, n. 26691/2018). Con recente decisione è stato affermato un principio, concernente la decorrenza dei termini di prescrizione in ordine al risarcimento ex art. 1669 c.c. richiesto da un condomino al costruttore per vizi all'immobile sito in edificio condominiale, applicabile in via analogica anche all'azione promossa dal condominio per danni subiti alle parti comuni dello stabile. La proposizione di un procedimento di accertamento tecnico preventivo, rientra nella categoria dei giudizi conservativi e, pertanto, la notificazione del relativo ricorso con pedissequo decreto giudiziale determina, ai sensi dell'art. 2943 c.c., l'interruzione della prescrizione, che si protrae fino alla conclusione del procedimento, ritualmente coincidente con il deposito della relazione del consulente nominato (Cass. VI, n. 15535/2019). Qualora, invece, il procedimento si prolunghi oltre tale termine con l'autorizzazione al successivo deposito di una relazione integrativa, esso si trasforma in un procedimento atipico, con la conseguenza che la permanenza dell'effetto interruttivo della prescrizione non è più applicabile (Cass.II, n. 3357/2016).

Responsabilità e custodia dell'edificio

Poiché l'amministratore, come riconosciuto anche dalla giurisprudenza (Cass. II, n. 25251/2008 cit.), ha anche l'obbligo di provvedere alla custodia delle cose comuni si profila, in capo al medesimo, la responsabilità di cui all'art. 2051 c.c., in forza del quale del danno cagionato dalle cose in custodia risponde il custode stesso, salvo che provi il caso fortuito.

L'amministratore di condominio, infatti, è titolare di un ufficio di diritto privato ed esercita i poteri che gli sono conferiti direttamente dalla legge (ex multis: Cass., Sez.Un., n.19663/2014 ; Cass.II, n. 2127/2021; Cass. II, n. 5832/2017) o dal mandato collettivo dei condomini (Cass. II, n. 10846/2020). Egli ha il compito di provvedere non solo alla gestione delle cose comuni ma anche alla relativa custodia, con il conseguente obbligo di vigilare affinché non rechino danni a terzi o agli stessi condomini. Tale potere-dovere si estende anche alla piscina che, come pertinenza condominiale, implica una gestione finalizzata a soddisfare esigenze collettive della comunità condominiale, anche se il suo funzionamento risponde ad un interesse mediatamente individuale. L'obbligo di custodia del Condominio e i corrispondenti poteri dell'amministratore non vengono meno neppure allorquando siano appaltati a soggetti terzi lavori riguardanti le parti comuni dell'edificio condominiale, sussistendo in tal caso l'ipotesi della concustodia. Ne consegue che il Condominio e l'amministratore sono responsabili del danno alla persona  patito da uno dei condomini o da un terzo derivante dalla cosa in custodia anche laddove trattasi di insidia creata dall'impresa appaltatrice, tranne il caso in cui l'appaltatore non si trovi nella condizione di esclusivo custode (Cass. III, n. 13595/2021).

La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo e non si fonda su una presunzione di colpa ma sul mero rapporto di custodia (Cass. II, n. 20943/2009; Cass. II, n. 25643/2006) per cui, affinché tale responsabilità si possa configurare in concreto, è sufficiente dimostrare che sussiste il nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno arrecato (Cass. II, n. 5741/2009). Il danneggiato, pertanto, per ottenere il risarcimento da parte del custode, deve dimostrare unicamente l'esistenza del danno e la sua derivazione causale dalla cosa. Al custode, per contro, per andare esente da responsabilità non sarà sufficiente provare la propria diligenza nella custodia, ma dovrà provare che il danno è derivato da caso fortuito (Cass. II, n. 20427/2008). La giurisprudenza, peraltro, aveva già chiarito che la funzione dell'art. 2051 c.c. è quella di imputare la responsabilità a chi ha il governo della cosa ovvero chi ne ha la disponibilità immediata e che non necessariamente è il proprietario della stessa (Cass. S.U., n. 12019/1991). Peraltro la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale dell'evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell'art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso nell'art. 2 della Costituzione. Da ciò consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è prevedibile e superabile attraverso l'adozione, da parte del danneggiato, delle ragionevoli cautele del caso, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza casuale del comportamento imprudente del medesimo, fino al punto che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso (Cass. VI, n. 347/2020).

In buona sostanza, quindi, in via generale deve valere sempre il principio secondo il quale l'inadempimento o l’inesatto adempimento dell'obbligazione contrattuale costituisce di per sé un illecito, ma non obbliga l'inadempiente al risarcimento, se in concreto non ne è derivato un danno; ed è onere del creditore dimostrare la sussistenza del danno e il nesso di causalità tra questo e l'inadempimento (App. Roma 4 dicembre 2024., n. 7647).

Per quanto concerne l'ambito strettamente condominiale va registrata una decisione della Corte la quale ha affermato che il risarcimento dei danni da cosa in custodia di proprietà condominiale soggiace alla regola della responsabilità solidale ex art. 2055, comma 1, c.c., norma che opera un rafforzamento del credito, evitando al creditore di dover agire coattivamente contro tutti i debitori «pro quota», anche quando il danneggiato sia un condomino, equiparato a tali effetti ad un terzo, sicché devono individuarsi nei singoli condomini i soggetti solidalmente responsabili, poiché la custodia, presupposta dalla struttura della responsabilità per danni prevista dall'art. 2051 c.c., non può essere imputata né al condominio, quale ente di sola gestione di beni comuni, né al suo amministratore, quale mandatario dei condomini (Cass. II, n. 1674/2015).

Con specifico riferimento ai danni subiti per infiltrazioni da lastrico solare di uso esclusivo è stato affermato  che la Corte Suprema (Cass .Sez. Un., n. 9449/2016) si era già pronunciata sull'esistenza di una concorrente responsabilità del condominio, il quale abbia omesso di attivare gli obblighi conservativi delle cose comuni su di lui gravanti ai sensi dell'art. 1130, comma 1, n. 4, c.c., ovvero nel caso in cui l'assemblea non adotti le determinazioni di sua competenza in materia di opere di manutenzione straordinaria, ai sensi dell'art. 1135, comma 1, n. 4, c.c., e del proprietario esclusivo del lastrico solare ovvero del terrazzo a livello, il quale assume la veste di custode, e quindi responsabile ex art. 2051 c.c.. Veniva, così, affermato il concorso di tali responsabilità, salva la rigorosa prova contraria della riferibilità del danno all'uno o all'altro, aggiungendosi poi che ai fini interni, il riparto dell'obbligazione risarcitoria vada di regola stabilito secondo il criterio di imputazione previsto dall'art. 1126 c.c., il quale pone le spese di riparazione o di ricostruzione per un terzo a carico del proprietario o dell'usuario esclusivo del lastrico (o della terrazza) e per i restanti due terzi a carico del condominio. L'affermazione di un concorso di responsabilità aquiliane, ancorché aventi una differente genesi, impone quindi di ritenere che, laddove il danneggiato agisca nei confronti di entrambi i soggetti (condominio e proprietario esclusivo), trovi applicazione la regola di solidarietà di cui all'art. 2055 c.c., non potendo essere opposta al terzo la differente regola che attiene, invece, al riparto interno tra corresponsabili, regola di cui all'art. 2055 c.c. alla quale fa espresso richiamo la decisione delle Sezioni Unite (Cass. VI, n. 6816/2021).

