Codice Civile art. 2379 - Nullità delle deliberazioni (1).Nullità delle deliberazioni (1). [I]. Nei casi di mancata convocazione dell'assemblea, di mancanza del verbale e di impossibilità o illiceità dell'oggetto la deliberazione può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse entro tre anni dalla sua iscrizione o deposito nel registro delle imprese, se la deliberazione vi è soggetta, o dalla trascrizione nel libro delle adunanze dell'assemblea, se la deliberazione non è soggetta né a iscrizione né a deposito. Possono essere impugnate senza limiti di tempo le deliberazioni che modificano l'oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili. [II]. Nei casi e nei termini previsti dal precedente comma l'invalidità può essere rilevata d'ufficio dal giudice. [III]. Ai fini di quanto previsto dal primo comma la convocazione non si considera mancante nel caso d'irregolarità dell'avviso, se questo proviene da un componente dell'organo di amministrazione o di controllo della società ed è idoneo a consentire a coloro che hanno diritto di intervenire di essere preventivamente (2) avvertiti della convocazione e della data dell'assemblea. Il verbale non si considera mancante se contiene la data della deliberazione e il suo oggetto ed è sottoscritto dal presidente dell'assemblea, o dal presidente del consiglio d'amministrazione o del consiglio di sorveglianza e dal segretario o dal notaio. [IV]. Si applicano, in quanto compatibili, il settimo e ottavo comma (3) dell'articolo 2377. (1) Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6. (2) La parola «preventivamente» è stata sostituita alla parola «tempestivamente» dall'art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6, come modificato dall'art. 5 1q) n. 1 d.lg. 6 febbraio 2004, n. 37. (3) Le parole «settimo e ottavo comma» sono state sostituite alle parole «sesto e settimo comma» dall'art. 1 d.lg. n. 6, cit., come modificato dall'art. 51q) n. 2 d.lg. n. 37, cit. InquadramentoDopo la riforma, non sarebbe più vero, secondo una parte della dottrina, che la delibera nulla sia improduttiva degli effetti corrispondenti al suo contenuto: risulterebbe quindi venuto meno il principio quod nullum est, nullum producit effectum e sarebbe pressoché cessata la differenza tra la nullità e l'annullabilità, salvo che per il novero dei soggetti legittimati all'impugnazione e per la rilevabilità d'ufficio del vizio, oltre che per il termine di decadenza dell'azione relativa. Nel diritto previgente si era dato spazio alla nozione concettualistica di inesistenza, su cui la riforma sembra aver posto una pietra tombale, perché ritenuta superflua alla luce della riserva di legge sull'invalidità della delibera, oltre che categoria elastica, dagli incerti contorni, priva di ancoraggio normativo, da cui derivava un'espansione dell'ipotesi di invalidità radicale, fino alla nullità virtuale ex art. 1418, oltre i casi tassativi previsti dall'art. 2379; e talvolta, applicata perfino ad ipotesi di violazione di norme procedimentali, al fine di escluderne la sanatoria. Al riguardo, spiega la Relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 6/2003, al paragrafo 5: “I casi tassativi di nullità delle deliberazioni assembleari sono stati accresciuti, anche al fine di confermare la superfluità della pronunzia di inesistenza”. In precedenza, si sosteneva, ad es., l'inesistenza della delibera assunta in un'assemblea non preceduta da convocazione o non documentata con verbale (Cass. I, n. 18845/2016). La si negava, per contro, in caso di non corretta modalità di computo delle maggioranze occorrenti ai fini del quorum deliberativo, trattandosi di una deliberazione assunta dai soci con la proclamazione del risultato; e dunque, atto giuridico certamente venuto ad esistenza: laddove, la conseguenza dell'inesistenza sarebbe stata contraria alle fondamentali esigenze di certezza e di affidamento che ispirano la disciplina degli art. 2377 e segg. (Cass. I, n. 1361/2011). Il sistema chiuso delle cause di nullità incentivava l'ampliamento della nozione di inesistenza, a livello giurisprudenziale. La sua eliminazione si accompagna al distacco dalla disciplina dell'invalidità del negozio giuridico – visto che le