Codice Civile art. 13 - Società.Società. [I]. Le società sono regolate dalle disposizioni contenute nel libro V [2247 ss.]. InquadramentoUn'evoluzione nel diritto degli enti ha interessato l'ordinamento, specie negli ultimi decenni. In origine, nel c.c. netta era la distinzione tra gli enti del libro I e quelli del libro V del codice civile: esemplari le tre “disposizioni generali” di esordio agli artt. 11,12 e 13 c.c., che enucleano un'ordinata tripartizione tra persone giuridiche pubbliche, persone giuridiche private, società. Le persone giuridiche pubbliche erano menzionate solo per unità di sistema, perché l'art. 11 c.c. si riduce ad un rinvio extracodice. Le persone giuridiche private erano richiamate soprattutto per sancire un principio: la loro esistenza era subordinata ad autorizzazione governativa, perché si prevedeva un controllo di merito delle autorità preposte alla concessione del riconoscimento (la norma è stata abrogata dall'art. 11, comma 1, lett. a, d.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361). La terza norma è quella sulle società, menzionate solo per armonia di sistema: perché è ancora un mero rinvio al libro V. Ora, sebbene gli enti fossero accomunati da alcuni caratteri, chiaro ne era il disegno differenziatore. Ed infatti, già nell'assetto originario del codice, le esigenze dell'attività economica si imponevano e valevano a differenziare i modelli . Basti pensare: - al sistema concessorio o normativo di attribuzione della personalità giuridica: per gli enti del primo libro, attraverso il riconoscimento della personalità giuridica e il successivo controllo delle modalità organizzative, lo Stato controlla il soggetto dal momento della sua istituzione, mediante l'attribuzione, con efficacia costitutiva, della personalità; al contrario, per le società il procedimento di costituzione o scioglimento è di regola libero, perché le società per azioni, se storicamente nascono come sottoposte ad un regime concessivo ad hoc (es. nel diritto inglese erano create dalla Corona, «by Royal Charter»: così la East India Company e la Hudson's Bay Company), in tutti i paesi sviluppati si sono presto liberate dal vincolo dell'attribuzione della personalità giuridica mediante concessione, e si costituiscono mediante una diversa procedura (dichiarazione degli interessati, di cui in ultima istanza l'autorità giudiziaria verifica la conformità alle leggi); - alla semplicità o complessità di organizzazione: non vi è paragone tra la complessità delle regole, di cui molte imperative, dettate in materia di società, e la scarna disciplina degli enti del libro primo; ciò che mancava non era tanto un regime di norme imperative, quanto di norme suppletive, idonee ad evitare costi di transazione e di consulenza; - se il regime del consenso e il principio di maggioranza valgono necessariamente per tutti gli enti collettivi, ben diverso è il regime delle invalidità: per l'art. 23 c.c., l'annullamento (senza altre specificazioni) delle deliberazioni può essere chiesto anche dal p.m. e l'autorità governativa può sospendere le deliberazioni delle associazioni riconosciute contrarie all'ordine pubblico o al buon costume, né vi sono termini stretti, tanto che si ritiene applicabile l'ordinaria prescrizione quinquennale ex art. 1442 c.c., e per l'art. 36 c.c., in tema di associazioni non riconosciute, l'ordinamento interno è senz'altro regolato dagli accordi degli associati; tutt'altro il regime delle società, che prende nettamente le distanze dal diritto civile, ad esempio quanto alla nullità del contratto sociale exart. 2332 c.c., mera causa di scioglimento, con molte eccezioni al regime della nullità, o quanto all'annullabilità e nullità delle deliberazioni, con rapporto invertito tra genere e specie; - su tutte, comunque lo si voglia indicare – scopo egoistico o altruistico, attività economica o non economica, divieto o obbligo di distribuzione di utili – la distinzione tra enti senza scopo di lucro ed enti a scopo di lucro. Il progressivo avvicinamento incomincia con l'espansione dell'economia di mercato. Da un lato, per le persone giuridiche private, il sistema di acquisizione della personalità giuridica delle associazioni riconosciute diviene automatico; nascono le fondazioni di partecipazione e le fondazioni d'impresa. Ecco aprirsi la strada alla neutralità dello statuto organizzativo, volto al perseguimento di qualsiasi scopo ed ammettendo una attività di impresa. Dall'altro lato, le società: dapprima, le direttive in materia societaria, mosse dall'intento di espansione del sistema economico del capitalistico, mediante l'aumento della trasparenza per i terzi e dell'efficienza per l'impresa; poi, la riforma del diritto societario, attuata con il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, che non mancò di consolidare molti risultati cui si era pervenuti in via interpretativa. Vennero, così, recepiti alcuni degli orientamenti pregressi della giurisprudenza: come l'impugnazione delle deliberazioni consiliari lesive dei diritti del socio, i limiti all'esonero da responsabilità di un'assemblea approvante atti gestòri, i gruppi; in altri casi, al contrario, si è assistito alla smentita delle tesi giurisprudenziali, come per l'estinzione della società exart. 