Codice Civile art. 2348 - Categorie di azioni (1).

Gianluca Scarchillo

Categorie di azioni (1).

[I]. Le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti.

[II]. Si possono tuttavia creare, con lo statuto o con successive modificazioni di questo, categorie di azioni fornite di diritti diversi anche per quanto concerne la incidenza delle perdite. In tal caso la società, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie.

[III]. Tutte le azioni appartenenti ad una medesima categoria conferiscono uguali diritti.

(1) Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6. Il testo dell'articolo recitava: «[I]. Le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti. [II]. Si possono tuttavia creare categorie di azioni fornite di diritti diversi, con l'atto costitutivo o con successive modificazioni di questo».

Inquadramento

L'art. 2348 c.c. pone anzitutto, al primo comma, un principio di carattere generale relativo alle società per azioni, id est quello della uguaglianza delle azioni. L'azione, infatti, rappresenta una partecipazione omogenea e standardizzata al capitale sociale e attribuisce a ciascun socio identici diritti nella società e nei confronti della stessa.

La dottrina ha unanimamente chiarito che il principio di uguaglianza è di tipo relativo e non già assoluto, stante la previsione di cui al secondo comma della facoltà per la società di creare categorie speciali di azioni. Uguaglianza relativa sta quindi a significare che la stessa deve essere rispettata all'interno di ciascuna categoria di azioni, tanto ordinarie quanto speciali, come esplicitato dal dato normativo dei cui al terzo comma. Possono, pertanto, prevedersi diritti diversi non già per singola azione, bensì sulla base di una impersonale categoria di azioni; né possono crearsi nelle s.p.a. – come invece il Legislatore consente per le s.r.l. ai sensi dell'art. 2468, comma 3, c.c. – «particolari diritti» diversificati relativamente alla persona ed alla posizione del singolo socio. 

 Al riguardo, invero, è da precisare come il codice civile preveda in taluni casi la possibilità per lo statuto di attribuire diritti diversi non già ad azioni oggettivamente individuate a priori, bensì agli azionisti che si trovino in determinate condizioni, ma solo allorquando le condizioni suddette siano astrattamente riferibili al socio non determinato. È  il caso, ad esempio, dell'art.  2351, comma 3, c.c., il quale consente di prevedere una limitazione al diritto di voto “in relazione alla quantità delle azioni possedute da uno stesso soggetto”, o  degli artt. 127-quater e 127-quinquies TUF, i quali consentono di attribuire una maggiorazione del dividendo e del diritto di voto a ciascuna azione detenuta dal medesimo azionista per un determinato periodo continuativo di tempo. In questi casi, l'attribuzione di diritti diversi o più ampi, o la limitazione dei diritti dei soci, non dà luogo alla creazione di categorie di azioni, in quanto tutte le azioni in cui è suddiviso il capitale sociale sono astrattamente destinatarie della medesima regola e possono quindi patire la limitazione del diritto di voto, nel primo caso, o possono beneficiare della maggiorazione del dividendo o del diritto di voto, nel secondo caso, in dipendenza di circostanze “soggettive”, ossia relative al socio che detiene le azioni. Secondo la Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano, peraltro, anche al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, sarebbero legittime le clausole statutarie di s.p.a. mediante le quali, senza dar vita a una categoria di azioni ai sensi dell'art. 2348 c.c., vengano attribuiti diritti diversi in dipendenza di circostanze relative al singolo socio, astrattamente riferibili al socio non determinato, purché le stesse non si risolvano in condizioni meramente potestative o a differenziazioni (MASSIMA 184; BAVA, Attribuzione di diritti diversi al ricorrere di condizioni “soggettive” dei soci). Anche per la dottrina che ha affrontato ex professo la questione, tali clausole non si porrebbero in contrasto con il principio di eguaglianza delle partecipazioni azionarie: tale principio, invero, risulterebbe soddisfatto quando vi sia eguale assoggettamento di tutti i soci alla possibilità del verificarsi dell'evento, nonostante il suo concreto avverarsi solo per alcuni di essi (LA SALA, 92 s.; D'ATTORRE, 110 ss.; Rescio, 314). Sul punto, il Tribunale Milano Sez. spec. Impresa, con ordinanza del 2 giugno 2022, ha ritenuto legittima la clausola statutaria che attribuiva ai soci una maggiorazione del diritto di voto, subordinandola ad una condizione sospensiva non meramente potestativa. Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto valida la clausola che prevedeva un voto plurimo per i soci, sospensivamente condizionato da un evento futuro e incerto rappresentato dalla nomina del socio quale amministratore, da parte dell’assemblea, fino al compimento dei 75 anni di età e subordinato alla condizione risolutiva della cessazione del rapporto di amministrazione da parte del socio o del compimento dei 75 anni di età.