Mentre precedentemente è stato affermato che in tema di risarcimento danni per l'esecuzione di lavori su parti comuni di un edificio condominiale, poiché il condominio è un ente di gestione privo di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, il condomino che ritenga di essere stato danneggiato da un'omessa vigilanza da parte del condominio nell'esecuzione dei lavori dovrà rivolgere la propria pretesa risarcitoria nei confronti dell'amministratore, in qualità di rappresentante del condominio, il quale, a sua volta, valuterà se agire in rivalsa contro l'amministratore stesso (Cass. II, n. 20557/2014). Ed ancora si è detto che il condominio risponde, ai sensi dell'art. 2051 c.c., dei danni subiti da terzi estranei ed originati da parti comuni dell'edificio, mentre l'amministratore, in quanto tenuto a provvedere non solo alla gestione delle cose comuni, ma anche alla custodia delle stesse, è soggetto, ai sensi dell'art. 1218 c.c., solo all'azione di rivalsa eventualmente esercitata dal condominio per il recupero delle somme che esso abbia versato ai terzi danneggiati (Cass. II, n. 17983/2014; principio confermato da Cass. VI/2, n. 6292/2019 ). 

Nel caso di caduta di un condomino sul marciapiede pubblico dinanzi  all'ingresso dell'edificio per la presenza di una lastra di ghiaccio, la responsabilità risarcitoria è a carico del condominio se una norma del regolamento di polizia urbana preveda che i proprietari degli edifici antistanti i marciapiedi debbano provvedere alla loro pulizia (App.Milano 10 gennaio 2020, n. 73 con nota di Di Rago, 2020).

Con riferimento al furto commesso in area condominiale (ad esempio: furto di automobile parcheggiata in area aperta adibita a parcheggio, ovvero in un garage situato al piano interrato dello stabile e chiuso da cancello elettrico), essendo configurabile il reato ex art. 624 bis c.p., si è posto il problema di stabilire se sia ipotizzabile una responsabilità civile, fonte di risarcimento, a carico dell'amministratore ai sensi dell'art. 1130 c.c..

Il parcheggio condominiale, costituito da ampio spazio comune, recintato e chiuso con un cancello, rientra, ai fini dell'applicabilità dell'art. 624 bis, c.p.,  nel concetto di pertinenza (come definita dall'art. 817 c.c.) rispetto a tutti gli appartamenti del complesso condominiale, con il quale ha un rapporto complementare, a nulla rilevando che non vi siano assegnazioni nominative o numerate per ogni singolo appartamento e che ciascuno dei condomini possa parcheggiare di volta in volta nello spazio che trova libero, trattandosi di area adibita all'uso esclusivo dei condomini di quel complesso edilizio (Cass. pen. IV, n. 45216/2018).

Detto questo, premesso che l'amministratore è responsabile se non adempie al proprio incarico con la necessaria diligenza richiesta dal rapporto di mandato che lo lega al condominio, non può essere ascritta al medesimo soggetto alcuna responsabilità (né contrattuale, né extra contrattuale) se non viene dimostrato il nesso di causalità tra il comportamento dello stesso ed il fatto che costituisce reato (nella specie: furto in area privata) e, quindi, è necessario dimostrare che l'introduzione dei ladri nella zona condominiale di ricovero delle autovetture sia stata causata esclusivamente dal comportamento omissivo dell'amministratore  (Trib. Arezzo 22 ottobre 2012. Nella specie i ladri si erano introdotti nell'autorimessa condominiale passando da un varco della recinzione metallica. Malgrado l'amministratore fosse stato avvertito della circostanza  non aveva provveduto a riparare il danno. Anche a fronte di ciò, il giudice del merito aveva negato in capo all'amministratore qualsivoglia responsabilità non essendo stato provato che l'introduzione dei ladri nell'autorimessa comune era avvenuta proprio attraverso la rete posta a protezione delle finestre dei locali).  

La responsabilità extracontrattuale

In base alla teoria generale del diritto civile la responsabilità extracontrattuale o aquiliana si distingue da quella contrattuale in quanto non presuppone un rapporto tra due o più soggetti, ma consegue alla violazione del precetto fondamentale del neminem laedere. In altri termini con le norme sulla responsabilità extracontrattuale sono tutelati i diritti primari e fondamentali del singolo e la norma che ne è a base è l'art. 2043 c.c. Elementi fondanti sono la commissione di un fatto colposo o doloso (non è concepibile una responsabilità svincolata da un processo volitivo ad eccezione dei casi previsti espressamente dalla legge: come ad esempio l'art. 2051 c.c.), che abbia causato un danno ingiusto e che tra le due situazioni sussista un nesso di causalità (De Renzis, 206; Terzago, 442). È stato, peraltro, osservato che, sebbene tale differenza sostanziale tra le due specie di responsabilità implichi conseguenti riflessi in ordine ai rispettivi obblighi risarcitori nascenti dai due tipi di inadempimenti, in materia condominiale i confini tra le due fattispecie sono piuttosto sottili talché per un medesimo fatto si possono contemporaneamente configurare l'obbligo di risarcimento per danni dovuti a violazioni contrattuali ed extracontrattuali (Bucci-Nicoletti-Redivo, 170).

È stato, infatti, affermato che l'amministratore del condominio è passivamente legittimato rispetto all'azione per responsabilità extra contrattuale, promossa dal conduttore di locali inseriti nell'edificio condominiale, per danni sofferti a causa di infiltrazioni di acqua piovana da parti comuni dell'edificio stesso(esempio il tetto, i lastrici solari, le fognature) salva, nel merito, l'efficacia liberatoria della prova, a carico del condominio, che l'effettiva disponibilità e, quindi, l'obbligo di manutenzione di quelle parti comuni competevano ad un singolo condomino o ad altro soggetto, in forza di diverso rapporto (Cass. II, n. 2998/1981).

Secondo alcuni autori il fondamento della responsabilità aquiliana è stato rinvenuto nell'ambito dell'art. 2049 c.c., che disciplina la responsabilità dei padroni e dei committenti per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti (Lazzaro-Stincardini, 301).

In questo senso, sicuramente, potrà rientrare nell'ambito di applicazione dell'art. 2049 c.c. il danno che sia stato subito da un lavoratore del condominio (portiere, addetto alle pulizie, giardiniere, ecc.) allorchè l'evento causativo dello stesso non sia dovuto a caso fortuito o comunque si possa escludere un qualsivoglia comportamento colposo da parte dell'amministratore.

La responsabilità penale in generale

L'amministratore è penalmente responsabile tutte le volte in cui, nello svolgimento della propria attività, commetta un illecito che si ricolleghi a precise fattispecie di reato, alcune delle quali, di carattere contravvenzionale per la più bassa intensità offensiva, sono state oggetto di depenalizzazione per effetto di provvedimenti legislativi che si sono succeduti nel tempo, con il conseguente assoggettamento a sanzioni di natura amministrativa di carattere pecuniario.