delibere non hanno natura negoziale, ma chiudono una sequenza procedimentale – ed all'accentuazione dell'autonomia del diritto societario: non vi è più alcun riferimento agli artt. 1421,1422 e 1423, nonostante la perdurante forza evocativa di concetti radicati, come nullità e annullabilità. Pertanto, anche se qualche autore opina, ancora dopo la riforma, la configurabilità della categoria dell'inesistenza, perché al legislatore non sarebbe dato incidere sulle condizioni dell'“essere”, ma solo su quelle del “dover essere”, essa appare ormai confinata al caso di scuola dell'assenza materiale della deliberazione. In senso contrario, si è di recente affermato che, sebbene la categoria dell'inesistenza giuridica appaia espunta dalla disciplina introdotta con la legge di riforma societaria, essa deve ravvisarsi in ipotesi-limite, come la delibera assembleare assunta con la sola partecipazione di soggetti privi della qualità di socio (Cass. I, n. 26199/2021). Le cause di nullità delle delibereLa giurisprudenza prima della riforma aveva identificato la nullità delle deliberazioni nella contrarietà ad un interesse generale, tale da trascendere quello del singolo socio, e l'annullabilità nella contrarietà ad un interesse individuale, pur se tutelato da norme cogenti (Cass. I, n. 26842/2008, che su tale premessa dommatica ha ritenuto l'annullabilità, e non la nullità, di una delibera lesiva del diritto di opzione). In quest'ottica, anche la mancata redazione del verbale di un'assemblea straordinaria da parte di un notaio, come prescritto dall'art. 2375, secondo comma, non comporta impossibilità o illiceità dell'oggetto, causa di nullità della delibera, bensì solo vizio che ne importa l'annullabilità (Cass. I, n. 8222/2007). Delle nullità tipiche previste dal testo vigente, due sono attinenti al contenuto – l'impossibilità e l'illiceità dell'oggetto – e due alla correttezza procedurale – la mancata convocazione e la mancata verbalizzazione. In tesi generale, l'illiceità rilevante ex art. 2379 consiste nella contrarietà a norme poste a tutela dell'interesse generale. Al pari dell'impossibilità, riguarda, di norma, l'oggetto concreto della deliberazione (ad es., un bilancio falso); in contrapposizione all'oggetto astratto, che può essere del tutto lecito, ed anzi doveroso (approvazione del bilancio). Proprio in tema di bilancio si è assistito ad una evoluzione giurisprudenziale nettissima che ha portato, nel tempo, a ritenere causa di illiceità della delibera assembleare con cui esso è stato approvato non solo la falsità oggettiva che determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell'esercizio e quello di cui bilancio dà contezza, ma anche la violazione dei doveri strumentali di chiarezza e precisione dettati dall'art. 2423, comma 2, nei casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati, ivi compresa la relazione, non sia possibile desumere l'intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte (Cass. I, n. 4120/2016). Ne consegue che l'interesse del socio ad impugnare la delibera di approvazione del bilancio deve essere valutato sulla base della prospettazione della domanda, che può limitarsi a lamentare la mancanza di una corretta informazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società, senza dedurre alcun danno economico (Cass. I, n. 21238/2021). Nella giurisprudenza più recente, un'ipotesi di nullità del bilancio è stata ravvisata nell'iscrizione come finanziamento dei soci – come tale, ripetibile – anziché come riserva, dell'erogazione di somme di denaro “in conto futuro aumento di capitale” (Cass. VI-I, n. 34503/2021; Cass. I, n. 29325/2020). La natura speciale della disciplina di cui all'art. 2379 ne impedisce l'estensione alle ulteriori cause di nullità elencate nell'art. 1418 – ed in particolare, all'illiceità del motivo, pur se comune ai votanti in favore – teoricamente richiamabili facendo leva sull'art. 1324, ritenuta la natura unilaterale delle delibere. Di scarso rilievo pratico si palesa, invece, il vizio dipendente da impossibilità, relegato ad ipotesi marginali d'improbabile avveramento: come ad es., la nomina ad amministratore di una persona defunta, o il trasferimento della sede in uno stato