Si ritiene, peraltro, che, in presenza di una o più categorie di azioni, anche le azioni ordinarie vengano a loro volta a costituire una autonoma e specifica categoria.

Il principio di uguaglianza relativa consente, quindi, da un lato di standardizzare le partecipazioni dei soci nella s.p.a., garantendone la più agevole commerciabilità e facilità tanto dell'investimento quanto del disinvestimento, dall'altro di legittimare una diversificazione dei diritti connessi a tali partecipazioni sociali, in base alle esigenze concrete della società.

La presenza di speciali categorie di azioni comporta, altresì, una specifica organizzazione interna della società, in quanto i rispettivi titolari sono portatori di interessi diversi e specifici per ciascuna categoria. Pertanto, il legislatore ha previsto la costituzione di assemblee speciali di categoria ex art. 2376 c.c., che deliberano in merito agli specifici interessi di riferimento ed, in particolare, sono chiamate ad approvare le delibere dell'assemblea degli azionisti ordinari che possano pregiudicare i diritti della categoria.

In tema di fusione per incorporazione di s.p.a., la C.S.  (Cass. n. 7920/2020), peraltro, ha chiarito che, ai fini della definizione del rapporto di cambio (cd. concambio), ad azioni di una determinata categoria può essere attribuito un valore diverso rispetto a quello conferito alle azioni di altra categoria. Il valore delle azioni, difatti, dipende da un apprezzamento che investe, nella loro complessità, i diritti che esse conferiscono: tali diritti sono tanto quelli di natura patrimoniale (aventi ad oggetto gli utili e la quota di liquidazione: art. 2350 c.c.), quanto quelli inerenti all'amministrazione della società (e in particolare, per l'appunto, il diritto di voto: art. 2351 c.c.). Nella specie, la  Corte ha riconosciuto che una diversificazione del valore delle azioni di risparmio (su cui più diffusamente nel par. 4.1) dell'incorporata e quelle ordinarie dell'incorporante trova piena giustificazione.  L'azione, difatti, incorpora sia diritti patrimoniali, sia diritti di partecipazione alla vita amministrativa della società ed è certamente possibile che il valore dei titoli non sia lo stesso quando gli uni e gli altri diritti risultino, in base al rispettivo statuto normativo, differentemente modulati.

Limiti

Il secondo comma della norma in commento consente, come detto, la creazione di categorie speciali di azioni fornite di diritti diversi rispetto a quelle ordinarie «nei limiti imposti dalla legge». Tali limitazioni non vengono esplicitate dal legislatore, ma devono ricavarsi dal contesto normativo e dai principî generali della disciplina delle società per azioni.

In primis viene in considerazione proprio il divieto che si ricava da una lettura a contrario del principio di uguaglianza relativa, per cui all'interno di una medesima categoria non possono crearsi azioni diversificate.

In generale, deve ritenersi che non possano crearsi categorie di azioni che limitino i diritti inderogabili dei soci. Sicché la creazione di categorie speciali di azioni non può sottrarsi al generale divieto di patto leonino posto dall'art. 2265 c.c., per il quale non possono aversi azioni del tutto sfornite del diritto di partecipazione agli utili o che non risentano affatto delle perdite.