Si è correttamente osservato (Cassano, 227) che la natura strettamente personale della responsabilità penale porta a concordare con chi ritiene che ai fini penali la figura dell'amministratore non richieda una formale investitura e vada intesa in senso ampio in modo da ricomprendervi anche tutti i soggetti che comunque svolgono un'attività di amministrazione, come gli amministratori di fatto, il sostituto, il curatore speciale, il curatore per il riscaldamento, ecc.

Al di fuori dell'area della depenalizzazione rimangono oggetto di necessaria analisi quelle fattispecie delittuose, che possono determinare la responsabilità di un amministratore di condominio anche in ragione della sempre maggiore complessità tecnica di tale attività professionale.

Durante lo svolgimento del mandato si è precisato (Bucci-Nicoletti-Redivo, 173) che l'amministratore può compiere reati di tipo comune, direttamente disciplinati e sanzionati dalle norme generali del codice penale, quali delitti contro la persona (percosse, lesioni personali, ingiurie, diffamazione) oppure reati contro il patrimonio (appropriazione indebita) o, ancora, violazioni contro la libertà individuale (violazione di domicilio, allorché l'amministratore, contro la volontà del proprietario, si introduca nell'appartamento per compiere atti necessari all'esplicazione delle sue attribuzioni).

L'amministratore può anche compiere reati di tipo omissivo, nella forma di comportamento colposo, che si articolano sulla base della ricorrenza di un elemento di carattere oggettivo e di un requisito di valenza soggettiva. L'elemento di carattere oggettivo si esplicita in una condotta, attiva o omissiva, rilevante a seconda dei casi, in sé, oppure in quanto essa sia idonea alla produzione di un evento lesivo. 

Ai sensi dell’art. 63 bis, n. 2 del del D.L. 14 agosto 2020, n. 104 (convertito con modificazioni dalla L. 13 ottobre 2020, n. 126), in conseguenza della situazione COVID-19, è rinviato di sei mesi, dal termine dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri, il termine per gli adempimenti ed adeguamenti antincendio concernenti gli edifici di civile abitazione.  

La Corte di Cassazione (Cass. pen. II, n. 39959/2009)in merito alla questione ha dettato un principio consolidatosi nel tempo, affermando che posto che l'amministratore di condominio – ai sensi dell'art. 1130, comma 1, n. 4, c.c. – è titolare di un obbligo di garanzia in relazione alla conservazione delle parti comuni dell'edificio e che, con riguardo al reato colposo per condotta omissiva, la sua responsabilità va considerata e risolta nell'ambito dell'art. 40 c.p., secondo cui «non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo», l'affermazione della colpevolezza di tale soggetto presuppone sia l'individuazione della condotta in concreto esigibile in relazione alla predetta posizione di garanzia, sia l'accertamento che, una volta posta in essere tale condotta, l'evento lesivo non si sarebbe verificato (nella specie, in applicazione di tale principio, la corte ha cassato la sentenza del giudice di merito che – pur non avendo adeguatamente dimostrato la sussistenza del nesso causale tra condotta omissiva ed evento lesivo – aveva, ciononostante, ritenuto responsabile del reato di incendio colposo l'amministratore di uno stabile per no essersi attivato prontamente nei confronti di un condomino, che aveva installato sule parti comuni una canna fumaria non coibentata da cui, poi, si erano sviluppate le fiamme). Con particolare riferimento alla normativa antincendio e con riguardo anche agli edifici di altezza superiore a 24 metri le attività soggette a controlli di prevenzione  hanno per oggetto la detenzione e l'impiego di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti, atti a procurare, in caso di incendio, gravi pericoli per l'incolumità personale e dei beni. Tali prodotti, in ambito condominiale, sono utilizzati ad esempio, per gli apparecchi alimentati ad energia elettrica in quanto funzionali all'illuminazione degli spazi comuni, oppure nell'ipotesi della presenza di una centrale termica e dei box per le automobili. L'amministratore del condominio, il quale ai sensi dell'art. 1130, n. 4, c.c., deve compiere gli atti conservativi delle parti comuni dell'edificio, è - ai fini della normativa antincendio - da considerarsi, nell'ambito dell'attività svolta, il soggetto che "detiene e impiega" prodotti incendiabili, infiammabili ed esplodenti (Cass. pen, III, n. 34586/2021)

Per quanto concerne la sicurezza dell'edificio connessa alla sussistenza del certificato di prevenzione incendi, incorre nel reato di omessa richiesta del detto certificato l'amministratore che non lo abbia presentato, anche se subentrato al medesimo che non vi abbia provveduto nel periodo del suo mandato.  Infatti, la sanzione penale prevista dall'art. 20, comma 1, d.lgs. n.139/2006 intende presidiare l'obbligo in questione anche in una fase successiva all'inizio di una delle attività "soggette", senza limiti di tempo, in quanto non prevede un termine finale. Anzi, la stessa norma attribuisce rilevanza penale anche all'omessa presentazione della richiesta di rinnovo periodico della conformità antincendio (Cass. pen. VII, ord. n. 39218/2022, con nota Bordolli, 2022).

La sussistenza della posizione di garanzia, tuttavia, non esime di verificare la sussistenza del nesso causale. Vertendosi in tema di reato omissivo, ai fini di tale accertamento occorre individuare tutti gli elementi concernenti la causa dell’evento, al fine di poter effettuare il giudizio contro fattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, l’evento lesivo sarebbe stato evitato al di là di ogni ragionevole dubbio (Cass. pen., II, 30 aprile 2020, n. 13475. Fattispecie nella quale è stata esclusa la responsabilità dell’amministratore per una caduta sulla scala in assenza di corrimano, mancando l’assoluta certezza o probabilità che l’evento non si sarebbe verificato in presenza di tale elemento.)

L'amministratore, inoltre, non può ignorare la normativa edilizia in tema di autorizzazioni amministrative necessarie al fine di erigere strutture permanenti e modificative del prospetto dell’edificio e, pertanto, egli risponde per il reato edilizio concernente la realizzazione di opere abusive in assenza di permesso di costruire in zone sottoposte a vincolo paesaggistico, paesaggistico-ambientale su aree di notevole interesse pubblico o in zone sismiche (Trib. Napoli 12 febbraio 2018, n. 1938. Fattispecie relativa a chiusura di una veranda su balcone e/o terrazza soprattutto quando l’immobile sia sottoposto a vincolo).

Sostanzialmente concorde parte della dottrina (Carrato, 628) che ha rilevato che l'obbligo giuridico previsto dall'art. 40 c.p. può nascere da qualunque ramo del diritto, e quindi anche dal diritto privato, e specificamente da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata, come nel rapporto di rappresentanza volontaria intercorrente tra il condominio e l'amministratore.

