Codice Civile art. 1117 bis - Ambito di applicabilità (1).

Alberto Celeste

Ambito di applicabilità (1).

[I]. Le disposizioni del presente capo si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'articolo 1117.

(1) Articolo inserito dall'art. 2, l. 11 dicembre 2012, n. 220. La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013.

Inquadramento

La disciplina dell'appartenenza e della gestione delle parti comuni nei differenti gruppi di costruzioni, aggregate secondo i criteri più svariati, richiede un'approfondita elaborazione enucleabile dai noti principi, concetti e categorie concernenti la comunione ed il condominio negli edifici, e, al contempo, la soluzione di delicatissime questioni di natura tecnica, attinenti al fondamento dell'uno o dell'altro istituto e, quindi, il riscontro di tali risultati alla luce delle applicazioni pratiche.

Comunque, al di sotto dell'analisi «giuridica», non bisogna mai dimenticarsi il concreto atteggiarsi della realtà «sociale» del fenomeno del supercondominio, ed in particolare del nuovo sistema abitativo che ha portato alla nascita di grosse strutture edilizie e di centri polivalenti, e conseguentemente alla modifica dei reciproci rapporti interpersonali di convivenza; infatti, si è passati da una pluralità di edifici isolati ed autonomi, legati accidentalmente da reciproca contiguità, a complessi residenziali concepiti unitariamente, nonché intesi funzionalmente a rispondere nel modo più adeguato alle nuove esigenze abitative, con ampi spazi di verde, aree attrezzate, impianti sportivi, ambienti ricreativi, centri commerciali, e quant'altro.

Quindi, un nuovo modello edilizio, una nuova forma di gestione del patrimonio, un nuovo sistema abitativo, nel contesto di una realtà estremamente articolata, con una varietà infinita di sfumature, che, a fatica, trova rispondenza nella predetta analisi giuridica, nel senso di individuare con certezza una categoria giuridica, descriverne la relativa disciplina e trovare un equo contemperamento dei contrapposti interessi.

Di qui la difficoltà di un intervento normativo, che cerchi di evitare i numerosi inconvenienti concreti nonché di risolvere i difficili problemi giuridici che il fenomeno del supercondominio quotidianamente crea, mediante una pluralità di discipline per dare risposta a tutte le variegate problematiche connesse a tale realtà; compito arduo, poiché si tratta di individuare una disciplina regolatrice che sia non solo coerente con il sistema giuridico vigente, ma al contempo sia idonea a fornire una soddisfacente risposta alle molteplici questioni che caratterizzano il complesso immobiliare, in modo da non ostacolare o impedire una corretta, funzionale e dinamica gestione delle vicende del supercondominio.

Evoluzione delle tecniche costruttive

Il continuo evolversi delle tecniche di progettazione e di esecuzione degli edifici, finalizzato ad un più razionale sfruttamento delle capacità edificatorie dei fondi urbani ed extraurbani, ha dato luogo alla creazione di complessi edilizi sempre più articolati, distinti in diversi corpi di fabbrica, dotati di autonomia strutturale, ma caratterizzati dalla presenza di una serie di opere e servizi comuni a tutto il complesso edilizio; è oramai frequente il caso, specialmente nelle grandi città, della costruzione, da parte di una sola impresa, di due o più stabili, da vendersi frazionatamente, con la costituzione di un condominio per ogni stabile, e con aree in comune, non di rado con un servizio unico di portineria o di riscaldamento.

Alcuni (Bianco, 1207) hanno osservato che il fenomeno si è venuto creando per il devolversi di aree a parcheggio, giardino, giochi, spazi liberi, ecc., e con la costruzione di aggregati residenziali in cui più palazzine si dividono gli accennati comforts per assolvere primarie esigenze di verde.

Altri (Benacchio, 5) hanno evidenziato che il condominio, quale serie di proprietà separate nell'àmbito di un solo edificio diviso per piani, non ha esaurito le esigenze sociali dell'uomo moderno, in quanto la realtà odierna rileva la creazione di grandi complessi residenziali, caratterizzati da un territorio più o meno ampio, in cui sorgono diversi edifici, legati dalla comunione del terreno circostante su cui insistono elementi e servizi comuni, e talvolta anche tutta una serie di infrastrutture.

Si è messo in luce (Gambaro, 1115) che la nuova forma è data dalla spinta del mercato che deve soddisfare sempre più una domanda pagante: l'uso dello spazio verde ed attrezzato si colloca quale destinazione per un'elevata qualità della vita.

Il fenomeno de quo è destinato a collocarsi in una prospettiva diversa da quella, essenzialmente «privatistica», di tipo condominiale (Basile, 196): e ciò, non tanto per la vastità delle esigenze di abitazione che il fenomeno stesso alimenta a causa di alcune sue caratteristiche – quali l'omogeneità sociale dei residenti e la collocazione periferica dei complessi – quanto per il presentarsi di problemi socio-politici di rilievo generale – come ordine pubblico, segregazione sociale, socializzazione giovanile, ecc. – sicché, in questa diversa ottica, un ruolo risolutore è chiamato a svolgerlo il regime delle «lottizzazioni», nel cui àmbito rientra la realizzazione, in zona di espansione urbana, di un agglomerato edilizio a scopo residenziale e si concreta una forma più evoluta del condominio in un ruolo intermedio tra l'abitare privato e quello pubblico.

Si è lamentato, altresì, il mancato riferimento al detto istituto (quasi condominio) da parte della normativa codicistica, affermando che non era più sufficiente garantire la funzione abitativa all'interno dei singoli piani o porzioni di piano, in quanto la casa comprendeva anche tutte le infrastrutture dell'ambiente circostante, per cui, a sottolineare la relazione tra l'abitazione e l'ambiente funzionale esterno, si sarebbe dovuto parlare di «residenza» (Vincenti, 145).

Disciplina delle cose rimaste in comune

Il fenomeno del c.d. supercondominio si verifica, dunque, sia che si tratti di cose, che restano in comune tra gli edifici separati successivamente allo scioglimento, sia se le cose sono comuni, a far tempo della costruzione, ad edifici distinti e costituiti in condominii autonomi.

La prima ipotesi è contemplata e disciplinata dagli artt. 61 e 62 disp. att. c.c. (non toccati dalla Riforma del 2013, e al cui commento si rinvia).

Per quel che rileva in questa sede, l'art. 61 disp. att. c.c. prevede lo scioglimento del condominio qualora un gruppo di edifici si possa dividere in parti, che abbiano le caratteristiche di edifici «autonomi», o con la maggioranza indicata dall'art. 1136, comma 2, c.c. oppure per disposizione dell'autorità giudiziaria, su ricorso di un terzo dei comproprietari di quella parte dell'edificio per la quale si chiede la separazione; l'art. 62 disp. att. c.c., a sua volta, contempla il caso in cui, nonostante lo scioglimento del condominio e la costituzione di condominii separati, tra i partecipanti restano in comune talune delle cose indicate dall'art. 1117 c.c., riconoscendo così la legittimità nel nostro ordinamento di un'organizzazione supercondominiale.

Pertanto, al preesistente unico condominio, costituito da una pluralità di edifici o di corpi distinti di un unico più ampio complesso immobiliare, si sostituisce una pluralità di strutture autonome, più agili, che non soggiacciono alla macchinosità di una gestione unica, contraddistinta da un numero eccessivo di condomini nonché dal coesistere di interessi contrastanti e oggettivamente di non facile composizione.

Il supercondominio può contemplare un gruppo di edifici separati che abbiano già in comune alcune cose, servizi ed impianti necessari per l'uso o destinati al servizio degli stessi, come, ad esempio, gli impianti idrici, elettrici, di riscaldamento e per l'acqua calda, di illuminazione, la cisterna e gli impianti di scarico delle acque, il servizio di portierato e di custodia, il citofono, gli accessi o gli ingressi (che mettono in comunicazione il gruppo dei fabbricati con la pubblica via), le strade interne ed il passaggio per accedere ai singoli edifici, le zone destinate al parcheggio per le automobili, cose tutte che sono necessarie per l'esistenza degli edifici, o sono destinate all'uso strumentale delle relative unità immobiliari.

Si pensi, altresì, alle zone verdi, ai parchi, ai giardini, agli impianti sportivi (le piscine, i maneggi, i campi da tennis, da calcio, da pallavolo, da pallacanestro, da bocce, ecc.), ai locali adibiti ai servizi vari, come centri sociali o commerciali, i negozi, i supermercati, gli sportelli bancari, i ristoranti e le attrezzature per le spiagge ed i porti, cose tutte che accrescono i pregi ed il valore del complesso immobiliare e forniscono ai comproprietari comfort e svago, per un'elevata qualità della vita.

Teoria della comunione

A questo punto, ci è chiesti quale sia la disciplina applicabile alle cose rimaste in comune a seguito del suddetto scioglimento del condominio: prima dell'entrata in vigore della l. n. 220/2012, in dottrina e in giurisprudenza si registravano opinioni discordi.

In estrema sintesi – a parte una teoria, per così dire, mista – alcuni erano favorevoli all'operatività delle disposizioni in tema di comunione, mentre altri ritenevano di applicare la normativa contemplata per l'istituto del condominio (salvo alcune deroghe), anche se entrambe le soluzioni ermeneutiche sono state oggetto di critica; non aveva trovato seguito, invece, l'isolata tesi di chi (Branca, 397) optava per l'operatività delle disposizioni sulle pertinenze di cui agli artt. 818 ss. c.c.

Da un lato, si sosteneva (Girino, 588; Peretti Griva, 114) che le norme sul condominio erano state poste per regolare l'uso e la gestione di parti dello stesso stabile diviso per piani e, pertanto, gli artt. 1117 ss. c.c. – partoriti dal legislatore del 1942, sulla falsariga della normativa del 1934 – risultavano destinati a disciplinare il c.d. condominio verticale, caratterizzato cioè dall'unicità dell'edificio; del resto, anche dal riferimento testuale, si faceva rinvio ad un edificio (termine usato al singolare), con le medesime fondamenta e lo stesso tetto, escludendo, quindi, le ipotesi in cui la proprietà comune riguardasse parti strutturalmente autonome o fosse posta addirittura in edifici distinti.