2495 c.c., che non si vuole più sopravviva alla cancellazione dal registro delle imprese. Molte le principali linee direttrici della riforma del 2003: la salvezza degli atti societari; l'accentuazione dell'autonomia dell'organo gestorio e la migliore disciplina delle deleghe; la restrizione della generale responsabilità per la vigilanza sulla gestione; i sistemi monistico e dualistico; la disciplina propria del tipo s.r.l. e il maggiore accesso al mercato; il ridimensionamento del rilievo del capitale sociale; i patrimoni destinati; l'ingresso del fair value nella redazione del bilancio; l'ampia fattispecie delle trasformazioni; la definitiva estinzione delle società con la cancellazione dal registro delle imprese; i gruppi (laddove prima esisteva solo la nozione di controllo all'art. 2359 c.c.). Non sono invece toccate le società personali. In séguito, ulteriori riforme hanno ampliato la pluralità di modelli di s.r.l. Le evoluzioni provengono – per lunghi anni – dall'intento di rendere sempre più sicuro il “mercato”, perché l'attività di un'impresa, in particolare societaria, coinvolge gli interessi di altri soggetti. Si passa così, sempre però in tale logica, dalla tutela degli shareholders alla tutela degli stakeholders: dipendenti, creditori, altre imprese, consumatori, utenti, in diretto contatto con la società. Nella fase attuale, può parlarsi piuttosto di ibridazione dei modelli. Da una parte, il c.d. terzo settore, con il codice di cui al d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, che ha voluto offrire riconoscimento ed inquadramento al complesso fenomeno del volontariato, espressamente enunciando i fini di tali enti, quale un campo che, questo il pensiero sotteso, non è lo Stato, né il mercato. Gli enti del terzo settore sono caratterizzati non solo, in negativo, dalla mancanza del lucro soggettivo ma altresì, in positivo, dallo svolgimento di attività d'interesse generale e dal perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. È curioso che tale legge abbia – in definitiva, e proprio mentre ne evidenziava in ogni modo il divieto di perseguimento di un lucro – esteso alle associazioni e alle fondazioni del settore una disciplina scopertamente mutuata da quella delle società: ecco il chiarissimo richiamo alle norme sulle società di capitali, ad esempio, per il contenuto dello statuto e dell'atto costitutivo, le competenze e le modalità di funzionamento dell'assemblea (compreso l'art. 2372 c.c. sulla rappresentanza), i meccanismi della delega gestoria e della responsabilità (ove l'esplicito rinvio all'art. 2475-tersul conflitto d'interessi, agli artt. 2392 ss. in tema di s.p.a., alle norme sui sindaci, alla denuncia al tribunale exart. 2409 c.c.), i patrimoni destinati ad uno specifico affare exartt. 2447-bis e seguenti del codice civile, i libri sociali obbligatori, del tutto simili a quelli dell'art. 2422 c.c. Il legislatore del 2017 ha seguìto le disposizioni sulle società del libro V, modello per eccellenza di organizzazione. Con la conseguente responsabilità degli interpreti del diritto societario, destinato ad offrire le linee guida per la corretta gestione di tutti gli enti. Dall'altra parte, l'evoluzione del diritto delle società. Si portano come esempio: 1) la responsabilità sociale dell'impresa, che riguarda le società lucrative, già considerata negli artt. 41, comma 2, Cost. e 50, par. 2, lett. g), TFUE; 2) il bilancio non finanziario o bilancio di sostenibilità, introdotto dal d.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254, di attuazione della Direttiva 2014/95/UE, che previde nuovi obblighi di comunicazione di informazioni attinenti alla “sostenibilità” dell'impresa circa l'attenzione per ambiente, il trattamento dei dipendenti, il rispetto dei diritti umani, la lotta alla corruzione, ed i rischi connessi alle loro attività, unicamente per le imprese di grandi dimensioni; , il d.lgs. n. 125/2024 del 6 settembre 2024 ha riformato la disciplina, in attuazione della dir. 2022/2464 (Corporate Sustainability Reporting Directive – «CSRD»), ampliando la platea dei soggetti coinvolti, che ora sono tutte le imprese (anche non quotate) e i gruppi di grandi dimensioni, le PMI quotate (tranne le microimprese) e le imprese extraeuropee che realizzano in ambito europeo una certa misura di ricavi; nonché la dir. 2024/1760 del 13 giugno 2024 sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità («due diligence»); 3) le società benefit, introdotte dall'art. 1, commi 376-384, l. 