Codice Civile art. 2370 - Diritto d'intervento all'assemblea ed esercizio del voto 1 2 3 .

Renato Bernabai

Diritto d'intervento all'assemblea ed esercizio del voto 123.

[I]. Possono intervenire all'assemblea coloro ai quali spetta il diritto di voto.

[II]. Lo statuto delle società le cui azioni non sono ammesse alla gestione accentrata, può richiedere il preventivo deposito delle azioni presso la sede sociale o presso le banche indicate nell'avviso di convocazione, fissando il termine entro il quale debbono essere depositate ed eventualmente prevedendo che non possano essere ritirate prima che l'assemblea abbia avuto luogo. Qualora le azioni emesse dalle società indicate al primo periodo siano diffuse fra il pubblico in misura rilevante il termine non può essere superiore a due giorni non festivi.

[III]. Se le azioni sono nominative, le società di cui al secondo comma provvedono all'iscrizione nel libro dei soci di coloro che hanno partecipato all'assemblea o che hanno effettuato il deposito.

[IV]. Lo statuto può consentire l'intervento all'assemblea mediante mezzi di telecomunicazione ovvero l'espressione del voto per corrispondenza o in via elettronica. Chi esprime il voto per corrispondenza o in via elettronica si considera intervenuto all'assemblea.

[V]. Resta fermo quanto previsto dalle leggi speciali in materia di legittimazione all'intervento e all'esercizio del diritto di voto nell'assemblea nonché in materia di aggiornamento del libro soci nelle società con azioni ammesse alla gestione accentrata.

 

[1] Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l'intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6.

[2] Articolo sostituito dall'art. 1, comma 5, del d.lg. 27 gennaio 2010 n. 27. Il testo precedente recitava: «Possono intervenire all'assemblea gli azionisti cui spetta il diritto di voto. - Lo statuto può richiedere il preventivo deposito delle azioni o della relativa certificazione presso la sede sociale o le banche indicate nell'avviso di convocazione, fissando il termine entro il quale debbono essere depositate ed eventualmente prevedendo che non possano essere ritirate prima che l'assemblea abbia avuto luogo. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio il termine non può essere superiore a due giorni non festivi e, nei casi previsti dai commi sesto e settimo dell'articolo 2354, il deposito è sostituito da una comunicazione dell'intermediario che tiene i relativi conti. -  Se le azioni sono nominative, la società provvede all'iscrizione nel libro dei soci di coloro che hanno partecipato all'assemblea o che hanno effettuato il deposito, ovvero che risultino dalla comunicazione dell'intermediario di cui al comma precedente. -  Lo statuto può consentire l'intervento all'assemblea mediante mezzi di telecomunicazione o l'espressione del voto per corrispondenza. Chi esprime il voto per corrispondenza si considera intervenuto all'assemblea».

[3] Con riferimento alle misure connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19, v. art. 106, comma 1, 7, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv., con modif., in l. 24 aprile 2020, n. 27.

Inquadramento

L'assemblea è il luogo istituzionalmente dedicato all'espressione della volontà sociale, nell'ambito del quale i soci, nel rispetto dei principi di collegialità e maggioranza, hanno la possibilità di influire sulla gestione dell'ente. Assai dibattuto è il problema del nesso tra principio di collegialità e formazione della volontà sociale; secondo parte della dottrina, l'organizzazione collegiale non è altro che il mezzo tecnico con il quale il legislatore neutralizza l'esistenza dei voti di dissenso e consente il passaggio dalla volontà individuale a quella collettiva: in tal modo legittimando, mediante una tecnica di ponderazione degli interessi, il principio maggioritario, che, in deroga a quello di unanimità, implica il sacrificio delle volontà individuali, al fine di soddisfare l'interesse comune (Angelici, Note in tema di procedimento assembleare, in Riv. not., 2005, 705).

Pertanto, la collegialità, intesa come riunione plurisoggettiva in un'unità spazio-temporale in cui dibattere e votare sugli argomenti posti all'ordine del giorno, diventa elemento essenziale dell'assemblea.