estero non più esistente. Nella sua linea politica di sostanziale attenuazione del regime delle invalidità, il legislatore ha aggiunto due ipotesi di nullità che prima erano considerate talvolta cause di inesistenza: la mancanza di convocazione e l'omissione del verbale; per di più, ponendo limiti alla loro configurabilità (art. 2379, terzo comma). Sono state così rimodellate talune fattispecie concrete di controverso inquadramento, con un contributo innegabile alla chiarezza, pagato però con una tecnica casistica troppo analitica, se confrontata con l'enunciazione stringata del testo previgente. Così, è ora annullabile la delibera assunta in un'assemblea convocata da uno solo degli amministratori. Il decreto correttivo n. 37/2004, inoltre, ha precisato che non si considera omessa la convocazione – e quindi nulla, la conseguente delibera – se l'avviso è idoneo a consentire “preventivamente” (nella prima stesura si diceva “tempestivamente”) l'intervento. Tale il caso di avviso irregolare di convocazione che sia comunque idoneo ad avvertire del luogo e della data dell'assemblea, pur senza il rispetto del termine dilatorio; mentre, è dubbio se la mancanza di un ordine del giorno sufficientemente analitico sia assimilabile ad un'omessa convocazione e determini quindi la nullità della conseguente delibera. In ogni caso, resta sanato ogni vizio di convocazione per effetto della partecipazione totalitaria (art. 2366, quarto comma). Un ulteriore esempio del metodo analitico di normazione in materia è rappresentato, al terzo comma, dalla disciplina del contenuto minimo del verbale, che deve includere data e oggetto della delibera e sottoscrizione dei soggetti ivi indicati. Secondo l'attuale disciplina, improntata al principio del raggiungimento dello scopo, la mancanza del verbale produce la nullità della deliberazione, mentre la sua incompletezza ne determina l'annullabilità. Il terzo comma precisa altresì che la sottoscrizione del verbale da parte del presidente del consiglio di amministrazione e da parte del presidente del consiglio di sorveglianza (ma non da parte dell'amministratore unico; e neppure del presidente del collegio sindacale, nel sistema tradizionale; o del presidente del consiglio di gestione nel sistema dualistico; o ancora, del presidente del comitato per il controllo sulla gestione, nel sistema monistico) è equipollente a quella del presidente dell'assemblea. Non appare plausibile, al riguardo, l'opinione che ravvisa, nell'evenienza di una delle predette sottoscrizioni sostitutive, un vizio di annullabilità (anche se non più di nullità) della delibera, verbalizzata senza la firma del presidente dell'assemblea. Integra un vizio di annullabilità, e non di nullità, di una deliberazione di aumento del capitale sociale la violazione del diritto di opzione, lesiva solo dell'interesse individuale dei soci (Cass. n. 2670/2020). La legittimazione attivaLa legittimazione all'impugnazione della delibera per nullità spetta a chiunque vi abbia interesse, secondo la formula testuale novellata del primo comma, che ha preso il posto del richiamo all'art. 1421 c.c. (ma l'emendamento, pur sintomatico della tendenziale autonomia ed autosufficienza dell'art. 2379, appare, in parte qua, solo formale, e non di sostanza). L'ampiezza della previsione ricomprende non solo i soggetti legittimati all'azione di annullamento elencati nell'art. 2377, e cioè i soci assenti, dissenzienti od astenuti – incluso chi, avendo perso la qualità di socio per effetto della deliberazione, intenda rimuoverne gli effetti illegittimamente prodotti, così ripristinando la suddetta qualità (Cass. I, n. 18845/2016) – nonché gli amministratori, il consiglio di sorveglianza nel sistema dualistico ed il collegio sindacale, ma anche i terzi, estranei alla compagine sociale; e perfino i soci che abbiano votato a favore: dato che il divieto di dedurre la nullità a chi vi abbia dato causa ha solo portata processuale, ex art. 157 c.p.c. (principio più volte affermato in tema di impugnazione di delibere condominiali, ma da intendersi di portata generale: Cass. II, n. 5814/2016; Cass. II, n. 5626/2002; Cass. II, n. 14037/1999). In ipotesi di esclusione del socio dall'assemblea, si è