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di stabilità 2016); 4) l'impresa sociale, di cui al d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112 (v. gli appositi commenti in questo Codice). Sono tutti elementi che palesano l'affacciarsi prepotente di interessi “altri” nell'impresa. Ciò segnala che se, per lunghi anni, tutte le discipline mirano a rendere più sicuro il “mercato”, nella coscienza che l'attività d'impresa coinvolge gli interessi di molti soggetti, gli stakeholders, ma pur sempre nell'intento di rafforzare il sistema capitalistico, nei tempi più recenti non più singole categorie di soggetti sono protette, nella prospettiva latente di una maggior crescita del capitalismo, ma si vogliono tutelare i “beni comuni” (basti pensare all'ambiente e alla salute collettiva), in una riflessione più generale circa i limiti del capitalismo (non “ad ogni costo”). Il suggello di questi cambiamenti nel diritto degli enti sta nell'estensione dell'istituto tipico della trasformazione, dapprima ammessa con gli artt. 2500-septies e 2500-octies c.c. come trasformazione eterogenea da e in società di capitali, per consorzi, società consortili, comunioni d'azienda, associazioni riconosciute e fondazioni; nonché con gli artt. 2545-decies e 2545-undecies c.c. sulla trasformazione di società cooperative in società lucrative e consorzi; poi, completato dall'art. 42-bis c.c., non solo ammettendo le operazioni, ma anche richiamando in gran parte la disciplina del libro V. Società di persone e di capitaliUna distinzione tradizionale, che tuttavia fino alla riforma attuata con il d.lgs. n. 6/2003 non trovava riscontri nel linguaggio legislativo, è quella tra società di persone e società di capitali (Marasà, 92). Se l'individuazione delle società appartenenti all'una e all'altra categoria e il riconoscimento della loro diversa origine storica non davano luogo a dubbi, meno pacifica era la rilevanza, sul piano della disciplina positiva, di tale contrapposizione. Secondo l'opinione prevalente l'elemento di distinzione andava individuato nel diverso rilievo assunto dalla persona del socio nell'ambito della struttura organizzativa delle società e nel rapporto fiduciario (intuitus personae) intercorrente tra i singoli soci (Galgano, 69). È stato peraltro evidenziato che la riforma del 2003 ha determinato un'attenuazione dei principî di ordine pubblico economico in tema di struttura giuridica delle società di capitali quanto alle articolazioni imperative di competenze, che accompagnavano a tutela dei terzi la limitazione della responsabilità dei soci (Gambino, Santosuosso, 12). Occorre, inoltre, qui ricordare almeno gli artt. 49, 50 e 54 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), secondo cui, rispettivamente: sono vietate le restrizioni alla libertà di stabilimento, ivi espressamente compresa «la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società»; il Parlamento europeo e il Consiglio provvedono all'attuazione della libertà di stabilimento mediante direttive, «coordinando, nella necessaria misura e al fine di renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società... per proteggere gli interessi tanto dei soci come dei terzi»; per «società», all'interno dell'Unione, si intendono «le società di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società cooperative, e le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione delle società che non si prefiggono scopi di lucro». Che l'intuitus personae non possa funzionare come elemento di distinzione tra società di persone e di capitali è sotteso ad una pronuncia della Cassazione nella quale è stato affermato, in tema di patto di prelazione per il caso di vendita delle azioni di una società per azioni, che l'impegno pattizio di preferire i soci nella conclusione dell'affare implical'obbligo di comunicare nella denuntiatio anche l'indicazione del nome del terzo offerente, trattandosi di tutelare la volontà delle parti che assegni rilevanza all'intuitus personae (Cass. I, n. 7879/2001). In particolare in talune s.p.a., come le società di consulenza fra professionisti, si riscontra l'intuitus personae (Cass. I, n. 12498/2023, in tema di azioni riscattabili), sebbene non così decisivo da impedire la cessione del diritto di opzione del socio di s.r.l. (Cass. I, n. 9460/2021). La riforma delle società di capitali del 2003 ha offerto un nuovo elemento per fondare la distinzione tra le due categorie di società, su basi più nette di quelle desumibili dalla disciplina previgente. Nel nuovo sistema, le società di capitali si configurano, infatti, come «forme organizzative» dirette a facilitare l'acquisizione di capitali per l'esercizio di un'impresa non necessariamente di carattere collettivo e che possono, pertanto, essere costituite anche per atto unilaterale, mentre le società personali rientrano, a pieno titolo, nella