Seguendo tale opinione, la disciplina della comunione consentiva un'amministrazione più snella, pur nel rispetto dei singoli partecipanti al complesso immobiliare; aderendo all'opposta tesi, invece, l'ingovernabilità del supercondominio avrebbe potuto essere superata mutuando quanto affermato dal supremo organo di nomofilachia sul condominio minimo (Cass.S.U., n. 2046/2006), laddove si auspicava il ricorso al disposto dell'art. 1105 c.c., ma il riferimento suscitava perplessità, quando si affermava che la suddetta ipotesi era del tutto simile ad altre, nelle quali la maggioranza in concreto non si formava, come nel caso del condominio composto da una pluralità di partecipanti; il raffronto non coglieva nel segno, poiché trattavasi di situazioni del tutto diverse: l'una patologica, l'altra fisiologica, l'una poteva presentarsi nel corso dell'assemblea, l'altra risultava in radice, l'una era eventuale, l'altra era costante, a meno che vi fosse unanimità dei consensi.

In pratica, si affermava (Visco 1976, 347) che bisognava tener distinti l'istituto del condominio da quello della comunione, perché, ad esempio, se esisteva un viale che portava alle diverse palazzine, esso, essendo di proprietà comune, era in comunione, non in condominio che presupponeva una proprietà divisa per piani; le norme che disciplinavano il condominio, quindi, riguardavano gli edifici, la cui proprietà era oggetto di una divisione orizzontale, perché i diversi piani o porzioni di piano appartenevano a proprietari diversi, mentre non si aveva condominio quando, invece, vi erano edifici totalmente distinti ed autonomi.

La tesi contraria poggiava su alcuni argomenti che erano sembrati alquanto fragili, poiché le norme sul condominio erano state poste per regolare l'uso e la gestione di parti del medesimo stabile (Terzago, 937, il quale cita l'ipotesi di due torri, l'una appartenente ad una banca e l'altra ad una compagnia assicuratrice, con, nei rispettivi piani interrati, trecento posti auto, laddove i condomini sono trecentodue, ma i partecipanti sono i due titolari delle torri e alcuni condomini proprietari di alcuni posti auto); si opponeva che la caratteristica essenziale della normativa non era l'unicità dell'edificio, bensì la destinazione di certe cose al soddisfacimento abitativo comune, dimenticando, però, che gli artt. 1117 ss. c.c. – in tema di amministrazione, assemblea, riparto delle spese, ecc. – disciplinavano tutti il condominio verticale e non quello orizzontale; peraltro, il regime condominiale non faceva che complicare notevolmente il sistema della convocazione e delle maggioranze, senza contare la numerosa partecipazione dei soggetti, la scelta del luogo dell'assemblea, il conteggio delle presenze, il sistema di voto, ecc.

In quest'ottica, alcuni si preoccupavano di come l'applicabilità delle norme sul condominio conducesse alla paralisi della gestione, poiché ci si trovava in presenza, a volte, di una miriade di persone rappresentanti pochi millesimi, e pochi enti titolari di centinaia di millesimi (Galletto 2013, 336).

In linea con tale tesi, si è posta anche una parte (minoritaria) della giurisprudenza, secondo la quale qualora un complesso residenziale, composto da più palazzine, ciascuna con un proprio distinto condominio e propri organi rappresentativi, abbia spazi e manufatti in godimento comune, questi debbono ritenersi soggetti al regime della comunione in genere, e non a quello del condominio, difettandone i presupposti (Cass. II, n. 9821/1991; Cass. II, n. 2923/1989, la quale ne fa conseguire che la nomina di un amministratore dei beni comuni, anche al fine della sua legittimazione ad agire per la tutela dei medesimi, non può discendere dalla deliberazione resa ex art. 1136 c.c., ma postula una manifestazione di volontà di tutti i partecipanti, o le diverse procedure all'uopo contemplate dal regolamento della comunione).

Teoria del condominio

Dall'altro lato, si era opinato (Ditta 1995, 860; Dogliotti, 763; De Tilla 1990, 1086) che, qualora si riscontrasse tra le parti comuni del complesso ed i singoli edifici (limitrofi ed autonomi) un rapporto di strumentalità funzionale – nel senso che le prime erano destinate immediatamente a servire le unità immobiliari – non si vedeva perché non si potesse fare ricorso alla normativa contemplata per il condominio, sicché la presunzione di cui all'art. 1117 c.c., in difetto di titolo contrario, operava con riferimento (anche) ai beni posti in edifici limitrofi (v., altresì, l'art. 204 r.d. 28 aprile 1938, n. 1165, sull'edilizia popolare, secondo cui «ogni edificio separato, se appartiene a più condominii, dà luogo ad un condominio a sé»).

In altri termini, facendo riferimento al citato art. 1117, si affermava l'applicabilità in via analogica della presunzione di proprietà comune di quelle entità immobiliari che fossero destinate a servizio di più edifici limitrofi, finendo per statuire l'operatività del regime giuridico del condominio, in presenza di strutture immobiliari a servizio comune di corpi di fabbrica di proprietà esclusiva; la situazione oggettiva della comunione di un bene al servizio di più stabili condominiali poteva avere le più diverse origini, quali, ad esempio, il frazionamento in più condominii di parti di un originario condominio unico ex art. 61 disp. att. c.c., aventi autonomia strutturale, con la conservazione dei servizi generali in condominio unico, essendo sottinteso il richiamo anche all'art. 62 disp. att. c.c. (Musolino, 864; Esposito, 799; Gallucci 2010).

Qualcuno poteva obiettare che non sarebbe sorta questione in quanto solo la presenza di più edifici escludeva l'applicabilità della disciplina condominiale, ma l'obiezione non aveva pregio: si è visto che la presunzione di cui all'art. 1117 c.c. sussisteva per tutte le opere, le installazioni ed i manufatti di qualunque genere che servivano all'uso o al godimento comune; la norma si riferiva ad un unico edificio, ma non vi sarebbero state ragioni per escludere l'applicabilità del procedimento analogico; né si poteva affermare che non sussisteva condominio perché vi sarebbero stati parti comuni, ma non di proprietà esclusiva; nel condominio, le parti comuni erano destinate al servizio e al miglior godimento delle parti di proprietà esclusiva, mentre nel supercondominio tali parti, di cui quelle comuni erano poste a servizio, non erano che i piani o porzioni di piano appartenenti ai diversi proprietari nei diversi edifici; è vero che risultavano anche parti comuni proprie a ciascun edificio, ma questa non appariva una difficoltà insormontabile: se un bene serviva all'uso o al godimento di una parte soltanto dei piani o porzioni di piano dell'edificio, la presunzione di condominio sussisteva solo nei riguardi dei condomini cui il bene era destinato; si formava, in buona sostanza, un condominio «parziale» nell'àmbito del condominio «generale», ma la medesima situazione si sarebbe verificata appunto riguardo ai diversi edifici del supercondominio (Pisanu, 561; Pasanisi, 11; Greco, 211; Drassich, 66; Ferrari, 122).

Era stato ancora affermato che elemento indispensabile per poter configurare l'esistenza di una situazione condominiale risultava la contitolarità necessaria del diritto di proprietà su parti comuni, in rapporto alla specifica funzione delle stesse di servire per l'utilizzazione e il godimento di determinati servizi; pertanto, anche in presenza di più edifici strutturalmente autonomi, ciascuno appartenente ad un unico soggetto, era dato profilare una situazione condominiale quando tali edifici fruivano, per la loro utilizzazione ed il loro godimento, di opere comuni, anche se strutturalmente distaccate (Cass. II, n. 1553/1963); d'altronde, era la legge stessa a rendere possibile che un complesso immobiliare o un gruppo di immobili si frazionasse per certi beni o servizi in più condominii e conservasse, invece, per i servizi più generali, un condominio unico (art. 1123, comma 3, c.c. e artt. 61 e 62 disp. att. c.c.); per converso, poteva accadere che più edifici contigui, formanti altrettanti distinti condominii, avessero beni destinati al servizio di tutti e, quindi, di proprietà comune, ai quali si applicavano le norme proprie del condominio.

Altrove, il ricorso alla disciplina sul condominio era stato fatto per motivi di carattere oggettivo, data l'inadeguatezza delle regole generali della comunione a soddisfare le esigenze normative di una forma di comproprietà, che presentava caratteristiche peculiari, le quali non ne consentivano, per alcuni aspetti, il puro e semplice inquadramento nel regime della comunione (Cass. II, n. 65/1980).

Va, comunque, riconosciuto che il prevalente indirizzo giurisprudenziale si era espresso nel senso di ritenere applicabile alla fattispecie in esame le norme sul condominio (v., tra le altre, Cass. II, n. 13883/2010; Cass. II, n. 2609/1994; Cass. II, n. 3102/1993; Cass. II, n. 5315/1984; Cass. II, n. 1440/1981; nello specifico, Cass. II, n. 9096/2000, ha sottolineato che, nel caso di pluralità di edifici, costituiti in distinti condomini, ma compresi in una più ampia organizzazione condominiale, c.d. supercondominii, legati tra loro dall'esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni, quali il viale d'accesso, le zone verdi, l'impianto di illuminazione, la guardiola del portiere, il servizio di portierato, ecc., in rapporto di accessorietà con i fabbricati, si applicano a dette cose, impianti, servizi le norme sul condominio negli edifici, e non quelle sulla comunione in generale).

Segnatamente, i giudici di legittimità (Cass. II, n. 4973/2007) hanno affermato che il presupposto perché si instauri un diritto di condominio su un bene comune è costituito dalla relazione di accessorietà strumentale e funzionale che collega i piani o le porzioni di piano di proprietà esclusiva agli impianti o ai servizi di uso comune, rendendo il godimento del bene comune strumentale al godimento del bene individuale e non suscettibile di autonoma utilità, come avviene invece nella comunione; detta relazione di accessorietà può sussistere anche se uno degli edifici o, al limite, entrambi, non siano condominii, purché si tratti di edifici autonomi, atteso che l'art. 61 disp. att. c.c. individua l'autonomia della costruzione e non la gestione dell'edificio, come caratteristica rilevante in base alla quale l'art. 62 consente l'applicazione delle norme sul condominio alle parti, di cui all'art. 1117 c.c., rimaste comuni ai diversi edifici; in tal modo, si configura, specialmente con riferimento ai nuovi complessi immobiliari, un condominio sui generis, allargato, di tipo verticale, in cui ogni edificio autonomo, di proprietà esclusiva o costituente condominio, assume la figura di supercondominio, soggiacendo alla normativa condominiale (nella specie, si era confermata sul punto la sentenza di merito, che aveva ravvisato l'esistenza di un supercondominio con riferimento alla rete fognaria e alle cisterne d'acqua in comune in un complesso immobiliare composto da edifici a destinazione residenziale ed edifici a destinazione paralberghiera).