Ancora più specifico altro autore secondo il quale l'assunzione, in capo all'amministratore di condominio, della veste di committente di opera quali quelle indicate nell'allegato X del d.lgs. n. 81/2008, porta con sé l'obbligo, ai sensi dell'art. 90 T.U., di rispettare le misure generali di tutela (art. 15 T.U.): « l'eliminazione dei rischi o la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico” » (lett.C), « la riduzione dei rischi alla fonte » (lett.E) e « la sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso » (lett.F). A tal fine grava sull'amministratore in particolare l'obbligo di verifica dell'idoneità tecnica dell'impresa, di informazione dei rischi, di coordinamento e cooperazione nell'attività di prevenzione (Magro, 2018).

In senso dubitativo altro autore (Triola, 984), il quale ha osservato che se si considera che per l'amministratore il rapporto contrattuale di rappresentanza dei condomini comporta il potere di agire nei confronti dei terzi, non si vede come lo si possa ritenere responsabile ai sensi dell'art. 40, comma 2, c.p. delle lesioni colpose subite da terzi a causa dell'omessa manutenzione delle parti comuni dell'edificio.

In questo senso l'Autore ha evidenziato che tra gli obblighi di cui all'art. 1130 c.c. non è rinvenibile quello per il quale l'amministratore deve provvedere direttamente alla manutenzione delle parti comuni a prescindere dal conferimento del relativo mandato assembleare e dalla messa a disposizione dei fondi necessari. La responsabilità dell'amministratore, non solo verso i terzi, ma anche nei confronti dei condomini, non potrà essere ricondotta all'art. 40, comma 2, c.p.ma dovrà essere affermata in base ai principi generali in tema di colpa, per non essersi preoccupato di sollecitare l'assemblea all'esecuzione di quei lavori che hanno, poi, determinato l'evento dannoso.

Come per ogni altro soggetto la condotta dell'amministratore può essere dolosa, quando il rappresentante del condominio abbia previsto e voluto la realizzazione di un evento, o colposa quando l'evento lesivo non voluto sia prevedibile, evitabile e si verifichi come conseguenza di imprudenza, negligenza, imperizia (casi di colpa generica) o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (casi di colpa specifica).

Sotto il profilo della responsabilità penale dell'amministratore di condominio, possono verificarsi, nella clinica giurisprudenziale, ipotesi del primo tipo di reati comuni, tra i quali si può menzionare la diffamazione o l'appropriazione indebita, come anche condotte del secondo genere, poste in essere da un «soggetto attivo delimitato» e definite pertanto fattispecie proprie.

Tra le fattispecie di reato proprie assumono valore rilevante quelle previste in materia di igiene e sicurezza del lavoro sotto il profilo dell'assoggettamento dell'amministratore condominiale a responsabilità penale nella sua qualità di garante della sicurezza relativa all'organizzazione dell'ente di gestione da lui amministrato.

Omissione di lavori su parti comuni che minacciano rovina

Si rileva, come anche nella giurisprudenza vi sia un certo contrasto in relazione all'applicabilità all'amministratore dell'art. 40, comma 2, c.p. 

In tema di omessa esecuzione di lavori in edifici che minacciano rovina, destinatario dell'obbligo di provvedere ai lavori necessari per rimuovere il pericolo è il proprietario dell'immobile o colui che, per fonte legale o convenzionale, sia tenuto alla conservazione o alla vigilanza dell'edificio, ma non l'amministratore del condominio, sul quale non incombono obblighi di questo genere essendogli attribuita soltanto la gestione delle cose comuni (Cass. pen. II, n. 13934/2008). In senso contrario, ma con una precisazione che porta ad escludere la responsabilità del rappresentante, si è affermato che allorché un edificio condominiale minacci (in tutto o in parte) rovina, l'obbligo di rimuovere la situazione pericolosa incombe sui proprietari ovvero a chi per loro è delegato alla conservazione dell'edificio, e cioè, in virtù del mandato conferitogli dai condòmini, all'amministratore. Tuttavia, nel caso di mancata formazione della volontà assembleare e di omesso stanziamento dei fondi necessari a porre rimedio al degrado che dà luogo al pericolo, non può ipotizzarsi alcuna responsabilità dell'amministratore per non aver attivato interventi che non era in suo materiale potere adottare e per la realizzazione dei quali non aveva, nella veste, le necessarie provviste, ricadendo in siffatta situazione la responsabilità in capo ai proprietari e a ciascun singolo condomino, indipendentemente dalla attribuibilità ai medesimi dell'origine della situazione di pericolo (Cass. pen. I, n. 50366/2019; Cass. pen. II, n. 21401/2009).

Tale seconda ipotesi di esclusione di responsabilità in capo all'amministratore, tuttavia, non lo esime dalla necessità, di porre in preventiva sicurezza (con i mezzi a sua disposizione) le zone soggette a pericolo di rovina, ad esempio apponendovi recinzioni e divieti di transito, ovvero provvedendo ad eliminare le parti raggiungibili e pericolanti.

E proprio in questo senso si è espressa la Suprema Corte (Cass. pen. II, n. 25221/2012). Da un lato sostenendo che ai fini della esclusione del reato di cui all'art. 677, comma 2, c.p., che sanziona penalmente l'omessa effettuazione di lavori in edifici o costruzioni che minaccino rovina, con concreto pericolo per l'incolumità delle persone, non è necessario intervenire sulla causa della rovina ma è sufficiente intervenire sugli effetti, con l'apprestamento di opere provvisorie ed urgenti idonee ad eliminare il suddetto pericolo ovvero con l'interdizione, quando sia possibile, dell'accesso alla zona pericolosa. Dall'altro ribadendo che l'amministratore è penalmente responsabile e sanzionabile ai sensi dell'art. 677 c.p. se non adotta i necessari provvedimenti per rimuovere il pericolo per l'incolumità delle persone. 

Si è affermato al contrario che il reato, di natura permanente, può dirsi consumato solo con la cessazione del pericolo avvenuta con la messa in sicurezza dell’immobile e non con il mero transennamento realizzato su sollecitazione dei vigili del fuoco da parte dell’amministratore. Il transennamento, infatti, non esclude il pericolo per la pubblica incolumità, limitandosi a tenere lontane le persone dai fabbricati (Cass. pen. I, n. 50366/2019).

Contestualmente la Corte ha però fatto salva la possibilità che l'obbligo giuridico venga a gravare invece, in via autonoma, sui singoli condomini qualora, per cause accidentali, l'amministratore non possa intervenire con la necessaria urgenza.

In senso decisamente favorevole alla responsabilità piena dell'amministratore altra decisione (Cass, pen. II, n. 34147/2012) secondo la quale l'amministratore del condominio riveste una specifica posizione di garanzia, su di lui gravando l'obbligo ex art. 40, comma 2, c.p.di attivarsi al fine di rimuovere la situazione di pericolo per l'incolumità di terzi integrata da avvallamenti o sconnessioni della pavimentazione in prossimità di un tombino deputato all'esercizio di una servitù di acque meteoriche a vantaggio dell'edificio condominiale, ciò costituendo una vera e propria insidia o trabocchetto, fonte di pericolo per i passanti ed evitabile con l'impiego della normale diligenza (fattispecie di lesioni colpose gravi causate ad un avventore della farmacia posta nello stabile condominiale dall'omesso livellamento della pavimentazione).

