Codice Civile art. 2379 ter - Invalidità delle deliberazioni di aumento o di riduzione del capitale e della emissione di obbligazioni (1).

Renato Bernabai

Invalidità delle deliberazioni di aumento o di riduzione del capitale e della emissione di obbligazioni (1).

[I]. Nei casi previsti dall'articolo 2379 l'impugnativa dell'aumento di capitale, della riduzione del capitale ai sensi dell'articolo 2445 o della emissione di obbligazioni non può essere proposta dopo che siano trascorsi centottanta giorni dall'iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese o, nel caso di mancata convocazione, novanta giorni dall'approvazione del bilancio dell'esercizio nel corso del quale la deliberazione è stata anche parzialmente eseguita.

[II]. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio l'invalidità della deliberazione di aumento del capitale non può essere pronunciata dopo che a norma dell'articolo 2444 sia stata iscritta nel registro delle imprese l'attestazione che l'aumento è stato anche parzialmente eseguito; l'invalidità della deliberazione di riduzione del capitale ai sensi dell'articolo 2445 o della deliberazione di emissione delle obbligazioni non può essere pronunciata dopo che la deliberazione sia stata anche parzialmente eseguita.

[III]. Resta salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci e ai terzi.

(1) Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6.

Inquadramento

Ai sensi dell'art. 2379-ter c.c., l'azione di nullità della deliberazione di aumento o di riduzione del capitale ex art. 2445 – per esuberanza, si sarebbe detto prima della riforma – e di emissione di un prestito obbligazionario è soggetta a termini speciali di decadenza, diversificati a seconda che si tratti di società cd. chiuse, o di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

Per le prime il termine è di 180 giorni dall'iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese. La specifica nullità da mancata convocazione è invece deducibile entro un termine speciale di grazia di 90 giorni dall'approvazione del bilancio dell'esercizio in cui si dà atto dell'esecuzione, anche parziale, della delibera.

Resta valido, peraltro, il termine generale di 90 giorni per l'azione di annullamento.

L'arretramento della tutela reale è frutto di una politica del diritto che ha visto il suo primo esempio negli artt. 2504-quater (fusione) e 2504-ter c.c. (scissione) – già 2504-novies – introdotti dal d.lgs. n. 22/1991.

La ratio di limiti temporali particolarmente contratti è l'esigenza di certezza e stabilità di operazioni di vitale importanza per la vita della società, praticamente irreversibili, o di difficile e costosa reversibilità, una volta eseguite; oltre che di garantire una particolare tutela dell'affidamento dei terzi su modifiche del capitale di rischio e obbligazionario, in linea con una tendenza generale, riscontrabile anche in altri ordinamenti – come ad es., in Germania (Gesetz zur Unternehmensintegritaet und Modernisierung des Anfechtungsrecht - UMAG del 22 settembre 2005) – e giustificata dal fatto che si verte pur sempre in tema di interessi solo patrimoniali ed altresì dalla fungibilità della tutela reale con quella obbligatoria, favorita mediante trasformazione delle regole di validità in regole di comportamento.

La restrizione dei termini, generali e speciali, di impugnazione delle delibere per nullità delinea un sottosistema societario in cui risulta molto attenuata la distinzione tra nullità e annullabilità . Alla base di tale indirizzo vi è il general principle of majority rule: ciò che è deciso dalla maggioranza è deciso bene e non può essere rimesso in discussione dalla minoranza, se non in casi eccezionali.

Nel novero delle regole protettive dettate dall'articolo in esame il legislatore non ha ricompreso la deliberazione di scioglimento anticipato, né la revoca della liquidazione, né la riduzione del capitale per perdite ex art. 2446 (Trib. Cagliari 13 ottobre 2010, in Riv. giur. sarda, 2012, I, 45, con nota di Ciusa: sulla base della specialità, rispetto all'art. 2379, dell'art. 2379-ter, che richiama la sola riduzione del capitale ex art. 2445); mentre, dovrebbe rientrarvi la ricapitalizzazione ex art. 2447, pur quando fondata su perdite inesistenti: inclusione che, quanto meno nelle società che fanno ricorso al capitale di rischio – ove il termine di decadenza decorre già dall'iscrizione dell'esecuzione parziale dell'aumento, tramite sottoscrizioni che potrebbero avvenire nella stessa assemblea – infligge un colpo alla tutela delle minoranze contro la pratica dell'emarginazione frodolenta (cd. squeezing out).