Tesi del doppio regime

In una posizione a parte, si poneva la tesi del c.d. doppio regime. peraltro, sposata anche dai giudici di legittimità (Cass. II, n. 14791/2003, la quale ha confermato la decisione dei giudici di appello che, qualificando come supercondominio la comunione delle fognature di acque poste al servizio di distinti edifici costituiti in condominio, aveva applicato la disciplina in materia di condominio, ritenendo ammissibile l'impugnazione ex art. 1137 c.c. della deliberazione della relativa assemblea; tra le pronunce di merito, si segnala Trib. Napoli 24 febbraio 1995).

Nel tentativo di fissare un criterio fondamentale idoneo a tracciare una linea di confine tra i predetti istituti, si osservava che ciascuna categoria di beni doveva essere assoggettata alla disciplina che le era propria secondo la funzione che svolgevano, ossia se i predetti beni costituivano parti necessarie per l'esistenza o per l'uso delle unità abitative oppure accrescevano solo il pregio ed il valore del complesso immobiliare.

Tuttavia, si avvertiva (Corona 1985, 44; Corona 1995, 368) che non doveva indurre in errore sulla natura di diritto (di condominio o di comunione) la mera collocazione del bene o dell'impianto rispetto all'edificio: invero, una piscina, i campi da tennis, gli spazi verdi, anche se nel comune parlare venivano spesso definiti «condominiali», non realizzavano che una comunione tra i partecipanti al condominio, perché detti beni – per quanto rendevano appunto più amena la porzione di proprietà individuale o ne potevano accrescere il valore economico aldilà del mero valore dell'impianto stesso – non risultavano caratterizzati da quella relazione di accessorietà rispetto alla proprietà individuale e ben potevano essere oggetto di godimento totalmente svincolato dal godimento di quest'ultima; in altri termini, non costituivano parti necessarie per l'esistenza e per l'uso delle unità abitative, né destinate al loro uso e servizio, e peraltro, senza queste cose in comune, le costruzioni in oggetto sarebbero esistite ugualmente e avrebbero potuto del pari essere tranquillamente utilizzate.

D'altronde, lo stesso art. 1117 c.c. prevedeva le due differenti forme di collegamento tra i piani e le porzioni di piano, da un lato, e le cose, gli impianti ed i servizi di uso comune, dall'altro: in particolare, un collegamento «funzionale», consistente nell'incorporazione tra entità inscindibili, che si manifestava come necessità per l'esistenza o per l'uso che rendeva le cose in proprietà individuale e le cose comuni inseparabili le une dalle altre, pur nella loro autonoma rilevanza giuridica, nonché un collegamento «materiale», consistente nella congiunzione tra res separabili, che si traduceva nella destinazione all'uso o al servizio, dando luogo ad un'unione fisica stabile tra le res medesime, che però poteva essere posta nel nulla senza grave deterioramento dei beni.

Tali concetti si registrano scolpiti in una pronuncia del Supremo Collegio (Cass. II, n. 8066/2005): in considerazione del rapporto di accessorietà necessaria che lega le parti comuni dell'edificio elencate in via esemplificativa – se il contrario non risulta dal titolo – dall'art. 1117 c.c. alle proprietà singole, delle quali le prime rendono possibile l'esistenza stessa o l'uso, la nozione di condominio in senso proprio è configurabile non solo nell'ipotesi di fabbricati che si estendono in senso verticale, ma anche nel caso di costruzioni adiacenti orizzontalmente (come, in particolare, le c.d. case a schiera), in quanto siano dotate delle strutture portanti e degli impianti essenziali indicati dal citato art. 1117 c.c.; peraltro, anche quando manchi un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, non può essere esclusa la condominialità neppure per un insieme di edifici indipendenti, giacchè, secondo quanto si desume dagli artt. 61 e 62 disp. att. c.c. – che consentono lo scioglimento del condominio nel caso in cui un gruppo di edifici si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi – è possibile la costituzione ab origine di un condominio fra fabbricati a sè stanti, aventi in comune solo alcuni elementi, o locali, o servizi o impianti condominiali; dunque, per i complessi immobiliari, che comprendono più edifici, seppure autonomi, è rimessa all'autonomia privata la scelta se dare luogo alla formazione di un unico condominio, oppure di distinti condomini per ogni fabbricato, cui si affianca in tal caso la figura di elaborazione giurisprudenziale del c.d. supercondominio, al quale sono applicabili le norme relative al condominio in relazione alle parti comuni, di cui all'art. 1117 c.c., come, ad esempio, le portinerie, le reti viarie interne, gli impianti dei servizi idraulici o energetici dei complessi residenziali, mentre restano soggette alla disciplina della comunione ordinaria le altre eventuali strutture, che sono invece dotate di una propria autonomia, come, per esempio, le attrezzature sportive, gli spazi di intrattenimento, i locali di centri commerciali inclusi nel comprensorio comune (nella specie, si era cassata le sentenza impugnata che, nell'escludere l'applicabilità delle norme sul condominio, aveva ritenuto costituita fra i vari supercondominii una comunione ordinaria di natura convenzionale per la gestione delle parti comuni relative ad un complesso residenziale, formato da un insieme di edifici, distinti in vari blocchi, ciascuno dei quali era a sua volta formato da vari fabbricati costituiti in condominio).

Il discrimen veniva così individuato nella relazione strumentale che caratterizzava i beni condominiali rispetto alla piena autonomia dei beni oggetto di una mera comunione: si osservava che le cose, gli impianti ed i servizi di uso comune, contemplati dalle norme sul condominio negli edifici, non risultavano suscettibili di autonoma utilità, perché erano o strutturalmente necessari alla stessa esistenza del bene individuale, oppure funzionalmente destinati al servizio di questo, in guisa che il godimento dei beni comuni era strumentale al godimento (o al miglior godimento) del bene individuale; per contro, ai beni in comunione difettava il carattere della strumentalità, perché il rapporto di comunione si esauriva nella mera contitolarità dei diritti, e ciascuno dei contitolari era in grado di godere direttamente del bene soddisfacendo in maniera immediata il proprio interesse, sia pure con il limite giuridico della concorrenza delle altre quote.

Va senza dubbio riconosciuto (Celeste, 77) che la suesposta tesi del c.d. doppio regime se, da un lato, aveva il pregio di analizzare la particolarità del singolo bene all'interno del complesso, dall'altra, avrebbe potuto comportare, sempre se correttamente individuato – e ciò non era spesso agevole – un duplice modo di amministrazione dei diversi beni, con probabili difficoltà e rallentamenti nella gestione del supercondominio, a meno di ritenere l'attrazione di un regime nell'altro a seconda del criterio della prevalenza, ma anche questo elemento non era oggetto di costante applicazione nei diversi complessi edilizi (ad esempio, in un complesso urbano le cose accessorie, come il cortile comune, potevano essere prevalenti, per numero ed importanza, rispetto al giardinetto attrezzato per i giochi dei bambini, mentre, nelle località di villeggiatura, le cose accessorie potevano essere poche, e quelle destinate ad offrire mera amenità al complesso, come le aree attrezzate, potevano risultare di cospicuo valore).

Limite della compatibilità

Comunque, eravamo di fronte ad una lacuna normativa – per alcune prospettive di riforma, Torroni, 385; Paura, 670; Nicolini, 88; Rolleri, 211; D'Amico, 221 – nel senso che il c.d. supercondominio non era previsto né dal codice civile, né da altre leggi speciali, a differenza di alcuni paesi stranieri, come la Francia, che disciplinavano autonomamente già dal 1965 tale figura, contemplando le unioni di syndacats de compropietaires o uno statuto particolare per i grands ensembles.

In Italia, si riscontrava, invece, una notevole confusione sulla disciplina dei diversi gruppi edilizi, che potevano riguardare le lottizzazioni al mare o in montagna, villette unifamiliari o case a schiera, o gruppi residenziali urbani, costituiti da numerosi palazzi o da grattacieli con porzioni autonome; era, peraltro, significativo che le intestazioni dei regolamenti che gestivano tali complessi edilizi si intitolano indifferentemente «regolamenti di comunione» o «regolamenti di condominio», e con altrettanta disinvoltura, per l'integrazione di tali regolamenti, si richiamavano volta per volta le norme proprie della comunione quanto quelle del condominio, ricorrendo sovente ad interpretazioni estensive o analogiche, nonostante che le differenze tra i due istituti sono notevoli.

Sul punto, è opportunamente intervenuta la l. n. 220/2012 con il disposto dell'art. 1117-bis c.c. – ridimensionato dopo il passaggio da Montecitorio – il quale risulta composto di un solo capoverso, il quale prevede che le disposizioni in materia di condominio si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'art. 1117 c.c.

Una pronuncia di merito (Trib. Genova 28 gennaio 2016) ha offerto una prima applicazione della norma, statuendo che, ai sensi dell'art. 1117-bis c.c., sussiste il supercondominio nei casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti in comune ai sensi dell'art. 1117 c.c., ed aggiungendo, però, che le strade private non sono oggetto di proprietà comune ai sensi dell'art. 1117 citato, in quanto non iscrivibili nelle categorie di beni elencate dalla medesima norma, neppure per effetto di interpretazione estensiva.

Comunque, a parte la farraginosità dell'espressione utilizzata – v. appresso – il riferimento immediato è al fenomeno del c.d. supercondominio, anche se il legislatore ha omesso di darne una compiuta definizione, limitandosi a contemplare la disciplina applicabile (del resto, la rubrica dell'articolo in commento si intitola «àmbito di applicabilità»).

Terminologia

Il problema preliminare da risolvere è, innanzitutto, quello di capire quale fattispecie concreta corrisponda alla categoria giuridica delineata dal legislatore, perché, al riguardo, si registra l'uso di varie terminologie.

Si parla di «condominio complesso», per contrapporlo a quello unico o semplice, in modo da sottolineare la presenza di diverse ed integrate organizzazioni, o di «condominio orizzontale», per contrapporlo a quello verticale, oppure di «supercondomino», e quest'altra terminologia, con riferimento al linguaggio pubblicitario e giornalistico, sembra evocare qualcosa di superlativo, anche se è pur vero che, stando al suo significato etimologico, l'avverbio «super» potrebbe designare l'organizzazione che sta sopra appunto, che si affianca o si sovrappone ad un diverso livello rispetto a quella dei singoli condominii relativi agli edifici separati, che peraltro mantengono la loro individualità ed autonomia.