affermata la sua legittimazione ad agire, pur se il suo voto sia ininfluente per il raggiungimento del quorum deliberativo, non applicandosi la cosiddetta prova di resistenza (Trib. Milano 22 aprile 2021, in Soc., 2022, 433, con nota di Bartalena). Sempre ai fini della legittimazione ad agire, la Corte d'appello di Milano, con sentenza 22 febbraio 2021 n. 586, ha ritenuto che l'impugnazione di una deliberazione di approvazione del bilancio spetti a chiunque possa subire un concreto pregiudizio per effetto della inesattezza o incompletezza dei dati ivi appostati. Ancora in tema di legittimazione ad impugnare per nullità, ex art. 2379 c.c., la delibera di approvazione del bilancio, la Suprema corte l'ha riconosciuta al socio-amministratore che abbia contribuito a redigere il bilancio, tenuto conto che distinte sono le funzioni del socio e dell'amministratore: onde, egli può esprimere due diverse valutazioni, senza violare il divieto di venire contra factum proprium (Cass. I, n. 29325/2020). Escluso il litisconsorzio necessario nei giudizi di impugnazione delle deliberazioni assembleari, la nullità dichiarata di una deliberazione assembleare ha effetto nei confronti di tutti i soci – cui va riconosciuta la legittimazione disgiuntiva ad agire – quale eccezione alla regola dei limiti soggettivi del giudicato (art. 2909 c.c.). Questo principio, però, è valido secundum eventum litis, e cioè, solo in caso di accoglimento della domanda, che consuma l'interesse ad agire degli altri soci non partecipi del giudizio; mentre, ove l'impugnazione sia rigettata, tale evenienza non si verifica, e gli altri soci potranno ancora procedere all'impugnazione, se non ne siano decaduti (Cass. I, n. 29325/2020). Sotto il profilo della rappresentanza in giudizio della s.p.a. legittimata passiva nelle impugnazioni di delibere dell'assemblea, è indirizzo incontrastato che non ricorrono i presupposti per la nomina di un curatore speciale della società, per conflitto di interessi: neppure quando il processo abbia ad oggetto argomenti, come l'approvazione del bilancio o la determinazione del compenso, o la nomina o revoca dell'amministratore, che riguardino direttamente quest'ultimo. La nomina del curatore speciale è invece necessaria quando la posizione degli amministratori sia ontologicamente contrapposta a quella della società: come nell'azione di responsabilità esercitata dai soci di minoranza o dai creditori, in cui il conflitto di interessi degli amministratori è immanente (Cass. VI-I, n. 38883/2021, in Foro It., 2022, 1, 1085). Il termine per l'azioneInnovazione davvero radicale si palesa il superamento della tradizionale proponibilità sine die dell'azione di nullità (art. 1422 espressamente richiamato dall'art. 2379 previgente), con l'introduzione di un termine generale di tre anni per impugnare le delibere nulle per mancata convocazione, omessa verbalizzazione, impossibilità o illiceità dell'oggetto (cui si aggiungono termini speciali per ipotesi particolari di nullità, previsti in altre norme): termine, decorrente dall'iscrizione o dal deposito della delibera nel registro delle imprese, o dalla trascrizione nel libro delle adunanze dell'assemblea, se tale pubblicità non sia prevista. Delle delibere non soggette a pubblicità, i terzi non sono però in grado di conoscere il contenuto, non avendo diritto di accesso ai libri sociali. Nel silenzio della norma, il termine sembra essere di decadenza, e per di più indisponibile (art. 2969); e non di prescrizione, visto che ad esso è pure soggetta la rilevabilità d'ufficio (art. 2379, secondo comma). Riguardo a quest'ultimo aspetto, emerge l'eterogeneità tra un termine preclusivo applicabile, come d'ordinario, ad un atto formale di introduzione del giudizio, posto in essere dalla parte onerata del suo rispetto, ed il termine di rilevazione officiosa, dipendente, invece, da accadimenti processuali, anche del tutto occasionali: come l'emersione, più o meno sollecita, della questione di validità della delibera, in udienza (che può essere dilazionata da rinvii). Dalla configurazione decadenziale del termine, preclusiva di un concorrente termine di prescrizione, discende l'inammissibilità di cause di interruzione o sospensione (art. 2964). La sua introduzione ha molto attenuato la differenza tra nullità e annullabilità, rendendo la prima una sorta di annullabilità rinforzata. Residuano tuttora profili di distinzione, nella rilevabilità d'ufficio della nullità – per vizio non dedotto, o diverso da quello dedotto dalla parte, purché emergente dagli atti (Cass. I, n. 8795/2016) – e nell'impugnabilità sine die della delibera che introduca nello statuto un'attività impossibile o illecita, stante il carattere continuativo di queste ultime. È comunque indubbio che l'unità dogmatica e concettuale è ormai un ricordo e la nullità della delibera è diversa dall'archetipo tradizionale della nullità contrattuale, connotato dai caratteri dell'imprescrittibilità, inefficacia assoluta ed insanabilità; risultando, piuttosto, simile all'annullabilità di cui all'art. 2377, di cui finisce per essere una variabile, salvo l'ampia legittimazione attiva ed il più lungo termine di decadenza. L'esistenza del termine per l'esercizio dell'azione pone il delicato problema dell'eventuale efficacia interinale della delibera nulla: in contrasto con il principio tradizionale di inefficacia assoluta (quod nullum est, nullum producit effectum), che peraltro non è una necessità logica, bensì il portato di una scelta di diritto positivo. E del resto, nel sottosistema societario l'irretroattività è la regola (principio desumibile dall'art. 2332, secondo comma, in tema di nullità della società). Al riguardo, una parte della dottrina ritiene che la delibera nulla sia originariamente inefficace e diventi poi retroattivamente efficace grazie ad un elemento integrativo della fattispecie, quale il decorso del termine triennale; che, a questa stregua, non integrerebbe solo una preclusione processuale, ma rifletterebbe effetti sananti sull'originaria invalidità: scaduto il termine, non si potrebbe più accertare la nullità della deliberazione, nemmeno in ordine al periodo infratriennale (Centonze, 318 e segg). Altra dottrina ritiene invece poco plausibile che la delibera nulla diventi efficace solo una volta decorso il termine triennale di impugnazione. Si adduce che anche nel diritto delle obbligazioni vi sono esempi, sia pure eccezionali, di efficacia di un atto nullo: come nel caso di nullità non retroattiva del contratto di lavoro subordinato eseguito, salvo il caso dell'illiceità (art. 2126). Tesi, portata all'estremo da chi attribuisce efficacia costitutiva alla sentenza di nullità, argomentata sulla base della giurisprudenza ammissiva della sospensione della delibera nulla, ex art. 2378 (Santosuosso, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, 127). In senso contrario, l'opinione tradizionale che ritiene che la sospensione eviti solo l'esecuzione, in via di fatto. Si è pure sostenuto che, dopo il triennio sarebbe sempre applicabile la regola temporalia ad agendum, perpetua ad excipiendum: regola, che appare peraltro disarmonica con la natura decadenziale, e non di prescrizione, del termine; oltre a non essere applicabile, nel diritto contrattuale, ad ipotesi di nullità (come rileva Salafia, L'arbitrato societario: contrasti interpretativi, in Soc., 2011, 465: per il quale, il principio enunciato dall'art. 1442, ultimo comma, in tema di annullabilità dei negozi, non esiste in materia societaria). Neppure la decadenza speciale di cui all'art. 2379, per l'aumento o la diminuzione del capitale, o per l'emissione di obbligazioni di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, produrrebbe la sanatoria, ma solo il mantenimento degli atti che siano dipendenti dalle delibere nulle). Termini preclusivi speciali sono previsti per l'invalidità del bilancio, in coincidenza con l'approvazione del bilancio dell'esercizio successivo (art. 2434-bis, primo comma) e per la nullità delle operazioni sul capitale e dell'emissione di obbligazioni (art. 2379-ter). In ogni caso, il consolidamento delle delibere nulle, decorso il termine di decadenza per impugnarle, non può riguardare quelle che incidano direttamente su diritti soggettivi di soci o di terzi. Sospensione e sostituzione della delibera nullaAlla delibera nulla è ritenuta estensivamente applicabile la misura cautelare della sospensione, dettata