Il codice di commercio del 1882 non richiedeva alcun requisito per l'intervento del socio in assemblea: la legittimazione derivava dalla documentazione della qualità di azionista nella stessa assemblea, il che consentiva la formazione di maggioranze ad hoc mediante incetta di azioni in occasione della convocazione. La riforma del 2003 ha istituito un nesso tra il diritto all'intervento ed il diritto di voto, di cui il primo è propedeutico. La norma in esame ha subito una doppia modifica: dapprima con il d.lgs n. 6/2003; e poi con il d.lgs. n. 27/2010 (Attuazione della direttiva 2007/36/CE, relativa all'esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate), che all'espressione “azionisti iscritti nel libro dei soci” ha sostituito “coloro ai quali spetta il diritto di voto”, con una nettezza di limitazione che sembra escludere estensioni statutarie dell'intervento a soggetti privi del diritto al voto.

Il diritto di intervento

Ai sensi del primo comma, possono intervenire in assemblea non più solo i soci, bensì gli aventi diritto al voto; ed in più il rappresentante comune degli obbligazionisti (art. 2418, primo comma) ed il rappresentante comune degli azionisti di risparmio nelle società quotate (art. 147, terzo comma, T.U.F.). Non attribuiscono diritto di voto, né di intervento nell'assemblea ordinaria le azioni di risparmio, le azioni di godimento (salvo clausola statutaria), le azioni a voto limitato, le azioni a voto condizionato. La posizione, all'interno della s.p.a., dell'azionista di risparmio e dell'azionista privo del voto o a voto limitato appare intermedia, del resto, tra quella del socio e quella dell'obbligazionista. Resta però autonomo il diritto degli azionisti di risparmio di impugnare le delibere, rispetto ai poteri conferiti al loro rappresentante comune.

L'elenco nominativo dei partecipanti all'assemblea, allegato al verbale redatto da notaio, non fa prova fino a querela di falso dell'effettiva titolarità della partecipazione sociale in capo al soggetto indicato nell'elenco, giacché lo status di socio è una situazione giuridica, non un fatto storico che il pubblico ufficiale possa attestare come reale (Cass. I, n. 22763/2012).

Se è vero, infatti, che il verbale dell'assemblea di una società di capitali ha carattere analitico e deve necessariamente contenere l'elenco nominativo dei soci che hanno partecipato, in proprio o per delega, alla riunione assembleare (Cass. I, n. 8370/2000), è anche vero che detto elenco non è volto a fornire indicazioni circa l'effettiva sussistenza della qualità di socio di ciascun intervenuto e circa i contenuti e le modalità di rilascio delle eventuali deleghe, bensì, solo, quella di identificare i partecipanti all'assemblea e di individuare chi e come abbia espresso il voto; senza acquisire, per il resto, valore fidefacente di atto pubblico.

Per gli organi sociali, la partecipazione all'assemblea è un dovere : sanzionato, peraltro, a carico dei soli sindaci (non pure dei consiglieri di sorveglianza, dato il mancato richiamo dell'art. 2405 da parte dell'art. 2409-quaterdecies) con la decadenza (artt. 2405, secondo comma e 149, secondo comma, T.U.F.). Prima della riforma si discuteva se il diritto d'intervento avesse natura autonoma o fosse strumentale al diritto di voto. Quest'ultima tesi appare ora preferibile, dal momento che l'intervento si palesa chiaramente ancorato all'esercizio del diritto di voto: connessione, che secondo la relazione di accompagnamento al d.lgs n. 6/2003, porta ad escludere i nudi proprietari delle azioni ed induce parte della dottrina a negare il diritto di intervento al socio moroso (art. 2344, ultimo comma; cfr. Lener, sub art. 2370). La tesi appare però in distonia con l'art. 2368, terzo comma, secondo cui le azioni per le quali non può essere esercitato il diritto di voto sono computate egualmente ai fini della regolare costituzione dell'assemblea (anche se non rientrano nel quorum deliberativo). Circolari della Consob hanno invitato, peraltro, a consentire l'intervento anche di giornalisti qualificati e di analisti. In carenza di alcuna sanzione normativa, si deve ritenere che la presenza di soggetti non aventi diritto al voto non vizi, peraltro, la delibera.