nozione dell'art. 2247 c.c. e possono quindi, avere origine solo da un contratto stipulato tra più soggetti , non necessariamente persone fisiche (arg. ex art. 2361 c.c.), per l'esercizio in comune di un'attività economica allo scopo di dividerne gli utili (Spada, 5; Di Sabato, 61). Inoltre, mentre secondo gli artt. 2325 e 2462 c.c. nelle s.p.a. e nelle s.r.l. per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio (e solo nelle s.a.a. è stabilita dall'art. 2452 c.c. una responsabilità illimitata dei soci accomandatari), nelle società di persone per le obbligazioni sociali rispondono in via di principio anche i soci, sia pure con delle limitazioni (nelle società semplice secondo l'art. 2267 è possibile un patto contrario; nelle s.n.c. l'art. 2304 stabilisce la preventiva escussione del patrimonio sociale; nelle s.a.s. l'art. 2313 stabilisce la responsabilità per le obbligazioni sociali dei soli soci accomandatari e non anche degli accomandanti).La differenza tra s.a.s. e s.a.a. sta nel fatto che solo queste ultime sono dotate di personalità giuridica. La personalità giuridica sembra dunque ancora oggi essere, oltre che fonte della autonomia patrimoniale perfetta, elemento fondamentale di distinzione tra società di persone e società di capitali.
Soggettività e personalità giuridica delle società
La Relazione al codice civile è netta nell'affermare che la personalità giuridica «è stata riconosciuta alle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata, mentre è stata negata, pur riconoscendosi una limitata autonomia patrimoniale, alla società in nome collettivo e in accomandita semplice», oltre che alla società semplice (ivi, nn. 927-928). L'intendimento del legislatore non poteva essere espresso in maniera più chiara, e secondo l'opinione prevalente in dottrina, trovava corrispondenza in specifiche disposizioni di legge, come ad esempio gli artt. 2331,2498 c.c. e l'art. 19 c.p.c., altrettanto inequivoche nel considerare persone giuridiche solo le società di capitali e non anche le società di persone (Ferri, 73). Il riconoscimento della personalità giuridica non può essere desunto implicitamente dalla disciplina giuridica, ma richiede sempre un provvedimento esplicito dell'autorità pubblica (Ferri, 75). Va tuttavia considerato che, a seguito della riformulazione dell'art. 2659 (art. 1, l. n. 52/1985), anche le società personali, non escluse le società semplici, possono rendersi intestatarie di beni immobili ed hanno quindi assunto, non diversamente dalle associazioni non riconosciute, la capacità di essere titolari di diritti reali immobiliari, riscattandosi dalla situazione di inferiorità in cui le aveva relegate il legislatore del 1942. Si è osservato, in proposito, che tale innovazione, risolvendosi in un'attribuzione implicita di soggettività, ridimensiona la rilevanza, sul piano normativo, del riconoscimento espresso della personalità giuridica «perché l'attribuzione della personalità ad un organismo già implicitamente soggettivato, non potendo riprodurre un effetto giuridico già prodotto, aggiunge a detto organismo una qualifica essenzialmente formale, e ne modifica la condizione soltanto nella misura in cui quella qualifica ha rilievo sul piano del diritto» (Basile, 176). Anche in giurisprudenza è ricorrente l'affermazione che le società di persone, a differenza di quelle di capitali, sono prive di personalità giuridica, avendo questa la sua genesi imprescindibile nella legge (Cass. I, n. 16779/2007; e v. ancora Cass. III, n. 20990/2023 ; Cass. III, n. 21066/2016; Cass. I, n. 5391/2014; Cass. VI, n. 123/2013). Ritiene la Cassazione che anche la società di fatto, ancorché irregolare e non munita di personalità giuridica, è tuttavia un soggetto di diritto, in quanto titolare di un patrimonio formato con i beni conferiti dai soci, ed è, come tale, legittimata ad esercitare l'azione di concorrenza sleale e quella, ad essa dipendente, di risarcimento dei danni (Cass. I, n. 17792/2014). Le società di persone, pur non essendo munite di personalità giuridica, costituiscono un autonomo soggetto di diritto . È invero ormai superata la tesi, lontana nel tempo, , secondo cui la società di persone non potrebbe essere, in quanto tale, annoverata tra i soggetti di diritto, essendo null'altro che il gruppo dei soci unitariamente considerati (Cass. I, n. 907/1984). È invece ormai pacifico che «l'attitudine ad essere titolare di diritti non è, nel nostro ordinamento, fenomeno esclusivo della dualità persona fisica-persona giuridica, essendo individuabile tutta una serie di fenomeni collettivi, di entità non personificate, considerati dall'ordinamento quali centri di imputazione di situazioni giuridiche da riconoscersi, in quanto tali, nella loro autonomia dalla posizione delle persone fisiche componenti la compagine operante in forma associata, e di cui l'autonomia patrimoniale