Un altro principio di carattere generale risulta essere quello della inscindibilità tra diritto di voto e di intervento in assemblea, da un lato, e diritto di impugnativa delle delibere assembleari, dall'altro; per cui non può prevedersi al creazione di azioni sfornite del diritto di impugnativa assembleare. Diverse sono invece le azioni senza diritto di voto, alle quali non spetta neppure il diritto di intervento in assemblea (art. 2370, comma 1, c.c.) ed in cui il diritto di impugnativa è escluso per il fatto stesso della mancanza del voto. Sempre con riferimento al voto, deve ritenersi ormai superato il divieto di emissione di azioni speciali a voto plurimo, a seguito della riformulazione dell'art. 2351, comma 4, c.c. ad opera dell'art. 20 comma 8-bis d.l. n. 91/2014 conv. in l. n. 116/2014. L'unico limite ancora in vigore è quello quantitativo, esplicitato all'art. 2351, comma 2, c.c., ai sensi del quale il valore delle azioni senza voto o con voto limitato a particolari argomenti o subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative non può complessivamente eccedere la metà del capitale sociale.

Le categorie speciali di azioni debbono altresì rispettare il principio di integrità del capitale sociale di cui all'art. 2346, comma 5, c.c.

Si ritiene, inoltre, che non si possa derogare, attraverso la creazione di categorie speciali di azioni, alle competenze fondamentali dell'organo assembleare (come l'approvazione del bilancio), in modo tale da non snaturare la struttura stessa della società per azioni.

In tale ambito, la prassi fatta propria dal Consiglio Notarile di Firenze (massima n. 15/2010) ha ritenuto che «È legittima la clausola dello statuto di una s.p.a. che attribuisca ad una o più categorie di azioni di nominare una componente minoritaria del Consiglio di amministrazione o degli organi di controllo; ove una di tali categoria rappresenti almeno la metà del capitale sociale, può esserle riconosciuto il diritto di nominare la maggioranza dei componenti di detti organi», facendo così salvo il principio maggioritario, che costituisce un cardine della normativa societaria.

Divisa è invece la dottrina circa la possibilità di creare azioni con un diritto di opzione maggiorato rispetto rispetto al criterio di proporzionalità enunciato dall'art. 2441 c.c., al quale corrisponde evidentemente una limitazione dello stesso diritto per gli altri azionisti. Sebbene sia stata autorevolmente sostenuta la tesi positiva (Magliulo), appare maggiormente prudenziale la soluzione negativa, giacché le limitazioni al diritto di opzione sono quelle previste dalla legge, con le ulteriori garanzie previste dalla citata norma per il caso di esclusione o limitazione dello stesso diritto.

Modalità di creazione

La norma in esame si limita a prevedere che le categorie di azioni possono crearsi «con lo statuto o con successive modificazioni di questo». Appare, dunque, evidente che lo statuto debba prevedere tanto la possibilità per la società di «dotarsi» di categorie differenziate di azioni, quanto, nello specifico, disciplinarne le modalità di creazione, le caratteristiche e le regole di circolazione. In concreto, le azioni di categorie speciali possono crearsi attraverso emissione di nuove azioni o conversione di quelle già in circolazione.

Emissione di nuove azioni

Per la prima fattispecie è necessario che la società deliberi un aumento a titolo oneroso del capitale sociale con emissione di nuove azioni. L'emissione di azioni diverse da quelle esistenti risulta ben possibile se realizzata attraverso un aumento oneroso, laddove, invece, risulterebbe vietato per quello gratuito, in forza del principio di omogeneità enunciato all'art. 2442, comma 2, c.c.