È annullabile – e non nulla – la delibera assunta in violazione del diritto di ciascun socio di intervenire nella discussione, esprimendo, in contraddittorio con gli altri, la propria opinione: salvo che non se ne provi l'intento ostruzionistico, volto ad ostacolare il regolare svolgimento dell'assemblea (Trib. Modena 24 febbraio 2012, in Banca borsa tit. cred., 2013, 427, con nota di Massimo: in un caso in cui il presidente dell'assemblea aveva dichiarato chiusa la discussione sulla nomina del Consiglio di amministrazione, senza prima concedere la parola a duecentocinquanta soci che si erano prenotati a parlare).

Il diritto di voto e di intervento spetta, naturalmente, al rappresentante comune dei comproprietari di azioni (art. 2347, primo comma); come pure al creditore pignoratizio, all'usufruttuario – salvo, in entrambi i casi, patto contrario – ed al custode di azioni sequestrate (art. 2352, primo comma), anche in forza di sequestro penale. Effetto naturale del sequestro penale preventivo di azioni – che, a norma dell'art. 321 c.p.p., ha la funzione di prevenire il pericolo che la disponibilità di cose pertinenti al reato possa aggravarne o protrarne le conseguenze ovvero possa agevolare la commissione di ulteriori reati – è, infatti, l'attribuzione al custode giudiziario, in luogo del socio, del diritto di intervento e di voto in assemblea (Cass. I, n. 13169/2005). Né tale legittimazione esclusiva, inclusiva del potere di impugnare le deliberazioni assembleari, contrasta con gli artt. 24 e 111 Cost., nonché con gli artt. 6 e 17 della Convenzione dei diritti dell'uomo e con l'art. II-107 del Trattato che adotta la Costituzione europea, oltre che con il preambolo della Carta dei diritti dell'Unione, atteso che i vincoli derivanti dal sequestro penale preventivo trovano giustificazione nell'esigenza di tutelare interessi generali costituzionalmente rilevanti e che l'interessato dispone di adeguati mezzi di tutela impugnatoria in sede penale e, inoltre, può sempre agire in sede civile per far valere l'eventuale responsabilità del custode giudiziario (Cass. I, n. 21858/2005).

Secondo Trib. Firenze 27 aprile 2019, poiché la partecipazione all'assemblea, ai sensi dell'art. 2370 c.c., è strettamente funzionale al diritto di voto – che, in caso di usufrutto, spetta al titolare del diritto reale parziario – il socio nudo proprietario non ha neppure il diritto di intervento.

Spetta al presidente dell'assemblea l'accertamento della legittimazione dei presenti (art. 2371, primo comma), sulla base di una verifica documentale, non surrogabile, né contrastabile in virtù di conoscenze personali (Lener).

Il deposito delle azioni

Secondo la disciplina previgente alla riforma, occorreva il deposito delle azioni, e dunque l'iscrizione nel libro soci, di per sé, non bastava.

Il d.lgs. n. 6/2003 ha reso non più necessario il deposito ai fini della legittimazione all'intervento ed il libro-soci non ha più funzione legittimante – basta la serie continua di girate e non si può imporre al giratario la previa iscrizione nel libro-soci – salvo deroga su base statutaria, consentita alle società non ammesse alla gestione accentrata (con un termine per il deposito non superiore a due giorni non festivi in caso di società con azionariato diffuso). In questo caso, la violazione dell'obbligo statutario del previo deposito dovrebbe comportare l'annullabilità della delibera; così come, specularmente, l'illegittima esclusione di un socio motivata con l'omesso deposito delle azioni, se non previsto nello statuto (Trib. Roma 24 novembre 2010, in Foro it., 2011, I, 1255). L'esclusione del socio dall'assemblea dovuta ad impossibilità per il medesimo, per fatto imputabile alla società, di provvedere al deposito delle azioni presso la sede sociale, al fine di dimostrare il proprio diritto di intervento in assemblea, costituisce una violazione procedimentale che comporta l'invalidità della costituzione dell'assemblea, con conseguente invalidità della delibera impugnata (Trib. Milano 27 ottobre 2003, in Giur. it., 2004, 1226).

Il requisito statutario del deposito delle azioni può comportarne anche il blocco , qualora si ritenga che di esse non si possa effettuare il ritiro prima dell'assemblea. Benché il secondo comma parli di azioni, non vi sono ragioni per negare che il deposito possa essere previsto anche per strumenti finanziari partecipativi.