In ogni caso, occorre essere consapevoli che, al nomen iuris di supercondominio, corrispondono diverse realtà, che possono richiedere una disciplina differenziata: si va dall'ipotesi dell'unico caseggiato che risulti diviso verticalmente in più scale che godono di una certa autonomia, pur in presenza di parti comuni, quali il lastrico solare, l'ingresso, la strada di accesso, ecc., all'ipotesi di una pluralità di edifici, costituiti in altrettanti condominii, non collegati da parti murarie, che hanno in comune talune cose, impianti e servizi, legati ai primi attraverso la relazione di accessorio a principale, nel senso di rendere possibile, migliorare o rendere più amene l'utilizzazione delle singole proprietà dei diversi partecipanti.

Orbene, a prescindere dalla non univoca indicazione circa la fattispecie oggetto della normativa – che sembra contemplare quattro distinte combinazioni, ossia più unità autonome, più edifici condominiali, più gruppi di unità immobiliari autonome aventi ciascuna un'organizzazione condominiale definiti condominii di unità immobiliari, nonché più gruppi di edifici condominiali definiti condominii di edifici – l'art. 1117-bis c.c. sposa apertamente la tesi dell'applicabilità della disciplina condominiale al supercondominio qualora vi siano parti assoggettate all'utilizzo comune.

Si parla di «parti comuni ai sensi dell'articolo 1117» c.c., nel senso che la normativa condominiale trova applicazione qualora si riscontri, tra le parti comuni del complesso ed i singoli edifici limitrofi, un rapporto di strumentalità funzionale, nel senso che le prime siano necessarie o destinate immediatamente a servire – pur se non detto espressamente anche – le unità immobiliari che compongono i singoli autonomi condominii; in fondo, secondo l'impostazione della Riforma del 2013, non si vede perché non si possa fare ricorso alla normativa contemplata per il condominio, per cui la presunzione di cui al precedente art. 1117 c.c., in difetto di titolo contrario, opera anche con riferimento ai beni comuni posti nelle c.d. villette a schiera o in edifici limitrofi non collegati da parti murarie, sempre che sussista quel nesso di accessorietà prima delineato.

Comunque, ai fini della configurabilità di un supercondominio, non sembra che sia indispensabile l'esistenza di beni comuni a più edifici, compresi in una più ampia organizzazione condominiale, ma è sufficiente la presenza di servizi comuni agli stessi, quali i servizi di illuminazione, di rimozione dei rifiuti e di portineria (Cass. II, n. 19799/2014).

L'opzione legislativa fa, pertanto, una chiara scelta di campo (Bordolli, 484; Baldacci, 27): da un lato, non si accoglie la tesi favorevole all'applicazione delle norme sulla comunione, che si basava sul rilievo che le norme sul condominio erano state poste per regolare l'uso e la gestione di parti dello stesso stabile diviso per piani, il c.d. condominio verticale, caratterizzato cioè dall'unicità dell'edificio; dall'altro, non si accoglie nemmeno la tesi del c.d. doppio regime, per la quale a ciascuna categoria di beni doveva essere assoggettata alla disciplina che le era propria secondo la funzione che svolgevano, ossia se i predetti beni costituivano parti necessarie per l'esistenza o per l'uso delle unità abitative oppure accrescevano solo il pregio ed il valore del complesso immobiliare.

Quanto sopra non toglie che, adottando come termine di riferimento il condominio, la relativa normativa debba applicarsi meccanicamente, in quanto la stessa esigerà gli adattamenti opportuni, portando, comunque, alla coesistenza di un'organizzazione supercondominiale con i condominii dei singoli edifici; di qui l'opportunità della clausola «in quanto compatibili», nel senso che occorrerà, volta per volta, vagliare la compatibilità della disciplina condominiale rispetto alla situazione speciale di tali complessi edilizi.

A ben vedere, infatti, adottando tale soluzione, i problemi non sono tutti risolti, nel senso che il legislatore del 2012, a parte il rinvio alla normativa in materia di condominio, nei limiti della compatibilità, non si occupa – come forse sarebbe stato opportuno vista la complessità del fenomeno – di come si costituisce il supercondominio, dell'amministratore, dell'uso delle cose comuni, delle innovazioni, delle tabelle millesimali, e quant'altro, sicché l'interprete dovrà operare un notevole sforzo per adattare la normativa condominiale alle peculiarità del caso di specie.

Costituzione

Per quanto riguarda segnatamente la costituzione, si è accennato che il fenomeno del c.d. supercondominio si verifica sia che si tratti di cose, che restano in comune tra gli edifici separati successivamente allo scioglimento, sia se le cose sono comuni, a far tempo della costruzione, ad edifici distinti e costituiti in condominii autonomi.

La prima ipotesi è contemplata dagli artt. 61 e 62 disp. att. c.c., mentre la seconda si verifica sia nelle lottizzazioni al mare, in montagna o nelle località di villeggiatura, dove gli aggregati sono di solito costituiti da villette o da costruzioni plurifamiliari, sia nei moderni centri residenziali urbani (RezzonicoRezzonico, 47; Ditta 1995, 860).

In quest'ultima ipotesi, la costituzione del supercondominio viene di solito sancita, o con la redazione di un regolamento convenzionale, ossia adottato da tutti i partecipanti, di regola predisposto dall'originario costruttore del complesso edilizio, che stabilisce che le singole palazzine siano organizzate in condominii autonomi, mentre le aree, i beni, gli impianti ed i servizi in comune siano retti da un'ulteriore organizzazione supercondominiale (così ogni acquirente delle singole porzioni immobiliari automaticamente, all'atto dell'acquisto, entra a far parte di entrambe le organizzazioni condominiali), oppure mediante un atto formale ad hoc, rappresentato dalla deliberazione assembleare di ciascun condominio dei predetti edifici (anche se è dubbia, in questo caso, la maggioranza richiesta per realizzare questa iniziativa).

Tuttavia, valendo per analogia i principi operanti per la costituzione del condominio, coerentemente si è precisato che non è necessaria né la manifestazione di volontà dell'originario costruttore, né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio, essendo sufficiente che i singoli edifici abbiano, materialmente, in comune alcuni beni, impianti o servizi, ricompresi nell'àmbito di applicazione dell'art. 1117 c.c., in quanto collegati da un vincolo di accessorietà necessaria a ciascuno degli stabili, spettando di conseguenza, a ciascuno dei condomini dei singoli fabbricati, la titolarità pro quota su tali parti comuni e l'obbligo di corrispondere i relativi oneri condominiali.

In altri termini, al pari del condominio negli edifici, regolato dagli artt. 1117 ss. c.c., anche il supercondominio viene in essere  ipso iure et facto, se il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno di apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno di approvazioni assembleari, sol che i singoli edifici, costituiti in altrettanti condominii, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi (Cass. II, n. 1344/2018; Cass. II, n. 19939/2012, aggiungendo che non è necessaria né la manifestazione di volontà dell'originario costruttore, né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio; Cass. II, n. 2305/2008, la quale, per converso, ha affermato che sia da escludere che il supercondominio possa costituirsi solo per manifestazione di volontà dell'originario costruttore o di tutti i proprietari).

In altri termini, il c.d. supercondominio, non diversamente da quanto previsto per il condominio ex art. 1177 c.c., viene in esistenza ex se, se il titolo non dispone altrimenti, quando singoli edifici, costituiti in altrettanti condominii, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi e, quindi, appartenenti, pro quota, ai proprietari delle singole unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati (Cass. II, n. 27094/2017; Cass. II, n. 17332/2011; cui adde, da ultimo, Cass. II, n. 18238/2024, aggiungendo che, a tal fine, non c'è bisogno di apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno di approvazioni assembleari).

Nella stessa prospettiva, si è ritenuto (Cass. II, n. 27360/2016) che, in considerazione del rapporto di accessorietà necessaria che lega le parti comuni dell'edificio alle proprietà singole, delle quali le prime rendono possibile l'esistenza stessa o l'uso, la condominialità non è esclusa per il solo fatto che le costruzioni siano realizzate, anziché come porzioni di piano l'una sull'altra (condominio verticale), quali proprietà singole in sequenza (villette a schiera, condominio in orizzontale), poiché la nozione di condominio è configurabile anche nel caso di immobili adiacenti orizzontalmente in senso proprio, purché dotati delle strutture portanti e degli impianti essenziali indicati dall'art. 1117 c.c. (nella specie, si era cassata la sentenza impugnata, che aveva escluso che la ricorrenza di un condominio – sia pure minimo – in presenza di due appartamenti a schiera, facenti parte del medesimo immobile, costituito da un unico corpo di fabbrica realizzato in virtù di una sola licenza edilizia e dotato di fondamenta, strutture portanti e tetto unitari e separati tra loro in linea verticale, da terra al soffitto della mansarda, da una tramezzatura divisoria).

Tra le pronunce di merito, si segnala quella del magistrato felsineo (Trib. Bologna 23 febbraio 2007), per il quale il fondamento tecnico dell'applicazione dei principi e delle disposizioni del codice civile in materia di condominio anche ai complessi immobiliari è dato dalla relazione di accessorietà intercorrente tra beni e impianti di uso comune – nella specie, impianto di illuminazione, rete fognaria, condotte di luce, gas e telefono – ed i singoli edifici costituenti condominii distinti ed autonomi, sicché non è pertanto necessario un formale atto costitutivo, il quale ha, invece, valore meramente dichiarativo della nascita del supercondominio.

Per contro, ad avviso di un giudice distrettuale ambrosiano (App. Milano 14 maggio 2002), l'obbligazione a carico del condominio di tenere a disposizione di altro condominio la guardiola e l'abitazione del portiere; nonché di fornire la vigilanza, custodia, distribuzione postale e fornire le informazioni e in genere assistenza ai condomini, non dà vita ad un supercondominio tra di essi in quanto in un supercondominio occorre l'esistenza di beni ed impianti comuni, da escludersi nella situazione sopra descritta.

Esistono, tuttavia, fattispecie ancora più particolari: da un lato, quelle situazioni in cui accedono campi ed attrezzature sportive di tale entità da meritare una disciplina diversa rispetto a quella del condominio, tanto da garantire in capo ai gestori la possibilità di un autonomo godimento e caratterizzate da un'autonomia amministrativa che dà luogo, di solito, ad un consorzio tra i soli proprietari interessati alla relativa utilizzazione, e, dall'altro lato, quelle situazioni in cui vi siano servizi, quali negozi, ristoranti, spacci, punti di ristoro, trasporto privato – si pensi al villaggio turistico – che rispondono a vere e proprie attività imprenditoriali, regolate soprattutto attraverso il contratto di società (Pastore, 1397).