Conversione

Anche la conversione delle azioni già in circolazione si attua attraverso una modifica statutaria della clausola relativa al capitale. La conversione si definisce volontaria allorquando attribuisce al socio la facoltà di convertire tutto o parte delle proprie azioni ordinarie in speciali, rimettendo dunque la conversione alla libera autodeterminazione di ciascun azionista. Di diverso tenore la conversione c.d. forzata, che ricorre allorquando la società impoga la conversione delle azioni: in tal caso la clausola statutaria potrà essere inserita solo con il consenso unanime dei soci; mentre è discusso se la maggioranza possa imporre una simile scelta anche agli azionisti di minoranza.

La prassi del Consiglio Notarile di Milano (massima n. 99, in tema di azioni riscattabili) propende per la tesi negativa. Diversa ancora è la conversione c.d. automatica, prevista cioè sin dal momento dell'emissione delle azioni ordinarie, al verificarsi di un dato evento oppure ad una certa data. La sua ammissibilità appare pacifica nel caso in cui nessun azionista si trovi nella situazione prevista per la conversione (ad es., azioni riscattabili dopo una certa soglia di possesso azionaria, non superata da nessun socio al momento della introduzione della clausola statutaria).

Contenuto e atipicità

Fatti salvi i limiti poc'anzi precisati, il legislatore non fornisce un elenco tassativo di categorie speciali di azioni, ma riconosce espressamente la più ampia autonomia statutaria. Infatti, il riferimento alla creazione di azioni con una incidenza diversa delle perdite può ritenersi meramente esemplificativo e non esaustivo. È questo il c.d. principio di atipicità, che ha portato nella pratica alla creazione di svariate categorie di azioni diversificate, atte a rispondere alle più disparate esigenze societarie.

La dottrina ha precisato che, perché possa parlarsi di una specifica «categoria», la diversificazione deve concernere i diritti connessi alla singola partecipazione azionaria e non già la posizione globale dell'azionista, né tantomeno riguardare esclusivamente le caratteristiche estrinseche delle azioni (Di Sabato, Bione). Sicché, non rappresentano una specifica categoria, nel primo caso le azioni con «tetto di voto» e con «voto a scalare» ex art. 2351, comma 3, c.c. (essendo il diritto di voto parametrato alla quantità di azioni possedute da un medesimo soggetto), nel secondo caso le azioni al portatore o nominative, con valore nominale espresso o senza valore nominale, che invece costituiscono «tipi» di azioni e non già «categorie». Per potersi configurare una categoria di azioni è inoltre necessario che i diritti ad essi attribuiti presentino i caratteri della serialità e dell'omogeneità all'interno della medesima categoria.

È discusso, invece, se accanto alle categorie di azioni che forniscono «diritti diversi» ai loro possessori, possano configurarsi anche categorie con «obblighi ulteriori» (ad esempio prestazioni accessorie diversificate): la dottrina ammette la possibilità di configurare una categoria la cui specialità sussiste anche al ricorrere di diverse situazioni giuridiche soggettive, purché l'obbligo sia di carattere omogeneo e fungibile e gravi indistintamente su una parte oggettivamente predeterminata di azioni (Notari).

Allo stesso modo, il Consiglio Notarile di Milano (massima n. 95) ha ritenuto legittima la creazione di categorie di azioni caratterizzate da limitazioni alla circolazione delle partecipazioni sociali.

Singole categorie di azioni

La categoria di azioni più conosciuta, anche perché disciplinata dalla normativa di settore, è quella delle azioni di risparmio, definite dall'art. 145, comma 1, TUF come «azioni prive del diritto di voto, dotate di particolari privilegi di natura patrimoniale» la cui emissione è consentita alle s.p.a. quotate nei mercati regolamentati, con il precipuo scopo di incentivare l'investimento dei risparmiatori, interessati più alla remunerazione dei titoli che alla gestione dell'attività d'impresa. Oltre alla mancanza del diritto di voto, che si riflette sulla mancanza del diritto di partecipazione in assemblea e del diritto di impugnativa delle delibere assembleari, tali azioni si caratterizzano per il riconoscimento di privilegi di natura patrimoniale, il cui contenuto, condizioni, limiti e modalità di esercizio devono essere determinati dallo statuto (art. 145, comma 2, TUF). Tale caratteristica distingue le azioni di risparmio da quelle senza diritto di voto di cui all'art. 2351, comma 2, c.c., alle quali non deve essere necessariamente associato un privilegio patrimoniale. A questa categoria si affianca la possibilità di creare azioni con voto limitato a particolari argomenti (ad es. solo per alcune modifiche statutarie) o subordinato al verificarsi di particolari condizioni — purché le stesse non siano meramente potestative — nonché, con la riforma del 2014, azioni a voto plurimo, con un massimo di tre voti per ciascuna azione.