per le delibere annullabili dall'art. 2378, terzo e quarto comma (Trib. Napoli 14 maggio 2014, in Not., 2014, 546, con nota di Occorsio; Trib. Verona 25 settembre 1995, in Soc., 1996, 539, con nota di Schirò. Con riferimento alla nullità di bilancio: Trib. Biella 16 novembre 1999, in Giur. comm., 2001, 2, 385, con nota di Pinna): il che porta ad estenderne la legittimazione anche ai terzi. La norma in esame contiene all'ultimo comma il richiamo all'art. 2377, settimo e ottavo comma, entro i limiti di compatibilità. Ciò comporta, innanzitutto, la doverosità di provvedimenti consequenziali all'accertamento giudiziale dell'invalidità. Per lo più, occorrerà la convocazione dell'assemblea per approvare una nuova delibera in luogo di quella dichiarata nulla; oltre che, eventualmente, anche di quelle successive da essa dipendenti, in base al principio di diffusività dei vizi (che riecheggia il fenomeno del collegamento negoziale). E così, la nullità di un bilancio viziato da una posta falsa, si estenderà alla conseguente delibera di ricostituzione del capitale, che trova nella prima il necessario presupposto logico e giuridico (Trib. Cagliari 13 ottobre 2010, in Riv. giur. sarda, 2012, 1, 45, con nota di Ciusa). All'opposto, nelle delibere per le quali viga il principio di continuità – quali, tipicamente quelle di approvazione del bilancio – è inammissibile per difetto di interesse la domanda di nullità qualora i bilanci relativi agli esercizi successivi siano divenuti irretrattabili, a seguito dell'intervenuto passaggio in giudicato delle sentenze di rigetto di (analoga) impugnativa proposta avverso questi ultimi (App. Milano 5 marzo 2015, in Soc., 2016, 31, con nota di Fainelli). In realtà, è talvolta impossibile la reversibilità degli effetti di delibere invalidate, e comunque tardiva. La Legge delega 3 ottobre 2001 n. 366 conteneva un'apertura a reazioni diverse dall'invalidità: potenzialità, non sfruttata appieno dal legislatore delegato, che ha conservato la dicotomia tradizionale nullità-annullabilità ed il sistema impugnatorio, anche se affiancato da quello risarcitorio. Per effetto dell'ulteriore richiamo all'art. 2377, ottavo comma, le delibere nulle sono sostituibili (in passato, la questione era controversa) prima dell'accertamento giudiziale: con l'effetto di rendere improcedibile la domanda, salvo il regolamento delle spese di giudizio e l'eventuale condanna al risarcimento del danno. La suddetta relatio non si estende anche al nono comma dell'art. 2377 ed è altresì espressamente subordinata al limite di compatibilità. Si può ritenere, con un'interpretazione di tipo teleologico, che essa consenta, comunque, la salvezza dei diritti di terzi in buona fede in caso di delibera nulla per vizio procedimentale – che peraltro già la giurisprudenza anteriore alla riforma aveva ricavato per analogia (Cass. I, n. 2530/1970) – e non, invece, in caso di illiceità (non è neppure ipotizzabile, invece, un diritto acquistato in base a delibera affetta da impossibilità dell'oggetto): interpretazione, volta a tutelare gli aventi causa dalla delibera nulla sostituita (come previsto per le delibere annullabili, ex art. 2377, nono comma), la cui situazione verrebbe ad essere, altrimenti, deteriore rispetto agli aventi causa da delibera dichiarata giudizialmente nulla (sulla base del richiamato art. 2377, settimo comma), senza una plausibile ratio discretiva. La responsabilità da delibera invalidaIl rifiuto degli amministratori di porre in esecuzione delibere nulle è doveroso e non può quindi essere causa di revoca per giusta causa, e tanto meno di responsabilità (art. 2392). Specularmente, sulla scorta della Relazione ministeriale, si è giustificata la legittimazione attiva degli amministratori, sindaci e consiglieri di sorveglianza con l'interesse a non incorrere in responsabilità personale. Prima della riforma, si riteneva, per lo più, giustificata l'inerzia degli amministratori, visto che l'impugnazione di un atto nullo, radicalmente inefficace, era superflua. La nuova disciplina, caratterizzata da un termine di decadenza, sembra imporre agli amministratori – la cui legittimazione deve ritenersi collegiale – il potere-dovere di attivarsi per