In questo senso si è espressa Cass. I, n. 214932/2016, secondo cui l'azione intesa a far dichiarare la nullità della delibera di aumento del capitale, in conseguenza della nullità della delibera di riduzione del capitale per perdite (nella specie, dichiarata con statuizione coperta da giudicato interno), resta soggetta alla decadenza di cui all'art. 2379-ter, comma 1, c.c., non incidendo sul regime di proponibilità della domanda la natura derivata della nullità.

Nel silenzio della norma, residuano zone d'ombra circa l'ambito di applicazione del termine: se sembra fondata l'esclusione dell'aumento gratuito del capitale – perché non vi è una vera esecuzione della delibera ed inoltre il secondo comma prevede come dies a quo l'iscrizione dell'attestazione dell'esecuzione, possibile solo negli aumenti onerosi – maggiori dubbi permangono in ordine all'emissione di strumenti partecipativi.

Secondo Trib. Campobasso 18 aprile 2009 (in Soc., 2009, 881, con nota di La Porta), la deliberazione di aumento del capitale sociale a pagamento, adottata in presenza di sequestro giudiziario civile e concorrente sequestro penale di partecipazioni sociali, è nulla, per illiceità dell'oggetto, in quanto operazione che modifica il contratto sociale e produce un'alterazione delle quote di partecipazione dei soci, con l'effetto di annacquare quelle di chi non lo sottoscrive; essa non è ammissibile quando incide su quote di partecipazione sociale sequestrate, determinandone, in contrasto con le finalità di preservazione cui tende il vincolo di intangibilità assicurato dalla misura cautelare reale, il deprezzamento, lo svuotamento economico e la manomissione della sua identità. La legittimazione ad impugnarla va riconosciuta, ai sensi dell'art. 2479-ter c.c., al custode giudiziario nominato ai sensi degli artt. 670 seg. c.p.c., anche in presenza di custode penale nominato ai sensi dell'art. 321 seg. c.p.p. con riguardo al sequestro della medesima partecipazione sociale.

Riguardo alla sospensione cautelare, essenziale ai fini dell'effettività della tutela reale in fattispecie connotate da termini ristretti di decadenza, si deve peraltro ritenere che il periculum in mora non possa consistere nella sola impossibilità di impugnare successivamente la deliberazione.

La sospensione sarà inammissibile, com'è ovvio, in caso di delibera non più impugnabile per preclusione.

I termini speciali per l'azione di nullità nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio

Per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio il termine di preclusione per far valere l'invalidità della deliberazione di aumento del capitale decorre dall'iscrizione nel registro delle imprese dell'attestazione che l'aumento di capitale è stato anche parzialmente eseguito (art. 2444 c.c.).

Nell'ipotesi di aumento inscindibile di capitale, prevale l'opinione negativa sulla preclusione da esecuzione parziale, ritenendosi le singole sottoscrizioni sottoposte alla condizione sospensiva dell'integrale sottoscrizione dell'aumento.

In realtà, già la dizione letterale della norma depone in tal senso: la disposizione di cui all'art. 2444 prevede, infatti, come ipotesi ordinaria, l'iscrizione nel registro delle imprese dell'attestazione che l'aumento del capitale è stato eseguito (interamente). L'unico caso in cui si possa pensare all'iscrizione di un aumento solo parzialmente sottoscritto è appunto quella di una espressa previsione di scindibilità dell'aumento, contenuta nella delibera (art. 2439, secondo comma).

Secondo Trib. Catania, 9 aprile 2015 (in Giur. comm., 2016, II, 387, con nota di Fichera) l'esclusione contenuta nel secondo comma dell'art. 2379-ter c.c., della dichiarazione di invalidità delle deliberazioni dell'assemblea di aumento del capitale, quando la stessa sia stata eseguita, trova applicazione anche alle decisioni del consiglio di amministrazione concernenti il detto aumento (nonostante l'art. 2379-ter c.c. non risulti richiamato dalla disciplina in tema di invalidità delle delibere del consiglio d'amministrazione).

L'invalidità della deliberazione di riduzione del capitale ai sensi dell'art. 2445 c.c. o della deliberazione di emissione delle obbligazioni non può essere pronunciata, invece, dopo che la deliberazione sia stata anche parzialmente eseguita. Per queste delibere, quindi, basta l'esecuzione, non occorrendo anche la pubblicità, a fini preclusivi.

Al riguardo, l'esecuzione può dirsi iniziata, rispettivamente, già con i primi rimborsi del capitale ai soci, o con la sottoscrizione del prestitoobbligazionario; esclusa la rilevanza di atti prodromici di mera efficacia interna.