In buona sostanza, l'obbligo di attivarsi a carico dell'amministratore ai fini di eliminare una situazione di pericolo non deve essere subordinato alla preventiva deliberazione dell'assemblea condominiale, poiché il disposto dell'art. 1130, n. 4), c.c., per come correntemente interpretato dalla giurisprudenza (Cass. II, n. 3959/2009), grava l'amministratore del dovere di attivarsi a tutela dei diritti inerenti le parti comuni dell'edificio a prescindere da un intervento assembleare, mentre l'art. 1135 c.c. lo autorizza ad effettuare le opere urgenti, come l'eliminazione di un'insidia o di un trabocchetto.

Ancora più chiara la Corte in una successiva decisione (Cass. pen. II, n. 34147/2015) per la quale l'amministratore del condominio riveste una specifica posizione di garanzia, ex art. 40, comma 2, c.p., in virtù del quale su costui ricade l'obbligo di rimuovere ogni situazione di pericolo che discenda dalla rovina di parti comuni, attraverso atti di manutenzione ordinaria e straordinaria, predisponendo, nei tempi necessari alla loro concreta realizzazione, le cautele più idonee a prevenire la specifica situazione di pericolo (fattispecie nella quale l'imputato, amministratore di condominio, è stato ritenuto responsabile delle lesioni colpose provocate ad un passante dalle mattonelle staccatesi dalla facciata dell'immobile).

Con risalente decisione (Cass. pen. II, n. 15759/2001), ritenuta di estrema rilevanza per il principio ivi espresso, si era affermato che nel caso di mancata formazione della volontà assembleare che consenta all'amministratore di adoperarsi per l'eliminazione dei rischi di rovina di edificio, l'obbligo di rimuovere la situazione pericolosa è a carico del condomino, indipendentemente dall'attribuibilità al medesimo dell'origine della stessa.

Si è posto in rilievo che non vi è impunità giuridica dei soggetti assenti all'assemblea condominiale e neppure nei confronti dell'affidamento che i condomini fanno sulla circostanza che i provvedimenti e diffide emessi dall'autorità competenti sono notificati all'amministratore, il quale si potrà cautelare – a fronte dell'inerzia dell'assemblea – comunicando all'autorità competente il verbale assembleare contenente il nominativo dei condomini assenti e/o contrari (Benedetti, 7).

Diffamazione e ingiuria

Il reato di diffamazione (art. 595 c.p.), che consiste nell'offesa arrecata alla reputazione di un determinato soggetto tramite comunicazione a più persone, è aggravata dall'attribuzione di un fatto determinato e può essere consumato dall'amministratore sia in assemblea, sia in un consesso di poche persone all'esterno del luogo deputato per le riunioni condominiali, oppure tramite posta elettronica. L'art. 66 disp. att. c.c., infatti, prevedendo che l'avviso di comunicazione dell'assemblea deve essere comunicato anche tramite PEC (quando vi sia stata espressa richiesta da parte dei condomini) ammette, implicitamente, che tutte le comunicazioni seguano lo stesso percorso se vi sia stata formale istanza dai partecipanti al condominio.

Integra la fattispecie, secondo la giurisprudenza, anche l'invio a soggetti diversi dalla persona offesa di una mail contenente espressioni offensive con la consapevolezza che essa sarebbe comunicata al soggetto offeso (Cass. pen. II, n. 24325/2015); in tema di diffamazione, la comunicazione contenente i nominativi dei condomini morosi affissa al portone condominiale integra il reato di cui all'art. 595 c.p., non sussistendo alcun interesse da parte dei terzi alla conoscenza di tali fatti ancorché veri (Cass. pen. II, n. 39986/2014).

È stato, invece, escluso il reato di diffamazione nel caso in cui l'amministratore, dopo avere ottenuto nei confronti di un condomino un decreto ingiuntivo per asserite morosità nei pagamenti di oneri straordinari abbia informato i condomini dell'esito del giudizio. Tutto ciò anche se in precedenza lo stesso amministratore aveva escluso, nello stato di ripartizione, che il condomino dovesse alcunché al condominio (Trib. pen. Benevento 29 maggio 2012).

La decisione è stata oggetto di critica in relazione alla circostanza che il giudicante non aveva tenuto irrilevante il fatto che, pur in assenza di una morosità (l'opposizione del condomino ingiunto era stata, infatti, accolta), il querelante si fosse sentito offeso nel proprio «onore» essendo stato additato nei confronti di tutti i numerosi condomini come persona che non aveva onorato il proprio debito verso il condominio. Osservando ancora l'autore che secondo la Corte di Cassazione (Cass. pen. II, n. 282/2006) i limiti previsti dall'art. 51, comma 1, c.p. (secondo il quale non è punibile colui che agisce per l'esercizio di un diritto, per l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un provvedimento legittimo della pubblica autorità) trovano applicazione anche nei rapporti condominiali (Papa, 214)

L'ingiuria (art. 594 c.p.) consiste nell'offesa all'onore o al decoro di una persona presente ed è aggravata dall'attribuzione di un fatto determinato oppure se l'offesa è commessa dinanzi a più persone.

La missiva a contenuto diffamatorio diretta a una pluralità di destinatari, oltre l'offeso, non integra il reato di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, bensì quello di diffamazione, stante la non contestualità del recepimento delle offese medesime e la conseguente maggiore diffusione della stessa. Fattispecie, in cui la missiva offensiva era indirizzata impersonalmente anche «all'amministratore del condominio» nella quale la Suprema Corte ha escluso la configurabilità del reato di ingiuria in quanto l'imputato non poteva essere certo che il legale rappresentante del condominio si identificasse ancora con la persona che stava offendendo (Cass. pen. II, n. 18919/2016).

Visto dalla parte del rappresentante del condominio, invece, la Corte Suprema (Cass. pen. II, n. 10420/2007) ha ritenuto che non integra gli estremi del reato di ingiuria, la condotta di colui che, in qualità di condomino, rivolga all'amministratore nel corso di un'assemblea condominiale, la seguente espressione: «Lei è un bugiardo, dice il falso e mente», considerato che, al fine di apprezzare la lesività di detta espressione, è necessario contestualizzarla e cioè rapportarla al contesto spazio-temporale nel quale è stata pronunciata, avuto riguardo allo standard di sensibilità sociale del tempo. (Fattispecie nella quale la Corte ha osservato che se l'espressione con la quale si attribuisca la patente di bugiardo e mentitore, può in astratto assumere rilievo denigratorio e lesivo di una persona, essa perde gran parte della sua valenza offensiva, ove venga inserita nel particolare contesto in cui è stata proferita e cioè in un'assemblea condominiale pertanto, in un ambito non di rado caratterizzato da vivace «vis» polemica o da atteggiamenti sopra le righe da un condomino nell'ambito di un'accesa critica all'operato dell'amministratore, organo esecutivo obbligato a rendere conto all'assemblea).

Appropriazione indebita di somme di denaro

Quando l'amministratore, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, sottrae denaro dalla cassa condominiale di cui è possessore e custode compie il delitto di appropriazione indebita (art. 646 c.p.).