rimuovere tempestivamente la delibera nulla. In senso contrario, parte della dottrina configura un onere, e non un obbligo, degli amministratori; e lo subordina all'attitudine della deliberazione a ledere l'interesse sociale: opinione, che finisce col distinguere tra il dovere incondizionato di non eseguire la delibera nulla ed il dovere condizionato di impugnarla e che trae argomento dal rilievo che neppure la rilevabilità d'ufficio della nullità del contratto impone alle parti di agire in giudizio per l'accertamento del vizio. Il che sembra introdurre quel concetto ambiguo di interesse alla legalità, che viene negato in capo ai soci, ai fini della legittimazione attiva; oltre a trascurare il fatto che in una deliberazione societaria, a differenza di quanto accade, di norma, in un contratto, entrano in giuoco anche interessi superindividuali ed extrasociali. L'esercizio dell'azione giudiziale rappresenta, di norma, l'extrema ratio, cui ricorrere solo quando risulti infruttuoso il ricorso al rimedio alternativo della riconvocazione dell'assemblea al fine di autoannullare o revocare la delibera. Gli amministratori dovrebbero dunque attivarsi per eliminare la causa di nullità della delibera ed in ogni caso investire della scelta l'assemblea, con una condotta conforme al loro dovere di fedeltà; senza restare dunque inerti, o peggio eseguire la delibera nulla, come se fosse valida: rispondendone, in tal caso, verso la società, ai sensi dell'art. 2392. In senso contrario, si obbietta che se i soci, oltre ad approvare la delibera, non l'hanno neppure impugnata successivamente, non potrebbero ritenerne responsabili gli amministratori, in base al principio nemo potest venire contra factum proprium (Cass. n. 6278/1990: che, rispetto ai comportamenti dell'amministratore di società di capitali che si conformino e diano esecuzione ad un espresso mandato assembleare, ne afferma la responsabilità risarcitoria ai sensi dell'art. 2392 c.c., solo in presenza di nullità della delibera, quale fatto ostativo all'insorgere del potere-dovere di darle attuazione; non anche in presenza della mera annullabilità, non incidendo questa sulla efficacia delle determinazioni societarie e sul loro carattere vincolante per l'organo di gestione, fino a quando non siano rimosse con pronuncia di accoglimento dell'impugnazione proposta a norma dell'art. 2377 c.c.). L'eventuale liberazione da responsabilità degli amministratori che abbiano eseguito la delibera dannosa prima del suo consolidamento dipende, in ultima analisi, dalla qualificazione, processuale o sostanziale (di sanatoria), che si attribuisca agli effetti del decorso del termine triennale di decadenza. Un'ipotesi legale di obbligo di amministratori e sindaci di impugnare la delibera assunta con il voto determinante dei soci che avessero omesso di inviare alla Banca d'Italia ed alla stessa società i protocolli di autonomia e le informazioni sulla composizione del gruppo di appartenenza era espressamente sancito dall'art. 5, decimo comma, d.lgs. n. 84/1992 per le SICAV e dall'art. 4, primo comma, della l. n. 1/91, riguardante le SIM; ma entrambe le leggi sono state abrogate. L'arbitrato nelle impugnazioni per nullitàNon è univoca la giurisprudenza in tema di ammissibilità del ricorso all'arbitrato per l'impugnazione di delibere per nullità. A fronte di aperture in relazione a diritti disponibili (Cass. VI, n. 15890/2012, in fattispecie di omessa convocazione), prevale, per contro, la tesi negativa allorché la violazione di norme imperative allegata comporti la lesione di interessi superindividuali. In applicazione del principio si è ritenuta non compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l'impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione, nonostante la previsione di termini di decadenza dall'impugnazione, con conseguente sanatoria della nullità: giacché le norme dirette a garantire tali principi non solo sono imperative, ma, essendo dettate, oltre che a tutela dell'interesse di ciascun socio ad essere informato dell'andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell'affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto - i quali hanno diritto a conoscere la situazione patrimoniale