Il Consiglio Notarile di Firenze ha ritenuto legittima la clausola statutaria che consenta di creare azioni con voto plurimo per le deliberazioni concernenti la nomina dell'organo amministrativo e di controllo (massima n. 47/2014) e azioni a voto plurimo c.d. fidelizzanti (massima n. 48/2014), cioè con voto plurimo subordinato «alla condizione che i titolari abbiano conservato continuativamente il possesso delle stesse per un arco temporale minimo».

Una ratio analoga, invero,  si riscontra anche nelle s.p.a. quotate agli artt. 127 quater e 127 quinquies TUF, ove si consente l'attribuzione di una maggiorazione del dividendo e del diritto di voto a ciascuna azione detenuta dal medesimo azionista per un periodo continuativo di tempo (BAVA, Attribuzione di diritti diversi al ricorrere di condizioni “soggettive” dei soci).

Con riguardo al riconoscimento di specifici vantaggi patrimoniali, è consentito derogare al criterio di proporzionalità nella ripartizione degli utili e del patrimonio netto risultante dalla liquidazione, ai sensi dell'art. 2350, comma 1, c.c., il quale fa espressamente «salvi i diritti stabiliti a favore di speciali categorie di azioni». Tali categorie si configurano tradizionalmente come azioni privilegiate in senso stretto, caratterizzate da un dividendo maggiorato rispetto a quello riconosciuto alle azioni ordinarie o da una quota maggiore di partecipazione alla liquidazione, oppure come azioni di priorità, che distribuiscono utili in misura maggiore alle azioni speciali fino ad un determinato ammontare, superato il quale il dividendo resta uguale tanto per le azioni privilegiate quanto per quelle ordinarie. 

Il Consiglio Notarile di Milano (massima 16 giugno 2020, n. 190) ha ritenuto legittime le clausole statutarie di s.p.a. o s.r.l. che prevedono l'automatica estinzione di azioni o quote al decorso di un termine o al verificarsi di una condizione non meramente potestativa – ivi compreso il conseguimento di un ammontare complessivo di utili calcolati nel corso del tempo, a decorrere da un determinato momento – anche senza alcun diritto di liquidazione a favore del titolare delle azioni o quote medesime.

A differenza delle cd. azioni riscattabili, per le quali si configura l'esercizio di un diritto potestativo, nella azioni o quote “auto-estinguibili” lo scioglimento del vincolo avviene in modo automatico, al verificarsi dell'evento previsto nello statuto.  Come sostenuto dalla dottrina e dalla prassi, per quanto concerne la S.p.a., si deve ritenere che la caratteristica della temporaneità dia luogo ad una categoria di azioni, essendo idonea quest'ultima ad essere compresa nella nozione, latamente intesa, di “diritti diversi” ex art. 2348, comma 2, c.c.