Per la giurisprudenza (Cass. pen. II, n. 40870/2017; Cass. pen. II, n. 29451/2013) il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, e cioè nel momento in cui l'agente compia un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria (nella specie l'amministratore uscente aveva trattenuto indebitamente le somme relative al condominio, introitate a seguito di rendiconti). Rilevante, ai fini della consumazione del reato, è il momento della cessazione dell’amministratore dalla carica, in quanto è in tale istante che, in mancanza di restituzione degli importi ricevuti nel corso della gestione, si verifica con certezza l’interversione del possesso (Cass. pen. II, n. 27747/2024Cass.II, n. 11323/2021). Difatti, considerata la natura fungibile del denaro, sino alla cessazione dalla carica l’amministratore potrebbe reintegrare il condominio delle somme precedentemente disperse (Cass. pen. II, n. 32769/2021).

Pertanto è irrilevante, ai fini di individuazione della data di consumazione del reato e della relativa prescrizione, il momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del comportamento illecito (giurisprudenza costante. Da ultimo Cass, pen. II, n. 21011/2018).  E' stato, infatti, precisato che nell'ambito del  contratto di mandato tra condominio ed amministratore, volto al compimento di più atti giuridici nell'interesse dei condomini, l'amministratore può ricevere dai condomini somme di denaro al fine di provvedere all'esecuzione di specifici pagamenti o da riversare nella cassa condominiale onde far fronte alle spese di gestione del condominio secondo i bilanci approvati dall'assemblea. Nel primo caso, l'amministratore deve provvedere a compiere il pagamento a cui è obbligato secondo le modalità e i termini convenuti, mentre nel secondo, egli è tenuto a una generale destinazione dei fondi confluiti sul conto comune alle spese condominiali secondo le modalità stabilite dall'assemblea, con obbligo di rendiconto e di restituzione alla scadenza di quanto ricevuto nell'esercizio del mandato, ai sensi dell'art. 1713 c.c. (Cass.pen., II, n. 19729/2018).  Pertanto commette il delitto di appropriazione indebita il mandatario che, violando le disposizioni impartitegli dal mandante, si appropri del denaro ricevuto utilizzandolo per propri fini e, quindi, per scopi diversi ed estranei agli interessi del mandante (Cass. pen., II,  n. 23347/2016). E' stato riconosciuto inammissibile il ricorso per la revoca dell'amministratore per fatti di appropriazione indebita se non preceduto da delibera assembleare (Trib. Asti 18 agosto 2017. Nella specie, l'amministratore era stato condannato per risalenti fatti di appropriazione indebita, ma la sentenza era oggetto di appello. Malgrado ciò l'assemblea, che era a conoscenza dei fatti,  aveva confermato fiducia all'amministratore di cui era stata chiesta la revoca giudiziaria).  Tuttavia, il fatto che il condominio sia uno strumento di gestione collegiale degli interessi comuni dei condomini attraverso il quale deve esprimersi la volontà di sporgere querela non esclude che il singolo condomino sia legittimato o meno a sporgere querela nei confronti dell'autore del reato commesso contro il condominio. In questo caso, trattandosi di appropriazione indebita a carico dell'amministratore, il diritto di cui all'art. 120 c.p. viene riconosciuto al condomino in quanto “persona offesa dal reato” (Trib. Pordenone 6 marzo 2019, con nota Kowalski, 2019 e Papanice, 2019 ).

In assenza della remissione della querela da parte di tutti i querelanti, il giudice non può dichiarare l'estinzione del reato, escludendo, nella specie, che la decisione assunta dall'assemblea di condominio, avente ad oggetto la transazione della controversia con l'amministratore di condominio, comporti remissione di querela c.d. tacita da parte dei condomini che non abbiano impugnato tale delibera (Cass. pen. II, n. 44374/2024. Celeste, 2025).

 

 

 

Tale legittimazione è stata riconosciuta da altra sentenza pronunciata dalla Corte suprema (Cass. pen., V, n. 21862/2024) secondo la quale il singolo condòmino è legittimato, quanto meno in via concorrente o surrogatoria rispetto all'amministratore del condominio, alla presentazione di una valida querela in relazione a un reato commesso in offesa del patrimonio comune del condominio di un edificio.  Sul punto il massimo consesso nomofilattico ha, per un verso, precisato che la consentanea attribuzione al privato condòmino e all'amministratore del condominio del potere di agire a tutela del patrimonio comune riconosce la natura sostanzialmente complementare delle rispettive prerogative, l'una estrinsecazione del diritto reale di proprietà e l'altra emanazione dei compiti di gestione e di organizzazione devoluti per effetto del mandato; per altro verso, ha rafforzato il principio secondo il quale è la qualità del diritto, per c:osì dire "naturale", fatto

valere in sede giurisdizionale la ragione di fondo della sussistenza della facoltà dei singoli di

affiancarsi o surrogarsi all'amministratore nella sua difesa in contenzioso (Fattispecie relativa all’introduzione abusiva di un estraneo nell’androne di un condominio cittadino).

In effetti, posto che la nomina dell'amministratore non è sempre necessaria e che manca una norma che investa esplicitamente ed esclusivamente il condominio e il suo amministratore del potere di difendere le parti comuni (come confermato anche dalla previsione dell'art. 1117-quater c.c. che, in tema di tutela delle destinazioni d'uso, contempla espressamente il potere d'iniziativa dei singoli condomini) - il singolo condomino è legittimato alla proposizione della querela, anche in via concorrente o eventualmente surrogatoria rispetto all'amministratore del condominio, per i reati commessi in danno del patrimonio comune (Cass. pen., II, n. 31252/2022. Conf. Cass. pen. II, n. 45902/2021; Cass. pen., II, n. 6594/2020).

La legittimazione dell’amministratore a sporgere querela in relazione ad un reato commesso in danno del patrimonio comune, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, sussiste in ragione della detenzione qualificata rispetto alle risorse economiche del condominio e della necessità di assicurare il corretto espletamento dei servizi comuni. Il consolidamento di tale ultimo orientamento è aderente alla corretta collocazione sistematica della figura dell’amministratore di condominio e della sua coerenza con il principio del favor querelae, in un’ottica di massima tutela contro le aggressioni patrimoniali (Cass. pen. II, n. 29548/2025).

Il reato di appropriazione indebita è configurabile anche nel caso in cui l'amministratore non sia una persona fisica ma rivesta la qualità di amministratore unico e legale rappresentante di una società che amministri condominii (Cass. pen. II, n. 37910/2020).  

Nello stesso senso è stato considerato il comportamento dell'amministratore che, al passaggio della cassa al nuovo amministratore, abbia trattenuto per sé delle somme defalcandole da quelle che, secondo il rendiconto contabile finale, avrebbe dovuto consegnare (Cass. pen. II, n. 18864/2012). E' configurabile il reato di appropriazione indebita se l'amministratore dispone delle somme versate dai condomini uti dominus per fini diversi e propri da quelli attinenti al mandato conferitogli (come nel caso in cui utilizzi gli importi per coprire le perdite verificatesi in altri condominii dallo stesso gestiti), con l'aggravante di cui all'art. 61, n. 11 c.p., sussistendo, nella fattispecie, un abuso di relazione di prestazione d'opera, trattandosi di un rapporto giuridico che comporta un obbligo di facere fondato su un rapporto di fiducia che ha certamente agevolato la commissione del reato (Cass. pen, II, n. 6350/2015; Trib. Milano 21 novembre 2018).