Regolamento

In ordine al regolamento del supercondominio, qualora non si sia provveduto per atto di autonomia privata, mediante un contratto all'atto di costituzione ex novo del complesso edilizio – in pratica, predisposto ab initio dall'originario costruttore ed accettato dai singoli partecipanti al momento della stipula dei singoli atti di acquisto – sembra opportuno che un apposito regolamento fissi, comunque, le regole generali per la gestione delle cose comuni del complesso immobiliare (nel condominio singolo, l'obbligatorietà del regolamento è imposta, invece, quando i condomini siano più di dieci ex art. 1138, comma 1, c.c. nel testo rimasto invariato); e ciò, di regola, in ragione del numero, del valore e dell'importanza che rivestono le cose, i servizi e gli impianti in comune, soprattutto al fine di evitare o diminuire l'insorgenza di possibili contrasti.

In tal modo, coesisteranno il regolamento del supercondominio con quello dei singoli condominii, ma il primo assume un rilievo del tutto peculiare, perché presenta elementi di complessità più marcati rispetto ad un normale regolamento di condominio.

Gli aspetti strettamente negoziali possono, infatti, contemplare previsioni urbanistiche particolari, obblighi di destinazione e rispetto delle parti comuni, diritti reali di godimento quali servitù, modalità di funzionamento e gestione più articolati rispetto al condominio ordinario (Natali, 251; Santersiere 2005, 318).

L'oggetto sarà, di regola, limitato all'individuazione delle norme dirette a regolare l'uso e le modalità di godimento delle parti comuni (ad esempio, l'utilizzazione dei cortili per il parcheggio delle autovetture o l'orario di gioco dei bambini nelle aree verdi), la ripartizione delle spese (ad esempio, riguardo al servizio di portineria o di riscaldamento) e la partecipazione all'amministrazione delle suddette parti comuni.

La giurisprudenza si è interrogata se il regolamento del supercondominio possa menomare i diritti di ciascun condomino concernenti le parti comuni o imporre limitazioni ai poteri ed alle facoltà sulle unità immobiliari di proprietà esclusiva.

La risposta è stata, di regola, negativa (v., rispettivamente, Cass. II, n. 2966/1982, e Cass. S.U., n. 5990/1984), salvo che tali restrizioni non riguardino l'uso della cosa singola che alteri la destinazione del complesso o implichi un'utilizzazione eccessiva tale da pregiudicare l'altrui godimento.

Tuttavia, per assicurare il miglior godimento delle singole unità immobiliari e del complesso nonché per assicurare l'omogeneità nell'utilizzazione delle stesse ed evitare i danni reciproci, il proprietario dell'area o l'unico costruttore può vincolare l'utilizzo degli appartamenti in conformità con la destinazione del gruppo di edifici, come può impedire quelle iniziative individuali che turbino l'armonia del tutto.

Ad esempio, in un complesso residenziale composto da fabbricati signorili destinati a civile abitazione, adibire alcuni immobili ad attività imprenditoriali o commerciali, a studi professionali, o ad uffici pubblici, ecc. significa dar vita ad un traffico di cose e persone che potrebbe recare molestie talvolta intollerabili.

In questa prospettiva, si è affermato (Cass. II, n. 14898/2013) che il regolamento di un supercondominio, predisposto dall'originario unico proprietario del complesso di edifici, accettato dagli acquirenti nei singoli atti di acquisto e trascritto nei registri immobiliari, in virtù del suo carattere convenzionale, vincola tutti i successivi acquirenti senza limiti di tempo, non solo relativamente alle clausole che disciplinano l'uso ed il godimento dei servizi e delle parti comuni, ma anche per quelle che restringono i poteri e le facoltà sulle loro proprietà esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca; le clausole del regolamento contrattuale che assoggettino al peso dell'immodificabilità ogni singola unità immobiliare oggetto di proprietà esclusiva, a vantaggio di tutte le altre unità immobiliari, anche quando creino vincoli valevoli per gli aventi causa dalle parti originarie, non possono essere considerate nulle per violazione del principio del numero chiuso delle obbligazioni reali, giacché non costituiscono obbligazioni propter rem, dando bensì origine ad una servitù reciproca (conseguendone che la presenza, nel regolamento contrattuale di un supercondominio, del divieto di apportare modifiche strutturali, funzionali ed estetiche alle proprietà individuali rende superfluo, allorché si lamenti la sua violazione, l'esame giudiziale circa il rispetto, o meno, del decoro architettonico dell'intero complesso immobiliare; cui adde, da ultimo, Cass. II, n. 30246/2019, che ha avuto modo di precisare, altresì, che l'attribuzione in comproprietà di cose non ricomprese nell'art. 1117 c.c. avvenuta attraverso il predetto regolamento non costituisce un atto di liberalità, essendo tale regolamento idoneo a modificare gli effetti giuridici traslativi derivanti dal contratto di acquisto delle unità immobiliari comprese nel supercondominio).

In proposito, la stessa magistratura di vertice (Cass. II, n. 11688/1999) ha affermato che le clausole del regolamento condominiale di un villaggio costituito da lotti di proprietà individuale e parti comuni, recepite con la qualificazione di servitù reciproche nei singoli contratti di acquisto, le quali, per le modifiche esterne ed interne delle proprietà individuali, richiedano il benestare scritto, rispettivamente, di un tecnico incaricato dall'assemblea o dell'amministratore di condominio, danno luogo ai vincoli di carattere reale tipici delle servitù prediali e non a limitazioni di portata meramente obbligatoria – e quindi giustificano la condanna alla riduzione in pristino in caso di violazione – qualora le clausole stesse specifichino i limiti di carattere sostanziale delle innovazioni (nella specie, era vietato per le innovazioni esterne unire le proprietà, costruire ad un'altezza superiore e superare determinate cubature e per quelle interne recare danno alle parti e agli impianti comuni, ledere i diritti dei terzi e violare il regolamento, e la pronuncia di merito, confermata in sede di legittimità, aveva ordinato la rimessione in pristino rispetto ad innovazioni come: ampliamento del seminterrato; costruzione di mansarde fuoriesposte, di balconi, di camini con focolare esterno, ampliamento di finestre, apertura di vedute, ecc.).

Amministratore

Per quanto concerne l'amministratore, si è dell'opinione che, nel supercondominio, vi sia l'opportunità della nomina di un amministratore (che potrà essere anche quello di un condominio separato): ciò deriva dalla pluralità, valore ed importanza delle cose, dei servizi e degli impianti comuni che, di regola, caratterizzano la fattispecie in esame, in rapporto con il condominio singolo, ove la nomina è imposta solo se si superi il numero di otto condomini (art. 1129, comma 1, c.c. nel testo novellato che ha innalzato la soglia legale iniziale di quattro).

Anche se va riconosciuto che, talvolta, vari edifici possano avere in comune soltanto poche cose di modesta consistenza, per cui le occasionali e sporadiche attività di gestione potrebbero essere compiute collegialmente dagli amministratori dei condominii separati, operando di fatto in pieno accordo tra loro – talvolta, con l'ausilio di un consiglio di supercondominio, con funzioni prevalentemente consultive e di controllo (v. ora l'art. 1130-bis, comma 2, c.c.) – sembra appropriato istituire la figura dell'amministratore del supercondominio, considerando che, sovente, il numero e la rilevanza delle cose comuni richiede una cura attenta e continua, e che l'accordo, che legittima la gestione di fatto, può venir meno in ogni momento.

Ne consegue che – salva l'ipotesi in cui si registrino più di sessanta partecipanti – qualora l'assemblea del supercondominio non provveda, o perché non si riunisce o perché non delibera o perché non si forma una maggioranza (art. 1105, ultimo comma, c.c. applicabile in forza del rinvio di cui all'art. 1139 c.c.), i singoli partecipanti al supercondominio potranno richiedere la relativa nomina all'autorità giudiziaria, come sempre a quest'ultima potranno rivolgersi gli estranei che intendono iniziare una lite nei confronti del supercondominio per chiedere la nomina di un curatore speciale ex art. 65 disp. att. c.c. (Cass. II, n. 6817/1988). Parimenti, qualora non sia stato nominato l'amministratore del supercondominio, la rappresentanza processuale passiva compete, in via alternativa, ad un curatore speciale nominato a norma dell'art. 65 disp. att. c.c. o al titolare di un mandato ad hoc conferito dai comproprietari, mentre, in mancanza, occorre convenire in giudizio tutti i titolari delle porzioni esclusive ubicate nei singoli edifici (Cass. II, n. 2279/2019).

L'amministratore del supercondominio (Voi 2005, 680), come quello del condominio: a) é nominato dall'assemblea, ritualmente convocata, composta da tutti i partecipanti al supercondominio, con le maggioranze di cui all'art. 1136, commi 2 e 4, c.c. (salva sempre l'ipotesi di cui all'art. 67, comma 3, disp. att. c.c.); b) ha gli stessi poteri e doveri contemplati dagli artt. 1130 e 1131 c.c. (come ridisegnati dalla Riforma), o quelli più ampi attribuiti dal regolamento; c) dura in carica un anno (salvo il rinnovo per eguale durata), e può essere in ogni tempo revocato dall'assemblea o dal giudice, su ricorso di ciascun partecipante, nei casi previsti dalla legge (art. 1129, commi 11 e 12, c.c. nel testo novellato).

Ne consegue che, nel supercondominio, i partecipanti devono nominare un amministratore che assicuri la gestione dei beni, comuni a tutti i condomini dei vari condomini, in difetto di che può intervenire, a richiesta degli interessati, il provvedimento dell'autorità giudiziaria ex art. 1129, comma 1, secondo periodo, c.c. (Cass. II, n. 2305/2008); d'altronde, all'amministratore delle parti comuni di un supercondominio spettano tutte le facoltà inerenti a tale gestione, tra cui quella relativa alla legittimazione ad agire in giudizio senza delega di rappresentanza, nonché quella di richiedere i libri contabili al precedente amministratore (Trib. Roma 4 luglio 1994).

Si registrerà, quindi, la coesistenza di un amministratore del supercondominio con gli amministratori dei singoli condominii costituenti il complesso residenziale, non escludendo che, nelle realtà residenziali più articolate, l'amministrazione e la gestione dei beni e dei servizi comuni impongano scelte ed attività complesse, ammettendo il conferimento dell'incarico di amministrare ad una società (come oggi permesso dall'art. 71-bis, comma 3, disp. att. c.c.).