e finanziaria dell'ente - trascendono l'interesse del singolo ed attengono, pertanto, a diritti indisponibili (orientamento di origine risalente: Cass. n. 2910/1962; di recente, Cass. VI, n. 20674/2016). E ciò, anche se la riforma di cui al d.lgs. n. 6/2003 agli art. 2434-bis e 2379 c.c. ha previsto termini di decadenza per l'impugnazione delle delibere nulle (Cass. VI, n. 13031/2014; in senso conforme, la prevalente giurisprudenza di merito: Trib. Napoli, 11 dicembre 2014, in Soc., 2015, 1353, con nota di Balzarini; Trib. Milano 10 dicembre 2010, in Foro it., 2012, 1, 283. Reputa escluso l'arbitrato soltanto nel caso in cui si controverta della validità di una delibera che abbia modificato l'oggetto sociale, prevedendo l'esercizio di un'attività illecita o impossibile, essendo questa l'unica ipotesi, nel sistema novellato dalla riforma organica del diritto societario, in cui l'azione di impugnativa è considerata imprescrittibile Trib. Napoli 9 giugno 2010, in Giur. comm., 2012, II, 220, con nota di Serra). Analoga opinione negativa esprime parte della dottrina (Jaeger, Appunti sull'arbitrato e le società commerciali, in Giur. comm., 1990, 1, 222). Non mancano però pronunce permissive, sul rilievo che la previsione, nella disciplina societaria, di una generale sanatoria delle nullità (eccettuate le delibere che modifichino l'oggetto sociale prevedendo attività impossibili o illecite, quale, ad es., l'usura) impedisce di affermare che la materia sia, di per sé, indisponibile (Trib. Milano 10 maggio 2013, in Soc., 2014, 341, con nota di Capelli; Trib. Modena 11 gennaio 2012, in Giur. it., 2013, 1355, con nota di Dalmotto: che trae argomento dal termine preclusivo di cui all'art. 2434-bis c.c. per ritenere consentito l'arbitrato in tema di delibera di approvazione del bilancio, anche ove se ne contesti la violazione delle norme a presidio della verità, chiarezza e precisione del bilancio; Trib. Napoli 9 giugno 2010, in Giur. comm., 2012, 2, 220, con nota di Serra). Talvolta, la soluzione è fatta dipendere dalla natura sostanziale o procedimentale del vizio che infirma la delibera, con conseguente compromettibilità, in quest'ultimo caso, purché il requisito procedimentale non sia indispensabile per la formazione stessa della delibera (Cass. I, n. 1148/2004, in un'ipotesi di omessa convocazione di un socio, in Soc., 2004, 713, con nota di Ferrari). BibliografiaCentonze, La delibera nulla: nuove tendenze interpretative e profili di disciplina, in Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, Torino, 2007, II, 311; Centonze, Sub art. 2379, in Commentario del codice civile diretto da E. Gabrielli, Torino, 2015; Chiappetta, Sub art. 2379, in Commentario alla riforma delle società diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2008; Cian, Sub art. 2379, in Commentario breve al codice civile, Milano-Padova, 2016; Fanti, I mutevoli connotati dell’interesse all’impugnazione di una delibera di approvazione di bilancio nulla, in Soc., 2019, 827; Ferri, Le impugnazioni di delibere assembleari. Profili processuali, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2005, 51-bis; Grippo, L’assemblea nella società per azioni, in Trattato di diritto privato, Torino 1985, XVI, 357, 423; Guerrieri, Sub art. 2379, in Commentario breve al Diritto delle società diretto da A. Maffei Alberti, Padova-Milano, 2017; Guerrieri, La nullità delle deliberazioni assembleari di S.p.A.: la fattispecie, in Giur. comm., 2005, 1, 58; Manente, L’interesse del socio all’impugnazione per nullità della delibera di approvazione del bilancio d’esercizio (in un caso di mancata rilevazione contabile dei finanziamenti “anomali” ex articolo 2467 codice civile), in Soc., 2020, 1388; Salafia, L’invalidità delle deliberazioni assembleari nella riforma societaria, in Soc., 2003, 1177; Silvetti, Sub art. 2379, in Codice commentato delle nuove società, a cura di Bonfante, Corapi, Marziale, Rordorf, Salafia, Milano, 2004; Stagno d’Alcontres, L’invalidità delle deliberazioni dell’assemblea di s.p.a. La nuova disciplina, in Liber amicorum Gian Franco Campobasso, II, 169, 199; Villata, Il rilievo d’ufficio della nullità delle deliberazioni assembleari, in Soc., 2021, 1111. |