In caso di dematerializzazione delle azioni - necessaria nelle società aperte al mercato del capitale di rischio - la scritturazione contabile in un sistema di gestione accentrata, presso un depositario, equivale a girata (art. 2355, ultimo comma).

L'onere del deposito, volto ad evitare trasferimenti dell'immediata vigilia, al fine di influire sull'assemblea, equivale, di fatto, alla cd. record date, introdotto, per le s.p.a. quotate, dall'art. 83-sexies, secondo comma, T.U.F. emendato dall'art. 2, comma 7, lettera a), del d.lgs. n. 91/2012, T.U.F.: la comunicazione all'emittente, effettuata dall'intermediario, in conformità alle proprie scritture contabili, in favore del soggetto a cui spetta il diritto di voto, è effettuata dall'intermediario sulla base delle evidenze relative al termine della giornata contabile del settimo giorno di mercato aperto precedente la data fissata per l'assemblea. L'introduzione della record date per le società quotate consente, quindi, la perdurante legittimazione anche di chi non sia più titolare della partecipazione, perché l'abbia alienata dopo il settimo giorno; mentre, simmetricamente, esclude la legittimazione di colui che abbia acquistata le azioni dopo la record date. È irrilevante l'eventuale conoscenza di fatto, da parte del presidente dell'assemblea, dell'alienazione delle azioni di cui non sia stata rilasciata comunicazione dell'intermediario.

Al terzo comma è previsto l'aggiornamento del libro-soci con l'iscrizione dei soci che abbiano partecipato all'assemblea o effettuato il deposito, se previsto dallo statuto nelle società le cui azioni non sono ammesse alla gestione accentrata. Fonte di legittimazione al voto non è più comunque il libro-soci, che conserva solo finalità di trasparenza, anche fiscale degli assetti azionari, bensì la girata o la certificazione e la comunicazione dell'intermediario per i titoli dematerializzati.

La presenza virtuale in assemblea

Lo statuto può consentire l'intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione che realizzino l'interlocuzione contestuale fra gli appartenenti al collegio, pur nella virtualità della riunione (cd. riunioni sulla carta). Coerentemente, l'art. 2368 novellato non parla più di presenza in assemblea.

La riforma del 2003 ha esteso a tutte le società per azioni la facoltà di consentire, con clausola statutaria, l'espressione del voto per corrispondenza, che in precedenza l'art. 127 del T.U.F. prevedeva per le società quotate; aggiungendovi, ex novo, la possibilità di intervento all'assemblea mediante mezzi di telecomunicazione e di trasmissione del proprio voto per via elettronica. Molto dibattuto è il problema della conciliabilità delle nuove tecniche di partecipazione all'assemblea e di votazione consentite dalla riforma del 2003 con il principio collegiale. Parte della dottrina, in proposito, ha parlato di collegialità diminuita, che segnerebbe il tramonto della concezione e dell'immagine dell'assemblea come luogo ideale della composizione degli interessi in giuoco e della ponderazione (Pederzini, Intervento del socio mediante mezzi di telecomunicazione e democrazia assembleare, in Giur. comm., 2006, I, 98). Si tratta, certamente, di modalità alternative al tradizionale metodo assembleare, caratterizzato dalla simultaneità e contestualità delle espressioni di voto. In particolare, il voto per corrispondenza si palesa analogo alla consultazione scritta delle s.r.l.: con l'unica differenza che, nel primo caso, rimane la possibilità per i soci di partecipare alla riunione. Bisogna però distinguere tra svolgimento dell'assemblea in videoconferenza e possibilità di esprimere il proprio voto a distanza: senza, quindi, che neanche si realizzi la cd. presenza virtuale in assemblea. Se, infatti, nel primo caso, mediante le più recenti tecnologie, si può garantire ai soci la partecipazione al dibattito e la possibilità di votare in tempo reale contestualmente agli altri, nel diverso caso del voto a distanza viene completamente meno l'idea del confronto (Massimo, Il diritto di discussione in assemblea: poteri del presidente ed eventuale annullabilità della delibera, in Banca borsa tit. cred., 2013, 428). Il voto telematico e per corrispondenza devono, in ogni caso, consentire di identificare il votante.