costituisce eminente manifestazione»: da ciò la conclusione che le società di persone, pur non essendo munite di personalità giuridica, costituiscono «un autonomo soggetto di diritto, che può essere entro di imputazione di situazioni negoziali e processuali distinte rispetto alla posizione dei soci, sia nei confronti dei terzi che dei soci stessi, ed altresì titolare di diritti reali (su beni mobili ed immobili) acquisiti in virtù dei conferimenti o dell'esercizio della capacità negoziale che la disciplina positiva le consente» (Cass. I, n. 26012/2007, in tema di validità della fideiussione prestata dal socio illimitatamente responsabile in favore della società di persone; nello stesso senso, Cass. I, n. 7139/2018; Cass. I, n. 6650/2018; Cass. I, n. 4528/2014). L'orientamento che afferma la soggettività delle società personali (corrispondente all'indirizzo seguito in via generale in tema di soggettività degli enti non riconosciuti: Cass. I, n. 6985/2003) si è progressivamente consolidato (Cass. V, n. 1225/2021;Cass. I, n. 8882/2020; Cass. I, n. 4528/2014; Cass. I, n. 4060/2010) ed è oggi da ritenere sicuramente granitico. Il principio ha dunque indotto a ritenere che, nei rapporti tra avvocato e cliente, il conflitto di interessi ai sensi dell'art. 24 del codice deontologico non sussiste per l'avvocato che abbia, dapprima, svolto incarichi professionali in favore di una società in nome collettivo e, di seguito, difeso alcuni soci nel giudizio di accertamento della giusta causa di recesso esercitato, ai sensi dell'art. 2285 c.c., da un socio receduto (Cass. S.U., n. 8337/2022); mentre il contrario ha ritenuto, per la sanzione disciplinare irrogata in presenza di identità della "parte assistita" tra il soggetto persona fisica e la ditta individuale dallo stesso esercitata (Cass. S.U., n. 14933/2023) . Le società di persone, pur non essendo munite di personalità giuridica, costituiscono un autonomo soggetto di diritto . È invero ormai superata la tesi, lontana nel tempo, , secondo cui la società di persone non potrebbe essere, in quanto tale, annoverata tra i soggetti di diritto, essendo null'altro che il gruppo dei soci unitariamente considerati (Cass. I, n. 907/1984). È invece ormai pacifico che «l'attitudine ad essere titolare di diritti non è, nel nostro ordinamento, fenomeno esclusivo della dualità persona fisica-persona giuridica, essendo individuabile tutta una serie di fenomeni collettivi, di entità non personificate, considerati dall'ordinamento quali centri di imputazione di situazioni giuridiche da riconoscersi, in quanto tali, nella loro autonomia dalla posizione delle persone fisiche componenti la compagine operante in forma associata, e di cui l'autonomia patrimoniale costituisce eminente manifestazione»: da ciò la conclusione che le società di persone, pur non essendo munite di personalità giuridica, costituiscono «un autonomo soggetto di diritto, che può essere entro di imputazione di situazioni negoziali e processuali distinte rispetto alla posizione dei soci, sia nei confronti dei terzi che dei soci stessi, ed altresì titolare di diritti reali (su beni mobili ed immobili) acquisiti in virtù dei conferimenti o dell'esercizio della capacità negoziale che la disciplina positiva le consente» (Cass. I, n. 26012/2007, in tema di validità della fideiussione prestata dal socio illimitatamente responsabile in favore della società di persone; nello stesso senso, Cass. I, n. 7139/2018; Cass. I, n. 6650/2018; Cass. I, n. 4528/2014). L'orientamento che afferma la soggettività delle società personali (corrispondente all'indirizzo seguito in via generale in tema di soggettività degli enti non riconosciuti: Cass. I, n. 6985/2003) si è progressivamente consolidato (Cass. V, n. 1225/2021;Cass. I, n. 8882/2020; Cass. I, n. 4528/2014; Cass. I, n. 4060/2010) ed è oggi da ritenere sicuramente granitico. Il principio ha dunque indotto a ritenere che, nei rapporti tra avvocato e cliente, il conflitto di interessi ai sensi dell'art. 24 del codice deontologico non sussiste per l'avvocato che abbia, dapprima, svolto incarichi professionali in favore di una società in nome collettivo e, di seguito, difeso alcuni soci nel giudizio di accertamento della giusta causa di recesso esercitato, ai sensi dell'art. 2285 c.c., da un socio receduto (Cass. S.U., n. 8337/2022); mentre il contrario ha ritenuto, per la sanzione disciplinare irrogata in presenza di identità della "parte assistita" tra il soggetto persona fisica e la ditta individuale dallo stesso esercitata (Cass. S.U., n. 14933/2023). La capacità delle societàLa Cassazione ha statuito che il mancato perseguimento dell'oggetto sociale non comporta alcuna limitazione della capacità delle società, che ha carattere generale: esse, pertanto, rimangono capaci «anche se trascendono e perfino se tradiscono il loro scopo» (Cass. I, n. 2224/1968). Il concetto è