Resta inteso (ad avviso di Cass. II, n. 19558/2013) che, nell'ipotesi del supercondominio, la legittimazione degli amministratori di ciascun condominio per gli atti conservativi, riconosciuta dagli artt. 1130 e 1131 c.c., si riflette, sul piano processuale, nella facoltà di richiedere le necessarie misure cautelari soltanto per i beni comuni all'edificio rispettivamente amministrato, non anche per quelli facenti parte del supercondominio, che, quale accorpamento di due o più singoli condominii per la gestione di beni comuni, deve essere gestito attraverso le decisioni dei propri organi, e cioè l'assemblea composta dai proprietari degli appartamenti che concorrono a formarlo e l'amministratore del supercondominio.

Un'interessante precisazione sul versante processuale è offerta, poi, dalla pronuncia del Supremo Collegio (Cass. II, n. 7946/1994), secondo la quale, nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo proposta da un condomino contro l'amministratore di un condominio del suo edificio, che agisce per conseguire il pagamento di somme dovute per il servizio di riscaldamento centrale facente capo ad un supercondominio, composto anche da altri fabbricati e disciplinato da un regolamento contrattuale, una volta che il condomino opponente eccepisce il difetto di legittimazione ad agire da parte dell'amministratore del suo edificio, non sussiste il litisconsorzio necessario nei confronti dell'amministratore del supercondominio (e degli amministratori degli altri singoli condominii), non esistendo un rapporto giuridico plurisoggettivo e sostanzialmente unico, né risultando la domanda diretta alla costituzione, alla modifica ed all'estinzione di un rapporto plurisoggettivo, oppure a conseguire l'adempimento di una prestazione inscindibile, relativa ad un rapporto sostanziale unico comune a più soggetti.

Resta inteso (secondo Cass. II, n. 40857/2021) che gli amministratori di più condominii di edifici compresi in un supercondominio non sono legittimati ad opporsi, in rappresentanza dei partecipanti ex art. 1131 c.c., al decreto ingiuntivo intimato da un creditore al supercondominio per ottenere il pagamento di un'obbligazione contratta dall'amministratore dello stesso, né possono fare valere l'obbligo di manleva assolto da quest'ultimo nei confronti e a beneficio del supercondominio garantito, non operando tra l'amministratore del supercondominio e gli amministratori dei condominii alcuna “rappresentanza reciproca” o "legittimazione sostitutiva.

In una peculiare fattispecie, si è chiarito (Cass. II, n. 12395/2006), che, allorquando i singoli proprietari di appartamenti facenti parte di un complesso immobiliare composto di più condomìni (c.d. supercondominio), abbiano esperito, nei confronti della società costruttrice, azione di danni per non essere state messe loro a disposizione le prescritte aree di parcheggio, e siano intervenuti nel giudizio le amministrazioni condominiali dei vari fabbricati del complesso, deve ritenersi che la mancata realizzazione di tali aree di parcheggio, nella prescritta proporzione con le edificate volumetrie, si sia tradotta in una diminuzione di valore non solo delle singole unità immobiliari, alle quali le stesse avrebbero dovuto essere asservite, ma anche delle rimanenti aree scoperte, destinate ad usi e servizi comuni dei vari condomìni, la cui menomata fruibilità, dipendente dal sovraffollamento di veicoli nell'àmbito del complesso immobiliare, si riverbera su tali parti comuni; pertanto, a tutela di queste, ben possono le assemblee dei condomìni, ai sensi dell'art. 1131, comma 1, c.c., e con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136 c.c., conferire incarico all'amministratore ad agire in giudizio, in rappresentanza della collettività condominiale, i cui partecipanti abbiano subìto lesioni nei rispettivi e proporzionali diritti, essendo invece lo specifico mandato di ciascun condomino, o l'unanime deliberazioni di tutti i partecipanti, richiesti solo per i diversi casi di azioni dirette a far valere diritti esclusivi dei singoli condomini.

Assemblea

Nel precedente regime, sul presupposto che singoli edifici costituiti in altrettanti condomini venivano a formare un supercondominio quando talune cose, impianti e servizi comuni – viale d'ingresso, impianto centrale per il riscaldamento, parcheggio, locali per la portineria o per l'alloggio del portiere, ecc. – contestualmente fossero legati, attraverso la relazione di accessorio a principale, con più edifici, appartenevano ai proprietari delle unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati, e risultavano regolati, se il titolo non dispone altrimenti, in virtù di interpretazione estensiva o analogica, dalle norme dettate per il condominio negli edifici, si era affermato (Cass. II, n. 7286/1996) che le disposizioni dettate dall'art. 1136 c.c., in tema di convocazione, costituzione, formazione e calcolo delle maggioranze, si applicassero con riguardo agli elementi reale e personale del supercondominio, rispettivamente configurati da tutte le unità abitative comprese nel complesso e da tutti i proprietari (nella specie, il servizio di portierato era destinato al servizio degli edifici A e B, costituiti in condomini autonomi, e l'assemblea del condominio del solo edificio A aveva deliberato la divisione del servizio di portierato ed il licenziamento del portiere, sicché era stata confermata la sentenza del merito, che aveva dichiarato la nullità della predetta deliberazione, per non essere stati convocati a partecipare all'assemblea in cui essa fu assunta anche i condomini dell'edificio B).

Era stata, altresì, dichiarata nulla, per contrarietà a norme imperative, la clausola del regolamento contrattuale di condominio la quale prevedeva che l'assemblea di un c.d. supercondominio fosse composta dagli amministratori dei singoli condominii o da singoli condomini delegati a partecipare in rappresentanza di ciascun condominio, anziché da tutti i comproprietari degli edifici che lo componevano, atteso che le norme concernenti la composizione ed il funzionamento dell'assemblea non erano derogabili dal regolamento di condominio (Cass. II, n. 15476/2001).

Gli stessi principi erano stati affermati in materia consortile (Cass. II, n. 15476/2001), dove si era evidenziato che la clausola del regolamento consortile, che prevedeva la partecipazione all'assemblea del supercondominio non già dei singoli condomini, ma dei delegati designati per ciascun esercizio dall'assemblea di ciascun condominio facente parte del complesso, era da considerarsi nulla, ai sensi del combinato disposto degli art. 1138, ultimo comma, e 1136 c.c., con conseguente nullità delle deliberazioni adottate dall'assemblea consortile in tal modo costituita (nella specie, la nullità, sotto tale profilo, della delibera consortile era stata rilevata d'ufficio, in base al rilievo che, avendo il supercondominio agito per l'esecuzione della delibera impugnata, la nullità era rilevabile anche d'ufficio dal giudice, in ogni stato e grado del giudizio).

Nella stessa lunghezza d'onda, si era statuito (Cass. II, n. 5333/1997) che, poiché l'art. 1138, ultimo comma, c.c. – nel testo vigente ratione temporis – disponeva che le norme del regolamento (senza distinguere se contrattuale o maggioritario) «... in nessun caso possono derogare ...» all'art. 1136 c.c., a norma del quale (comma 6) «tutti i condomini» dovevano esser invitati alla riunione per deliberare, risultava nulla la delibera adottata in un c.d. supercondominio, pur se in conformità al regolamento, dagli amministratori dei singoli condomini, sia per la normale inderogabilità delle norme che tutelavano le minoranze negli organi collegiali, sia perché la volontà maggioritaria in tal modo espressa avrebbe potuto non corrispondere a quella dei condomini.

Parimenti, la giurisprudenza di merito (Trib. Roma 15 settembre 2004) aveva ritenuto senz'altro nulla la clausola di cui all'art. 7 del regolamento del supercondominio laddove era previsto che «l'assemblea del supercondominio è costituita da tutti i partecipanti alle proprietà condominiali ... rappresentati da un numero massimo di tre rappresentanti per ciascuna proprietà condominiale», atteso che tale clausola, imponendo che la partecipazione avvenisse attraverso delega nominativa da conferire esclusivamente a rappresentanti eletti dalle assemblee dei condomini, ledeva il diritto del singolo condomino, sancito dall'art. 1136 c.c., di partecipare personalmente all'assemblea, e così alterava la natura delle facoltà e dei poteri, inerenti alla partecipazione all'organo collegiale, che tutelavano le minoranze e che non potevano essere rinunciati neppure dagli interessati (cui adde Trib. Milano 16 maggio 2002, ad avviso del quale era valida la deliberazione del supercondominio che riportasse all'assemblea le attribuzioni basilari ed essenziali per la collettività condominiale, prima demandate da norma regolamentare al consiglio, quali la nomina dell'amministratore, l'approvazione del rendiconto e le deliberazioni sulle spese, perché le clausole contrattuali del regolamento di condominio non potevano prevalere sulla disciplina inderogabile di legge; v., altresì, Trib. Venezia 14 ottobre 1996 e Trib. Napoli 15 ottobre 1996, secondo cui era nulla per contrasto con l'art. 1138 c.c. la clausola del regolamento di un supercondominio, anche se contrattuale, che prevedeva la partecipazione all'assemblea del supercondominio dei soli amministratori dei singoli condomini che lo componevano; contra, isolato Trib. Roma 18 maggio 1993, ad avviso del quale era valida la clausola del regolamento di supercondominio che contemplava la partecipazione all'assemblea consortile dei soli amministratori dei singoli condomini).

Orbene, scorrendo il testo riformatore ci si accorge, però, che, verso la fine, vi sono alcune disposizioni in tema di supercondominio, relegate nei commi 3 e 4 dell'art. 67 disp. att. c.c., dedicato alle modalità di intervento in assemblea (mentre sarebbe stato meglio collocarle nell'art. 1117-bis c.c. o nell'art. 1136 c.c.).

Invero, questi due capoversi – così come modificati dall'art. 21 della l. n. 220/2012, e al cui commento si rinvia – regolamentano, in senso fortemente innovativo, il funzionamento dell'assemblea del supercondominio (per spunti riflessivi sul vecchio regime, Varrone, 2563; Santersiere 2003, 215; tra i contributi dottrinali post Riforma sull'argomento, si segnalano: Cirla, 29; Voi 2014, 10; Cintio, 546).

Più nel dettaglio, i suddetti capoversi stabiliscono che, nelle ipotesi di supercondominio, quando i partecipanti sono complessivamente più di sessanta, ciascun condominio deve designare, con la maggioranza di dei due terzi del valore dell'edificio, il proprio rappresentante all'assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell'amministratore, precisando che ogni limite o condizione al potere di rappresentanza si considera non apposto e che il rappresentante risponde con le regole del mandato; si prevede, altresì, che quest'ultimo sia tenuto a comunicare tempestivamente all'amministratore di ciascun condominio l'ordine del giorno e le decisioni assunte dall'assemblea dei rappresentanti dei condominii, laddove l'amministratore deve poi riferire in assemblea.