Che l'ingiusto profitto possa essere anche potenziale lo ha dichiarato la Corte Suprema (Cass. pen. II, n. 29451/2013) rilevando che non è necessario che esso si realizzi effettivamente, come emerge chiaramente dal testo dell'art. 646 c.p., essendo sufficiente il mero intento di trarre vantaggio per sé o per altri, a prescindere dalla concreta sua realizzazione (nella fattispecie l'amministratore cessato dalla carica continuava ad amministrare il condominio, il chè lo poneva in condizione di accampare ulteriori pretese rendendo problematica, o addirittura paralizzando l'amministrazione del condominio stesso).

Per quanto concerne, invece, l'entità della somma sottratta è stato affermato che il reato di appropriazione indebita, da parte dell'amministratore nella gestione contabile di un condominio, si configura anche in relazione ad un esiguo ammanco dalla cassa condominiale, qualora l'amministratore non sia in grado di provare che tale minima differenza di cassa sia riconducibile a cause diverse dalla finalità di indebita appropriazione e non da lui volute consapevolmente (Cass. pen. II, n. 36022/2011).

Rientra ancora nell'ambito di applicabilità dell'art. 646 c.p. la condotta dell'amministratore condominiale che, ricevute le somme di denaro necessarie dai condomini, ometta di versare i contributi previdenziali per il servizio di portierato (Cass. pen. II, n, 27822/ 2019Cass. pen. II, n. 41462/2010). In questo caso, la condanna definitiva per omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali configura un'ipotesi speciale di appropriazione indebita che rappresenta, per effetto dell'art. 71-bis disp. att. c.c., una causa ostativa per lo svolgimento della carica di amministratore (Trib. Sciacca 16 giugno 2014).

La fattispecie penale di appropriazione indebita è configurabile anche nell'ipotesi di mera “distrazione” delle somme. Infatti, con il pagamento delle quote condominiali i partecipanti al condominio imprimono al denaro una specifica destinazione, nel senso che gli importi devono essere impiegati per un determinato uso, come quello di pagare un particolare servizio reso in favore del condominio (Accoti, 2019).

A questo proposito, infatti, ai fini della configurabilità del delitto di appropriazione indebita, qualora oggetto della condotta sia il denaro, è necessario che l'agente violi, attraverso l'utilizzo personale o altro tipo di distrazione non autorizzata, la specifica destinazione di scopo che esso può avere, non essendo sufficiente il solo mancato versamento del denaro a chi è in astratto legittimato a riceverlo (da ultimo Cass . pen., II, n. 37300/2019). Il delitto di cui trattasi, quindi, è configurabile allorchè sia stato accertato che il detentore abbia mancato di destinare le somme finalizzate ad un determinato fine, indipendentemente dall'individuazione dell'atto di disposizione che sia stato effettuato con l'uso delle somme medesime (Cass. pen., VII, n. 9578/2019).

Nel momento in cui l'amministratore è custode del denaro versatogli dal condomini egli ha l'obbligo di gestirlo con trasparenza. Gli è, quindi, precluso anche di utilizzare le risorse comuni per fare fronte ad una propria esposizione debitoria  personale od a quella di un altro condomino, anche se l'ammanco, che in tal modo viene a crearsi per primo, è solo temporaneo e  ripianabile con il tempo grazie a una sorta di processo osmotico tra diverse casse condominiali. Inoltre, l'omissione non casuale nelle registrazioni delle singole operazioni e dei singoli pagamenti può essere il mezzo per elaborare nel tempo, con intento fraudolento, confusione ed incertezza funzionali a coprire la graduale appropriazione del denaro (Cass. pen. II, n. 17471/2019).  Si ha ancora appropriazione indebita allorchè l'amministratore metta in atto un travaso di fondi  da un condominio all'altro, poiché il dolo specifico previsto dall'art. 646 c.p. è integrato anche dal fine di procurare ad altri un ingiusto profitto (Cass. pen. II, n. 37300/2019).

Inoltre non rileva ai fini della sussistenza del reato la asserita regolarità gestionale ridotta, in relazione a tale comportamento, ad un mero difetto della confusione.  L'amministratore di più condominii, infatti, non può fare confluire su un unico conto di gestione a lui intestato i saldi attivi dei singoli condominii, poiché egli risponde del reato di appropriazione indebita a prescindere dalla destinazione finale del saldo cumulativo ad esigenze personali dello stesso amministratore o ad esigenze dei condominii amministrati. Tale condotta comporta di per sé la violazione del vincolo di destinazione impresso al denaro al momento del suo conferimento (Cass. pen. II, n. 19519/2020).

Come noto compete alla parte che agisce in giudizio apportare le prove su cui fonda la propria pretesa,  per cui  la prova che l’ex amministratore, pur avendo ricevuto dai condomini la provvista per provvedere agli affari condominiali, si sia appropriato delle relative somme ponendo in essere condotte distrattive o depauperando i fondi condominiali spetta al condominio. La mancata produzione di estratti conto riferiti alla precedente amministrazione  impedisce di valutare se le somme versate dai condomini siano state utilizzate dall'ex amministratore per finalità personali rispetto a quelle a cui erano destinate (pagamento di utenze, lavori straordinari, ditta pulizie, etc.). Non basta,  in tal senso, la prova del mancato pagamento di fatture emesse dai terzi creditori del condominio, potendo essere state le relative provviste, se presenti, utilizzate, comunque, per attività ed esigenze del condominio. Una tale prova presupporrebbe, quindi, una preliminare verifica dello stato patrimoniale del condominio, partendo dall’ultimo saldo di gestione approvato dall’assemblea per poi analizzare le entrate e le uscite successive, gli eventuali debiti/crediti delle gestioni precedenti, gli eventuali fondi di riserva, il saldo del conto corrente e quello della eventuale “piccola cassa”. Laddove, alla fine, dovesse risultare un disavanzo di bilancio (ammanco di cassa), bisognerebbe capire da dove derivi tale passività (Trib. Roma 28 marzo 2022, n. 4760; Cass. pen. II, n. 1707/2022)

Appropriazione indebita di documenti condominiali

L'art. 1129, comma 8, c.c. (rinvio al relativo commento) dispone che l'amministratore, una volta cessato dall'incarico, è tenuto a consegnare al suo avente causa tutta la documentazione afferente al condominio ed ai singoli condomini. Il reato di appropriazione indebita, avendo ad oggetto anche cose mobili, si consuma anche nei confronti dell'amministratore che trattenga la documentazione al momento del passaggio delle consegne.

Infatti la giurisprudenza ha affermato che l'ingiusto profitto, per conseguire il quale è posta in essere la condotta di appropriazione indebita, non deve connotarsi necessariamente in senso patrimoniale, ben potendo essere di diversa natura (Cass. pen. II, n. 40119/2010).