stato ribadito anche da decisioni numerose che confermano la generale capacità giuridica della società (Cass. I, n. 18250/2024; Cass. III, n. 18449/2015; Cass. I, n. 5522/2015). Nello stesso senso, e con specifico riferimento alle società di persone, è G. Ferri, 525, il quale rileva che problema diverso è quello dell'incidenza della determinazione dell'oggetto sociale sul potere di rappresentanza degli amministratori. Per le società di persone l'art. 2266, comma 2, c.c. stabilisce che il potere di rappresentanza «si estende a tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale»: gli atti ultra vires non vincolano quindi la società; la giurisprudenza appare tuttavia propensa ad accordare un qualche rilievo alla buona fede dei terzi. Diversa è la disciplina per le società di capitali, per le quali l'art. 2384-bis, aggiunto dall'art. 6 del d.P.R. 29 dicembre 1969, n. 1127 (con il quale era stata data attuazione alla Direttiva CEE n. 68/151 del 9 marzo 1968), aveva negato l'opponibilità ai terzi in buona fede dell'estraneità all'oggetto sociale degli atti compiuti dagli amministratori in nome della società. Tale disposizione è stata abrogata dalla riforma del 2003, ma il nuovo testo dell'art. 2384 c.c. stabilisce analogamente che il potere di rappresentanza degli amministratori, sia esso attribuito con l'atto costitutivo o dalla delibera di nomina, «è generale»: ciò sta ad indicare che tale potere si estende a tutti gli atti compiuti dagli amministratori muniti di potere rappresentativo, ivi compresi quelli estranei all'oggetto sociale, i quali pertanto vincolano la società, salva restando la responsabilità, nei rapporti interni, dell'amministratore che li abbia posti in essere. Le società occasionali«Nel sistema del nuovo codice la società è una forma di esercizio [...] di un'attività economica produttiva e normalmente di un'attività economica organizzata durevolmente ad impresa» (Relazione introduttiva al codice civile, n. 923). Secondo la Cassazione è possibile costituire una società occasionale, il cui fine degli associati consista nel compimento di una opera unica, purché di obiettiva complessità (Cass. I, n. 4588/2010). Ha affermato in particolare la Suprema Corte che qualora l'amministrazione ipotizzi la costituzione di una società di fatto esercente attività commerciale, l'indagine sulla sussistenza dei presupposti per l'imposizione non va condotta con riguardo ai requisiti dell'abitualità, sistematicità e continuità dell'attività, assunti dall'art. 2082 c.c. quali indici della professionalità necessaria per l'acquisto della qualità di imprenditore individuale, ma con riferimento a quelli richiesti dall'art. 2247 del codice medesimo (intenzionale esercizio in comune tra i soci di un'attività commerciale a scopo di lucro e conferimento a tal fine dei necessari beni o servizi), atteso che la disciplina tributaria (artt. 5, terzo comma, lett. b, e 6, terzo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) non richiede, per la tassazione del reddito di una società di fatto, altro requisito se non la ravvisabilità nel suo oggetto dell'esercizio di un'attività commerciale, e che la costituzione di una società è ammessa anche per l'esercizio occasionale di attività economiche (Cass. V, n. 2200/2014; nonché Cass. V, n. 2123/2025, in tema di società a partecipazione pubblica). I redattori del codice erano quindi propensi ad ammettere l'utilizzazione della società anche per l'esercizio di attività economiche «non» organizzate durevolmente ad impresa (c.d. società occasionali): in questi casi, secondo la dottrina prevalente, si sarebbe in presenza di una società senza impresa, per difetto del requisito della professionalità stabilito in via generale dell'art. 2082 (Bigiavi, 13; Delli Priscoli, 56). Tale conclusione non è naturalmente condivisa da quanti ritengono che detto elemento (come pure quello dell'organizzazione) inerisca necessariamente alla nozione di società e che quindi la società costituita nel rispetto dei requisiti stabiliti dall'art. 2247 c.c. sia per ciò stesso un'impresa (Ascarelli, 132). È difficile tuttavia stabilire quando ricorra l'ipotesi di una «società occasionale». Generalmente si tende ad escludere la configurabilità di una società quando l'affare si risolve nel compimento di un solo atto (ad es. una vendita in comune di beni che appartengono separatamente a persone diverse), non essendo in tal caso ravvisabile lo svolgimento di un'attività (vale a dire di una serie di atti coordinati e unificati in vista di un fine unitario), che l'art. 2247 pone tra gli elementi caratterizzanti l'istituto: in tale ipotesi, seguendo questa opinione, non solo non vi è impresa, ma non vi sarebbe neppure società esclusa in radice (G. Ferri, 56; M. Campobasso, 12; Galgano, 245), il che non escluderebbe, peraltro, l'applicabilità, in via analogica, di alcune disposizioni in tema