La norma parla di «partecipanti» e non di condomini, come invece fanno, sempre per indicare altre soglie legali, gli artt. 1129, comma 1, e 1138, comma 1, c.c., ma sembra chiaro il riferimento alle c.d. teste, ossia ai proprietari di unità immobiliari, a prescindere dalla titolarità in capo a questi ultimi, come stabiliscono anche gli artt. 1118,1131 e 1136 c.c.

Dunque, la prima parte dell'art. 67, comma 3, disp. att. c.c. stabilisce che, nelle due materie ivi indicate, vi sia l'obbligo, e non la mera possibilità, di nominare un rappresentante all'assemblea del supercondominio (sul punto, Trib. Milano 29 gennaio 2016 ha considerato affetta da nullità radicale la delibera assunta dall'assemblea di un supercondominio con più di sessanta partecipanti convocata per la nomina dell'amministratore e per la gestione ordinaria delle parti comuni, allorché al relativo voto abbiano partecipato i singoli condomini anziché i rappresentanti di condominio, come previsto dall'art. 67 disp. att. c.c.).

Peraltro, ciò si evince dal fatto che, sempre che venga superata la suddetta soglia, il disposto usa l'espressione ciascun condominio «deve designare» (e non «può»), tanto che, in mancanza di tale nomina, «ciascun partecipante può chiedere che l'autorità giudiziaria nomini il rappresentante del proprio condominio», in sede di volontaria giurisdizione – analogamente alla nomina giudiziale dell'amministratore ex art. 1129, comma 1, c.c., qualora «i condomini sono più di otto» – augurandosi una designazione in tempi rapidi (in quest'ottica, l'eventuale integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini – sostenuta da alcuni uffici giudiziaari – renderebbe inoperante, di fatto, tale meccanismo di nomina, stante l'elevato numero dei soggetti interessati).

Si prevede, poi, la possibilità – sempre purché i partecipanti al supercondominio siano complessivamente più di sessanta – che, a fronte di alcuni condominii puntuali in tale adempimento, gli altri condominii interessati non abbiano nominato il proprio rappresentante, stabilendo che «l'autorità giudiziaria provvede alla nomina su ricorso anche di uno solo dei rappresentanti già nominati, previa diffida a provvedervi entro un congruo termine», e aggiungendo che «la diffida ed il ricorso all'autorità giudiziaria sono notificati al condominio cui si riferiscono in persona dell'amministratore o, in mancanza, a tutti i condomini».

Segnatamente, la diffida sembra appannaggio del rappresentante del condominio singolo, mentre la notifica riguarda unicamente il ricorso al magistrato; anche in queste ipotesi, è ragionevolmente ipotizzabile il ricorso al procedimento in camera di consiglio di cui agli artt. 737 ss. c.p.c., disponendosi l'esclusione della fattispecie processuale di cui all'art. 102 c.p.c., ma, ragionando a contrario, l'estensione del contraddittorio appare richiesta per tutte le altre ipotesi, ossia qualora non sussista il supercondominio, quando quest'ultimo sia composto da sessanta o meno partecipanti, o se l'iniziativa sollecitatoria sia assunta dal condomino e non dal rappresentante del condominio singolo.

La novella si preoccupa di disciplinare cosa succeda qualora nessuno dei condominii singoli abbia provveduto a nominare il proprio rappresentante, poiché, in questa ipotesi, per il funzionamento del meccanismo di cui sopra, è necessario che almeno uno dei condominii si attivi in tal senso, su iniziativa di un condomino – come prevede la prima parte del comma 3 dell'art. 67 disp. att. c.c. – e, poi, il rappresentante nominato si faccia parte diligente assumendosi l'incarico di far nominare gli altri rappresentanti.

Circa le modalità operative di tale designazione, si premette che «ogni limite o condizione al potere di rappresentanza si considera non apposto» e che «il rappresentante risponde con le regole del mandato»: la previsione sembra contraddittoria, ma si rivela in linea con i principi dettati in materia di delega assembleare, nel senso che, qualora i condomini abbiano disposto alcune direttive al rappresentante in ordine alle deliberazioni da assumere, il secondo non dovrebbe discostarsi dalle stesse, ma il tutto sarà circoscritto nei meri rapporti interni, ossia il condominio singolo si troverà vincolato dal voto del proprio rappresentante, il quale sarà eventualmente responsabile degli eventuali danni che la statuizione abbia arrecato ai primi.

In quest’ordine di concetti, si è chiarito (Cass. II, n. 8254/2025) che la decisione assunta dall'assemblea dei rappresentanti dei condominii, ai sensi dell'art. 67, commi 3 e 4, disp. att. c.c., può essere impugnata da ogni condomino, se il rappresentante sia stato assente, dissenziente o astenuto, poiché la sua nomina è obbligatoria con riferimento all'esercizio dei diritti amministrativi in materia di gestione ordinaria delle parti comuni e alla nomina dell'amministratore, mediante manifestazione di voto della volontà unitaria formatasi nel rispettivo condominio, e non anche all'esercizio della tutela processuale; per contro, ove il rappresentante abbia contribuito, con il suo voto favorevole, all'approvazione della decisione assunta dall'assemblea, contravvenendo alla volontà della compagine rappresentata, la tutela dei rispettivi condomini, attenendo ad un vizio della delega o a una carenza del potere di rappresentanza, trova attuazione secondo le regole generali sul mandato.

Purché trattasi di affari attinenti alla gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii ed alla nomina dell'amministratore, si precisa che il rappresentante «comunica tempestivamente all'amministratore di ciascun condominio l'ordine del giorno e le decisioni assunte dall'assemblea dei rappresentanti dei condominii» e, a sua volta, «l'amministratore riferisce in assemblea» (Sanguedolce, 9; Magno, 40; Petrolati, 6; Gonnellini, 23).

Rimane inteso, applicando le regole generali, che è a carico del supercondominio, convenuto dal condomino per la declaratoria di nullità, assoluta e insanabile, della deliberazione perché adottata senza convocarlo, l'onere di dimostrare, anche mediante presunzioni, che invece tutti i condomini sono stati tempestivamente avvisati, ai sensi degli artt. 1105, comma 3, e 1136, penultimo comma, c.c. (Cass. II, n. 8199/1998; ad ogni buon conto, ad avviso di Trib. Milano 4 maggio 2016, il voto favorevole alla deliberazione di nomina dell'amministratore di supercondominio espresso dal rappresentante di un singolo condominio che aveva in precedenza rassegnato le proprie dimissioni dall'incarico non inficia la validità della relativa deliberazione di nomina, considerato che, in tal caso, il rappresentante ha agito in regime di prorogatio imperii, la cui disciplina è applicabile anche al rappresentante di supercondominio).

Uso delle cose comuni

In mancanza di apposito regolamento – e, lo si ripete, nel silenzio della Riforma sul punto – l'esercizio del diritto del singolo condomino di usare delle cose comuni nonché di beneficiare dei servizi e degli impianti comuni sarà circoscritto, nel supercondominio, dalle norme generali (art. 1102 c.c., applicabile in forza del rinvio dell'art. 1139 c.c.), che prevedono determinate delimitazioni, nel senso del divieto di impedire il pari uso degli altri partecipanti ed alterare la destinazione della res.

Invero, in un complesso residenziale composto da fabbricati signorili destinati a civile abitazione, adibire alcuni immobili ad attività imprenditoriali o commerciali, a studi professionali, o ad uffici pubblici, ecc. significa dar vita ad un traffico di cose e persone che potrebbe recare molestie talvolta intollerabili, per cui il regolamento del supercondominio potrebbe disporre limitazioni in tal senso.

Se, per converso, non si impedisce il pari uso, escludendo il concorrente diritto degli altri, e non si produce il deterioramento materiale della cosa a proprio vantaggio, il singolo potrà apportare anche le modifiche atte a migliorarne il godimento.

In questa prospettiva, si è statuito (Cass. II, n. 4340/2013) che, nell'ipotesi di supercondominio, ciascun condomino, proprietario di alcuna delle unità immobiliari ubicate nei diversi edifici che lo compongono, è legittimato ad agire per la tutela delle parti comuni degli stessi ed a partecipare alla relativa assemblea (nella specie, si è ravvisata la legittimazione del singolo condomino ad impugnare la sentenza inerente all'apposizione di cancelli su area antistante e comune agli edifici del supercondominio).

Innovazioni

Per quanto concerne le innovazioni, le quali determinano una trasformazione della cosa nella sua entità sostanziale, ovvero alterano o immutano la destinazione della stessa, troverà applicazione l'art. 1120, ultimo comma, c.c. (nuovo testo), per cui non si potrà deliberare le nuove opere che recano pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del complesso, o che alterano il decoro architettonico o rendono le parti comuni inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.

In questa prospettiva, si potrà statuire, con i quorum prescritti dalla legge, la trasformazione di un impianto sportivo o di parte del giardino in parcheggio di automobili, la costruzione di un campo da tennis in una zona verde, la realizzazione della guardiola del portiere nel viale di accesso, l'apertura di nuovi ingressi nel muro di cinta, ecc., mentre non si potranno deliberare lavori che comportino crolli o rovine, o che espongano la vita del complesso a subire la condotta di malintenzionati, o che mettano in pericolo i beni comuni sottoponendoli al rischio di incendi o alluvioni, o che determinino una disarmonia al gruppo degli edifici considerato nel suo insieme, e quant'altro.

In argomento, si è rilevato (Cass. II, n. 12290/2001) che, nel caso in cui la convenzione istitutiva di un supercondominio non si limiti a contemplare il servizio comune di portierato, ma ne indichi anche espressamente le modalità di soppressione, in deroga alla normativa condominiale, va cassata la sentenza del giudice del merito che, attribuendo alla predetta convenzione la natura di norma regolamentare, diretta ad organizzare un servizio comune, come tale modificabile con la maggioranza stabilita dall'art. 1136, comma 2, c.c., abbia ritenuto valida la rinuncia al servizio di portierato deliberata a maggioranza dall'assemblea dei partecipanti ai condomini che ne usufruiscono, senza chiarire come l'anzidetta disposizione convenzionale non abbia natura (ma soltanto origine) contrattuale.

Sul versante processuale, si è avuto modo di precisare (Cass. II, n. 26174/2009) che la contestazione sulla mancata produzione in giudizio degli atti di acquisto di immobili facenti parte di un supercondominio, al fine di negare l'esistenza, dedotta a sostegno della domanda attorea, di una servitù prediale reciproca costituita in forza di clausola presente nei suddetti atti di acquisto e comportante limitazioni nel mutamento, innovazione e sopraelevazione degli immobili medesimi, non integra un'eccezione in senso stretto, soggetta al regime preclusivo di cui agli artt. 183 e 345 c.p.c., bensì una mera deduzione difensiva volta a contrastare il fondamento dell'avversa domanda, la quale, siccome tesa a far valere un diritto reale immobiliare da costituirsi per atto scritto ad substantiam (art. 1350, comma 1, n. 4 c.c.), esige, come sua condizione, la produzione in giudizio degli atti costitutivi del diritto vantato.