Pertanto la mancata restituzione dei documenti da parte dell'amministratore uscente configura gli estremi del reato di appropriazione indebita in quanto è un comportamento che eccede il titolo del possesso (Cass. pen. II, 26820/2008; Trib. Milano, 30 novembre 2011). Per altri giudici la fattispecie integra gli estremi di appropriazione indebita aggravata (Trib. Roma 2 febbraio 2010).

Secondo la giurisprudenza di merito l'ingiustificato trattenimento – pur a fronte di esplicita richiesta – della documentazione relativa al condominio da parte dell'amministratore cessato in carica e la necessità dell'uso della polizia giudiziaria per il recupero, dimostrano l'intenzione soggettiva di interversione del possesso e configurano un'ipotesi aggravata di appropriazione indebita, in relazione alla quale l'amministratore subentrato è legittimato a costituirsi parte civile nel processo penale, senza necessità di essere autorizzato dall'assemblea (Trib. Roma 20 luglio  2007).

Sussistono gli elementi costitutivi del reato di truffa quando l'amministratore, utilizzando artifici e raggiri, servendosi di un falso verbale di assemblea straordinaria avente ad oggetto il conferimento al medesimo dell'autorizzazione ad accedere a rapporti di conto corrente bancario e finanziamenti, inganni l'istituto di credito in ordine alla volontà di assumere le obbligazioni connesse alla stipula del contratto, con correlativo danno per l'istituto di credito conseguente l'indebita erogazione. Contestualmente sussiste la condotta di appropriazione indebita nella violazione delle finalità per le quali il finanziamento era stato concesso con l'utilizzo delle somme (nella specie: per lavori di ristrutturazione e rifacimento degli immobili danneggiati dal sisma del 2012) per finalità estranee all'oggetto del contratto di finanziamento, tra le quali anche i prelievi per il pagamento dei compensi dell'amministratore e la mancata restituzione delle stesse all'atto della cessazione dell'incarico (Cass. pen. II, n. 40092/2023).

Ulteriori fattispecie

L'amministratore è penalmente responsabile quando non osservi un provvedimento legittimamente dato dall'autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o di ordine pubblico o di igiene (art. 650 c.p.).

In giurisprudenza si è osservato come non costituisca reato il fatto dell'inottemperanza dell'amministratore all'ordine del sindaco, emesso nell'interesse di un unico condomino, avente ad oggetto la predisposizione delle necessarie misure tecniche idonee ad attenuare il rumore di un impianto di riscaldamento (Cass. pen. II, n. 3510/1986), mentre costituisce reato l'inosservanza dell'ordine del sindaco avente ad oggetto l'opera di predisposizione di transenne attorno al perimetro di un edificio per ragioni di sicurezza (Cass. pen. II, n. 5451/1995).

È penalmente responsabile ai sensi dell'art. 388, comma 2, c.p. l'amministratore che mette in esecuzione una delibera assembleare avente ad oggetto lavori sulle parti condominiali, malgrado vi sia stato un provvedimento del giudice che ne abbia sospeso l'esecutività. Tutto ciò prima che sia disposta la revoca giudiziaria della sospensiva o, comunque, sia stata dichiarata la cessazione della materia del contendere (Cass. pen. II, n. 33227/2014).

In ordine alla sicurezza dei lavoratori dipendenti, è stato affermato (Cass. pen. II, n. 22239/2011) che la prospettazione di una causa di esenzione da colpa che si richiami alla condotta imprudente altrui, non rileva allorché chi la invoca versa in re illicita, per non avere negligentemente impedito l'evento lesivo. Il datore di lavoro, infatti, ha il dovere di accertarsi che l'ambiente di lavoro abbia i requisiti di affidabilità e di legalità quanto a presidi antinfortunistici, idonei a realizzare la tutela del lavoratore, e di vigilare costantemente a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera (in applicazione del suddetto principio, la Corte ha annullato, con rinvio, la sentenza di non luogo a procedere emessa nei confronti di un amministratore di condominio al quale era stato addebitato di aver cagionato, per inosservanza della disciplina antinfortunistica in materia di altezza minima dei parapetti delle scale, il decesso di un dipendente di un condominio da lui amministrato, nella specie, un pulitore, il quale, perdendo l'equilibrio, presumibilmente a causa di una sua condotta imprudente, era precipitato lungo la tromba delle scale).

Sempre in argomento la Corte penale ha affermato che in materia di sicurezza sul lavoro in condominio, l'amministratore è considerato committente ogni qualvolta affida delle opere di manutenzione a terzi su parti comuni dell'edificio gestito, con la conseguenza che è tenuto a verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa affidataria, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi ed è allo stesso tempo, tenuto a redigere (o a far redigere) il piano di sicurezza e coordinamento (artt. 26 e 90 d.lgs. n. 81/2008), pena la relativa responsabilità in caso di morte degli operai impegnati nel cantiere (Cass. pen. IV, n. 13475/2020;  Cass. pen. II, n. 43452/2017). 

Alla responsabilità per tale evento, che fa capo al datore di lavoro , il quale non abbia adottato tutte le misure previste dalle leggi vigenti a tutela della sicurezza del proprio dipendente, si può sommare quella dell' amministratore e del condominio . Il primo, infatti, è parimenti tenuto al rispetto dei numerosi obblighi che la normativa antinfortunistica pone in capo al committente proprio al fine di evitare il verificarsi di eventi irreparabili verso il lavoratore. Il condominio, invece, nella qualità di mandante (là dove l'amministratore è mandatario con rappresentanza) risponde, ex art. 2049 c.c., dell'operato dell'amministratore, il quale abbia agito in esecuzione del mandato ( Trib. Palermo 9 maggio 2023, n. 1561 ).

Il capo condominio (amministratore di fatto) è penalmente responsabile della morte del dipendente dell'impresa che, in corso dei lavori su facciata condominiale, precipiti al suolo, allorché ometta anche di vigilare che questa abbia predisposto adeguate misure antinfortunistiche. Questo può avvenire nel caso in cui il capo condominio, committente dei lavori, abbia apposto la dicitura “approvato” sul testo della proposta di contratto e, assistendo al montaggio del ponteggio alla presenza della ditta, non abbia sollevato rilievi in merito (Cass. pen. III, n. 29068/2019).

In tema di infortuni nei luoghi di lavoro, l'amministratore di condominio committente di opere risponde penalmente per le lesioni aggravate cagionate ai lavoratori di una ditta edile e a terzi, i quali, privi di misure di protezione da rischio tossico e misure salvavita, si erano introdotti in una fossa biologica allo scopo di effettuare lavori urgenti di straordinaria amministrazione (Trib. pen. Firenze 21 febbraio 2018, conf. a Cass. pen. II, 5477/2017; Cass. pen. II, 24452/2015; Cass. pen. II, n. 49821/2012).

In senso contrario è stato ritenuto che, ai fini del richiamato d.lgs. n. 81 del 2008, l'amministratore non è datore di lavoro, qualifica che spetta eventualmente al condominio (Triola, 988).

Sotto il profilo fiscale, poi, l'amministratore che ometta di versare le ritenute fiscali e previdenziali è punito  ai sensi dell'art. 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000 (introdotto dalla “Finanziaria 2005”) come modificato dalla l. n. 158 del 2015 (MAGRO, 2019; TASSINARI, 2016).

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