di società (G. Ferri, 60). Per opposte ragioni, la ricorrenza di una società «occasionale» è certamente da escludere in presenza di un unico affare complesso, la cui realizzazione implichi il compimento di atti molteplici e complessi tra loro coordinati (ad esempio, acquisto, ristrutturazione e vendita di un edificio) e, quindi, «lo svolgimento di un'attività a tal punto protratta nel tempo da assumere il carattere dell'attività professionalmente esercitata» (Galgano, op. cit., 246): la qualità di imprenditore può infatti determinarsi anche in base ad un unico affare, in considerazione della sua rilevanza economica e delle operazioni che il suo svolgimento comporta (Cass. I, n. 3690/1986; Campobasso, 13; Ferri, 57). Resta l'ipotesi in cui l'attività sociale «si esaurisce nel compimento di pochi atti elementari coordinati, che non richiedono la predisposizione di alcun apparato produttivo oggettivamente apprezzabile» (Campobasso, 13), la quale è oggetto di valutazioni diverse: la giurisprudenza, specie della C.S., è in genere propensa a riconoscere in queste ipotesi l'esistenza di una società «occasionale» (Cass. I, n. 4009/1968; v., inoltre, Cass. V, n. 2123/2025; Cass. V, n. 2200/2014; Cass. V, n. 15538/2002). Inizio dell’attività d’impresa e assoggettabilità a liquidazione giudizialeLa Cassazione è dell'avviso che le società, a differenza delle persone fisiche, acquistano la qualità di imprenditore fin dal momento della loro costituzione, indipendentemente dall'effettivo inizio dell'attività d'impresa: per il c.d. principio della commercialità programmatica, le società costituite nelle forme previste dal codice civile ed aventi ad oggetto un'attività commerciale sono assoggettabili a fallimento (oggi liquidazione giudiziale), indipendentemente dall'effettivo esercizio di una siffatta attività, in quanto esse acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione, non dall'inizio del concreto esercizio dell'attività d'impresa, al contrario di quanto avviene per l'imprenditore commerciale individuale. Sicché, mentre quest'ultimo è identificato dall'esercizio effettivo dell'attività, relativamente alle società commerciali è lo statuto a compiere tale identificazione, realizzandosi l'assunzione della qualità in un momento anteriore a quello in cui è possibile, per l'impresa non collettiva, stabilire che la persona fisica abbia scelto, tra i molteplici fini potenzialmente raggiungibili, quello connesso alla dimensione imprenditoriale. (Cass. VI, n. 23656/2020; Cass. I, n. 25730/2016; Cass. VI, n. 23157/2016; Cass. I, n. 28015/2013). Nell'affermare l'identico principio, la Cassazione in altra occasione ha confermato la sentenza di merito che aveva attribuito la qualità di impresa commerciale ad una società mista, nel cui oggetto sociale erano ricomprese attività pacificamente esercitabili da società di diritto privato (Cass. I, n. 21991/2012). Società a partecipazione pubblica e questioni di giurisdizioneHanno affermato le Sezioni Unite che la controversia riguardante l'azione di responsabilità a carico di amministratori e sindaci di una società per azioni a partecipazione pubblica, anche se totalitaria – ma la cui attività statutaria sia di svolgere un servizio in regime di concorrenza – per il danno patrimoniale subito dalla società a causa della loro condotta illecita (nella specie, pagamento di fatture, a fronte di prestazioni mai rese o eseguite in modo incompleto) appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario e non del giudice contabile, atteso che, da un lato, dette società non perdono la loro natura di enti privati disciplinati dal codice civile e, dall'altro lato, il danno cagionato dall'illecito incide in via diretta solo sul patrimonio della società, che resta privato e separato da quello dei soci; né è di ostacolo alla affermata giurisdizione la trasformazione, avvenuta dopo il pagamento delle suddette fatture, in società cosiddetta in house (Cass. S.U., n. 8352/2013). Nelle società in house, le procedure seguite per l'assunzione del personale sono sottoposte alla giurisdizione ordinaria, derivando ciò dalla scelta del modello privatistico per il perseguimento delle loro finalità, donde l'esclusione dell'obbligo di adottare il regime del pubblico concorso per il reclutamento dei dipendenti, trovando, invece, applicazione le regole di cui all'art. 18 del d.l. n. 112 del 2008, conv., con modif., dalla l. n. 133 del 2008 ( Cass. S.U., n. 18749/2023 e Cass. S.U., n. 6128/2025 ). In tal senso, spetta al giudice ordinario la giurisdizione sull'azione di responsabilità promossa nei confronti degli organi di gestione e controllo di società di capitali partecipate (anche in via totalitaria) da enti pubblici, ove il danno sia al patrimonio della stessa, e resta altresì irrilevante la successiva fusione per incorporazione della società nell'ente pubblico socio (Cass. S.U., n. 