Tabelle millesimali

Riguardo alle tabelle millesimali del complesso, che rappresentano la quota di spettanza del singolo sulle cose comuni a più edifici, si dovrà calcolare, prima, la misura proporzionale da riconoscersi ad ogni singolo edificio in rapporto al suo valore nei confronti degli altri fabbricati dell'intero complesso, e, poi, suddividere questo dato tra i partecipanti al condominio di ogni singolo edificio; in altri termini, nel supercondominio, il consueto rapporto tra le unità immobiliari ed il fabbricato che le comprende, si integra con il valore proporzionale di ciascun edificio rispetto all'intero gruppo degli immobili (Del Chicca, 19; De Tilla 1993, 52).

In proposito, si è precisato (Trib. Monza 25 maggio 1991) che il criterio da seguire per verificare la regolare costituzione dell'assemblea e la validità delle deliberazioni di un supercondominio deve fondarsi sull'identico valore che, ai fini del riparto delle spese, è attribuito dapprima ai singoli edifici condominiali (c.d. lotto) e successivamente al valore che ha la proprietà di ciascun condomino all'interno di ciascun lotto.

In argomento, si è avuto modo, di recente, si precisare (Cass. II, n. 2406/2024) che, al fine di agevolare lo svolgimento delle assemblee e per ripartire le spese, i valori proporzionali di ciascuna unità immobiliare e di ciascun condominio devono essere espressi in millesimi in apposita tabella, da approvarsi con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 2, c.c. ove meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge, oppure all'unanimità ove si intenda derogare a tali valori e criteri, non essendo comunque configurabile una formazione della tabella millesimale per facta concludentia; sicché il condomino che impugni una deliberazione dell'assemblea di supercondominio, deducendo vizi relativi alla regolare costituzione o all'approvazione con maggioranza inferiore a quella prescritta, ha l'onere di provare la carenza dei quorum stabiliti dall'art. 1136 c.c., non configurando l'eventuale mancanza di apposita tabella ragione di automatica invalidità delle deliberazioni adottate e dovendo il giudice, comunque, accertare, seppur a posteriori, se le necessarie maggioranze fossero state, o meno, raggiunte.

Analogamente al condominio, le tabelle millesimali del supercondominio, in mancanza, potranno essere formate dall'autorità giudiziaria, su ricorso di ciascun partecipante, come potranno essere modificate qualora non rispecchino la proporzione reale tra il valore delle unità immobiliari ed il fabbricato, o tra questo e l'intero gruppo di edifici, perché conseguenza di un errore o per le mutate le condizioni del complesso (analogamente a quanto disposto dal novellato art. 69 disp. att. c.c.).

In una fattispecie particolare affrontata da una pronuncia di merito (Trib. Savona 17 novembre 1980), si è specificato che, nell'ipotesi di un supercondominio – nel senso di più condomìni distinti, i quali, però, hanno in comune fra loro parti o servizi – possono verificarsi due situazioni: a) il supercondominio esiste non solo nella realtà fattuale, ma anche in quella giuridica, con regolare amministratore, regolamento ed assemblea, ed allora è l'amministratore generale legittimato a chiedere anche giudizialmente ai singoli condomini morosi la corresponsione delle quote condominiali generali; ovvero b) il supercondominio costituisce un'entità di fatto, senza assumere alcun crisma giuridico, ed allora le questioni relativa al pagamento delle quote condominiali generali trovano come legittimi contraddittori il condominio in regola con i pagamenti, da una parte, e il condominio moroso, dall'altra, non avendo l'amministratore del condominio in regola il potere giuridico, non essendo amministratore del supercondominio, di rivolgersi al singolo condomino di altro condominio, per chiedere la corresponsione di una determinata quota, applicando tabelle millesimali, relative all'altro condominio, di cui non può avere la giuridica conoscenza.

Spese

Circa la ripartizione delle spese, saranno operanti due tabelle: una per il supercondominio e l'altra per ogni singolo edificio; ne consegue che ciascun condomino disporrà di due distinte quote: la prima si riferisce alle cose, servizi e impianti comuni del complesso edilizio, e la seconda alle parti comuni dell'edificio in cui si trova la sua proprietà esclusiva.

Stante quanto sopra, si è puntualizzato (Cass. II, n. 1206/1986) che, nel condominio di edifici, è possibile sia che un complesso immobiliare si frazioni per taluni beni o servizi in più condominii, conservando per i servizi generali un condominio unico, sia che più edifici contigui, formanti altrettanti distinti condominii, abbiano o creino beni (nella specie, l'impianto di riscaldamento) che in tal caso sono regolati dalle norme sul condominio; in tale ultima ipotesi, la ripartizione delle spese di gestione dei menzionati beni non viene calcolata sulla base del valore proporzionale del piano o porzione di piano in ogni singolo edificio ed avuto riguardo al valore proporzionale dei piani e porzioni di piano esistenti negli altri edifici, bensì mediante la formazione di due tabelle, delle quali una si riferisce al valore di ogni singolo edificio nei confronti degli altri, e l'altra che ripartisce, poi, tale quota tra i condomini di ogni singolo, in misura proporzionale alla proprietà di ciascuno.

Resta inteso (come statuito da Cass. II, n. 15476/2001) che le deliberazioni dell'assemblea del supercondominio hanno efficacia diretta e immediata nei confronti dei singoli condomini degli edifici che ne fanno parte, senza necessità di passare attraverso le statuizioni di ciascuna assemblea, conseguendone che l'amministratore del supercondominio può rivolgersi direttamente ai singoli condomini per la riscossione delle rispettive quote di spesa afferenti alle parti comuni al medesimo supercondominio, mentre è attribuito all'assemblea unitaria originaria del supercondominio, ed esula dai poteri delle assemblee dei condominii separati, il provvedere all'approvazione delle spese ad esse relative – concernenti, ad esempio, gli impianti di riscaldamento, di forza motrice e idrico – ed alla loro ripartizione fra i condomini.

Per contro (ad avviso di Cass. II, n. 5160/1993), nell'ipotesi di un bene comune (nella specie, centrale termica) che sia al servizio di più edifici condominiali, i comunisti devono nominare un amministratore che ne assicuri la gestione, nell'interesse comune; pertanto, gli amministratori dei singoli condominii, potendo esercitare i poteri previsti dagli artt. 1130 e 1131 c.c. soltanto con riferimento all'edificio cui sono preposti, non sono legittimati a pretendere dai singoli condomini i contributi relativi all'esercizio della centrale termica, salvo che tale potere sia stato loro attribuito con deliberazione dell'assemblea dei comproprietari della medesima centrale.

In argomento, si è avuto modo di precisare (Cass. II, n. 23688/2014) che, riguardo alle spese condominiali, il regolamento di un condominio non integra, rispetto ad altro condominio facente parte del medesimo supercondominio, la "diversa convenzione" di cui all'art. 1123, comma 1, ultima parte, c.c., che si riferisce esclusivamente ad una ripartizione convenzionale tra gli interessati, diversa da quella legale, delle spese che i condomini di un edificio sono tenuti a sopportare, sicché è nulla la deliberazione che accolli ai condomini gli oneri relativi ad un altro fabbricato sul solo fondamento delle disposizioni regolamentari di quest'ultimo in assenza di espressa adesione.

In una fattispecie particolare affrontata da una pronuncia di merito (Trib. Savona 27 maggio 2004), si è rilevato che, in tema di supercondominio dotato di una rete fognaria comune, laddove – a fronte di gravi problemi connessi al funzionamento della medesima (nella specie, trabocco nella condotta delle acque bianche) – si rendano necessarie opere di adeguamento al fine di non incorrere nei divieti previsti dalla vigente normativa, il condominio dichiaratosi non interessato alla realizzazione dei lavori e, conseguentemente, determinatosi a conservare la condotta fognaria comune esistente (benché illegale) non può pretendere che gli altri condominii compartecipano alle relative spese di manutenzione.

Sul versante di legittimità, si è statuito (Cass. II, n. 13229/2019) che, ai fini della corretta ripartizione delle spese di risanamento di alcuni pilastri di un complesso immobiliare costituito da corpi di fabbrica separati da giunti tecnici, strutturalmente portanti l'intero complesso, siccome necessari per sostenere non solo l'edificio sovrastante, ma anche elementi comuni agli altri edifici (nella specie, un camminamento su un porticato esterno condominiale), trova applicazione il criterio generale di cui all'art. 1123, comma 1, secondo il quale tutti i condomini sono tenuti al pagamento pro-quota, non rilevando la titolarità del diritto di proprietà, quanto la funzione della parte dell'edificio bisognosa degli interventi di ristrutturazione.

In un altro caso concreto, si è statuito (App. Cagliari 27 ottobre 1989) che i danni riportati dall'appartamento e dal sovrastrante lastrico solare di proprietà esclusiva, provocati dalla difettosa esecuzione dei lavori di riparazione dell'impianto centrale di riscaldamento di un supercondominio, in quanto cagionati non dalla normale usura, ma da un illecito aquiliano, vengono ripartiti in misura proporzionale alle quote di partecipazione al supercondominio, aggiungendo che l'obbligo di risarcire il danno subito da immobili di proprietà esclusiva dei singoli condomini a causa della negligente esecuzione di lavori di riparazione all'impianto centrale di riscaldamento, grava sui partecipanti al supercondominio in proporzione alla quota millesimale di ciascuno di essi, e che tale quota viene individuata sulla base delle tabelle millesimali del supercondominio, formate per mezzo di un duplice criterio di calcolo che rapporti dapprima il valore della singola unità abitativa all'edificio cui essa appartiene, e, quindi, il valore unitario dell'edificio all'intero complesso dei fabbricati.

Tuttavia, in un supercondominio composto da più corpi di fabbrica contigui ma autonomi e muniti di scale ed ingressi indipendenti, le spese per la manutenzione dei muri devono essere ripartite, così come previsto dall'art. 1123, comma 3, c.c., soltanto fra i condomini della palazzina che ne trae utilità e non anche fra gli altri condomini dei fabbricati non interessati dai lavori (Pret. Taranto 18 marzo 1988, il quale implicitamente riconosce la figura del c.d. condominio parziale).

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