Dato il tenore letterale del secondo comma, anche l'esecuzione di una delibera, non sospesa cautelarmente, nelle more del giudizio di impugnazione, rende quest'ultimo improcedibile.

Tra il primo ed il secondo comma dell'art. 2379-ter  sussiste, peraltro, anche un'altra differenza temporale.

Nelle società cd. chiuse, infatti, il termine di decadenza riguarda la proposizione della domanda (“l'impugnazione...non può essere proposta ...”); laddove, per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, l'esecuzione, anche solo parziale, della delibera preclude la sentenza (“l'invalidità della deliberazione...non può essere pronunziata ...”).

La Relazione al decreto legislativo spiega la disciplina particolarmente riduttiva in materia con le insormontabili difficoltà tecniche, nelle società aperte, al ripristino della situazione anteriore alla delibera invalida. L'impugnabilità prolungata delle operazioni sul capitale e sulle obbligazioni potrebbe, inoltre, minarne il successo, tanto più che nelle società aperte i titoli sono di rapida negoziazione.

In tema di aumento del capitale con conferimento di beni in natura, si è ritenuto che l'effetto preclusivo ricollegato all'iscrizione della dichiarazione di avvenuta esecuzione, ex art. 2444, copra anche le questioni relative alla valorizzazione dei conferimenti in natura secondo il procedimento di cui all'art. 2343, ovvero secondo il procedimento ex art. 2343-ter e quater. L'effetto preclusivo include le modalità di determinazione del valore dei beni conferiti in natura e pertanto la delibera del consiglio di amministrazione afferente tali tematiche, intervenuta prima dell'iscrizione della suddetta dichiarazione, diventa anch'esso insuscettibile di impugnazione, in quanto atto endoprocedimentale (Trib. Milano 16 aprile 2018, in Soc., 2018, 991; Trib. Milano 8 febbraio 2018, in Soc., 2018 con nota di Cincotti).

Il risarcimento del danno

Anche in caso di nullità è ammissibile la tutela obbligatoria, che vale come sanzione civile speciale. Resta senza sanzione, invece, l'illegalità non produttiva di danno quantificabile; laddove, la tutela reale è svincolata dal requisito del danno.

La salvezza del risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci ed ai terzi trova rispondenza nelle analoghe previsioni riguardanti l'invalidità della fusione, della scissione e della trasformazione.

L'autonomia della disposizione contenuta al terzo comma, in chiusura della disciplina in materia, rende plausibile, sulla base del criterio letterale, oltre che a fortiori di quello teologico, la tesi che l'azione di risarcimento del danno possa essere esperita sia nelle società chiuse (primo comma), che in quelle aperte al mercato del capitale di rischio (secondo comma); e non solo in queste ultime: come se la previsione del terzo comma fosse teleologicamente connessa unicamente con il comma precedente.

Si ripropone il dubbio, già sollevato in tema di invalidità delle delibere in generale, sulla possibilità di optare per la tutela obbligatoria fin dall'inizio, invece che per quella reale, quando quest'ultima sia egualmente ammissibile; come pure se, in tal caso caso, vi possa essere cumulo delle azioni.

L'azione risarcitoria si prescrive nel termine di cinque anni, come previsto da entrambe le norme in astratto applicabili (artt. 2947 e 2949 c.c.): non risultando estesa ad essa il termine triennale di decadenza previsto per l'azione di nullità dall'art. 2379 c.c., a differenza di quanto previsto, per le azioni di annullamento, dall'art. 2377 c.c., sesto comma.

È da escludere la spettanza del diritto al risarcimento ai soci che abbiano votato a favore della delibera nulla. La dissonanza con la loro ritenuta legittimazione, invece, alla tutela reale dell'accertamento della nullità, si può spiegare con l'assenza del requisito dell'ingiustizia del danno che essi stessi abbiano concorso a cagionare.

La fattispecie risarcitoria prevista dal terzo comma della norma in esame non può considerarsi l'unica configurabile nel variegato panorama delle delibere nulle; come cioè se non sia configurabile alcuna altra delibera, diversa da quelle di aumento di capitale, riduzione ex art. 2445 c.c., ed emissione di obbligazioni, la cui nullità sia produttiva di un danno risarcibile.

Al riguardo si osserva, infatti, che l'art. 2379 ultimo comma c.c., richiama, sia pure entro i limiti di compatibilità, l'ottavo comma dell'art. 2377 c.c., che prevede il risarcimento del danno in caso di sostituzione della delibera viziata. Non vi sono dunque ragioni per negare che l'azione di danni sia ammissibile in ogni caso di delibera nulla che abbia inciso su diritti dei soci o terzi.

Bibliografia

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