Codice Civile art. 2390 - Divieto di concorrenza (1).

Renato Bernabai

Divieto di concorrenza (1).

[I]. Gli amministratori non possono assumere la qualità di soci illimitatamente responsabili in società concorrenti, né esercitare un'attività concorrente per conto proprio o di terzi, né essere amministratori o direttori generali in società concorrenti, salvo autorizzazione dell'assemblea.

[II]. Per l'inosservanza di tale divieto l'amministratore può essere revocato dall'ufficio e risponde dei danni.

(1) V. nota al Capo V.

Inquadramento

La riforma societaria ha lasciato pressoché inalterata la formulazione della norma, salvo l'ampliamento del divieto di attività concorrenziali, riferito ora anche all'assunzione della carica di amministratore o direttore generale in società concorrenti: in tal modo, superando i precedenti dubbi interpretativi, riflessi nella giurisprudenza che negava l'estensibilità del divieto a chi assumesse la carica di amministratore unico di una società concorrente (App. Milano 21 giugno 1955, in Foro it., 1956, 1, 108, con nota di Torrente).

Appare più ampio e meglio articolato, peraltro, l'omologo divieto enunciato dal d.l. Salva Italia n. 201/2011, all'art. 36 (“È vietato ai titolari di cariche negli organi gestionali, di sorveglianza e di controllo e ai funzionari di vertice di imprese o gruppi di imprese operanti nei mercati del credito, assicurativi e finanziari di assumere o esercitare analoghe cariche in imprese o gruppi di imprese concorrenti”).

La ratio della norma in esame è ravvisata, dalla prevalente dottrina, nell'esigenza di evitare il rischio del conflitto di interessi, mediante una tutela preventiva della società contro danni concorrenziali. Si assume, altresì, che l'esercizio di attività economiche diverse sarebbe lesivo del rapporto fiduciario che intercorre tra amministratori e soci; mentre, meno seguita è la tesi risalente che individua lo scopo della norma nella necessità che gli amministratori dedichino interamente il loro impegno lavorativo alla gestione della società: scopo, che però non spiegherebbe la legittimità di ruoli ed occupazioni ulteriori rispetto all'elencazione contenuta al primo comma. Un'ulteriore ratio dell'art. 2390 è individuata nella tutela dei segreti aziendali (know how).

L'ambito del divieto

Sotto i profili oggettivo e soggettivo, si rileva come il divieto abbia carattere tassativo e non si presti quindi ad estensione analogica, così da ricomprendere anche attività professionali – ad es., di consulenza – o da applicarsi anche al socio di maggioranza di società concorrente.

E comunque, la regola non attiene alla disciplina antitrust: come si evince dall'efficacia esimente dell'autorizzazione assembleare, prevista in chiusura del primo comma.

La riforma ha quindi esplicitamente proibito il cumulo di cariche in società concorrenti (che già la dottrina prevalente aveva peraltro anticipato), inclusa quella di direttore generale (che l'art. 2396 assoggetta, pure, alle disposizioni sulla responsabilità degli amministratori).

Oggetto del divieto è l'esercizio da parte dell'amministratore di s.p.a., per conto proprio o di terzi, o tramite una società di cui egli sia socio illimitatamente responsabile, di un'attività concorrente: nozione, diversa da quella di una singola operazione o di un isolato affare, il cui compimento occasionale non integra la fattispecie in esame, bensì, eventualmente, quella di cui al successivo art. 2391 c.c. L'esenzione statutaria dal divieto di concorrenza non vale, comunque, a dispensare gli amministratori dall'osservanza dell'art. 2391 c.c. in ordine all'obbligo dell'amministratore di dare notizia agli altri amministratori al collegio sindacale di un proprio interesse in una determinata operazione della società (Trib. Torino 26 novembre 2019, in Foro it., 2020, 1, 744).

Si ritiene, in dottrina, che la disciplina sia applicabile anche alla S.r.l. (in senso contrario, però, Trib. Nocera Inferiore 24 maggio 2006, in Riv. dir. impr., 2007, 591, con nota di Gaeta).

La portata ampia della previsione normativa rende riferibile il divieto valido anche agli amministratori non esecutivi, nonché al liquidatore, in via estensiva. La sua applicabilità pure all'amministratore di fatto, sostenuta da qualche autore, non può che essere limitata all'ipotesi in cui l'anomalia della carica dipenda da nullità della nomina; e non da usurpazione, di fatto, della funzione, che non sarebbe passibile di revoca.

Non vi è invece divieto per la qualità di socio limitatamente responsabile né, come detto, per il socio di controllo della società concorrente.

La concorrenza deve riguardare un'attività effettivamente svolta dalla società per azioni , e non solo enunciata nel suo oggetto sociale, a pena di irragionevole estensione dell'inibizione, stante l'abituale ampiezza ed eterogeneità delle relative previsioni statutarie; e ciò vale sia per la società a cui appartiene l'amministratore, sia per quella diversa di cui egli sia socio illimitatamente responsabile o per conto della quale agisca, sebbene parte della dottrina dilati la portata del divieto anche a situazioni competitive legate all'eventuale evoluzione espansiva territoriale o di produzione merceologica di articoli affini, con sostanziale assimilazione della fattispecie in esame a quella della concorrenza sleale.

In realtà, la norma in esame, ispirata ad una ratio preventiva, si differenzia dall'art. 2598, di chiara natura repressiva, dal momento che non richiama il requisito della slealtà ed inibisce, quindi, anche forme di concorrenza svolte secondo criteri di correttezza commerciale.