Perché sia legittima, la clausola statutaria che consente lo svolgimento dell''assemblea ordinaria o straordinaria con interventi dislocati in più luoghi collegati via audio o video deve assicurare la percezione degli interventi dal segretario o notaio verbalizzante e garantire che gli intervenuti possano partecipare alla discussione ed alla votazione simultanea. La riunione si considera svolta nel luogo ove sono presenti il presidente ed il soggetto verbalizzante (cfr. massima del Consiglio notarile di Milano del 16 gennaio 2001, in Riv. not., 2001, 538). Si deve ritenere che i voti per corrispondenza valgano per il quorum costitutivo, visto che secondo la norma equivalgono all'intervento in assemblea; mentre, è dubbio se essi, qualificabili come dichiarazioni recettizie, debbano devono pervenire prima della fine dell'assemblea. Una volta iniziata la votazione, non si può riaprire la discussione.

Non è testualmente ripetuta la disposizione di cui all'art. 2538, sesto comma, secondo cui nelle assemblee delle cooperative non si computano a fini costitutivi i voti espressi per corrispondenza su proposte diverse da quelle indicate nell'avviso di convocazione. Il Regolamento di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernente la disciplina degli emittenti adottato dalla Consob con delibera n. 11971 del 14 maggio 1999, e successivi emendamenti, prevede all'art. 143 (Svolgimento dell'assemblea), terzo comma, che il titolare del diritto che ha espresso il voto può manifestare la propria volontà, per il caso di modifiche o integrazioni delle proposte di deliberazione sottoposte all'assemblea, scegliendo tra: a) la conferma del voto già espresso; b) la modifica del voto già espresso o l'esercizio del voto indicando l'astensione, il voto contrario o il voto favorevole alle proposte di deliberazione espresse da un organo amministrativo o da altro azionista; c) la revoca del voto già espresso con gli effetti previsti dall'art. 138, comma 6. In assenza di una manifestazione di volontà, si intende confermato il voto già espresso.

Sulle modalità di partecipazione all'assemblea stabilite dalla legislazione emergenziale pandemica, si veda sub art. 2368 c.c.

Il voto segreto

L'art. 147-ter, secondo comma, del Testo unico finanziario imponeva la votazione a scrutinio segreto per le cariche, ma è stato abrogato dall'art. 3, comma 13, d.lgs. n. 303/2006. A prescrivere il voto segreto è rimasto l'art. 6, settimo comma, l. n. 416/1981 per le cooperative giornalistiche. L'orientamento favorevole al voto segreto, prevalente in dottrina e minoritario in giurisprudenza, si fonda sul principio generale della libertà delle forme degli atti giuridici e, soprattutto in occasione della elezione alle cariche sociali, valorizza la libertà del voto, immune da condizionamenti esterni. Inoltre, l'art. 2368 non pone alcun limite al riguardo; prevedendo, anzi, al primo comma, che per la nomina alle cariche sociali l'atto costitutivo possa stabilire norme particolari: e, in tesi generale, la riforma è ispirata al principio sistematico per cui ciò che non è espressamente dichiarato inderogabile, è disponibile dall'autonomia statutaria.

In senso contrario, si obbietta che la trasparenza del voto è necessaria per l'applicazione di norme volte a tutelare interessi rilevanti, quali il diritto di impugnare la delibera assembleare ed eventualmente il diritto di recesso dei soci dissenzienti (Fimmanò, in Soc., 2002, 699 e segg.). Il voto segreto impedirebbe, infatti, la verifica dei dissenzienti e la percentuale di capitale da essi rappresentata ai fini dell'impugnazione ex art. 2377; come pure, la prova di resistenza per il voto espresso in conflitto di interessi (art. 2373, primo comma).

Al riguardo, l'espediente di manifestare pubblicamente il proprio dissenso, con annotazione a verbale prima del voto (ritenuto legittimo ed idoneo da Cass. I, n. 10279/1996) renderebbe, di fatto, palese anche il voto degli altri soci, interessati a mantenerlo segreto; ed inoltre imporrebbe, implicitamente, l'onere della motivazione espressa, esclusa, linea di principio, per il voto.

Bibliografia

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