Molto frequente è altresì la creazione di azioni postergate nelle perdite, citate dal dato normativo in commento, il quale ha inteso così porre fine alla questione relativa alla loro ammissibilità sorta prima della Riforma del diritto societario, già risolta positivamente dalla dottrina prevalente e dalla giurisprudenza (Trib. Trieste 2 giugno 1994, in Soc. 1995, 871), con il vincolo generale del rispetto del divieto di patto leonino. Il privilegio per tali azioni consiste nella circostanza che esse subiscono le perdite solo dopo che queste ultime abbiano dapprima falcidiato le azioni ordinarie o quelle di altre categorie (postergazione totale) oppure solo fino ad un determinato ammontare (postergazione parziale). Pertanto, in caso di riduzione del capitale per perdite, le azioni postergate dovranno essere annullate per ultime; mentre, in caso di liquidazione della società, le stesse dovranno essere rimborsate prioritariamente. Ampiamente discusso è se, in caso di riduzione per perdite gravante solo sulle altre azioni, quelle postergate partecipino del successivo aumento di capitale. Secondo la pronuncia del Tribunale di Trieste sopra richiamata, il diritto di opzione in tal caso dovrebbe spettare solo agli azionisti ordinari sino al riequilibro delle partecipazioni.

Una particolare categoria è rappresentata dalle azioni correlate, disciplinate dall'art. 2350, comma 2, c.c., le quali si caratterizzano per il riconoscimento di diritti patrimoniali parametrati all'andamento dell'attività sociale in un determinato settore, consentendo così agli azionisti una selezione e differenziazione dell'investimento.

Un'altra categoria normativamente prevista è quella delle azioni di godimento, assegnate ai sensi dell'art. 2353 c.c. ai possessori di azioni rimborsate in occasione di una riduzione «reale» del capitale sociale (mentre è discussa l'ammissibilità in caso di riduzione per perdite). Si tratta di un tipo particolare di azioni che possono essere create quando il loro rimborso venga effettuato al valore nominale, nel caso in cui le stesse abbiano un valore reale superiore, al fine di garantire comunque la remunerazione del capitale investito.

La dottrina ritiene, altresì, obbligatoria la loro creazione nel caso in cui la riduzione non avvenga proporzionalmente tra tutti i soci, bensì con il metodo del sorteggio e annullamento delle azioni, al precipuo scopo, dunque, di assicurare la parità di trattamento tra i soci.

L'art. 2437-sexies c.c. fa invece riferimento alle c.d. azioni riscattabili, una categoria di azioni per le quali lo statuto può prevedere il diritto di riscatto da parte delle società o dei soci. Nel primo caso, la società viene ad essere titolare di azioni proprie, motivo per cui deve sottostare alla specifica disciplina dettata dal legislatore per l'acquisto di azioni proprie; mentre nel secondo caso si deve ritenere che il diritto di riscatto debba essere attribuito a tutti i soci o ad una categoria di azioni, ma non a singoli soci né a terzi. Il diritto di riscatto si configura come diritto potestativo, riconosciuto al verificarsi di determinate circostanze oggettivizzate e predeterminate statutariamente (ad es. la morte, la perdita della capacità di agire o il venir meno di requisiti soggettivi del socio, oppure il superamento di determinate soglie di partecipazione). Rappresenta, invece, una questione ancora oggi dibattuta se possa configurarsi un diritto di riscatto arbitrario e meramente potestativo, id est non vincolato a determinati presupposti oggettivi. Si discute se le azioni riscattabili valgano a costituire una «speciale categoria di azioni» ai sensi della norma in commento, che fa riferimento a «diritti diversi». Nessun dubbio al riguardo sussiste nel caso in cui il diritto di riscatto sia attribuito allo stesso socio che debba subirlo, nel qual caso la figura in esame si configura quale vero e proprio diritto del socio o dei soci titolare di quella categoria di azioni. Nel caso in cui, invece, il socio debba soltanto subire il diritto potestativo di riscatto da parte della società, ciò non configura propriamente un particolare diritto; ciononostante, in tale ipotesi, il Consiglio Notarile di Milano (massima n. 99), fornendo una interpretazione estensiva dei «diversi diritti», ritiene che la previsione del riscatto e, più in generale, di una qualsiasi situazione giuridica soggettiva, anche di soggezione, valga a configurare una autonoma categoria di azioni.

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