L'autorizzazione assembleare

Il divieto di concorrenza può essere rimosso dall'autorizzazione dell'assemblea; in difetto della quale, secondo una risalente giurisprudenza di legittimità, l'amministratore non diventerebbe, peraltro, ipso jure ineleggibile, con conseguente decadenza ex post della sua nomina, bensì resterebbe unicamente esposto alla sanzione della revoca – per definizione, per giusta causa – che, tuttavia, l'assemblea potrebbe anche non irrogare, trattandosi di scelta potestativa e non di potere-dovere e che, comunque, l'amministratore potrebbe prevenire, rinunziando alle qualità o attività incompatibili (Cass. I, n. 3091/1975).

Al riguardo si osserva come l'art. 2390 non riproduca la presunzione di autorizzazione tacita di cui all'omologa norma dell'art. 2301, secondo comma – dettata per la società in nome collettivo e da ritenere richiamata anche per la società in accomandita semplice, limitatamente alla figura dell'accomandatario (art. 2315) – nel caso in cui l'esercizio, da parte dell'amministratore, dell'attività concorrente o la partecipazione ad altra società preesistessero alla costituzione della società da lui gestita e gli altri soci ne fossero a conoscenza. Ciononostante, parte della dottrina ritiene egualmente applicabile alla s.p.a., in via analogica, la predetta presunzione di consenso tacito all'attività concorrenziale, se nota ai soci all'atto della nomina.

L'autorizzazione espressa dall'assemblea ha valore esimente e presuppone una valutazione ex post di una situazione di concorrenza già creatasi. L'art. 2390 c.c., nel consentire l'esonero degli amministratori dall'osservanza del dovere di non concorrenza, non pone alcuna condizione, neppure implicita, alla prevista autorizzazione, rimessa all'apprezzamento insindacabile della maggioranza assembleare, pur con i limiti invalicabili posti dall'art. 2391 (Cass. civ., I, n. 560/2001).

Appare pure ipotizzabile, pur se plausibilmente infrequente, un consenso preventivo, dai contorni più o meno ampi, espresso in una clausola statutaria.

È dubbio se l'autorizzazione concessa sia suscettibile di revoca, quanto meno in presenza di un mutamento delle circostanze di fatto che la rendano giustificata. Parte della dottrina esprime l'avviso che l'autorizzazione sia irrevocabile per tutta la durata del mandato.

L'eliminazione del divieto di concorrenza può però costituire perfino un abuso del diritto , se deliberata a maggioranza da soci che siano anche amministratori della società, dopo che uno dei soci-amministratori abbia dismesso la carica e dunque non possa in alcun modo avvantaggiarsi del venir meno del vincolo in esame (principio affermato in una fattispecie concreta riguardante una s.r.l., ma certo estensibile alla s.p.a: Trib. Milano 25 gennaio 2018, in Giur. it., 2019, con nota di Luoni e Cavanna).

Il danno risarcibile

Il divieto di concorrenza sancito dall'art. 2390 c.c. a carico degli amministratori di società di capitali può considerarsi violato soltanto in presenza di elementi tali per cui risultino accertati, in concreto, sia l'attività concorrenziale svolta dall'amministratore, sia il danno economico sofferto dalla società: non essendo sufficiente a trasgredire il dettato normativo la mera potenzialità astratta di detti elementi (Trib. Milano 2 febbraio 2006, in Soc., 2007, 316). Il rapporto concorrenziale vietato dall'art. 2390 c.c. deve essere concreto ed attuale, includendo tutti gli aspetti qualificanti delle attività delle imprese. Se solo potenziale, deve fondarsi sulla ragionevole circostanza prevedibile che in futuro l'attività svolta si evolva in senso concretamente concorrenziale (Trib. Roma 23 gennaio 2017 n. 1084).

La violazione del divieto di concorrenza vulnera direttamente la società ed il suo patrimonio, mentre il danno subìto dal socio è soltanto indiretto, e dunque insuscettibile di risarcimento ex art. 2395 (Cass. III, n. 6558/2011).

Il risarcimento del danno segue le regole generali sul nesso eziologico tra condotta e danno e sull'elemento psicologico del dolo o della colpa. Trattandosi di violazione di un obbligo inerente al contratto di amministrazione, la colpa si presume, analogamente a quanto dispone l'art. 2600, terzo comma, per gli atti di concorrenza sleale. Diversamente da quanto disposto, però, in tale materia dall'art. 2599, non sembrano ammissibili provvedimenti, cautelari o di merito, che inibiscano all'amministratore la continuazione dell'attività competitiva – che, come detto, potrebbe non essere scorretta, sotto il profilo commerciale – dal momento che l'unica sanzione prevista dall'art. 2390, oltre al risarcimento del danno, è la revoca dall'ufficio.

Bibliografia

Benassi, Sub art. 2390, in Commentario breve al Diritto delle società, diretto da A. Maffei Alberti, Padova-Milano, 2017; Giampaolino, Sub art. 2390, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Torino, 2015; Grippo, Nomina di amministratori e divieto di concorrenza, in Giur. it., 1977, 1, 1, 157; Magno, Sub art. 2390, in Codice commentato delle nuove società, a cura di Bonfante, Corapi, Marziale, Rordorf, Salafia, Milano, 2004; Montagnani, Sub art. 2390, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2005; Nucci, Il divieto di concorrenza a carico degli amministratori di S.r.l., in Soc., 2007, 316; Sandei, Sub art. 2390, in Commentario breve al codice civile a cura di G. Cian, Milano-Padova, 2016.

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