13088/2023). Mentre per taluni soggetti, in cui sono presenti i connotati essenziali dell'ente pubblico non si dà assimilazione ad una società azionaria di diritto privato, onde spetta alla Corte dei conti la giurisdizione sull'azione di responsabilità promossa nei confronti dei suoi organi e dipendenti (nella specie, l'ANAS s.p.a.: Cass. S.U., n. 976/2023 ). Ritiene la Cassazione che la scelta del legislatore di consentire l'esercizio di determinate attività a società di capitali, e dunque di perseguire l'interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principî di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all'interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità (Cass. I, n. 22209/2013). Sono attribuite al GO le controversie relative alla revoca degli amministratori, nominati ai sensi del l'art. 2449, della società partecipata da ente pubblico, in quanto la predetta revoca costituisce atto dell'ente “a valle” della scelta iniziale di impiegare lo strumento societario, emanato in base al diritto privato ( Cass. S.U., n. 4413/2024 ). Sul tema, si rimanda al commento specifico sulle società a partecipazione pubblica, in questo Codice. Compromettibilità in arbitri delle liti societarie Compromettibilità in arbitri delle liti societarieSecondo la dottrina le controversie in materia societaria possono, in linea generale, formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell'interesse collettivo dei soci o dei terzi (Licci, 1379). Peraltro, l'area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili , la cui violazione determini una reazione dell'ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, quali le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio; pertanto, non è compromettibile in arbitri l'azione di revoca per giusta causa di un amministratore di società in accomandita semplice ex art. 2259, in relazione agli artt. 2315 e 2293, non facendo eccezione – come invocato nella specie – la avvenuta insorgenza della controversia fra coniugi altresì soci in detta società (Cass. I, n. 18600/2011). L'impugnazione di delibere societarie, aventi ad oggetto operazioni sul capitale sociale, per aumento o riduzione, è compromettibile in arbitri allorquando, in ragione della prospettazione offerta dalle parti, la corrispondente controversia non investa, in modo diretto e non semplicemente mediato, gli interessi – dei soci, della società o di terzi ad essa estranei – protetti da norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell'ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, diversamente finendosi per devolvere agli arbitri diritti (sostanziali) inderogabili protetti da una specifica norma che li regola ( Cass. I, n. 9434/2023 ), ed in caso di fallimento resta opponibile al curatore ( Cass. I, n. 24444/2019); l'impugnazione della deliberazione per omessa convocazione del socio è arbitrabile ( Cass. VI-1, n. 27736/2018 ); pure la delibera di trasformazione ( Cass. VI-1, n. 10433/2022 ) e quelle di esclusione ( Cass. I, n. 25927/2022 ) e di recesso del socio ( Cass. VI-1, n. 15697/2019 ) sono deferibili in arbitri . Quanto al lodo rituale straniero pronunciato in forza di una clausola statutaria di società di diritto italiano, che localizzi all'estero la sede dell’arbitrato, occorre che l'organo arbitrale sia interamente nominato da un soggetto terzo estraneo alla società, in conformità all'art. 34, comma 2, d.lgs. n. 5 del 2003 (Cass. I, n. 8911/2025). Per altri approfondimenti, si veda il commento ai profili processuali in questa stessa parte del Codice BibliografiaAa.Vv., Manuale di diritto commerciale, a cura di Buonocore, Torino, 2017; Ascarelli, Lezioni di diritto commerciale, Milano, 1955, 132; Bigiavi, La professionalità dell’imprenditore, Padova, 1948; Basile, Le persone giuridiche, in Tr. I.-Z., Milano, 2003; Bonelli, Gli amministratori di s.p.a., dopo la riforma delle società, Milano, 2004, 76; G.F. Campobasso, Diritto commerciale, II, Diritto della società, a cura di M. Campobasso, II, Torino, 2017; Delli Priscoli, Mercato e diritti fondamentali, Torino, 2011; Denozza, Due concetti di stakeholderism, in Rivista Orizzonti del diritto commerciale, n. 1/2022; Di Sabato, Diritto delle società, Milano, 2011; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, a cura di Angelici e G.B. Ferri, Torino, 2016; Galgano, Le società in genere, le società di persone, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu-Messineo-Mengoni, continuato da Schlesinger, Milano, 2015; Gambino e Santosuosso, Società di capitali, Fondamenti di diritto commerciale, III, Torino, 2015; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2017; Licci, Limiti alla compromettibilità delle liti societarie, in Riv. dir. proc. 2012, 1379; Marasà, Le società, in Tr. I.-Z., Milano, 2000; Spada, C’era una volta la società..., in Riv. not. 2004, I, 92. |